In seguito al prelevamento di un ufficiale della X Mas fatto dai partigiani, il ten. Bertozzi condusse una spedizione, composta di 70 uomini, contro il paese di Orniese (Cavasso Nuovo). I militari circondarono il paese e bloccarono tutte le vie di accesso alla piazza, dove fu radunata la popolazione, e, per ordine del Bertozzi, furono separati gli uomini dalle donne, e il Bertozzi verificò i documenti dei primi (teste Bartoli Gino (lett. depos. vol. 4 f. 78) e poi chiese che ne fosse avvenuto dell'ufficiale prelevato. Nessuno rispose, e allora il Bertozzi fece uscire dal gruppo sei giovani delle classi di leva, fra cui il Bartoli, e incominciò il solito interrogatorio. Di questi sei, Bigattini Quinto fu denudato fino alla cintola, e percosso dagli aguzzini con un grosso bastone: dopo 10 colpi, nuovamente interrogato, persistendo nella negativa, ebbe altri 10 colpi, e poi a nuovi dinieghi altri 10 colpi - e così per quasi un'ora, tanto che il bastone si ruppe e il Bigattini cadde esausto. Il Bertozzi minacciò di ucciderlo con la pistola, e gli aguzzini intanto lo rialzavano, afferrandolo per i capelli. In quel mentre, passò di là il parroco di Cavasso Nuovo don Giovanni Stefanuti (lett. depos. vol. 4 f. 81) il quale, in bicicletta, andava a Colle per un funerale. Fermato anche lui, e date le spiegazioni del caso, il ten. Bertozzi gli disse di fermarsi, ché in giornata vi sarebbero stati a Orniese sei funerali, e così dovette assistere alle torture inflitte al Bigattini. Il sacerdote poté avvicinare il Bigattini, il quale gli disse di non sapere nulla di quanto richiedeva il Bertozzi. il prete, allora, ne avvertì quest'ultimo, ma il Bertozzi fece proseguire le torture, per tre quarti d'ora. poi si passò a Patrucco Osvaldo (che poi fu catturato dalle SS e fucilato a Udine l'11.2.45) e questi fu azzannato da un cane, che gli scarnificò i polpacci, con conseguenze di due mesi di letto. Terzo, fu azzannato da un cane il Santor Arturo, che ne ebbe per un mese di letto, quarto il Bartoli, che ebbe ceffoni, calci e 7 od 8 violentissimi pugni allo stomaco, con le conseguenze di un mese di letto, poi Fossaluzza Guglielmo, pure morso da un cane: finalmente Santor Luigi (lett. depos. vol. 4 f. 87) che ebbe ceffoni dal Bertozzi e fu morso da un cane, con conseguenze per 25 giorni. Poi tutti furono costretti a gridare "Viva Xª Mas!" Conferma i fatti uno spettatore, Garruto Angelo (lett. depos. vol.4 f. 88) che non vide il Banchieri. C'era però il Benedetti. Il Bertozzi schiaffeggiò il podestà Agnoletti e anche delle donne. Balladin Luigi (verb. dibat. f. 269) conferma i fatti suddetti. Egli si ebbe 5 pugni: e i cani erano dei tedeschi ma il Bertozzi gli aizzava. Persino i tedeschi protestarono per simili barbarie. Pagotto Pietro di Pozzoi di Maniago (lett. depos. vol. VII bis f. 24) mezzadro del Giuseppe Centa di Maniago vide giungere a casa sua il giorno seguente (7.12.44) il Bertozzi, il quale veniva a indagare sul prelevamento dell'ufficiale, avendo saputo che i partigiani, i quali verso la fine di novembre avevano catturato l'ufficiale, avendo perso l'orientamento, erano capitati presso l'abitazione del Pagotto, e questi aveva ospitato gli 8 partigiani e l'ufficiale, il quale appariva preoccupato. Il Bertozzi, fatto chiamare anche il Centa, si fece narrare il fatto dal Pagotto, e allora il Bertozzi gli ingiunse di fargli trovare l'ufficiale, vivo o morto, e poiché il Pagotto si scherniva, lo fece bastonare con otto colpi. Anche il fratello Pagotto Giovanni fu denudato e percosso insieme coi figli Antonio e Tiziano a Maniago, nel palazzo Attimis ove erano stati condotti. Poi i tre e anche il domestico Minotti Vincenzo furono ricondotti a casa, e legati a una scala, e ancora bastonati, e quindi mandati in Germania, in campo di concentramento, donde non sono più tornati. Sempre nella stessa epoca, nella zona di Maniago, fu eseguita dall'ufficio I della X Mas un'altra operazione, col solito contorno di ruberie e sevizie. L'ufficio era informato che da qualche mese il direttore della centrale idroelettrica di Malnisio di Montereale Cellina, ing. Alfredo Bentivegna, era in relazione coi partigiani e alleati, e un dipendente, l'impiegato Basso Edoardo, si occupava nelle riparazioni di una quantità grandissima di armi, che il figlio del Bentivegna, Alfredo, studente di medicina e praticante all'ospedale di Aviano, era partigiano, e curava i partigiani. Fu fatta una sorpresa alla centrale il 13.12.44 poco dopo le 22. Un reparto della X Mas circondò la casa e arrestò l'Alfredo Bentivegna e la madre. Fu eseguita una minuta perquisizione dal reparto, comandato dal ten. Bertozzi, e assistito dal maresciallo Banchieri, Queirolo, e da elementi delle SS di Spilimbergo. Si procedette all'interrogatorio di Alfredo Bentivegna (verb. dibat. f. 61): interrogava il Bertozzi, e il Banchieri e il Queirolo si erano collocati l'uno davanti e l'altro di dietro del paziente, e lo presero a pugni, schiaffi e calci con tale violenza, che il Bertozzi raccomandò di non colpirlo troppo vicino agli occhi, per non rovinargli la faccia. Poi lo stesero supino a terra: il Banchieri gli passò al collo la cintura dei pantaloni, e stringeva a nodo scorsoio fino a soffocarlo, e allora allentava la stretta, e lo faceva rinvenire a ceffoni, ripetendo la cosa 3 o 4 volte, mentre l'altro lo calpestava più volte al ventre con gli scarponi ferrati. Il Bentivegna ne riportò una piaga al collo. Nel frattempo, essendo stati arrestati anche il Basso Edoardo (verb. dibat. f. 264) il Bentivegna fu fatto uscire, e seguì l'interrogatorio del Basso, e, infine, quello di Caruzzo Pietro (verb. dibat. f. 265) capo reparto della centrale elettrica. Il Bentivegna fu poi richiamato, e sottoposto a nuovo interrogatorio, e fatto mordere da un cane poliziotto. Quindi tutti e tre furono tradotti alle carceri di Maniago e di là al castello di Conegliano, ove furono messi in una cella di m. 1,70 x 1,50, senza finestra, col pavimento in cemento, l'aerazione avveniva soltanto attraverso qualche foro dell'uscio, e ove trovarono altri partigiani, il dr. Boranga, Fontanin, R.......... In carcere a Maniago il Bentivegna vide parecchi patrioti malconci, fra cui un ragazzo cadorino (sembra di Frisanco) ridotto in pietose condizioni che fu poi internato in Germania. Il Bentivegna fu poi passato all'ospedale di Conegliano, donde fuggì durante un allarme aereo. Egli ricorda i sistemi coercitivi usati: scottature, punture, esposizione al rigore del gelo invernale, ed è a sue notizie - come del resto risulta dagli atti - che il Bertozzi fu da un partigiano denunciato anche per pederasta. Il Banchieri era ritenuto la belva più feroce. Il Basso Edoardo in particolare riferisce di aver dovuto dare le chiavi dell'armadio della centrale al Bertozzi, non quelle della cassaforte, perché non le possedeva. Cosicché i militari della X Mas asportarono la cassaforte, contenente £. 133.000, che furono però restituite qualche tempo dopo. Il Basso ebbe lo stesso trattamento del Bentivegna: percosse d'ogni genere da parte del Banchieri e del Queirolo, colpito agli orecchi e ai fianchi con pugni, e alla schiena, poi disteso bocconi a terra, senza giacca, e battuto con una cinghia di cuoio. Poi il Banchieri, rinvenuto nel magazzino un cilindro di gomma, lungo un metro, lo colpì ripetutamente alla schiena, e poi un altro lo afferrò per i capelli, alzandolo in piedi, e quindi facendolo ricadere. poi gli furono aizzati contro due cani poliziotti, dai quali ebbe 68 morsi e ne ebbe per più di tre mesi, come risulta dagli accertamenti positivi della gravità delle torture attraverso la perizia medica in atti. Fu quindi mandato in carcere a Maniago e lasciato senza assistenza medica: fu medicato dal condetenuto dott. Boranga. Dopo tre giorni fu liberato insieme col Cavuzzo Pietro (verb. dibat. f. 265), che fu interrogato anche lui dal Bertozzi con l'intervento attivo di Banchieri e Queirolo, e fu percosso e bastonato, riportando la perforazione del timpano di un orecchio. Oltre il danaro, dalla centrale furono asportati gomme, cinghie, benzina e materiale vario. Un fatto più grave ancora, avvenuto in quel lasso di tempo in Maniago, fu addebitato nel capo d'imputazione al Banchieri, e precisamente una violenza carnale in danno di Del Mistro Elena. Costei, collaboratrice delle formazioni partigiane, il 1.12.44 fu chiamata al palazzo Attimis di Maniago, per essere interrogata dal ten. Bertozzi. Alle domande del Bertozzi sui partigiani, si manteneva sulle negative, e allora egli la prese a schiaffi e la tirò per i capelli. Poi un sergente, tal Bellini, denudatala, le schiacciò un capezzolo con una pinzetta. Fu mandata in cella, e dopo tre giorni, il maresciallo Banchieri col pretesto di interrogarla, la condusse in un'altra cella, e, col pretesto che era malata, e lui era medico, le tolse le mutande e poi la violentò. L'accusa viene vigorosamente respinta dal Banchieri, e lascia assai perplessi i giudici, per due considerazioni: a) che la Del Mistro in una prima querela aveva attribuito ad altra persona la responsabilità della violenza, b) che, per quanto risulta dagli atti, non sembra che nel carcere di Maniago, ove sarebbe successo il fatto, vi fosse la possibilità di trasferire la donna da sola in una cella, quando è noto che tutte le celle erano piene di detenuti. Si aggiunga poi, che la Del Mistro, all'appoggio di un certificato medico, non si presentò al dibattimento a rendere la sua deposizione, e perciò non sembra di poter prestare fede incondizionata a dichiarazioni rese in istruttoria (vol. 4 f. 32) senza le garanzie del prestato giuramento. Da tale accusa va perciò prosciolto il Banchieri, ma con la formula dubitativa, anche perché (v. depos. Meneghini Zaira (verb. dibat. f. 205) il Banchieri ha dimostrato capacità a delinquere nella soggetta materia. Negli ultimi tempi della permanenza dell'ufficio I nella zona di Maniago, il 26 gennaio 1945, il partigiano Rosa Mario "Ciclone", di Colvera di Frisanco (lett. depos. vol. 4 f. 43) mentre attraversava la piazza di Maniago, fu indicato da una spia al ten. Bertozzi, e fu preso. Il Bertozzi lo fece denudare fino alla cintola, e percuotere con un nervo di bue e una cinghia per cani. Il Banchieri era in un'altra stanza. Essendosi il Rosa messo a urlare, il Bertozzi lo fece imbavagliare con un fazzoletto, e poi battere per oltre mezz'ora col nervo di bue, e poi lo costrinse a ingoiare una scodella di sale bagnato con due dita d'acqua. Rimase in carcere due giorni: poi il reparto di Bertozzi si allontanò alla volta di Gorizia, e il Rosa rimase in consegna a un Tenente della D. T., il quale lo mise in libertà, perché aveva i documenti della organizzazione Todt in regola. Proprio negli ultimi giorni del gennaio 1945, una notte si presentarono in casa di Norio Armando, partigiano di Maniago (verb. dibat. f. 226) tre sottufficiali della X Mas, tra cui il Banchieri, e lo portarono nella caserma dei Carabinieri di Maniago, dove trovò gli altri partigiani Zambon Arturo "Comici" e Randi Alietto. Il Bertozzi lo interrogò senza usare violenze. Il giorno dopo il Norio fu trasferito con gli altri due a Gorizia, ove subì altri interrogatori dal maresciallo Scotti e dal maresciallo Banchieri, e denudato fino alla cintola e percosso col nervo di bue. Poi il Banchieri lo schiaffeggiò, e quindi con un pugnale gli produsse delle piccole ferite alla mammella sinistra. Trattenuto come prigioniero, seguì l'ufficio I fino a Thiene, e liberato il 26 aprile 1945.