Immigrazione, pregiudizi e dati statistici*

di Franco Pittau

coordinatore del Dossier Statistico Immigrazione Caritas

 

L’immigrazione come dimensione strutturale della società italiana

Parlando a un uditorio così qualificato dal punto di vista giuridico spero che il mio apporto richiami l’attenzione per queste ragioni:

  1. sono un testimone esistenziale dell’immigrazione, in quanto io stesso sono stato emigrato in Belgio e in Germania, dove svolgevo un lavoro di tutela degli italiani all’estero, avendo così modo di vedere aspetti della nostra emigrazione che spesso vengono taciuti, per cui ci manca poco che venga idealizzata rispetto agli attuali flussi di immigrazione;
  2. ho anche maturato più di 30 anni di attività sociale , nel corso della quale mi sono sempre occupato dell’immigrazione, con responsabilità di studio e ancor di più operative, e in tale posizione ho seguito da vicino l’evolvervi della legislazione in Italia fino all’ultima proposta fatta dall’attuale governo;
  3. da 12 anni ho l’onore di essere coordinatore del "Dossier Statistico Immigrazione" della Caritas, un rapporto annuale che cerca di raccogliere il maggior numero di dati sull’immigrazione secondo una impostazione oggettiva che, per ridimensionare i pregiudizi, cerca di partire dai dati di fatto: sarà in effetti questa impostazione che cercherò seguire.

La nostra esperienza dell’immigrazione non è così lunga ma, ormai, neppure così breve. I flussi verso l’estero iniziarono a diminuire verso la metà degli anni ’70: fu proprio in quel periodo, anche a seguito delle politiche restrittive condotte negli altri paesi europei, che iniziarono e si incrementarono gradualmente gli sbocchi da noi, che ci costrinsero a passare da un periodo di neutralità o di indifferenza a uno di emergenza: si dovette intervenire per far fronte a un problema sociale che non era stato preventivato e per forza di cose si intervenne sotto l’emergenza ma, contrariamente a quanto talvolta si dice, non in maniera così disastrosa. Si andava contro tendenza rispetto all’impostazione dei vari paesi europei, l’atteggiamento di fondo non era negativo (tanto più se lo paragoniamo agli umori di adesso), si riusciva a votare insieme forse di governo e dell’opposizione (una caratteristica andata persa nella "seconda repubblica"). Buone furono le leggi 943 del 1986, che si occupava solo del lavoro, e la 39 del 1990, che si occupava anche del diritto di soggiorno e dei rifugiati, superando tra l’altro la clausola geografa che in precedenza aveva consentito di prendere in considerazione solo i richiedenti asilo provenienti dall’Est Europeo.

Queste leggi non erano comunque organiche, e molte cose sfuggivano alle loro previsioni. Dopo un tentativo contraddittorio fatto sotto il Governo Dini (alcuni aspetti di tutela, quanto mai positivi come quello sulla sanità e altri pesantemente negativi come quelli sulle espulsioni, suggeriti dalla Lega Nord), si arriva al tentativo alla soluzione organica tentata dalla legge 40/1998, quella attualmente in vigore, né chiusa né lassista, realistica e nello stesso tempo promozionale, come mostra la programmazione delle quote di ingresso, il contrasto dei traffici clandestini e l’investimento su una politica di integrazione.

Il governo del centro destra attualmente, anche se non si sta adoperando per sopprimere l’intero impianto della legge 40/1998, ad avviso della Caritas e della quasi totalità delle organizzazioni impegnate nel settore, si propone revisionarla in senso restrittivo: su questo aspetto e sulle sue implicazioni ritornerò dopo un quadro d’insieme sull’attuale situazione migratoria.

Il quadro attuale dell’immigrazione

Immigrazione come espressione di un mondo nel quale le persone non vogliono rimanere escluse dal processo di globalizzazione; immigrazione come convivenza con cittadini venuti da altri paesi per avere qualcosa ma anche per mettere a disposizione le loro risorse; immigrazione come incentivo al dialogo tra le culture e le regioni, facendone un perno per combattere ogni tipo di razzismo e favorire la pace; immigrazione come ricordo della nostra storia di esodo verso altri paesi: sono questi alcuni spunti desunti dall’XI Dossier Statistico Immigrazione della Caritas.

Nel mondo si calcolano oggi, secondo l’ONU, 150 milioni di immigrati su 6 miliardi e 80 milioni di abitanti. Continua ad agire come fattore di espulsione la diversità di reddito tra paesi ricchi e paesi poveri. Nei paesi in via di sviluppo all’85,6% della popolazione mondiale (5 miliardi e 200 milioni di persone) il reddito medio pro capite è di 3.500 dollari l’anno mentre quello dei paesi ricchi è di 25.600 dollari. Nel Subcontinente indiano si trova 1 miliardo e 357 milioni di persone con un reddito medio giornaliero di 1,8 dollari pro capite, mentre nell’Africa subsahariana sono 661 milioni gli abitanti, con un reddito medio giornaliero di 1,5 dollari pro capite.

Nello scenario Mediterraneo l’Italia rappresenta un vero e proprio spartiacque rispetto ai paesi a forte pressione migratoria. Fa parte dei quattro Stati membri dell’Unione Europea che superano il milione di residenti stranieri (Gran Bretagna, Francia e Germania, quest’ultima con più di 7 milioni di immigrati): tuttavia, mentre in media nell’Unione vi sono 5 immigrati ogni 100 residenti, la percentuale italiana è solo del 2,9%. In Italia vi è un immigrato ogni 35 persone, in Francia uno ogni 15 persone, in Germania, Austria e Belgio uno ogni 10 persone.

Non meno rilevante è la posizione dell’Italia per quanto riguarda i nuovi ingressi nel 2000 di immigrati stabili, che tra lavoratori e familiari negli ultimi anni hanno superato le 100 mila unità precedendo la stessa Francia. Nel 2000, ogni 100 immigrati già soggiornanti, ne sono venuti 12 in più. In rapporto alla popolazione residente si è trattato di un nuovo arrivo ogni 400 persone. I motivi prevalenti di venuta (sette casi su dieci) sono il ricongiungimento familiare (56.214) e lo svolgimento o la ricerca di lavoro (53.934). Si caratterizzano con 10.000 nuovi soggiornanti Albania, Marocco, Romania, con 4/5.000 soggiornanti Cina, Filippine, Germania, India, Polonia.

I cittadini stranieri, soggiornanti con regolare permesso di soggiorno al 31 dicembre 2000, sono 1.388.153: rispetto allo scorso anno l’aumento è stato di 137.000 unità (+10,9%). Tenendo conto che più di 200.000 minori non sono titolari di permesso di soggiorno a titolo personale e che presumibilmente circa 100.000 permessi nuovi o rinnovati sono stati registrati con ritardo, è fondato stimare la presenza regolare effettiva pari a 1.687.000 persone (maggiorando, così, i permessi registrati del 21,5%).

Il panorama delle provenienze continentali risulta così strutturato: Europa 40,1%, Africa 27,8%, Asia 20,0%, America 11,9%, Oceania 0,2%. Per aree subcontinentali i principali gruppi nazionali sono:

Europa Est: Albania 142.000, Romania 69.000, Jugoslavia 40.000;

Africa Nord: Marocco 160.000, Tunisia 45.000;

Estremo Oriente: Filippine 65.000, Francia 26.000;

America: Stati Uniti 47.000, Perù 30,000;

Subcontinente Indiano: Sri Lanka 34.000, India 30,000.

Vediamo ora alcune caratteristiche della popolazione immigrata. Ogni 100 donne vi sono 118 uomini: le rispettive percentuali sono 45,8% e 54,2%. Gli immigrati sono concentrati per il 62% nella fascia di età tra i 25 e i 49 anni (rispetto al 36,6% degli italiani). Anche i minori stranieri (278.000 e 19% dei residenti) ormai hanno superato in percentuale quelli italiani: metà di essi frequentano le scuole. Significativo è anche il continuo aumento delle persone sposate (676.000 e cioè 50.000 in più rispetto ai celibi/nubili): tra di essi appena un quarto (175.000) è con prole, indice questo della difficoltà del ricongiungimento familiare. Nel corso degli anni ’90 il livello dei permessi per motivi di lavoro si è consolidato attorno al 60%, mentre i permessi per motivi familiari hanno continuato l'aumento fino a superare il 25%.

Non è corretto parlare di "invasione islamica" innanzi tutto per motivi statistici: secondo la stima della Fondazione Migrantes i cristiani sono il 48% (814.000), i musulmani il 37% (621.000), i seguaci di religioni orientali il 7% (115.000). Ogni 10 cristiani, all’incirca 5 sono cattolici, 3 ortodossi e 2 protestanti.

Molto importanti sono i dati sull’inserimento nel mondo del lavoro. La mobilità, intesa come spostamento da un comune all’altro, è tre volte più alta tra gli immigrati (75.000 complessivamente), riguardando uno ogni 17 iscritti in anagrafe (6%).

Secondo i dati del Ministero dell’Interno, registrati al momento del rilascio o del rinnovo del permesso di lavoro, al 31 dicembre 2000 sono stati in cerca di nuovo posto o del primo posto di lavoro 91.040 immigrati, pari al 10,7% delle persone soggiornanti per motivi di lavoro (l’incidenza è più bassa tra le donne). Come risaputo, poi, molti altri lavorano senza però ottenere il pagamento dei contributi previdenziali.

Nel 2000 per i lavoratori extracomunitari sono stati creati 110.575 nuovi posti di lavoro, risultanti dal saldo tra 512.580 assunzioni e 402.005 cessazioni: si tratta di un saldo positivo del 28%, che è un valore più consistente rispetto a quanto si è verificato per gli italiani. Nel Nord Est è immigrato uno ogni 7 nuovi assunti e ciò anche perché il lavoro operaio esercita una scarsa attrattiva tra gli italiani.

Nel campo del lavoro dipendente il settore più etnicizzato è quello della collaborazione domestica, dove metà degli occupati (stimabili attualmente nell’ordine di 130.000) è costituita da immigrati con punte del 75% in diverse realtà (Roma e Milano, ad esempio)

Ogni 10 immigrati soggiornanti per lavoro uno esercita lavoro autonomo: in grande prevalenza si tratta di maschi (80%).

Gli immigrati costituiscono, con le rimesse, una sorta di assicurazione per i familiari rimasti in patria: nel 2000 hanno inviato 1.139 miliardi di lire, somma che, riferita alle persone soggiornanti in Italia per motivi di lavoro, equivale all’invio di circa 100 mila lire al mese attraverso i canali ufficiali e forse altrettante attraverso altri canali.

Solitamente gli italiani pensano che gli immigrati compiano più crimini: si sono pronunciati in questo senso il 72% degli intervistati nell’ambito di un’indagine condotta dall’Osservatorio europeo contro il razzismo. Per un più corretto inquadramento dei dati statistici bisogna, invece, tenere conto di questi punti: riconoscere che un’alta percentuale di immigrati non ha niente a che fare con la giustizia; distinguere l’immigrato delinquente occasionale dal criminale vero e proprio; tener conto che un certo numero di crimini è da ricondurre al fatto che come "non cittadini" sono obbligati ad ottenere più autorizzazioni; considerare che il 78% dei reati è addebitato a irregolari; riflettere sul fatto che il maggior numero delle denunce riguarda queste nazionalità: Marocco, Albania, Romania, Tunisia, Algeria, Jugoslavia, Senegal, Nigeria e Cina.

Immigrazione strutturale, risposte strutturali

Dopo un lungo periodo di disattenzione, imperniato sulla parola d’ordine "immigrazione a crescita zero", l’Unione Europea ha dato l’avvio a un periodo di ripensamento che la Commissione ha imperniato su queste piste: partenariato con i paesi di origine; integrazione ed equo trattamento, prevedendo l’attribuzione di una cittadinanza civile ispirata alla "carta dei diritti" di Nizza, al fine di garantire la coesione sociale; gestione dei flussi, inizialmente temporanei ma da rendere a carattere stabile, secondo un’ottica globale e sotto un coordinamento comunitario e una serie di competenze nazionali.

L’immigrazione è una realtà con la quale bisogna abituarsi a convivere, in Europa come in Italia, perché è diventata una componente strutturale della società italiana, alle prese con un forte declino demografico e con un crescente bisogno di persone da inserire nel mercato del lavoro. La cultura giuridica e le leggi singole devono essere considerate la risposta alle situazioni concrete che si riscontrano in determinati periodi storici. In Italia le riforme della normativa sull’immigrazione proposte dal Governo (la la previsione aggiuntiva della regolarizzazione) sono tutte di segno restrittivo per cui viene naturale la domanda se sia questo l’approccio più adeguato per far fronte alle esigenze della fase storica attuale e favorire una politica di convivenza.

Il disegno di legge governativo risulta interessato a una riedizione del "lavoratore ospite", concezione ormai lasciata cadere anche in Germania. Tra gli elementi di precarizzazione contenuti nel testo proposto dal Governo si possono citare le restrizioni nella durata del permesso, la previsione di sei anni di residenza prima della concessione della carta di soggiorno, le limitazioni nei ricongiungimenti familiari dei genitori, l’assoluta mancanza di previsioni che potenzino o introducano misure di inserimento dei nuovi cittadini, l’inadeguatezza degli strumenti di tutela in caso di espulsione, l’inadeguata presa in considerazione della specificità dei richiedenti asilo Il progetto del governo, nel suo comprensibile interesse alla repressione dell’immigrazione clandestina, trascura quella regolare con gravi conseguenze per quanto riguarda le prospettive di integrazione.

Ora, i flussi regolari vanno tenuti in essere e potenziati perché sono di fondamentale importanza per la tutela dei diritti e il coinvolgimento dei paesi di origine. Peraltro si richiede maggiore attenzione quando di parla di irregolare per non fare confusione tra trafficanti di manodopera (da perseguire nella maniera più estrema), richiedenti asilo (quasi sempre equiparati agli irregolari), irregolari recuperabili (fatta da persone inserite nel lavoro ma non prese in considerazione dalle quote) e irregolari "pesanti" (quelli venuti clandestinamente e votati a una grande precarietà). Tutto sommato, anche per la peculiare conformazione dei nostri confini, la situazione è stata tenuta abbastanza sotto controllo: basti pensare che negli Stati Uniti all’ultimo censimento gli irregolari sono stati stimati 11 milioni, in proporzione molto più numerosi rispetto all’Italia, e che il presidente Bush prima dell’11 settembre si riproponeva di regolarizzarne tra i 3 e i 4 milioni.

I paesi di emigrazione oggi sono quello che è stata la classe operaia all’inizio dell’industrializzazione, quando questa si fece portatrice dell’affermazione dei diritti del progresso sociale (copertura per gli infortuni, la malattia, gli assegni familiari, le pensioni, le ferie…). Per i paesi in via di sviluppo si tratta ora del diritto a una sussistenza dignitosa, come lo era una volta per noi a livello individuale: gli immigrati sono l’aggancio, quasi unico, al carro dello sviluppo, come mostra il flusso delle rimesse inviate in patria.

E’ il caso di ricordare che i paesi ricchi sono molto debitori, nella loro storia, alle migrazioni: perciò una maggiore attenzione al fenomeno attuale significa rispettare essere in linea con il proprio passato. E’ una questione di coerenza e anche una questione di interesse. L’immigrazione può trasformarsi in una bomba dalle conseguenza incalcolabili o rivelarsi una grande opportunità: quello che sarà in concreto dipende dalle scelte del legislatore e dall’atteggiamento della società, che ovviamente ne verrà influenzata. Questa impostazione va al di sopra della divisione tra gli schieramenti politici e si propone come una scelta di base societaria e culturale, quella che purtroppo è scarsamente presente in questo momento in Italia.


* Intervento al Convegno "Il diritto dei forti" del 18.3.2002, organizzato da questa Rivista.

 

 

 

 

 

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