Sempre in relazione a tali rastrellamento il teste Campana Armando, sottocapo Marina Militare a La Spezia (verb. dibatt. f. 201) che si trovava a quell'epoca sbandato a Tavernelle di Apuania e rastrellato con altri a Licciana Nardi, dichiara che mentre era in attesa di essere caricato sul camion, gli uomini del Bertozzi, notarono sul pendio delle colline un giovane pastore. Un tedesco, che si trovava nel gruppo, ammiccò il pastore e tutti, compresi i mastini del Bertozzi, spararono sul disgraziato uccidendolo: a questo fatto non era presente il Bertozzi. Al rastrellamento di Gragnola, avvenuto ai primi del luglio 1944, in cui furono uccisi Renosio Pietro (il figlio del palombaro de La Spezia) e Bonati Alessandro, il Bertozzi esclude di aver partecipato. Ma è smentito dai testi. Bonati Alessandro (verb. dibatt. f. 209) padre di Bonati Alessandro, ricorda che il figlio rimase ferito in uno scontro a Gragnola il 9/7/1944 e, catturato, fu condotto avanti al Bertozzi, il quale ne ordinò la fucilazione, e gli diede poi il colpo di grazia. Ciò apprese il teste dall'affossatore del paese. L'impiegato Giuntoni Umberto (verb. dibatt. f. 270) a quell'epoca sfollato a Gragnola, ricorda che all'ingresso del paese fu fucilato il figlio del palombaro della Spezia, identificato per Rebosio e che il Bonati Alessandro, ferito, fu condotto con gli altri rastrellati in piazza e il Bertozzi dispose il plotone di esecuzione, e ordinò la scarica, che abbatté il Bonati - e ciò il 9/7/44. Anche il figlio del teste Mario (verb. dibatt. f. 262) era stato catturato e si trovava insieme col Bonati e col Rebosio. L'esecuzione avvenne fuori del cinematografo nei pressi della stazione. Il Bonati e il Rebosio erano mezzi morti dalle botte ricevute, tanto che bagnarono di sangue una pianta di Fiori. Il Bonati tentò di scappare, ma il plotone, già predisposto dal Bertozzi, fece una scarica e lo abbatté. Non essendo morto sul colpo, il Bertozzi gli diede il colpo di grazia. Il giovane Mario Giuntoni fu poi salvato da un ufficiale tedesco, a cui egli si era rivolto parlandogli in tedesco. Altri catturati furono poi salvati, anche per intercessione dei tedeschi, mentre i due furono fucilati, per dare una soddisfazione a quelli della X Mas che li avevano catturati. Tutte le imputazioni di omicidi ascritte al Bertozzi, avvenute nella zona di Licciana Nardi e di Gragnola, come è specificato nel decreto di citazione, sono, pertanto, provate. Le proteste d'innocenza del Bertozzi a nulla valgono, di fronte al rilievo che egli stesso ammette dell'ufficio I della X Mas, allo scopo dichiarato di reprimere il movimento partigiano e che troppi testi oculari confermano l'attività del Bertozzi, e, in particolare, confermano che egli ordinò le fucilazioni, e, in qualche caso, di sua mano diede il colpo di grazia. Uccisioni tutte commesse non per istato di necessità, o per difesa legittima personale, ma come conseguenza diretta - come si disse - di un comportamento illegittimo, donde la confermata accusa di omicidi volontari, da lui previsti e consumati allo scopo di aiutare il tedesco invasore nei suoi piani contro le forze nazionali e degli alleati. Con gli eccidi di Piana di Battolla e luoghi limitrofi si conclude - almeno nella parte più appariscente, l'attività politico militare criminosa della X Mas, ufficio I e del suo comandante Bertozzi, nelle provincie di la Spezia, Apuania e Parma. Di là l'ufficio I viene trasferito in Piemonte, a Ivrea, e poi a Cuorgnè. In questa ultima località vengono aggregati all'ufficio I della X Mas, sempre comandata dal Bertozzi, il maresciallo Franco Banchieri e il milite Benedetti Ranunzio, e si manifesta insieme con quella del capo, l'attività collaborazionista di costoro che ora si va a considerare. Il Bertozzi nei suoi interrogatori ha precisamente dichiarato di essere venuto in Piemonte, a Ivrea, il 17 - 18 agosto 1944 quale ufficiale della X Flottiglia Mas al comando della Divisione Xª, con incarico di reggere l'ufficio I (Informazioni), come si specificò più indietro, e ha negato di aver commesso o di essere concorso a qualsiasi degli atti delittuosi (sevizie, ruberie, omicidi) di cui è accusato nel periodo in cui prestò tale servizio in Piemonte, e specialmente a Cuorgnè, ove ebbe la consegna dell'ufficio dal capitano Carnevali il 27 agosto 1944. Nella stessa opera il maresciallo Banchieri; già negli alpini, si arruolò nella X Mas, alle dipendenze dirette del Bertozzi, e fu coinvolto da quell'epoca e fino alla data della liberazione, nelle attività famigerate del detto ufficio I. Da quell'epoca e fino alla liberazione, si svolge alle dipendenze dell'ufficio del Bertozzi, l'attività del giovane (....................) di piantone in caserma, mentre in seguito, ebbe a esercitare le mansioni di autista. Dei non molti episodi risultati a carico del Benedetti si parlerà nella narrazione dei fatti di cui sono attori i maggiori imputati, per valutarne poi la gravità e l'importanza agli effetti dell'applicabilità al Benedetti dell'amnistia. A Cuorgnè il Bertozzi coi suoi dipendenti procedeva alla cattura dei partigiani e loro favoreggiatori, i quali erano poi portati nella caserma Pinelli, e quivi interrogati coi soliti metodi coercitivi. Molti furono gli arrestati, perché molti erano i partigiani che agivano sui monti e nelle valli contro i nazifascisti: si parla di circa 600 persone che avrebbero fatto la conoscenza di quel carcere. Anche qui, di fronte alle negative degli imputati, occorre specificare gli elementi di accusa, come emergono dalla viva voce dei testi. Seren-Gaj Giacomo (verb. dibatt. f. 206) era partigiano, alla macchia nel Canavese, quando gli uomini del Bertozzi vennero il 10 agosto 1944 a casa sua ad Alpette e non potendolo arrestare, prelevarono la madre sua Giglio Maria Angela e la sorella di questa, Giglio Giuseppina, le quali furono condotte a Cuorgnè, e trattenute per 8 giorni nella caserma Pinelli per ordine del Bertozzi. Costui nega che gli si possa attribuire alcune responsabilità nei fatti, perché, dice, il 10 agosto non aveva ancora assunto l'ufficio I. Ma occorre rilevare che la detenzione delle due donne si prolungò anche nel periodo in cui il Bertozzi ammise di aver esercitato il comando in Cuorgnè, e non v'ha possibilità di equivoci, perché il teste riferisce che la madre fu proprio dal Bertozzi apostrofata con la parola di "puttana". Per questo si deve riconoscere che degli atti violenti, cui accenna il teste, commessi dagli uomini del Bertozzi (rastrellamento in cui rimase ucciso uno zio del teste, saccheggio e incendio dell'abitazione, con danno di circa un milione e mezzo, arresto illegale delle due donne) deve rispondere chi li ha ordinati, cioè il Bertozzi. Il meccanico Grisolano Carlo di Cuorgnè (verb. dibatt. f. 250) fu arrestato il 23 agosto 1944 come spia dei partigiani per ordine del Bertozzi, e da dipendenti di questi, rimase detenuto per 40 giorni.