Ma v'ha di più, e cioè la deposizione dei testi che lumeggiano la diretta partecipazione del Bertozzi all'omicidio. La vedova dell'ucciso, Grava Ines, che è venuta all'udienza portando seco un bambino che non era ancora nato quando fu ucciso il padre, (verb. dib. f. 279) ha narrato che il mattino del 19.11.44 vennero 30 soldati della Xª al comando del Bertozzi a cercare un prigioniero inglese: il Collot Domenico, che non era nemmeno partigiano, li accompagnò nel campo (dove esistevano i nascondigli) di proprietà di Zanatte Nicola (verb. dib. f. 281). Furono subito rintracciati il proprietario Zanatte e il suo fittavolo Casagrande, e , mentre in quel momento nulla fu fatto contro il Collot, un milite immobilizzò lo Zanatte, mentre il maresciallo Banchieri, per ordine del Bertozzi, lo bastonò, e il Bertozzi poi si divertiva a scottarlo con la sigaretta accesa. Di poi lo Zanatte fu condotto in caserma, e scottato con ferri roventi al basso ventre. Del pari, fu bastonato il Casagrande; allo Zanatte furono anche rubati 42 metri di corda nuova. Gli esecutori furono il Banchieri e un altro. La vedova la mattina seguente vide comparire nuovamente il Bertozzi con la squadra, e il marito fu subito malmenato, e anch'essa fu bruciacchiata con la sigaretta. Contro il Collot poi Bertozzi e compagni inferocirono: egli fu condotto dentro in casa denudato e percosso e gli fu spezzata una gamba. Quindi la casa fu devastata, e furono portati via tutti i generi alimentari, biancheria, biciclette. Infine il Bertozzi percosse nuovamente il Collot, disse che sarebbe stato fucilato, e mandò a chiamare il sacerdote. Poco dopo il Collot fu condotto fuori e fucilato nel cortile. A proposito della compartecipazione del Bertozzi al delitto, si ricava dalla deposizione di grava Eugenio, vicino del Collot, che il 20.11.44, lo stesso giorno della fucilazione del Collot (verb. dib. f. 280) il Grava fu arrestato dal Bertozzi come favoreggiatore degli inglesi e dei partigiani, e gli fu detto che sarebbe stato fucilato, e lo fece condurre in caserma con una corda legata al collo, e mandò a chiamare il prete: però il Grava fu rilasciato il giorno dopo. Comportamento, questo del Bertozzi che denota come dipendesse da lui direttamente la decisione di fucilare i partigiani. La verità del racconto della vedova è, infine, confermata dall'agricoltore Basso Giovanni, altro vicino del Collot (verb. dib. f. 276). Il 20.11.44, verso il pomeriggio, capitò il ten. Bertozzi, con una quindicina di soldati della X Mas, e arrestò il Basso, mentre lavorava nei suoi campi. Il Bertozzi conduceva seco il Collot, che mostrava il viso gonfio per le percosse. Al Basso il Bertozzi, che era accompagnato dal Banchieri, chiese ove fossero i prigionieri inglesi, e, alle risposte negative del teste, Bertozzi e Banchieri lo percossero violentemente con pugni, schiaffi, cinghiate, dopo averlo denudato. E intanto continuavano a percuotere il Collot. Più volte al teste e al Collot furono ripetute le domande, e ai reiterati dinieghi, seguivano sempre le battiture, e ciò fino alle 17,30. A quell'ora il Basso fu portato mezzo morto nella stalla, tanto che fu mandato per il sacerdote. Il Basso aggiunge che, allora, il Collot fu riaccompagnato a casa sua, e qui va ricordata l'ultima fase del racconto della vedova, dal quale apparisce che, quando il Collot fu riportato a casa (come dice il Basso) egli fu sottoposto a nuovi tormenti, e gli fu sparsa sulle mani della polvere pirica, e datovi fuoco, e, probabilmente in quel momento gli fu spezzata la gamba. Certo, dopo queste ultime sevizie, il Collot fu trascinato fuori nel cortile, e, in vista della moglie, abbattuto con una raffica, ma, poiché non era rimasto morto, il Bertozzi lo finì con un colpo di pistola alla nuca. Per quanto si è esposto, esiste la (....................) eseguita in sua presenza e con la sua cooperazione anche materiale. Non può disconoscersi, poi, la sussistenza dell'aggravante di cui all'art. 577 n. 4 in relazione all'art. 61 n. 4 c.p., perché l'uccisione fu compiuta con modi crudeli: basti ricordare le bruciature alle mani mediante la deflagrazione della polvere pirica, le continue percosse fino al momento dell'esecuzione, e la spietata crudeltà con la quale si mandava alla morte un uomo, che non si reggeva in piedi perché gli era stata spezzata una gamba con le battiture. Contro il Bertozzi non furono tanti elementi di accusa per incolparlo dell'uccisione del partigiano "Danilo" avvenuta in Meduno nei primi giorni del dicembre 1944: tale specifica imputazione vien fatta, invece, al Banchieri e al Benedetti. Ma la Corte non ritiene che neanche costoro siano stati raggiunti da prove sufficienti, e perciò si impone, su tal punto, il loro proscioglimento con la formula dubitativa. Alcuni testi ebbero a riferire di aver saputo da altre persone che due partigiani, il "Danilo" e tal Colussi, erano stati fucilati a Meduno da un plotone di esecuzione comandato dal Banchieri, e di cui faceva parte il Benedetti. Costoro hanno respinto le accuse e il Banchieri ha spiegato che effettivamente i due partigiani catturati erano stati condannati a morte dal Comandante Carallo, ma che il Banchieri aveva riconosciuto il Colussi, che era stato suo commilitone in Grecia e in Russia, e perciò volle salvarlo, e così, lo fece salire seco su un camioncino guidato dal Benedetti; andarono a Tramonti di Sopra, a circa una ventina di km. da Meduno, e, quando tornarono, alcune ore dopo a Meduno, si trovò che l'esecuzione del "Danilo" era già avvenuta. L'istruttore, poiché risulta che il Colussi era vivo, e in procinto di partire dall'Italia, lo fece sentire come teste a futura memoria col vincolo del giuramento, e il Colussi confermò le circostanze. L'impossibilità di sentire il Colussi al dibattimento ha fatto si che non si sia potuto in nessun modo stabilire se in qualche altro modo il Banchieri fosse concorso nell'uccisione del "Danilo", ma certo, in mancanza di prove più convincenti, il Banchieri e il Benedetti non possono essere condannati. Si è giunti ora all'ultima fase dell'attività delittuosa dell'ufficio I della X Mas, che si è chiusa in questa provincia, e precisamente in zona di Thiene e di Bassano del Grappa, onde la competenza per concessione di questa Autorità Giudiziaria - che ha disposto il Supremo Collegio - per la cognizione tutti i delitti commessi dai pervenuti dall' 8 settembre 1943 al giorno della liberazione. Nella zona suddetta il Bertozzi, che risiedeva a Thiene con l'ufficio I, eseguì tra il febbraio e il marzo 1945 varie operazioni contro i partigiani e loro favoreggiatori, coi soliti arresti e interrogatori con mezzi coercitivi. Bassale Ernesto (verb. dib. f. 202) Lorenzini Antonio e Fabris Pietro (verb. dib. f. 203) la sera del 22.2.45, reduci dal lavoro presso l'organizzazione Todt, sostarono in una trattoria a Lugo di Vicenza. Poco dopo entrarono nell'esercizio tre militari della X Mas, e il Lorenzini uscì subito per non essere perquisito, essendo armato. Quelli della Mas gli andarono dietro e gli intimarono il "fermo" sparandogli contemporaneamente contro. Il Lorenzini sparò a sua volta, e rimase ucciso un militare. Di conseguenza i tre operai furono arrestati e tradotti alle scuole, e vi rimasero tre giorni, del comune di Lugo V., ove furono violentemente percossi. Condotti poi alle carceri di Thiene, subirono le solite violenze del Banchieri. Il Bazzale afferma di ben conoscere il Banchieri, perché questi lo interrogò più colte. Il Bertozzi comandava, ma non usò loro violenze. La staffetta partigiana Meneghini Pacifica Zaira di Marostica fu arrestata in casa dal Banchieri la sera del 28 febbraio 1945. Tradotta alle carceri di Thiene, vi trovò il parroco di Nove di Bassano don Panarotto, il capitano partigiano Bressan, e altri detenuti. Essa fu interrogata dal Bertozzi, con l'aiuto del Banchieri, che la seviziò applicandole la corrente elettrica alle orecchie e agli occhi e bastonandola a sangue. Gli ordini relativi partivano dal Bertozzi. Poté notare che don Panarotto e certi Stevan erano in brutte condizioni per le percosse ricevute: il Banchieri, spacciandosi per medico, e ripetendo il tentativo osceno fatto in precedenza alla teste Perin Angela (v. verb. dibat. f. 275) e ad altre donne, fra cui una signora di Milano, voleva eseguire un esame ginecologico sulla paziente, e infine le fece delle proposte oscene, respinte con indignazione. La teste comprese che ciò era nel sistema del Banchieri, tanto che, quando questi uscì dalla stanza, i soldati di guardia le chiesero se egli le avesse fatto proposte vergognose. Il parroco di Nove di Bassano, don Luigi Panarotto (verb. dibat. f. 215) teneva nascosto in canonica il capitano partigiano dott. Lino Bressan. la notte del 1 marzo 1945 si presentarono elementi della X Mas e chiesero del parroco. Questi, comprendendo il motivo della visita, non rispose e incaricò il cappellano don Mario Molinari (verb. dibat. f. 215) di rispondere che il parroco (che intanto si era nascosto) era assente. Entrarono Bertozzi, Banchieri e un altro sergente, ai quali il cappellano disse che il parroco non c'era. I tre gli si scagliarono contro e lo tempestarono di pugni e calci, malgrado le rimostranze del prete, che protestava per l'offesa recata alla veste sacerdotale. Furono maltrattati anche i vecchi genitori del Parroco e un loro nipote. Per quattro ore di seguito il don Molinari, sempre sotto le percosse, fu costretto a seguire dappertutto i militari nelle loro perlustrazioni. Finalmente fu scoperto il nascondiglio del parroco e quello del Bressan. A quest'ultimo non fu fatto nulla, perché disse subito che era un ufficiale e che esigeva il trattamento spettante agli ufficiali prigionieri. Il don Panarotto invece, fu trattato malamente dal Bertozzi, che lo colpì con una staffilata al viso, presenti i genitori. Ammise di possedere armi, perché aveva capito che il Bertozzi ne era informato. Fu tradotto alle carceri di Thiene, ove fu denudato e percosso a sangue per l'intera giornata: la camicia era tanto impregnata di sangue che aderiva alla carne. Gli fu applicata la corrente elettrica alle orecchie, e poi nuovamente bastonato, per punizione di aver falsamente giurato che il Bressan non era in casa. Da notare che il Bertozzi, escludendo - malgrado le prove che il sacerdote fosse stato seviziato - ammise di averlo schiaffeggiato, appunto perché il don Panarotto gli aveva giurato di non avere in casa il Bressan, come se il sacerdote fosse tenuto a un giuramento estortogli e, in ogni caso, pronunciato al solo scopo di salvare l'ospite! Da Thiene il don Panarotto fu tradotto a Padova, a disposizione del maggiore Carità, a Palazzo Giusti, ove fu selvaggiamente seviziato dal Banchieri, tanto che intervenne perfino il Carità a far desistere il Banchieri. Ebbe persino degli strappi ai testicoli. Fu liberato dai partigiani il 27.4.45. Molte cose sottrasse il Bertozzi, parte di proprietà personale del Parroco, parte di proprietà del beneficio parrocchiale, o affidategli da privati - come risulta fagli elenchi in atti. L'oro della parrocchia, al momento della liberazione, fu consegnato al parroco di Thiene, che lo fece restituire al don Panarotto. Molte altre cose non furono restituite, onde si giustifica la costituzione di P.C. del don Panarotto.