La Gerarchia di Bordo 
 
     La ‘bassa forza’ della nave era costituita da mozzi, giovanotti e marinai. 
     Il mozzo, primo scalino della gerarchia di bordo, si dedicava alle pulizie ed apprendeva il mestiere del marinaio. I passi successivi erano giovanotto (dal genovese "zuenotto"), che, pur svolgendo la stessa attività del mozzo, poteva essere istruito al calcolo ed al rilevamento, e marinaio
 
     Mozzi, giovanotti e marinai erano comandati da un marinaio di fiducia, scelto dal Capitano o dall’armatore: il nostromo (dal medioevale ‘nostro uomo’). Al nostromo spettava una modesta stanza, che spesso condivideva con il cuoco o dispensiere (sottufficiale suo parigrado, come il velaio ed il carpentiere, se c’erano). Non mangiava mai con l’equipaggio e solo qualche volta era invitato alla tavola del Capitano, dove poteva parlare solo se interpellato. Nella navigazione al lungo corso era obbligatorio un nostromo (a volte due). 
 
     Il Secondo di bordo, detto anche Scrivano, coadiuvava il Capitano nella navigazione e nel mantenere la disciplina. Non si occupava, come nel Medio Evo, della parte contabile, affidata al Capitano. Aveva alle dipendenze il nostromo, viveva a poppa e mangiava con il Capitano. 
 
Dal 1890, quando aumentò la stazza dei velieri, il posto dello scrivano fu preso da un Capitano di Gran Cabotaggio. Questo patentino si conseguiva all’età di circa 22 anni, dopo un certo numero di giorni di navigazione. Permetteva solo la navigazione nel Mediterraneo ed in limitate zone degli oceani Atlantico ed Indiano (entro 300 miglia dalla costa). Per questo motivo, il neo-Capitano di Gran Cabotaggio preferiva imbarcarsi, in qualità di secondo, sui bastimenti con sigla ‘AT’ o ‘L’. 
 
     A 24 anni, dopo aver superato l’esame, conseguiva il patentino di Capitano di Lungo Corso, ottenendo quasi sempre comandi su rotte oceaniche. In caso contrario coadiuvava il Capitano, con il grado di Primo Ufficiale
     Il Capitano, detto in Liguria “U’ Baccan” (il padrone), proveniva in genere da una famiglia armatoriale o di pari condizione (nel “nostro” caso la parentela con i Varè) e, durante la navigazione o al di fuori del porto di residenza dell’armatore, era “il padrone a bordo dopo Dio”. Aveva poteri assoluti nel mantenimento della disciplina e nell’osservanza della legge ed era "pubblico ufficiale". 
Viveva a poppa e teneva rapporti con l’equipaggio solo per mezzo del secondo o del nostromo. Solo nei momenti più difficili della navigazione, il capitano poteva radunare tutti, dal secondo all’ultimo mozzo, per prendere una decisione democratica e collettiva.