Dall'istruttoria scritta e orale, e specialmente da quest'ultima dalla quale è emerso a carico degli imputati molto di più di quanto fosse stato raccolto nei volumi del processo, risultano provati, almeno nella massima parte, gli addebiti mossi in citazione al Bertozzi e al Banchieri. Due lagnanze della difesa, la prima mossa all'inizio del dibattimento e la seconda all'epilogo, sono state respinte dalla Corte: non occorre nemmeno rilevare l'infondatezza dei motivi per i quali la difesa del Bertozzi e del Banchieri si opponeva alla costituzione di P.C. del Parroco di Nove di Bassano, don Luigi Panarotto; se, infatti, ai pervenuti non fu contestato il delitto di furto e rapina in danno del don Panarotto in persona e del Beneficio Parrocchiale da lui rappresentato, né quello di lesioni subite dal sacerdote in occasione del suo arresto, i fatti stessi furono già in istruttoria contestati agli imputati e costituiscono elementi integranti il delitto di collaborazionismo. Tanto meno poteva lamentare la difesa si fosse eseguita l'istruttoria col rito sommario, soltanto tale rito, e non già il formale, è prescritto dalle Leggi Speciali per la repressione dei crimini fascisti, mentre poi risulta che il decreto di citazione fu notificato nei termini di legge, e le varie contestazioni sono specificate in modo più che sufficiente, cosicché non vi è alcuna incertezza sui fatti contestati. Né, infine, la difesa, come non aveva motivo, in rito, di protestare circa la mancata comparizione di molti testi da lei condotti, dei quali parecchi erano stati ammessi fuori termine, coi poteri discrezionali, di cui fu fatto un uso veramente assai largo, non aveva altresì ragione di ritenere compromessa la sua posizione, voltaché l'imponente materiale di accusa raccolto nel dibattimento, le circostanze di fatto riferite col massimo dettaglio e la massima precisione da una lunga teoria di testi oculari, sulla cui attendibilità non esistono ragioni di dubitare, non sarebbero mai state annullate dal deposto di chi non poteva escludere che si fosse verificato quanto essi testi avevano riferito. Di tali prove a carico, che secondo il convincimento della Corte, stabiliscono la responsabilità dei maggiori imputati, Bertozzi e Banchieri, per quasi tutti gli addebiti, si va ora a discutere. La X Flottiglia Mas era una formazione della Marina Militare che nell'ultimo anno della lotta contro il governo nazionale legittimo e gli alleati acquistò, alle dipendenze della pseudo-repubblica di Salò, e in effetti in istrettissimo legame e, anzi, dipendenza, del tedesco invasore, una grande importanza, giungendo quasi alla proporzione di una grande unità. Si parla di una trentina di Battaglioni (Folgore, Sagittario ecc. ecc.). Presso il comando generale della formazione esisteva l'ufficio I (ufficio informazioni), il quale, per le stesse ammissioni del Bertozzi, era stato affidato alla direzione di costui. Il Bertozzi, il quale all'8 settembre 1943 si trovava alle armi quale tenente chimico della Marina Militare, si mise al servizio del governo di Salò, agli ordini diretti del Comandante Borghese, col quale si era dichiarato pienamente d'accordo nella valutazione degli avvenimenti che, secondo lui, imponevano di fare la resistenza ai cosiddetti nemici, cioè agli alleati, e ai cosiddetti ribelli, cioè agli elementi partigiani, a fianco degli alleati tedeschi; il che infatti avvenne a opera delle formazioni della X Mas. Il Bertozzi fu dapprima aiutante maggiore della Xª e ufficiale di disciplina, a La Spezia, e poi capo dell'ufficio I (investigativo). Egli spiega che le mansioni dell'ufficio disciplina erano di indole esclusivamente militare disciplinare all'interno della caserma, mediante la sorveglianza dei militari, ivi raccolti, e la repressione delle mancanze commesse dai soldati, e non rivestenti carattere di più gravi reati. Aggiunge che soltanto nell'autunno 1944, a Cuorgnè (Torino), assunse il comando dell'ufficio I, ma in realtà le mansioni relative a tale ufficio - costituente il collegamento con la polizia germanica e i comandi tedeschi - erano da molti mesi addietro esercitate dal Bertozzi, voltaché è stabilito che nel marzo 1944 intervenne nello sciopero degli addetti al Cantiere Navale del Muggiano (La Spezia) procedendo all'arresto di impiegati e operai sospetti di adesione al movimento clandestino di resistenza, e che in quell'epoca con estremo vigore procedette contro i partigiani che erano stati scoperti in occasione delle investigazioni da lui fatte, dopo la cattura del gruppo di partigiani in Monte Barca, e che poi furono fucilati a Valmozzola. Le mansioni dell'ufficio I, per le precise dichiarazioni del Bertozzi, si riassumevano nel segnalare al comando della divisione le notizie riguardanti lo schieramento nemico. E' positivo che, a tale scopo - malgrado le sue negative - il Bertozzi procedette a numerosissimi arresti di partigiani e loro fiancheggiatori, al loro interrogatorio con mezzi coercitivi, e che i mezzi, assai spesso, consistevano in sevizie particolarmente efferate, mentre, nel corso di tali operazioni, venivano operate perquisizioni, sottrazioni di oggetti, indumenti, cibarie, animali domestici, e talvolta le case dei ribelli e dei loro fiancheggiatori venivano date alle fiamme. Il Bertozzi ha negato di aver usato personalmente le violenze suddette, asserendo anzi di aver fatto il possibile per impedire di usarle ai suoi dipendenti e di aver provvisto, in vari casi, a rimuovere dal posto i colpevoli. Su questo punto però l'imponente materiale probatorio in contrario, e di cui si parlerà fra breve, permetterebbe di non tenere nemmeno conto di tali discolpe. E' poi stabilito, per le stesse ammissioni dell'imputato, che il Bertozzi prese parte attiva e diretta, nella primavera estate 1944, a vari rastrellamenti, fra cui quello in grande stile di Forno di Massa, che è una vera e propria azione di guerra, concertata ed eseguita dal Bertozzi alla testa di non meno di 35 uomini addetti all'ufficio I, oltre parecchi altri della X Mas, in collegamento con le truppe tedesche, la quale portò, dopo uno scontro coi partigiani, all'occupazione del paese, all'arresto in massa della popolazione, alla fucilazione di almeno 61 giovani partigiani e all'uccisione di altri, e alla deportazione di altri in Germania. In quell'epoca infine risulta che il Bertozzi prese parte ad altri rastrellamenti in Piana di Battolla, Fivizzano, Gragnola, Licciana, ove, sotto il suo comando, e col suo diretto intervento, altri partigiani e patrioti furono uccisi. I testi poi parlano di altri rastrellamenti, con arresti, in quel di Cuorgnè, che attribuiscono al Bertozzi, e di altri rastrellamenti quando, al principio dell'inverno 1944-45, l'ufficio I si trasportò in quel di Conegliano e di Maniago e Spilimbergo e, da ultimo, in questa Provincia (Vicenza ndr).

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