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Finanziamenti alla scuola privata: "Bonus" o "Malus" ?
(di Natya Migliori)

Se "pari dignità" deve essere, "pari dignità" sia. Sembra questo il principio ispiratore della legge 440/97 della riforma Moratti. Ma vediamo di che si tratta. La suddetta legge prevede, nel pieno rispetto dell'autonomia scolastica, il finanziamento, da parte dello Stato, delle scuole pubbliche per l'arricchimento e l'ampliamento dell'offerta formativa:


Art 1.
A decorrere dall'esercizio finanziario 1997, è istituito nello stato di previsione del Ministero della pubblica istruzione un fondo denominato "Fondo per l'arricchimento e l'ampliamento dell'offerta formativa e per gli interventi perequativi" destinato alla piena realizzazione dell'autonomia scolastica, all'introduzione dell'insegnamento di una seconda lingua comunitaria nelle scuole medie, all'innalzamento del livello di scolarità e del tasso di successo scolastico, alla formazione del personale della scuola, alla realizzazione di iniziative di formazione post-secondaria non universitaria, allo sviluppo della formazione continua e ricorrente, agli interventi per l'adeguamento dei programmi di studio dei diversi ordini e gradi, ad interventi per la valutazione dell'efficienza e dell'efficacia del sistema scolastico, alla realizzazione di interventi perequativi in favore delle istituzioni scolastiche tali da consentire, anche mediante integrazione degli organici provinciali, l'incremento dell'offerta formativa, alla realizzazione di interventi integrati, alla copertura della quota nazionale di iniziative cofinanziate con i fondi strutturali dell'Unione europea.


La medesima legge prevede l'erogazione di fondi anche per le scuole paritarie. Fondi che vengono però detratti dal piano di finanziamento della scuola statale. In altre parole è la scuola pubblica a finanziare la privata. Nell'anno scolastico 2002, circa 6.000.000 di euro sono stati "smistati" alle scuole di "pari dignità" delle statali.

  • Scopo di tutto ciò è permettere alle famiglie meno abbienti di poter scegliere liberamente per i propri figli l'istruzione pubblica o la privata. Il finanziamento, infatti, avviene tramite "bonus" che i gestori degli Istituti paritari dovrebbero utilizzare per venire incontro a chi i soldi non li ha.
    Scopo filantropico, senz'altro, ma che segue una via alquanto tortuosa e ricca di insidie: perché non dare i "bonus" direttamente a chi ne ha bisogno, così come, peraltro, proponeva la riforma Berlinguer? Perché lasciare che la "libera scelta" sia gestita da terzi?
  • Il dibattito intorno alla modalità del "bonus" è accesissimo.
    Significativo il punto di vista del Cardinal Ruini: " Tutti i soggetti che formano la cosiddetta società civile devono essere messi nelle condizioni di scegliere al meglio" ha dichiarato durante un convegno su L'educazione e l'istruzione nel XXI secolo "e il buono scuola mi sembra una strada percorribile. Non è una rivendicazione specifica per la scuola cattolica, è semmai un'osservazione da intendersi nel senso più generale". Lo stesso Pontefice, in occasione della Giornata Diocesana della scuola cattolica, chiama in causa il governo, tenuto ad offrire a tutti la possibilità di accedere agli istituti religiosi.
    Il provvedimento della l. 440/97 risulta invece anticostituzionale agli occhi dell'opposizione e dei sindacati. Obbligo dello Stato è, infatti, garantire a tutti l'istruzione pubblica, non finanziare la privata, religiosa o laica che sia. Il rischio è, per i sindacati, che la perdita di risorse vitali per la scuola pubblica, ricada inevitabilmente sulla sua qualità. La scuola "di tutti" rischierebbe di diventare lo squallido e scadente ripiego di quanti non possono permettersi l'istruzione privata (nonostante i "bonus"…).

Al di là delle posizioni politiche, l'idea del buono scuola sembrerebbe davvero limitare il pericolo di "classismo" insito all'istruzione privata. I rischi di "selezione naturale" in base al ceto sociale sembrerebbero ridimensionati. Ma per quale motivo un genitore poco abbiente dovrebbe scegliere la scuola pubblica, avendo i libri gratis e un costo irrisorio di iscrizione in un istituto privato?

L'impressione è che si voglia favorire l'istruzione privata a discapito delle famiglie che optano per la scuola pubblica.

Perché un alunno delle scuole statali deve spendere ogni anno centinaia di euro per comperare i libri di testo? Perché chi sceglie l'istruzione pubblica non può avere gli stessi diritti di chi sceglie quella privata?

La scelta appare ancora più ovvia se si pensa alla facilità con cui, nella maggior parte dei casi, si ottiene un diploma nella scuola paritaria. Il problema dei diplomi facili è, infatti, ben lungi dall'essere risolto dalla riforma Moratti.

Le commissioni interne anche per le scuole paritarie e il colloquio finale su un argomento scelto dal candidato, hanno ormai tolto qualsiasi parvenza di difficoltà all'ottenimento del diploma finale. Un diploma a cui spesso si arriva senza seguire un regolare corso di studi.

Ancora una volta è Umberto Eco a dare un quadro disincantato della situazione:

Sappiamo benissimo che ci sono scuole private […] che cercano a ogni costo di mantenere un livello di eccellenza, e scuole private di qualsiasi tendenza che sono specializzate nei diplomi facili. Ai miei tempi lo stato esercitava su queste scuole un controllo molto fiscale, e mi ricordo le traversie dei privatisti a un esame di stato. Ma allora, se questo controllo deve esserci, esami come quello di maturità debbono diventare ben più severi di oggi, almeno quanto lo erano ai miei tempi, con una commissione esterna (tranne un solo docente interno), e programma di tre anni al completo - e sogni angosciosi che ci hanno accompagnato per tutta la vita. Altrimenti potrebbe accadere di avere generazioni di ignoranti, alcuni provenienti dalle scuole statali ormai riservate a sottoproletari, e alcuni provenienti da scuole private truffaldine per ragazzi ricchi e svogliati.

 

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