© copyright 2002, tutti i diritti riservati
Home page > Archivio articoli > Fasce

Resta aggiornato!

I
scriviti alla newsletter del KIUS.

Riceverai nella tua e-mail gli aggiornamenti settimanali:

News, Rassegna stampa, Legislazione...

Chiedilo a Lalla >>>

Un'esperta nel campo della scuola è a tua disposizione per chiarirti ogni dubbio su:

  • legislazione ssis;
  • graduatorie permanenti e d'istituto;
  • reclutamento.

Inviale un'e-mail con il tuo quesito.

Le risposte di Lalla >>>

Mailing list

Comunica via e-mail con altri specializzandi e specializzati SSIS

[Inserisci la tua email nel campo e clicca sul pulsante]

Informati: Archivio - Legislazione SSIS - Rassegna stampa - Eventi per la didattica
Documentati: Chiedilo a Lalla - Documenti del KIUS - Modulistica - Il KIUS in azione
Contatta: Indirizzi utili - Siti amici
Comunica: Mailing list - Chat
 


Formazione iniziale degli insegnanti: riforme fatte, riforme da fare


1. Qualche riferimento al quadro internazionale


In tutti i Paesi il cui sistema formativo è ragionevolmente sviluppato, la formazione iniziale degli insegnanti avviene da molti decenni attraverso specifici programmi in strutture di istruzione superiore. Non voglio qui ripercorrere troppo all’indietro la storia delle caratteristiche di tale formazione; mi limito perciò a qualche considerazione sulle tendenze in atto, e ai riferimenti bibliografici più recenti.

Mi sono riferito, pocanzi, a strutture di formazione superiore come sedi delle attività di formazione iniziale: l’espressione tiene conto del fatto che in molti Paesi la formazione superiore ha visto, e talora vede tuttora, la presenza non solo delle università, ma anche di altre istituzioni, quasi sempre a carattere più professionalizzante. In passato, le attività per gli insegnanti erano spesso collocate proprio in istituzioni di questo tipo (tipici i Teacher Colleges nell’area anglosassone). Negli ultimi tempi, in molti casi questo binary system si va però riunificando; anche dove esso sussiste, la formazione dei docenti tende a spostarsi, in toto o in parte, verso la sede universitaria. Il processo è stato definito come universitisation; per l’esame di esso, come per una analisi dettagliata degli interi sviluppi in corso nel settore, rinvio all’importante libro verde [1] che ha fatto il punto sulla situazione per ciò che concerne il quadro europeo (al quale anch’io, nel séguito, mi limito).

Per evitare che la struttura ‘accademica’ preposta alla formazione privilegi gli elementi teoretici anziché integrarli con momenti di pratica professionale si evidenzia, ovunque, la presenza di una partnership tra istituzioni formative e sistema scolastico; l'effettiva corresponsabilizzazione di quest'ultimo è andata crescendo in ognuna delle riforme che i diversi Paesi hanno progressivamente adottato.

In tutti i casi, il percorso formativo si conclude con un titolo che qualifica professionalmente, e che nella nostra terminologia diremmo ‘abilitante’ [2]; in Francia, e in poche altre situazioni, esso è condizione non solo necessaria, ma anche sufficiente, per l'accesso alla professione, in quanto -grazie ad una precisa programmazione dei posti/allievo- garantisce l’assunzione nel corpo docente delle scuole pubbliche. La durata del percorso è compresa, con rarissime eccezioni, tra i quattro e i cinque anni di studi superiori; talora è differenziata tra insegnanti primari e secondari (in tal caso, quattro anni per i primi, cinque per i secondi), spesso non lo è.

Il modello formativo può essere di tipo ‘consecutivo’, se la preparazione nell’area educativo-didattica è successiva alla preparazione in una area contenutistico-disciplinare, ovvero di tipo ‘integrato’, se l’intero percorso è specificamente finalizzato all’insegnamento e comprende perciò fin dall’inizio entrambe le aree; nel caso consecutivo si ha una laurea di 1° livello (bachelor) seguita dalla formazione professionalizzante, nel caso integrato si ha un titolo specifico, abitualmente di durata e livello superiore rispetto al mero bachelor. In entrambi i casi, spesso tale titolo non ha attualmente il carattere ‘accademico’ di una laurea di 2° livello (master, corrispondente alla nostra laurea specialistica), ma in vari Paesi sono in corso iniziative tese a conferire tale carattere; va comunque rilevato che non esiste un solo Paese nel quale un master disciplinare sia richiesto come condizione per seguire poi il percorso professionalizzante, e ovviamente neppure esistono situazioni nelle quali un master disciplinare costituisca qualificazione alla professione.

Come appare ben spiegabile, per gli insegnanti elementari -che operano sui contenuti di tutte le discipline, o comunque di vaste aggregazioni di esse- prevale il modello integrato; per gli insegnanti della scuola secondaria superiore -che operano sui contenuti di una disciplina, o più spesso di due- prevale quello consecutivo. Una situazione intermedia si ha nella formazione degli insegnanti della scuola secondaria inferiore, per la quale circa metà dei Paesi europei ha scelto il primo modello, metà il secondo [3].

L'intero percorso, nel caso integrato, ovvero la fase finale di esso, nel caso consecutivo, hanno come permanente punto di riferimento la figura professionale, il profilo, dell'insegnante da formare: le scelte relative all'assetto del curricolo, alla costruzione dell'ambiente di apprendimento, alle modalità con cui si svolgono le attività formative convergono nella direzione definita da tale obiettivo. Appare di grande significato il fatto che tale individuazione delle competenze richieste agli insegnanti appaia, in diversi Paesi, notevolmente omogenea (v. Appendice 1).

Ciò ha potuto avvenire, pur non essendovi stati momenti di coordinamento specifico, perché sia in sedi politiche, in particolare nel Consiglio dei Ministri dell'Unione Europea, sia in sedi tecnico-scientifiche, in particolare nell'OCSE, si insiste da anni sulle tipologie delle competenze richieste nella knowledge society, sulle modifiche che ciò comporta nella natura dei sistemi di istruzione, sulle trasformazioni indotte relativamente alla funzione degli insegnanti e pertanto relativamente alla loro formazione.

Tali trasformazioni evidenziano una sempre maggiore rilevanza di funzioni diverse dalla mera trasmissione di contenuti disciplinari, e conseguentemente l’esigenza di una formazione sempre meno centrata su questi ultimi. Formulo questa affermazione in termini volutamente provocatori, ben sapendo che qualcuno si straccerà le vesti e obietterà che le buone qualità comunicative non possono mai supplire all’eventuale scarsità di competenze sull’oggetto della comunicazione. Ciò è ovvio, ma l’obiezione confonde condizione necessaria con condizione sufficiente; il testo riportato in Appendice 1, così come tutti i documenti internazionali escludono non la presenza di una componente ‘contenutistica’ nella preparazione dei futuri insegnanti, ma appunto la centralità di essa, l’esclusività o comunque il privilegio in termini di rilevanza.


2. L'attuale sistema italiano


2.1 Lo schema istituzionale


Le scelte relative alla formazione degli insegnanti hanno valenza, al contempo, culturale e politico-sociale. Prepararli con certe caratteristiche o con altre, in determinati contesti o in altri, significa avere per i nostri figli o nipoti un diverso tipo di formatori, una diversa loro professionalità; significa perciò avere un diverso sistema educativo e, in definitiva, una diversa società.

Osservare che tutto ciò riguarda, sostanzialmente nei medesimi termini, la formazione degli insegnanti di tutti i livelli scolastici non costituisce affatto, in Italia, una affermazione scontata. La nostra tradizione enfatizzava i valori di ‘umanità’ per il maestro -anzi fondamentalmente per la maestra- della scuola elementare, la scuola del popolo, mentre privilegiava la ‘cultura’ per il professore di scuola secondaria, identificata soprattutto nel liceo, la scuola della classe dirigente.

Tale richiamo, espresso in questi termini, può sembrare riferito a tempi molto antichi, decenni all'indietro: la scuola secondaria superiore, da noi come in tutti i Paesi sviluppati, è ‘di massa’ dagli anni '60 del secolo scorso. Eppure fino al 1998 l'iter della preparazione degli insegnanti della scuola primaria da un lato, dei docenti secondari dall'altro sanciva una netta divaricazione tra le loro professionalità: i primi provenivano da una formazione ‘magistrale’ centrata sulle tematiche psicopedagogiche, i secondi da una formazione ‘accademica’ esclusivamente disciplinare.

Anche in questo caso, il richiamo non sembri anacronistico. Torneremo più avanti sul punto, mostrando che le ipotesi attualmente sul tappeto rischiano di ripristinare, mutatis mutandis, la medesima situazione.

Dal 1998, le cose sono cambiate, in attuazione (dopo 8 anni!) della legge 341 del 1990, Riforma degli ordinamenti didattici universitari. Tale legge e i conseguenti decreti, pur disponendo percorsi diversi per la scuola primaria (Corso di Laurea in Scienze della Formazione Primaria, CLSFP) e per quella secondaria (Scuola di Specializzazione all'Insegnamento Secondario, SSIS), sanciscono il carattere fondamentalmente unitario della formazione alla professione docente nell’intero sistema scolastico; tale unitarietà può essere ricondotta a una pluralità di elementi, tra i quali tre appaiono determinanti.

Primo elemento. La struttura che prepara i futuri docenti è l'università, cioè l'istituzione formativa nella quale l'insegnamento è intrinsecamente legato alla ricerca: perciò sia per i CLSFP sia per le SSIS la natura professionalizzante del percorso di formazione degli insegnanti va interpretata non in chiave riduttiva, quale mero addestramento, bensì in termini di forte integrazione tra un solido impianto culturale e una ricchezza di momenti applicativi.

Secondo elemento. L'università non opera da sola, ma interagisce strettamente con il sistema scolastico: il tirocinio è un elemento centrale nel processo formativo, e nel corpo docente di CLSFP e SSIS sono presenti, in funzione di ‘supervisori’, insegnanti in servizio dei livelli scolastici nei quali gli allievi si preparano ad operare. Negli stessi mesi del 1998 nei quali sono stati definiti i Criteri generali per gli Ordinamenti didattici è stata emanata una legge ad hoc per consentire e disciplinare tale presenza.

Terzo elemento. I Criteri generali che gli Atenei devono rispettare nel definire gli Ordinamenti didattici (D.M. 26.5.1998) contengono un consistente insieme di indicazioni comuni per CLSFP e SSIS; regole aggiuntive vengono poi introdotte per ognuno dei due corsi di studi, ma tali regole rappresentano prevalentemente specificazioni di tali indicazioni comuni. Fondamentale, in questa parte comune, è l'individuazione, attraverso 12 punti (v. Allegato 2), dell'obiettivo formativo di entrambe le strutture didattiche, cioè del profilo professionale dell'insegnante da formare. Dovendo poi le attività didattiche essere direttamente finalizzate al raggiungimento di tale obiettivo formativo, per CLSFP e SSIS risulta omogenea l'impostazione stessa del curricolo, articolato su quattro aree: formazione per la funzione docente (Scienze dell'educazione ed altre tematiche a carattere trasversale, area 1); didattica disciplinare (area 2); laboratorio (area 3); tirocinio (area 4).

Qualcuno, a suo tempo, ha contestato la diversa natura dei percorsi CLSFP / SSIS, obiettando che il conseguente scarto di due anni nella durata fa permanere una differenza istituzionale (e non solo, come è ovvio, di competenze specifiche) tra insegnanti primari e secondari. E' facile contro-obiettare che il CLSFP ha prolungato di 5 anni la formazione per la scuola elementare (precedente Istituto magistrale) e di 6 la formazione per la scuola dell'infanzia (precedente Scuola magistrale); sarebbe stato impensabile attuare di colpo un allungamento ancora maggiore. A riprova del fatto che in questo tipo di scelte occorre gradualità, va anzi rilevato che il numero piuttosto basso di studenti che in questi anni si sono iscritti al CLSFP viene abitualmente interpretato come effetto dello scarso appeal esercitato da parte di un impegnativo corso universitario di studi il cui sbocco professionale è costituito da attività che precedentemente richiedevano soltanto un diploma secondario.

Fondata è stata invece la critica circa la disparità nel valore dei due titoli ai fini dell'assunzione nel corpo docente delle corrispondenti istituzioni scolastiche; al diploma SSIS è stato attribuito valore abilitante, non così -fino alla recentissima norma transitoria nella legge 53/2003- alla laurea conclusiva del CLSFP [4].

Una diversa obiezione, il cui peso è stato a lungo sottovalutato, riguarda comunque l'intero impianto. Sulla base dell'esperienza degli altri Paesi -e, prima ancora, del buon senso!- formazione e reclutamento degli insegnanti dovrebbero venire disciplinati contestualmente. Il sopra descritto sistema di formazione nasce invece con la già ricordata legge 341 del 1990, cioè con un provvedimento relativo esclusivamente all'assetto didattico delle università [5]; il sistema è stato costruito pertanto senza correlarlo in modo preciso con i meccanismi che regolano l'assunzione degli insegnanti. Per ciò che concerne le SSIS, la legge 306 del 2000 sul valore concorsuale del relativo esame finale ha tentato di recuperare la situazione; ma si tratta di ‘tappulli’, come hanno mostrato le successive polemiche e i conseguenti contenziosi amministrativi, tuttora in corso, sui punteggi per le graduatorie.


2.2 L'attuazione


Abbiamo evidenziato gli aspetti unitari nella concezione del sistema universitario di formazione degli insegnanti, pur articolato su strutture didattiche diversamente collocate: di norma nelle Facoltà di Scienze della Formazione i CLSFP (con alcune eccezioni, sulle quali non ci soffermiamo), in sede complessiva di Ateneo -e talora Interateneo- le SSIS. Di fatto, questo punto apparentemente tecnico ha costituito, in sede di attuazione, un elemento di debolezza, essendosi sviluppate le due strutture in termini piuttosto indipendenti l’una dall’altra. Non sono comunque mancati momenti di riflessione comune, in particolare attraverso il lavoro della rivista Università e Scuola e le altre iniziative della Conferenza dei Centri Universitari di Ricerca Educativa e Didattica (CONCURED).

Non mi soffermo qui su un esame delle attività svolte e dei risultati conseguiti, rinviando al proposito ad alcune recenti pubblicazioni, che presentano altresì copiosi materiali didattici elaborati sia nei CLSFP sia nelle SSIS, e a quanto emerge da molti altri contributi presenti in questo volume [6]; sembra indiscutibile che le acquisizioni positive, in un tempo così breve, sono state notevoli, e che -comprensibilmente- le situazioni più deboli si riscontrano nelle didattiche disciplinari di quelle aree nelle quali inizia solo ora, stimolato proprio dalle nuove strutture formative, un lavoro di ricerca didattica. E' da rilevare quanto sia stato negativo l'abbandono, da parte del MURST poi MIUR, di un progetto di monitoraggio che era stato inizialmente commissionato a CONCURED e CRUI, la cui prima fase (curata da M.L. Giovannini) aveva fornito utili elementi e che, se proseguito, consentirebbe oggi una analisi sia dei risultati, sia delle insufficienze, più organicamente documentata.

I primi specializzati vi sono stati nel 2001, i primi laureati nel 2002; nel frattempo, circostanze esterne hanno già posto l'esigenza di una qualche modifica in tempi brevi. Il decreto 509 del 1999, attuato a partire dal 2001, ha infatti trasformato l'intera organizzazione didattica degli Atenei, in particolare con la articolazione su due livelli (laurea e laurea specialistica) del precedente unico titolo di laurea; la formazione degli insegnanti dovrà perciò collocarsi in tale nuovo contesto.

Nel corso del 2000 e nei primi mesi del 2001 le modifiche apparivano imposte anche da un'altra innovazione, il conglobamento delle scuole elementare e media in un'unica ‘scuola di base’ deliberato dalla legge 30 del 2000. Ciò rendeva necessario superare l'attuale formazione dei relativi insegnanti in strutture differenziate (rispettivamente, CLSFP e SSIS); era stato previsto pertanto un apposito corso di specializzazione. La laurea (triennale) utile per l'accesso sarebbe stata o di tipo educativo (analoga all'attuale CLSFP) o a carattere disciplinare (in una delle discipline di insegnamento presenti nella stessa scuola di base); il curricolo professionalizzante nel biennio di specializzazione avrebbe avuto un carattere in qualche modo complementare rispetto alla preparazione precedentemente acquisita, sviluppando maggiormente gli aspetti contenutistici nel primo caso, le tematiche pedagogiche e trasversali nel secondo. Il decreto contenente tali norme non è peraltro entrato in vigore a causa del blocco, da parte del governo entrato in carica nel giugno 2001, dell'intero processo di attuazione della legge 30 di riforma dei cicli scolastici.

Quanto alla riorganizzazione, con riferimento ai nuovi ordinamenti universitari, del corso di specializzazione per gli insegnanti della scuola secondaria superiore, lo schema predisposto prima del passaggio di legislatura aveva confermato la struttura generale del corso stesso ed aveva individuato una linea di compromesso tra le opposte tesi presenti nel mondo accademico relativamente al titolo di accesso (laurea o laurea specialistica): per consolidare la preparazione sui contenuti disciplinari sarebbero stati richiesti, dopo la laurea, 60 crediti aggiuntivi (nel gergo ormai consueto, si trattava di un modello 3+1+2). Anche a questa soluzione, del tutto indipendente dalla riforma dei cicli scolastici, il nuovo governo non ha ritenuto di dare corso.

3. L'evoluzione (o involuzione?) prossima ventura


La maggioranza costituitasi nel 2001 ritiene di aver definito le proprie scelte nell'intera materia scolastica mediante l'approvazione, nel mese di marzo, della legge 53 del 2003. Si tratta peraltro di una legge di delega; limitandomi, dati gli obiettivi del presente volume, alla questione della formazione degli insegnanti, disciplinata dall'articolo 5, tento di chiarire da un lato ciò che la delega definisce, d'altro lato ciò che -in alcuni casi per la vaghezza, ancor più spesso per l'estrema ambiguità della delega stessa- risulta indefinito fino al momento in cui saranno approvati i decreti delegati.

I punti definiti sono i seguenti. - Il modello è 3+2+x per gli insegnanti di tutti i gradi scolastici; - successivamente alla laurea (3) sono previsti corsi di laurea specialistica (+2), ad accesso programmato sulla base della previsione dei posti disponibili nelle istituzioni scolastiche; - tali lauree specialistiche sono finalizzate anche alla formazione degli insegnanti, hanno valore abilitante ed hanno, per gli insegnanti della scuola secondaria di primo e di secondo grado, preminenti finalità di approfondimento disciplinare; - gli abilitati ai fini dell'accesso nei ruoli organici del personale docente svolgono, previa stipula di appositi contratti di formazione lavoro, specifiche attività di tirocinio (si tratta del +x indicato all'inizio); - a tale fine, e per la gestione delle lauree specialistiche, sono istituite apposite strutture di ateneo o d'interateneo, le quali curano altresì i rapporti con le istituzioni scolastiche.

Emergono immediatamente i principali elementi di ambiguità, che talora appaiono vere e proprie contraddizioni interne nel testo. - Quale ventaglio di finalizzazioni ulteriori possono avere corsi destinati ‘anche’ alla formazione degli insegnanti, i cui accessi sono peraltro definiti con un preciso riferimento numerico solo ai posti disponibili per gli insegnanti? - Come è realizzabile per tali lauree specialistiche il carattere professionalizzante necessario per il previsto valore abilitante se esse hanno ‘anche’ diverse finalizzazioni e soprattutto se esse sono centrate sul mero approfondimento dei contenuti delle discipline già studiate nella laurea? - Ancora con riferimento al valore abilitante, si è mai visto, in qualsiasi campo, che una abilitazione preceda anziché seguire le specifiche attività di tirocinio? - Come è conciliabile la prevalenza disciplinare nei contenuti didattici dei corsi con l'attribuzione della gestione dei corsi stessi a strutture di ateneo o interateneo? - L'acquisizione del contratto di formazione lavoro costituisce un diritto dell'abilitato, e quale è la durata di esso? - Con quali procedure viene determinato, quando il contratto termina con risultati positivi, l'accesso nei ruoli?

Il mero elenco di questi quesiti è sufficiente per mostrare che l'assetto del futuro sistema di formazione degli insegnanti risulta, al momento, in larga misura imprecisato E' perciò facile prevedere che pressioni in direzioni divergenti tenteranno di influire sulla redazione dei decreti delegati destinati a sciogliere i nodi che i quesiti evidenziano e conseguentemente a stabilire le caratteristiche del sistema stesso; in relazione alla prevalenza delle une o delle altre tra tali pressioni, il risultato finale potrà rappresentare una totale involuzione, configurando di fatto come master disciplinare con una spolveratina di didattica ciò che pur pretende di essere un percorso formativo per la professione insegnante, ovvero lasciare qualche maggiore spazio alle attività formative che preparano a tale professione e perfino ad una struttura interdisciplinare interessata a queste.

Senza sottovalutare le sostanziali differenze che vi saranno se le scelte andranno nell'una o nell'altra direzione, rimane il fatto che i ‘paletti’ posti dalla legge delega impediscono soluzioni che si collochino nella prospettiva europea e che confermino alcune opzioni di fondo, coerenti con essa, finora presenti nel sistema italiano. Si confronti quanto esposto nel §1, nonché i tre elementi determinanti individuati in 2.1, con quanto, al di là delle ambiguità, l'articolo 5 della legge 53 comunque prevede: lo scarto è impressionante. Per citare due soli esempi: - manca qualunque riferimento al profilo professionale e all'esigenza di costruire il curricolo in funzione delle competenze che l'insegnante dovrà possedere; - anziché configurare una equilibrata partnership tra Università e Scuola, a quest'ultima viene sottratta la presenza nell'iter formativo degli insegnanti futuri, mentre all'Università viene assegnato un ruolo sovraordinato per la formazione in servizio.

Viene così interrotto un percorso che, per quanto riguarda i contenuti del processo formativo, era positivamente iniziato raggiungendo in poco tempo notevoli risultati. Al contempo, aumentano ulteriormente gli elementi di incertezza in merito al rapporto tra formazione e reclutamento, tematica questa che -come abbiamo sopra osservato- anche in passato è stata affrontata in modo inadeguato.

Attualmente, comunque, l’esame finale sia del CLSFP sia della SSIS comporta l’inserimento in graduatorie finalizzate non solo all’attribuzione delle supplenze, ma anche alle nomine in ruolo (secondo canale): è un punto chiaro, anche se altri punti non lo sono (commistione con abilitati secondo le precedenti procedure; competizione con i ‘precari’ per i punteggi; blocco di fatto -anche se illegittimo- dei concorsi ordinari, primo canale, favorevoli ai più giovani perché premiano il merito anziché l’anzianità). Nelle nuove disposizioni le graduatorie non vengono neppure nominate: il riferimento alla sola abilitazione e a successivi contratti, unito alla dichiarata volontà ministeriale di sospendere i meccanismi concorsuali, apre la strada alla ‘chiamata’ diretta da parte delle singole scuole, prospettiva che alcuni ambienti vicini al governo sostengono apertamente.

Le conclusioni sono inevitabilmente amare, anche se va certo sostenuto il generoso sforzo che coloro che hanno lavorato in questi anni ai CLSFP e alle SSIS stanno compiendo per ottenere che i problemi che la delega ha lasciato aperti siano risolti nel modo meno negativo: si tratta di una politica di ‘riduzione del danno’, opportuna ma minimale.

A medio termine, emergeranno indubbiamente le assurdità di quanto si sta facendo. Non potrà essere l’università a formare professionalmente gli insegnanti, se essa si rinchiude in una ottica separata dall’esterno, frammentata tra le discipline, disimpegnata rispetto alle componenti culturali trasversali che sempre maggiormente devono caratterizzare il profilo di un insegnante nella società contemporanea; e non potrà esistere un sistema di reclutamento che non sia connesso in modo rigoroso con la formazione.

Si dovrà perciò, un giorno, ripartire dalle esperienze che oggi si vogliono cancellare: ma dopo quanti sprechi, frustrazioni, perdita di know-how…

Giunio Luzzatto

 

Spedisci questa pagina ad un amico


^^ torna ^^