|
Formazione
iniziale degli insegnanti: riforme fatte, riforme da fare
1. Qualche riferimento al quadro internazionale
In tutti i Paesi il cui sistema formativo è ragionevolmente
sviluppato, la formazione iniziale degli insegnanti avviene
da molti decenni attraverso specifici programmi in strutture
di istruzione superiore. Non voglio qui ripercorrere troppo
allindietro la storia delle caratteristiche di tale
formazione; mi limito perciò a qualche considerazione
sulle tendenze in atto, e ai riferimenti bibliografici più
recenti.
Mi
sono riferito, pocanzi, a strutture di formazione superiore
come sedi delle attività di formazione iniziale: lespressione
tiene conto del fatto che in molti Paesi la formazione superiore
ha visto, e talora vede tuttora, la presenza non solo delle
università, ma anche di altre istituzioni, quasi sempre
a carattere più professionalizzante. In passato, le
attività per gli insegnanti erano spesso collocate
proprio in istituzioni di questo tipo (tipici i Teacher Colleges
nellarea anglosassone). Negli ultimi tempi, in molti
casi questo binary system si va però riunificando;
anche dove esso sussiste, la formazione dei docenti tende
a spostarsi, in toto o in parte, verso la sede universitaria.
Il processo è stato definito come universitisation;
per lesame di esso, come per una analisi dettagliata
degli interi sviluppi in corso nel settore, rinvio allimportante
libro verde [1] che ha fatto il punto sulla situazione per
ciò che concerne il quadro europeo (al quale anchio,
nel séguito, mi limito).
Per
evitare che la struttura accademica preposta alla
formazione privilegi gli elementi teoretici anziché
integrarli con momenti di pratica professionale si evidenzia,
ovunque, la presenza di una partnership tra istituzioni formative
e sistema scolastico; l'effettiva corresponsabilizzazione
di quest'ultimo è andata crescendo in ognuna delle
riforme che i diversi Paesi hanno progressivamente adottato.
In
tutti i casi, il percorso formativo si conclude con un titolo
che qualifica professionalmente, e che nella nostra terminologia
diremmo abilitante [2]; in Francia, e in poche
altre situazioni, esso è condizione non solo necessaria,
ma anche sufficiente, per l'accesso alla professione, in quanto
-grazie ad una precisa programmazione dei posti/allievo- garantisce
lassunzione nel corpo docente delle scuole pubbliche.
La durata del percorso è compresa, con rarissime eccezioni,
tra i quattro e i cinque anni di studi superiori; talora è
differenziata tra insegnanti primari e secondari (in tal caso,
quattro anni per i primi, cinque per i secondi), spesso non
lo è.
Il
modello formativo può essere di tipo consecutivo,
se la preparazione nellarea educativo-didattica è
successiva alla preparazione in una area contenutistico-disciplinare,
ovvero di tipo integrato, se lintero percorso
è specificamente finalizzato allinsegnamento
e comprende perciò fin dallinizio entrambe le
aree; nel caso consecutivo si ha una laurea di 1° livello
(bachelor) seguita dalla formazione professionalizzante, nel
caso integrato si ha un titolo specifico, abitualmente di
durata e livello superiore rispetto al mero bachelor. In entrambi
i casi, spesso tale titolo non ha attualmente il carattere
accademico di una laurea di 2° livello (master,
corrispondente alla nostra laurea specialistica), ma in vari
Paesi sono in corso iniziative tese a conferire tale carattere;
va comunque rilevato che non esiste un solo Paese nel quale
un master disciplinare sia richiesto come condizione per seguire
poi il percorso professionalizzante, e ovviamente neppure
esistono situazioni nelle quali un master disciplinare costituisca
qualificazione alla professione.
Come
appare ben spiegabile, per gli insegnanti elementari -che
operano sui contenuti di tutte le discipline, o comunque di
vaste aggregazioni di esse- prevale il modello integrato;
per gli insegnanti della scuola secondaria superiore -che
operano sui contenuti di una disciplina, o più spesso
di due- prevale quello consecutivo. Una situazione intermedia
si ha nella formazione degli insegnanti della scuola secondaria
inferiore, per la quale circa metà dei Paesi europei
ha scelto il primo modello, metà il secondo [3].
L'intero
percorso, nel caso integrato, ovvero la fase finale di esso,
nel caso consecutivo, hanno come permanente punto di riferimento
la figura professionale, il profilo, dell'insegnante da formare:
le scelte relative all'assetto del curricolo, alla costruzione
dell'ambiente di apprendimento, alle modalità con cui
si svolgono le attività formative convergono nella
direzione definita da tale obiettivo. Appare di grande significato
il fatto che tale individuazione delle competenze richieste
agli insegnanti appaia, in diversi Paesi, notevolmente omogenea
(v. Appendice 1).
Ciò
ha potuto avvenire, pur non essendovi stati momenti di coordinamento
specifico, perché sia in sedi politiche, in particolare
nel Consiglio dei Ministri dell'Unione Europea, sia in sedi
tecnico-scientifiche, in particolare nell'OCSE, si insiste
da anni sulle tipologie delle competenze richieste nella knowledge
society, sulle modifiche che ciò comporta nella natura
dei sistemi di istruzione, sulle trasformazioni indotte relativamente
alla funzione degli insegnanti e pertanto relativamente alla
loro formazione.
Tali
trasformazioni evidenziano una sempre maggiore rilevanza di
funzioni diverse dalla mera trasmissione di contenuti disciplinari,
e conseguentemente lesigenza di una formazione sempre
meno centrata su questi ultimi. Formulo questa affermazione
in termini volutamente provocatori, ben sapendo che qualcuno
si straccerà le vesti e obietterà che le buone
qualità comunicative non possono mai supplire alleventuale
scarsità di competenze sulloggetto della comunicazione.
Ciò è ovvio, ma lobiezione confonde condizione
necessaria con condizione sufficiente; il testo riportato
in Appendice 1, così come tutti i documenti internazionali
escludono non la presenza di una componente contenutistica
nella preparazione dei futuri insegnanti, ma appunto la centralità
di essa, lesclusività o comunque il privilegio
in termini di rilevanza.
2. L'attuale sistema italiano
2.1 Lo schema istituzionale
Le scelte relative alla formazione degli insegnanti hanno
valenza, al contempo, culturale e politico-sociale. Prepararli
con certe caratteristiche o con altre, in determinati contesti
o in altri, significa avere per i nostri figli o nipoti un
diverso tipo di formatori, una diversa loro professionalità;
significa perciò avere un diverso sistema educativo
e, in definitiva, una diversa società.
Osservare
che tutto ciò riguarda, sostanzialmente nei medesimi
termini, la formazione degli insegnanti di tutti i livelli
scolastici non costituisce affatto, in Italia, una affermazione
scontata. La nostra tradizione enfatizzava i valori di umanità
per il maestro -anzi fondamentalmente per la maestra- della
scuola elementare, la scuola del popolo, mentre privilegiava
la cultura per il professore di scuola secondaria,
identificata soprattutto nel liceo, la scuola della classe
dirigente.
Tale
richiamo, espresso in questi termini, può sembrare
riferito a tempi molto antichi, decenni all'indietro: la scuola
secondaria superiore, da noi come in tutti i Paesi sviluppati,
è di massa dagli anni '60 del secolo scorso.
Eppure fino al 1998 l'iter della preparazione degli insegnanti
della scuola primaria da un lato, dei docenti secondari dall'altro
sanciva una netta divaricazione tra le loro professionalità:
i primi provenivano da una formazione magistrale
centrata sulle tematiche psicopedagogiche, i secondi da una
formazione accademica esclusivamente disciplinare.
Anche
in questo caso, il richiamo non sembri anacronistico. Torneremo
più avanti sul punto, mostrando che le ipotesi attualmente
sul tappeto rischiano di ripristinare, mutatis mutandis, la
medesima situazione.
Dal
1998, le cose sono cambiate, in attuazione (dopo 8 anni!)
della legge 341 del 1990, Riforma degli ordinamenti didattici
universitari. Tale legge e i conseguenti decreti, pur disponendo
percorsi diversi per la scuola primaria (Corso di Laurea in
Scienze della Formazione Primaria, CLSFP) e per quella secondaria
(Scuola di Specializzazione all'Insegnamento Secondario, SSIS),
sanciscono il carattere fondamentalmente unitario della formazione
alla professione docente nellintero sistema scolastico;
tale unitarietà può essere ricondotta a una
pluralità di elementi, tra i quali tre appaiono determinanti.
Primo
elemento. La struttura che prepara i futuri docenti è
l'università, cioè l'istituzione formativa nella
quale l'insegnamento è intrinsecamente legato alla
ricerca: perciò sia per i CLSFP sia per le SSIS la
natura professionalizzante del percorso di formazione degli
insegnanti va interpretata non in chiave riduttiva, quale
mero addestramento, bensì in termini di forte integrazione
tra un solido impianto culturale e una ricchezza di momenti
applicativi.
Secondo
elemento. L'università non opera da sola, ma interagisce
strettamente con il sistema scolastico: il tirocinio è
un elemento centrale nel processo formativo, e nel corpo docente
di CLSFP e SSIS sono presenti, in funzione di supervisori,
insegnanti in servizio dei livelli scolastici nei quali gli
allievi si preparano ad operare. Negli stessi mesi del 1998
nei quali sono stati definiti i Criteri generali per gli Ordinamenti
didattici è stata emanata una legge ad hoc per consentire
e disciplinare tale presenza.
Terzo
elemento. I Criteri generali che gli Atenei devono rispettare
nel definire gli Ordinamenti didattici (D.M. 26.5.1998) contengono
un consistente insieme di indicazioni comuni per CLSFP e SSIS;
regole aggiuntive vengono poi introdotte per ognuno dei due
corsi di studi, ma tali regole rappresentano prevalentemente
specificazioni di tali indicazioni comuni. Fondamentale, in
questa parte comune, è l'individuazione, attraverso
12 punti (v. Allegato 2), dell'obiettivo formativo di entrambe
le strutture didattiche, cioè del profilo professionale
dell'insegnante da formare. Dovendo poi le attività
didattiche essere direttamente finalizzate al raggiungimento
di tale obiettivo formativo, per CLSFP e SSIS risulta omogenea
l'impostazione stessa del curricolo, articolato su quattro
aree: formazione per la funzione docente (Scienze dell'educazione
ed altre tematiche a carattere trasversale, area 1); didattica
disciplinare (area 2); laboratorio (area 3); tirocinio (area
4).
Qualcuno,
a suo tempo, ha contestato la diversa natura dei percorsi
CLSFP / SSIS, obiettando che il conseguente scarto di due
anni nella durata fa permanere una differenza istituzionale
(e non solo, come è ovvio, di competenze specifiche)
tra insegnanti primari e secondari. E' facile contro-obiettare
che il CLSFP ha prolungato di 5 anni la formazione per la
scuola elementare (precedente Istituto magistrale) e di 6
la formazione per la scuola dell'infanzia (precedente Scuola
magistrale); sarebbe stato impensabile attuare di colpo un
allungamento ancora maggiore. A riprova del fatto che in questo
tipo di scelte occorre gradualità, va anzi rilevato
che il numero piuttosto basso di studenti che in questi anni
si sono iscritti al CLSFP viene abitualmente interpretato
come effetto dello scarso appeal esercitato da parte di un
impegnativo corso universitario di studi il cui sbocco professionale
è costituito da attività che precedentemente
richiedevano soltanto un diploma secondario.
Fondata
è stata invece la critica circa la disparità
nel valore dei due titoli ai fini dell'assunzione nel corpo
docente delle corrispondenti istituzioni scolastiche; al diploma
SSIS è stato attribuito valore abilitante, non così
-fino alla recentissima norma transitoria nella legge 53/2003-
alla laurea conclusiva del CLSFP [4].
Una
diversa obiezione, il cui peso è stato a lungo sottovalutato,
riguarda comunque l'intero impianto. Sulla base dell'esperienza
degli altri Paesi -e, prima ancora, del buon senso!- formazione
e reclutamento degli insegnanti dovrebbero venire disciplinati
contestualmente. Il sopra descritto sistema di formazione
nasce invece con la già ricordata legge 341 del 1990,
cioè con un provvedimento relativo esclusivamente all'assetto
didattico delle università [5]; il sistema è
stato costruito pertanto senza correlarlo in modo preciso
con i meccanismi che regolano l'assunzione degli insegnanti.
Per ciò che concerne le SSIS, la legge 306 del 2000
sul valore concorsuale del relativo esame finale ha tentato
di recuperare la situazione; ma si tratta di tappulli,
come hanno mostrato le successive polemiche e i conseguenti
contenziosi amministrativi, tuttora in corso, sui punteggi
per le graduatorie.
2.2 L'attuazione
Abbiamo evidenziato gli aspetti unitari nella concezione del
sistema universitario di formazione degli insegnanti, pur
articolato su strutture didattiche diversamente collocate:
di norma nelle Facoltà di Scienze della Formazione
i CLSFP (con alcune eccezioni, sulle quali non ci soffermiamo),
in sede complessiva di Ateneo -e talora Interateneo- le SSIS.
Di fatto, questo punto apparentemente tecnico ha costituito,
in sede di attuazione, un elemento di debolezza, essendosi
sviluppate le due strutture in termini piuttosto indipendenti
luna dallaltra. Non sono comunque mancati momenti
di riflessione comune, in particolare attraverso il lavoro
della rivista Università e Scuola e le altre iniziative
della Conferenza dei Centri Universitari di Ricerca Educativa
e Didattica (CONCURED).
Non
mi soffermo qui su un esame delle attività svolte e
dei risultati conseguiti, rinviando al proposito ad alcune
recenti pubblicazioni, che presentano altresì copiosi
materiali didattici elaborati sia nei CLSFP sia nelle SSIS,
e a quanto emerge da molti altri contributi presenti in questo
volume [6]; sembra indiscutibile che le acquisizioni positive,
in un tempo così breve, sono state notevoli, e che
-comprensibilmente- le situazioni più deboli si riscontrano
nelle didattiche disciplinari di quelle aree nelle quali inizia
solo ora, stimolato proprio dalle nuove strutture formative,
un lavoro di ricerca didattica. E' da rilevare quanto sia
stato negativo l'abbandono, da parte del MURST poi MIUR, di
un progetto di monitoraggio che era stato inizialmente commissionato
a CONCURED e CRUI, la cui prima fase (curata da M.L. Giovannini)
aveva fornito utili elementi e che, se proseguito, consentirebbe
oggi una analisi sia dei risultati, sia delle insufficienze,
più organicamente documentata.
I
primi specializzati vi sono stati nel 2001, i primi laureati
nel 2002; nel frattempo, circostanze esterne hanno già
posto l'esigenza di una qualche modifica in tempi brevi. Il
decreto 509 del 1999, attuato a partire dal 2001, ha infatti
trasformato l'intera organizzazione didattica degli Atenei,
in particolare con la articolazione su due livelli (laurea
e laurea specialistica) del precedente unico titolo di laurea;
la formazione degli insegnanti dovrà perciò
collocarsi in tale nuovo contesto.
Nel
corso del 2000 e nei primi mesi del 2001 le modifiche apparivano
imposte anche da un'altra innovazione, il conglobamento delle
scuole elementare e media in un'unica scuola di base
deliberato dalla legge 30 del 2000. Ciò rendeva necessario
superare l'attuale formazione dei relativi insegnanti in strutture
differenziate (rispettivamente, CLSFP e SSIS); era stato previsto
pertanto un apposito corso di specializzazione. La laurea
(triennale) utile per l'accesso sarebbe stata o di tipo educativo
(analoga all'attuale CLSFP) o a carattere disciplinare (in
una delle discipline di insegnamento presenti nella stessa
scuola di base); il curricolo professionalizzante nel biennio
di specializzazione avrebbe avuto un carattere in qualche
modo complementare rispetto alla preparazione precedentemente
acquisita, sviluppando maggiormente gli aspetti contenutistici
nel primo caso, le tematiche pedagogiche e trasversali nel
secondo. Il decreto contenente tali norme non è peraltro
entrato in vigore a causa del blocco, da parte del governo
entrato in carica nel giugno 2001, dell'intero processo di
attuazione della legge 30 di riforma dei cicli scolastici.
Quanto
alla riorganizzazione, con riferimento ai nuovi ordinamenti
universitari, del corso di specializzazione per gli insegnanti
della scuola secondaria superiore, lo schema predisposto prima
del passaggio di legislatura aveva confermato la struttura
generale del corso stesso ed aveva individuato una linea di
compromesso tra le opposte tesi presenti nel mondo accademico
relativamente al titolo di accesso (laurea o laurea specialistica):
per consolidare la preparazione sui contenuti disciplinari
sarebbero stati richiesti, dopo la laurea, 60 crediti aggiuntivi
(nel gergo ormai consueto, si trattava di un modello 3+1+2).
Anche a questa soluzione, del tutto indipendente dalla riforma
dei cicli scolastici, il nuovo governo non ha ritenuto di
dare corso.
3.
L'evoluzione (o involuzione?) prossima ventura
La maggioranza costituitasi nel 2001 ritiene di aver definito
le proprie scelte nell'intera materia scolastica mediante
l'approvazione, nel mese di marzo, della legge 53 del 2003.
Si tratta peraltro di una legge di delega; limitandomi, dati
gli obiettivi del presente volume, alla questione della formazione
degli insegnanti, disciplinata dall'articolo 5, tento di chiarire
da un lato ciò che la delega definisce, d'altro lato
ciò che -in alcuni casi per la vaghezza, ancor più
spesso per l'estrema ambiguità della delega stessa-
risulta indefinito fino al momento in cui saranno approvati
i decreti delegati.
I
punti definiti sono i seguenti. - Il modello è 3+2+x
per gli insegnanti di tutti i gradi scolastici; - successivamente
alla laurea (3) sono previsti corsi di laurea specialistica
(+2), ad accesso programmato sulla base della previsione dei
posti disponibili nelle istituzioni scolastiche; - tali lauree
specialistiche sono finalizzate anche alla formazione degli
insegnanti, hanno valore abilitante ed hanno, per gli insegnanti
della scuola secondaria di primo e di secondo grado, preminenti
finalità di approfondimento disciplinare; - gli abilitati
ai fini dell'accesso nei ruoli organici del personale docente
svolgono, previa stipula di appositi contratti di formazione
lavoro, specifiche attività di tirocinio (si tratta
del +x indicato all'inizio); - a tale fine, e per la gestione
delle lauree specialistiche, sono istituite apposite strutture
di ateneo o d'interateneo, le quali curano altresì
i rapporti con le istituzioni scolastiche.
Emergono
immediatamente i principali elementi di ambiguità,
che talora appaiono vere e proprie contraddizioni interne
nel testo. - Quale ventaglio di finalizzazioni ulteriori possono
avere corsi destinati anche alla formazione degli
insegnanti, i cui accessi sono peraltro definiti con un preciso
riferimento numerico solo ai posti disponibili per gli insegnanti?
- Come è realizzabile per tali lauree specialistiche
il carattere professionalizzante necessario per il previsto
valore abilitante se esse hanno anche diverse
finalizzazioni e soprattutto se esse sono centrate sul mero
approfondimento dei contenuti delle discipline già
studiate nella laurea? - Ancora con riferimento al valore
abilitante, si è mai visto, in qualsiasi campo, che
una abilitazione preceda anziché seguire le specifiche
attività di tirocinio? - Come è conciliabile
la prevalenza disciplinare nei contenuti didattici dei corsi
con l'attribuzione della gestione dei corsi stessi a strutture
di ateneo o interateneo? - L'acquisizione del contratto di
formazione lavoro costituisce un diritto dell'abilitato, e
quale è la durata di esso? - Con quali procedure viene
determinato, quando il contratto termina con risultati positivi,
l'accesso nei ruoli?
Il
mero elenco di questi quesiti è sufficiente per mostrare
che l'assetto del futuro sistema di formazione degli insegnanti
risulta, al momento, in larga misura imprecisato E' perciò
facile prevedere che pressioni in direzioni divergenti tenteranno
di influire sulla redazione dei decreti delegati destinati
a sciogliere i nodi che i quesiti evidenziano e conseguentemente
a stabilire le caratteristiche del sistema stesso; in relazione
alla prevalenza delle une o delle altre tra tali pressioni,
il risultato finale potrà rappresentare una totale
involuzione, configurando di fatto come master disciplinare
con una spolveratina di didattica ciò che pur pretende
di essere un percorso formativo per la professione insegnante,
ovvero lasciare qualche maggiore spazio alle attività
formative che preparano a tale professione e perfino ad una
struttura interdisciplinare interessata a queste.
Senza
sottovalutare le sostanziali differenze che vi saranno se
le scelte andranno nell'una o nell'altra direzione, rimane
il fatto che i paletti posti dalla legge delega
impediscono soluzioni che si collochino nella prospettiva
europea e che confermino alcune opzioni di fondo, coerenti
con essa, finora presenti nel sistema italiano. Si confronti
quanto esposto nel §1, nonché i tre elementi determinanti
individuati in 2.1, con quanto, al di là delle ambiguità,
l'articolo 5 della legge 53 comunque prevede: lo scarto è
impressionante. Per citare due soli esempi: - manca qualunque
riferimento al profilo professionale e all'esigenza di costruire
il curricolo in funzione delle competenze che l'insegnante
dovrà possedere; - anziché configurare una equilibrata
partnership tra Università e Scuola, a quest'ultima
viene sottratta la presenza nell'iter formativo degli insegnanti
futuri, mentre all'Università viene assegnato un ruolo
sovraordinato per la formazione in servizio.
Viene
così interrotto un percorso che, per quanto riguarda
i contenuti del processo formativo, era positivamente iniziato
raggiungendo in poco tempo notevoli risultati. Al contempo,
aumentano ulteriormente gli elementi di incertezza in merito
al rapporto tra formazione e reclutamento, tematica questa
che -come abbiamo sopra osservato- anche in passato è
stata affrontata in modo inadeguato.
Attualmente,
comunque, lesame finale sia del CLSFP sia della SSIS
comporta linserimento in graduatorie finalizzate non
solo allattribuzione delle supplenze, ma anche alle
nomine in ruolo (secondo canale): è un punto chiaro,
anche se altri punti non lo sono (commistione con abilitati
secondo le precedenti procedure; competizione con i precari
per i punteggi; blocco di fatto -anche se illegittimo- dei
concorsi ordinari, primo canale, favorevoli ai più
giovani perché premiano il merito anziché lanzianità).
Nelle nuove disposizioni le graduatorie non vengono neppure
nominate: il riferimento alla sola abilitazione e a successivi
contratti, unito alla dichiarata volontà ministeriale
di sospendere i meccanismi concorsuali, apre la strada alla
chiamata diretta da parte delle singole scuole,
prospettiva che alcuni ambienti vicini al governo sostengono
apertamente.
Le
conclusioni sono inevitabilmente amare, anche se va certo
sostenuto il generoso sforzo che coloro che hanno lavorato
in questi anni ai CLSFP e alle SSIS stanno compiendo per ottenere
che i problemi che la delega ha lasciato aperti siano risolti
nel modo meno negativo: si tratta di una politica di riduzione
del danno, opportuna ma minimale.
A
medio termine, emergeranno indubbiamente le assurdità
di quanto si sta facendo. Non potrà essere luniversità
a formare professionalmente gli insegnanti, se essa si rinchiude
in una ottica separata dallesterno, frammentata tra
le discipline, disimpegnata rispetto alle componenti culturali
trasversali che sempre maggiormente devono caratterizzare
il profilo di un insegnante nella società contemporanea;
e non potrà esistere un sistema di reclutamento che
non sia connesso in modo rigoroso con la formazione.
Si
dovrà perciò, un giorno, ripartire dalle esperienze
che oggi si vogliono cancellare: ma dopo quanti sprechi, frustrazioni,
perdita di know-how
Giunio
Luzzatto
Spedisci
questa pagina ad un amico
^^
torna ^^
|