Il diritto penale come certificazione della diseguaglianza*

di Gianfranco Viglietta

1-Si è sempre affermato che il codice Rocco era di rigida impronta classista: pochi i reati contro l’ economia, scarsamente applicabili o rivolti principalmente alla repressione dello sciopero, molti reati contro la pubblica amministrazione, ma tendenti prevalentemente alla tutela del prestigio formale dello Stato e dei suoi funzionari, pene assai più elevate per i delitti tradizionali contro la proprietà individuale.

Come si è venuta modificando tale situazione ?

Paradossalmente la progressiva attenuazione della rigidità del sistema sanzionatorio, la riforma penitenziaria e le spinte garantiste, le depenalizzazioni e le riforme hanno accentuato nei fatti il carattere classista del diritto e del processo penale. La realtà del diritto penale infatti non può essere valutata in astratto, ma in relazione alle prevedibili conseguenze del reato: vale a dire, chi espia una pena, di quale natura ed entità, in relazione a quali reati.

Così ad esempio in un sistema a pene rigide come quello originario, con la sospensione condizionale limitata ad un anno nel massimo e per una sola volta, e senza misure alternative alla detenzione era poco rilevante il livello minimo di pena: quasi sempre, comunque, si superava l’ anno nel minimo, e il sistema, autoritario ed improntato ad una prevalente difesa della proprietà e dello stato- autorità, conservava tuttavia una sua efficacia intimidatoria anche nei confronti della criminalità dei colletti bianchi.

Le attenuanti generiche ed il giudizio di comparazione esteso a tutte le circostanze, nonchè l’ estensione della sospensione condizionale a due anni, l’ istituzione dei riti speciali che riducono automaticamente la pena di un terzo hanno ridotto a termini percentualmente trascurabili il rischio della pena detentiva per i reati contro la pubblica amministrazione. Quando ci si domanda perchè, dopo tutti i processi su tangentopoli, pochissimi imputati hanno conosciuto l’ onta del carcere dopo la condanna definitiva, la risposta è implicita nel sistema sanzionatorio, sempre più squilibrato a danno degli autori dei reati da strada. Tutto ciò non è affatto inconsapevole: infatti giuste esigenze di garantismo hanno spinto il legislatore, nel 1990 prima e nel 1997 poi, a rivedere la formulazione dei reati contro la pubblica amministrazione, sopprimendo alcune figure ( malversazione a danno di privati, interesse privato in atti d’ ufficio) e rivedendone altre, ma curiosamente sono state soppresse tutte le multe aggiuntive alle pene pecuniarie per tali reati che spesso impedivano la sospensione condizionale. E’ vero che le pene pecuniarie aggiunte a tali reati sono un inutile anacronismo: ma perchè si sono conservate per il furto, la rapina, la ricettazione, o in materia di stupefacenti ( dove, in aggiunta a pene detentive altissime, sono previste multe di decine o centinaia di milioni di lire) ?

Ma tutto ciò potrebbe essere casuale se contemporaneamente i governi succedutisi dal 1975 ad oggi, con una forte accentuazione a partire dal 1990, non avessero inasprito le pene per certi reati, sull’ onda di un’ allarme sociale spesso enfatizzato dal circuito mediatico, per neutralizzare gli effetti delle attenuanti generiche e dei giudizi di comparazione o della riduzione di pene per i riti speciali. L’ effetto di tale situazione è che se si dovesse giudicare il sistema di valori di questa società sulla base delle sanzioni penali si dovrebbe arrivare alla conclusione che la ricettazione di un’ auto di media cilindrata è molto più grave della corruzione per atto contrario, ad esempio aggiudicando illegittimamente appalti di miliardi per denaro.

Ma se gli inasprimenti di pena per le rapine negli anni 70 o per i furti in epoca recentissima ( art. 624 bis CP) sono stati dettati da un’ emergenza criminale, perchè l’ emergenza corruzione, esplosa agli inizi degli anni 90, non ha prodotto alcuna reazione analoga ? Anzi, non solo il carcere è un’ eventualità remotissima per gli autori di tali reati, ma si è anche reciso il rapporto automatico tra la condanna penale e i suoi effetti sul rapporto di pubblico impiego, ridisciplinando il procedimento disciplinare dei pubblici impiegati. Le peraltro condivisibili esigenze di garantismo ed umanizzazione del sistema si sono avvertite solo per alcune categorie di reati: ad esempio con la riforma recentissima dei reati tributari.

2-Recentemente il fenomeno ha avuto una grave, ulteriore involuzione. Esistevano pochissimi reati, previsti dal codice civile, che consentivano un parziale controllo sulle società di capitali che violassero le regole della trasparenza e della correttezza. La pricipale era il reato di falso in bilancio.

La legge tuttora in vigore, l’ art. 2621 del codice civile, nella parte che ci interessa, punisce con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa da L. 2.000.000 a L 5.000.000 " i promotori, i soci fondatori, gli amministratori, i direttori generali, i sindaci e i liquidatori i quali, nelle relazioni, nei bilanci o in altre comunicazioni sociali espongono fatti non rispondenti al vero sulla costituzione o sulle condizioni economiche della società o nascondono in tutto o in parte fatti concernenti le condizioni medesime...". Si tratta, com’ è evidente, di una delle pochissime norme che tendono ad imporre trasparenza alle imprese e al mercato dei capitali. Il capitalismo italiano, purtroppo, è uno dei meno regolamentati del mondo. Tuttavia, per effetto anche di direttive e raccomandazioni della Comunità Europea, dal 1986, e in modo più marcato dal 1991, si sono imposti obblighi di compilazione sempre più analitica dei bilanci, di tenuta della contabilità e di certificazione della verità dei dati esposti. Il falso in bilancio è classificato come reato contro la fede pubblica, perchè il mercato dei capitali e la Borsa dipendono dall’ affidabilità delle informazioni sulle società, e qualunque contraente deve poter valutare l’ opportunità di stipulare contratti impegnativi con le società. L’ atto fondamentale per compiere tali valutazioni è il bilancio.

Ma il Parlamento ha conferito al Governo, con legge 28.8.2001, la delega a riformare il delitto di falso in bilancio secondo le seguenti linee (art.11):

a) Punibilità solo nelle ipotesi in cui "le informazioni false od omesse siano rilevanti e tali da alterare sensibilmente la rappresentazione della situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società o del gruppo al quale essa appartiene, anche attraverso la previsione di soglie quantitative".

Dunque, poichè il falso in bilancio oggi è un delitto, punibile a titolo di dolo, è ovvio che omissioni ed errori involontari non sono punibili neppure allo stato della legislazione vigente. Perciò prevedere che si commette reato solo quando il bilancio è falso- deliberatamente- al di sopra della soglia che stabilirà il Governo, poniamo il 5% del patrimonio o del capitale, significa stabilire che sarà lecito imbrogliare gli azionisti, i contraenti, i creditori nella stessa misura... Splendido segnale di moralità del capitalismo italiano, che non dubito sarà molto apprezzato in Europa e attirerà molti investimenti stranieri. Comunque al di sotto della soglia di "modica falsità non punibile" stabilita dal governo non ci sarà reato, quale che sia il danno effettivamente cagionato. Naturalmente più è elevato il valore del patrimonio e del capitale, maggiore sarà, in cifra assoluta, l’ importo della fasificazione non punibile.

Ci si può domandare perchè la maggioranza parlamentare o il governo hanno avvertito tale esigenza? Si può pensare che tutto ciò, naturalmente contro le intenzioni dei proponenti, legalizzerà, entro la soglia stabilita, la costituzione di così detti fondi neri per operazioni illegali occulte quali il pagamento di tangenti?

b) Ma cosa succede se gli amministratori non si contentano della quantità di falso consentita? Se non risulta provato che la falsificazione ha provocato un danno patrimoniale ai soci o ai creditori, il responsabile se la caverà con una contravvenzione punita con l’ arresto fino ad un anno e sei mesi. Sorgono alcune ingenue domande: perchè una pena così bassa per la dolosa falsificazione del bilancio, oltre tutto al di sopra della soglia consentita? E perchè un reato doloso è considerato una contravvenzione? Tra l’ altro esiste una sfera di potenziali danneggiati dal reato di falso in bilancio che non sono soci o creditori, e comunque l’ inattendibilità dei bilanci turba il mercato che ha bisogno di trasparenza sulle condizioni economiche e le prospettive delle società commerciali. La risposta ai quesiti è che la trasformazione del reato da delitto a contravvenzione fa scattare la prescrizione breve di quattro anni e mezzo nel massimo per gli autori del reato e la sanzione dell’ arresto sarà pressochè sempre convertibile in sanzioni sostitutive (in pratica, in una multa).

c) Ma ammettiamo che eccezionalmente si provi che la falsificazione, al di sopra della soglia prevista come non punibile abbia anche provocato un danno ai creditori o ai soci. Bisogna ancora distinguere: se la società non è quotata in borsa occorre la querela del danneggiato, e il reato è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni. Se invece è quotata in borsa si procede d’ ufficio e la pena è della reclusione da uno a quattro anni. L’ ipotesi però è puramente teorica: il querelante deve provare che il falso gli ha arrecato un danno. Se ad esempio il falso copre la costituzione di fondi neri per pagare tangenti, con cui si ottengono appalti, il danno non è configurabile.

In ogni caso, anche per l’ ipotesi più grave si è trasformato un delitto contro la fede pubblica in un gravissimo delitto di danno con una condotta assai complessa ed articolata, di difficilissimo accertamento, punibile solo al di sopra di una soglia determinata, ma la pena è stata ridotta sotto i cinque anni nel massimo per consentire, anche nell’ ipotesi più grave, la prescrizione breve.

In conclusione, l’ unico senso della norma, al di là di interessi contingenti e processi in corso, è quello di adeguare il livello normativo all’ ideologia del capitalismo italiano, che non sopporta regole al mercato e trasparenza, non accetta le regole della concorrenza.

Contemporaneamente la giurisprudenza e la dottrina si sono affannate nel ravvisare concorsi di reato per condotte di devianza marginale, elevando i livelli sanzionatori. Si è affermato il principio che la vendita di musicassette false, o di false borse Vuitton o Fendi, sulle bancarelle a prezzi infimi, oltre ai reati previsti dalla legge speciale o dall’ art. 474 del codice, implicassero necessariamente il delitto di ricettazione, con un interpretazione assai opinabile del termine "proveniente da delitto" . Sono i reati degli ambulanti extracomunitari, dei disoccupati meridionali. E a proposito di extracomunitari, nel disegno di legge sull’ immigrazione in corso di discussione si avverte la necessita di aggravare le pene per le dichiarazioni di scienza mendaci, fatte al fine di far ottenere la sanatoria alle colf e ai lavoratori che assistono invalidi. Pensavo che semmai dovesse trattarsi di un falso attenuato dai motivi di particolare valore morale e sociale!

3-L’ ultimo punto da affrontare è come si atteggia oggi, in concreto, il sistema penale: vale a dire, chi espia pene,di quale natura ed entità, per che cosa. Un momento di effettiva democratizzazione era stato quello della riforma penitenziaria, prevista per devianti marginali condannati a pene brevi, che dovevano essere esclusi dal circuito carcerario ed aiutati a reinserirsi nella società . Poi la Corte costituzionale lo ha trasformato in una specie di buono di cui , nel limite di tre anni, possono usufruire tutti. Ma chi ne usufruisce veramente? Uno dei primi fu l’ On. Tanassi; ne hanno usufruito quasi tutti i condannati di tangentopoli, spesso con prescrizioni del tipo "amministrare il proprio patrimonio, riordinare la propria biblioteca...". Chi, invece, non può usufruirne? Chi non ha una stabile dimora, chi non ha un lavoro, chi ha una famiglia degradata che non possa supportarlo...

Nel passaggio dell’ affidamento in prova da misura alternativa per la devianza marginale a buono-sconto non ci si è preoccupato di renderlo accessibile, mediante alloggi ed occupazioni, proprio alla fascia sociale per cui era stato pensato. Ed è la stessa fascia che, durante il processo, non può usufruire degli arresti domiciliari. Così oggi le carceri sono popolate in gran parte di corrieri di droga, piccoli spacciatori tossicodipendenti, per effetto dei livelli terroristici delle sanzioni in materia di stupefacenti, di recidivi per reati contro il patrimonio, di extrcomunitari per violazioni connesse al loro stato di clandestini illegali esposti naturalmente alla devianza.I carceri. Ci sono poi dei soggetti che, per un mese possono essere internati in locali chiusi da cui non possono uscire, che però non sono carceri, ma centri di detenzione amministrativa, al fine di accertare le loro generalità. Ma non trattandosi di carceri, il problema non è penale: è detenzione amministrativa. E inoltre non sono cittadini dell’ Unione europea, ma extracomunitari. L’ uguaglianza quindi non c’ entra. Sono tutelati anche troppo in via amministrativa.


* Relazione al Convegno "Il diritto dei forti" del 18.3.2002, organizzato da questa Rivista.

 

 

 

 

 

 

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