L'ampia documentazione delle numerosissime ruberie commesse, in occasione specialmente dei rastrellamenti, con tutte le caratteristiche di saccheggi, nonché dei numerosi incendi delle case dei partigiani e loro favoreggiatori, completa, con l'enumerazione delle sevizie, e, per il Bertozzi, dei numerosi omicidi, di cui è colpevole, il quadro dell'attività militare collaborazionistica con accompagnamento degli altri fatti delittuosi che escludono la possibilità di applicazione dell'amnistia. Osserva però la Corte, a questo punto, che la posizione del Benedetti è ben diversa. Da qualche deposizione (dott. Boranga) risulterebbe che il Benedetti era considerato uno dei peggiori aiutanti del Bertozzi e del Banchieri. Però, per quanto riguarda la sua attività, fatti specifici di sevizie particolarmente efferate a suo carico non sono emersi. Invero, mentre Bertozzi e Banchieri sono addirittura sopraffatti dal cumulo delle accuse, per il Benedetti è risultato che soltanto in due o tre casi egli fu presente a fatti di gravi sevizie in danno di partigiani. E poiché in tali casi è emersa la piena responsabilità del Bertozzi e del Banchieri, e non risulta che il Benedetti abbia veramente coadiuvato i superiori, la Corte non ritiene sufficientemente provate le sue responsabilità in materia di efferatezze di sevizie, e perciò, essendo egli stato prosciolto dall'unica accusa fattagli di concorso nell'omicidio del partigiano "Danilo", come si disse più sopra, va nei suoi confronti dichiarato estinto per amnistia il delitto di collaborazionismo. In ordine all'uccisione di un giovane slavo, parente del teste De Lorenzi Giuseppe (verb. dibat. f. 260) va osservato che si tratta di un fatto nuovo, mai contestato al Benedetti, per il quale perciò provvederà nei modi di legge il Pubblico Ministero. Sulla misura della pena da infliggere ai due rei per il collaborazionismo militare, la Corte si propone di esaminare se la pena capitale prevista a sensi dell'art. 51 c.p.m.g. possa essere degradata di qualche attenuante. Le sole circostanze di cui si potrebbe parlare sono quelle generiche, previste dall'art. 62 bis c.p., poiché non si saprebbe prospettare nessun'altra attenuante, e tanto meno quella prevista dall'art. 7 del D.L.L. 27.7.44 n. 159, in quanto che è escluso che Bertozzi e Banchieri abbiano commesso nessun fatto, nonché di grande rilievo, nemmeno di qualsiasi modesta importanza, volto ad aiutare le forze nazionali nella lotta contro il tedesco invasore. Qualche episodio isolato di benigno interessamento a favore di qualche singolo patriota o partigiano, accennato dai testi di difesa, non può certo assurgere all'importanza di un aiuto alla causa nazionale, da parte di coloro che, come i due pervenuti, hanno per mesi ed anni, esercitato senza interruzione una enorme, intensa, spietata attività contro i partigiani e a favore diretto dei tedeschi, coi quali collaboravano sempre militarmente, vantando con essi il proprio cameratismo. Risulta che il Bertozzi, in varie occasioni, ebbe a trattar bene taluni partigiani, ma si trattò sempre di casi speciali; e l'atteggiamento era determinato da motivi speciali. In qualche caso, come nel trattamento fatto al Pellegrini (verb. dibat. f. 307), allievo ufficiale di Marina di Venezia, di cui era stata scoperta l'attività partigiana, e degli altri 24 compagni di costui, risulta che il Bertozzi li salvò dalla deportazione, ma col persuaderli ad arruolarsi nella X Mas, con che egli otteneva un vantaggio notevole per la causa nazifascista, e un personale successo. Quanto al capitano Bressan, si trattò di un curioso atteggiamento del Bertozzi, richiamato dal Bressan al dovere di rispettare un ufficiale nemico prigioniero, onde il Bertozzi si astenne dall'usar violenze al Bressan, mentre contemporaneamente si sfogava nel modo peggiore contro il parroco don Panarotto che al Bressan aveva dato ricovero. Quanto al fatto del capitano Pellizzone, capo partigiano, il Bertozzi trattò correttamente con costui, perché gli premeva fare un cambio di prigionieri. e alle stesse preoccupazioni, o a qualcosa di simile, vanno riferite le trattative, che però non ebbero successo, ricordate dal teste don Pulin (verb. dibat. f. 303) circa un'intesa col capo garibaldino di Andreis "Cip". Poste nei giusti, modestissimi limiti, tali manifestazioni del Bertozzi, che non possono considerarsi come benemerenze, nulla risulta a suo favore, di fronte al cumulo delle accuse provatissime, fra cui quelle che coinvolgono il Bertozzi nella responsabilità per l'uccisione di quasi un centinaio di giovani che così furono immolati per la causa della libertà nazionale. E pertanto, ove pure in una lievissima percentuale delle molteplici accuse si potesse ritenere che il comportamento del Bertozzi, tenendo conto di tutte le circostanze previste dall'art. 133 c.p. meritasse qualche indulgenza, l'indulgenza non potrebbe mai aver luogo di fronte al cumulo enorme di attività delittuose a favore dei tedeschi, di vigliacche violenze sui partigiani arrestati, e al numero degli omicidi, molti dei quali furono consumati con vera efferata crudeltà. Altrettanto va detto per il Banchieri. E' vero che costui non è raggiunto da prove sufficienti per l'omicidio. ma rimangono sempre i rastrellamenti, i saccheggi, gli incendi, e soprattutto le sevizie ("Si dimostrava più finemente sadico di tutti gli altri" ha detto il teste don Molinari), sevizie nelle quali ha dimostrato ogni perversità, e che, nel periodo relativamente breve del suo servizio (dall'agosto 1944 all'aprile 1945) risultano forse più numerose e feroci anche di quelle attribuite in particolare al Bertozzi. Del resto, non si potrebbe concedere le attenuanti al Banchieri, allo scopo di proporzionare la pena da lui meritata, nei confronti di quella meritata dal Bertozzi quando si consideri che, escluse le attenuanti generiche per entrambi, la pena per ciascuno è necessariamente quella capitale. Per il Bertozzi, in ogni caso, esiste anche la sanzione per gli omicidi, la quale, in forza di legge, rimane assorbita nella pena capitale. Per gli omicidi, infatti, va considerato che per quello in persona di Collot Domenico, e per le molteplici uccisioni in occasione del rastrellamento di Forno, la Corte nelle superiori motivazioni riconobbe la sussistenza dell'aggravante di cui all'art. 577 n. 4 (omicidio commesso con crudeltà). La Corte ritiene poi che tutti i vari omicidi di cui al capo d'imputazione vanno considerati come eseguiti per effetto di unica risoluzione criminosa, e ciò emerge agevolmente dalla considerazione che il Bertozzi, determinandosi all'attività collaborazionista, si era determinato anche a provvedere alla soppressione dei partigiani che fossero stati da lui catturati, almeno in determinate circostanze. Perciò egli deve rispondere di un solo omicidio continuato, per tutti gli addebiti rubricati, a sensi degli art. 575, 577 n. 4 in relazione all'art. 61 n. 4 c.p. e 81 c.p., con la sanzione dell'ergastolo, senza concessione di attenuanti generiche, per i motivi anzidetti. I due condannati, trattandosi di condanna a pena capitale, non sono tenuti al pagamento delle spese processuali. Quanto alla confisca dei beni, non è dubbio che entrambi si sono resi responsabili di tradimento verso la Patria, ma più grave è stata l'attività proditoria del Bertozzi, perciò si ritiene di disporre, nei suoi confronti, la totale confisca, mentre la pronuncia va limitata, per il Banchieri, alla metà dei beni. Il Bertozzi e il Banchieri devono rispondere dei danni verso la parte civile don Luigi Panarotto, in quanto una delle tante loro attività costituenti il complesso dell'attività criminosa collaborazionista fu proprio diretta contro la persona e gli averi del don Panarotto e dell'ente da lui rappresentato. Risulta che per conseguenza diretta dell'azione del Bertozzi e del Banchieri, il don Panarotto subì lesioni alla persona, con conseguenza di malattia e spese relative: che molti oggetti preziosi e di valore gli sono stati sottratti e non restituiti, all'infuori degli ori della Chiesa, che si poterono recuperare. La Corte non ha elementi sufficienti per una completa liquidazione, onde, con la dicitura generica dei danni, deve limitarsi a stabilire (...................) da imputarsi nella somma che sarà liquidata in separato giudizio, che si precisa in £. 300.000, oltre le spese di costituzione e patrocinio della P.C. La sentenza sarà pubblicata e affissa nei modi di legge, come dal dispositivo.

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