Negli interrogatori fu bastonato e punzecchiato con pugnale sulla schiena. Il Bertozzi lo punì inoltre con cella di rigore a pane ed acqua per 17 giorni. Gli fu asportata la bicicletta. Veonetti Carlo di Castellamonte (Cuorgnè) capo partigiano (lettura depos. vol. I f. 87) fu arrestato la sera del 3 settembre 1944 per ordine del Bertozzi, da dieci soldati della X Mas, i quali, prima di tradurlo a Cuorgnè, misero al muro la moglie e i due bambini, sparando quindi al di sopra delle loro teste. A Cuorgnè subì vari interrogatori nella notte, con percosse, punzecchiature col pugnale ecc., finché cadeva sfinito per le percosse. Dopo 25 giorni fu rimesso in libertà per ordine dei tedeschi. Il contadino di Cuorgnè Valsoanei Natale (lettura depos. vol. A f. 58) arrestato e seviziato insieme con la moglie, dichiara che quanto ebbe a subire con la moglie avvenne per ordine del Bertozzi, il quale più volte gli disse che lo avrebbe fatto fucilare, come successo al capo partigiano Mario Costa "Diavolo Nero". La staffetta partigiana Fenoglio Maria (verb. dibatt. f. 254) fu arrestata e condotta avanti il Bertozzi, il quale allora mobilitò i suoi uomini, e la costrinse a seguirli in montagna alla ricerca di partigiani. Poiché non rinvennero nessuno, le bruciarono la casa. Ricondotta in caserma, fu torturata per un giorno e mezzo dal Bertozzi e accoliti, con percosse e scottature ai piedi, e poi denunciata al tribunale Speciale e condannata a 24 anni di reclusione come staffetta partigiana. Il Bertozzi ha negato ogni responsabilità, accennando a un'inchiesta, con esito a lui favorevole, che sarebbe stato eseguito dai suoi superiori. Invero il teste Romano Vincenzo (verb. dibatt. f. 306) ebbe a deporre che, negli ultimi mesi, prima della liberazione, quando era capitano della X Mas, fu incaricato di indagini sulla condotta del Bertozzi accusato di sevizie in danno di due sacerdoti e di una donna. Quanto ai sacerdoti, questi ammisero di essere stati malmenati da un ufficiale, che non era però il Bertozzi (in ogni modo di questo fatto il Bertozzi non è imputato). Quanto alla Fenoglio, che il teste interrogò in caserma a Torino, disse di aver subito violenze da un altro ma non dal Bertozzi, dal quale, il teste ebbe ottime impressioni dai paesani di Cuorgnè. La precisa e circostanziata accusa della Fenoglio insieme con la considerazione che non poteva godere a Cuorgnè buona fama il Bertozzi di fronte ale malefatte a suo carico attestate da molti e molti abitanti del paese, fa ritenere che l'inchiesta del Romano sia stata molto superficiale e addomesticata, forse per quelle raccomandazioni che venivano dal comandante Borghese, e che però non riuscirono a impedire che per fatti simili l'autorità giudiziaria militare spedisse contro il Bertozzi nel marzo 1945 il mandato di cattura, come si disse in precedenza. Onde rimane fermo l'addebito. Aluffi Ernesto (verb. dibatt. f. 249) proprietario del ristorante della stazione di Pont Canavese, fu arrestato il 18/9/1944 con la moglie e la persona di servizio Zurra Assuntina. Sollecitato il Bertozzi a liberarli, egli rispose: "Per gli Aluffi ho due casse da morto." L'esercizio e l'abitazione furono completamente saccheggiati dai militi. Sull'attività del Bertozzi ha riferito Prete Giuseppe, vigile comunale di Cuorgnè (verb. dibatt. f. 251), il quale aveva occasione molte volte di avvicinare il Bertozzi, quale incaricato del comune di rilevare il numero dei detenuti a disposizione dell'imputato per la fornitura del vitto, numero che, talvolta, superava i trecento. In tale occasione il Prete vide molti detenuti fasciati, zoppicanti, che gli riferivano di essere stati bastonati personalmente dal Bertozzi, o, per suo ordine, dai suoi dipendenti: il Bertozzi girava per la caserma impugnando una specie di staffile, cui il teste dà il nome di gatto a sette code, e si vantava delle sevizie. Secondo il teste, mentre in Cuorgnè non successero ruberie, nei dintorni, invece, gli arresti si accompagnarono a saccheggi e incendi. Un altro impiegato comunale di Cuorgnè, Querio Giuseppe (verb. dibatt. f. 255) arrestato il 21/9/1944, fu interrogato varie volte dal Bertozzi e una volta percosso a sangue con un frustino, e minacciato di fucilazione. Il teste vide il Bertozzi seviziare un partigiano, scottandogli i polpastrelli con i fiammiferi accesi. L'agricoltore Trione Agostino, di Cuorgnè (lettura depos. vol. I f. 81), arrestato come favoreggiatore dei partigiani, fu minacciato della fucilazione dal Bertozzi e, durante la prigionia, i militi della Xª gli saccheggiarono la casa, portando via tutto. Corna Teresa (verb. dibatt. f. 253), madre di quattro partigiani, fu arrestata il 17/9/1944 e condotta alla caserma Pinelli, e interrogata dal Bertozzi, che personalmente la maltrattò, ma però un sergente aiutante le diede uno schiaffo che le fece saltare tre denti. Subì il saccheggio della casa, con un danno, a quell'epoca, di 50.000 lire. Giunta Salvatore, impiegato, di Cuorgnè (lettura depos. vol. I f. 92-93, A 57), fu arrestato e portato alla caserma Pinelli, ove, nelle prime ore del 30/9/1944, fu interrogato dal Bertozzi, il quale decise per la sua fucilazione, e lo fece appartare in una stanza, consegnandogli una rivoltella, perché si suicidasse. E durante i preparativi gli diede uno schiaffo violentissimo. L'esecuzione fu poi rimandata, non per volontà del Bertozzi, e così il Giunta poté salvarsi. Nessun episodio degno di nota è emerso dalle testimonianze a carico del Benedetti, fors'anche perché l'istruttoria è stata incompleta su questo punto. Quanto al Banchieri è probabile che egli abbia partecipato, come ha fatto in altri luoghi, a tutti i fatti nei quali è implicato il Bertozzi, ma, anche qui, l'istruttoria non appare completa. Risulta invece stabilito, nei confronti del Banchieri, e quindi del Bertozzi che aveva disposto l'operazione, la perquisizione avvenuta in Ivrea il 29/9/1944 in casa di Feullaz Maria in Guerra (verb. dibatt. f. 287) e del marito di lei Guerra Silvio, già maresciallo degli alpini, allontanatosi dal corpo dopo l' 8/9/43. La perquisizione doveva avere per scopo di rintracciare indumenti e altri oggetti militari e in realtà non fu trovata che l'uniforme dell'alpino. Il Banchieri tuttavia (depos. di Sorge Antonia (verb. dibatt. f. 286) e di Guerra Mario (verb. dibatt. f. 288), fece asportare 7 od 8 (....................) di grano e altri generi alimentari, caricando il tutto su un camioncino. Il giorno seguente il Banchieri tornò e fece uccidere due maiali, un agnellino, una capra, conigli e galline, che furono venduti a privati. Nel frattempo il Guerra tornava a casa su un calesse trainato da un cavallo. Si accorse a tempo di quelli della X Mas, saltò giù e si mise in salvo, e il Banchieri fece uccidere il cavallo. Fu portato via anche il fieno e il miele dagli alveari. Il fatto sostanzialmente è ammesso dal Banchieri, il quale però dice di aver consegnato tutto al suo comando, e cioè al Bertozzi. Ma non appare che il frutto di questo vero e proprio saccheggio sia stato regolarmente versato. Vero è che - come risulta da molti episodi, in occasione degli arresti e perquisizioni si procedeva al sequestro di moltissime robe, di cui poi usavano personalmente i singoli militi o il capo della X Mas, e molti oggetti del bottino, come automobili, autocarri ecc., passavano in dotazione della Xª e seguivano l'ufficio I nelle sue peregrinazioni, e con esso l'ufficio si portava dietro anche i prigionieri (dep. Brandi verb. dibatt. f. 223). L' 11 settembre 1944 nel cimitero di Castellamonte, presso Cuorgnè, furono fucilati i partigiani Pavier Elatria e Brunasco Cattarello Riccardo di Pont Canavese, e l'uccisione è stata contestata al Bertozzi come omicidio volontario. La vedova del primo, Ronchietti Pavier Maria Teresa (lettura depos. vol. A f. 52r), riferisce che il marito fu arrestato insieme col Brunasco la mattina dell' 11/9/1944, e portati a Ivrea, poi a Cuorgnè, poi a Castellamonte, dove, presso il cimitero, e dopo sommari processi, vennero fucilati. La donna non sa però se e quale parte abbia avuto il Bertozzi nella cattura, pur affermando, in base a voci correnti, che chi comandava era il Bertozzi. Il padre dell'altro ucciso, cioè Brunasco Cattarello Francesco (lettura depos. vol. a f. 52) non era presente alla fucilazione, come non lo era la Ronchietti, e ritiene che l'uccisione sia stata ordinata dal Bertozzi, per il motivo che era lui che comandava a tutti in quella zona. Il teste non vide mai il Bertozzi: seppe da persona di cui non ricorda il nome, che il figlio prima di morire fu percosso brutalmente dai soldati della Xª e che gli fu rotto un braccio. Il Bertozzi respinge vigorosamente l'accusa e afferma che a Castellamonte operavano altri reparti della Xª, del tutto distanti dal suo. Il parroco del luogo, don Mario Coda (verb. dibatt. f. 302) che diede gli ultimi conforti ai fucilati, afferma che il plotone di esecuzione era comandato da un ufficiale; che on era il Bertozzi, da lui conosciuto. Aggiunge che il giorno dopo venne affisso un manifesto, firmato capitano Satta, in cui si annunciava la fucilazione a seguito di condanna del Tribunale Militare. E' evidente, pertanto, che non esiste nessuna prova sicura che il Bertozzi sia concorso nei due omicidi, e che l'accusa è invero più indebolita per la circostanza che il Bertozzi non era presente all'esecuzione, e che la notizia ufficiale della fucilazione accenna a una sentenza di un Tribunale Militare. Onde su tal punto il Bertozzi va assolto per insufficienza di prove.