Notizie e riflessioni sulla c.d. legge Pinto, in tema di equa riparazione del danno da violazione del termine ragionevole di durata del processo

di Francesco Ranieri
giudice del tribunale di Roma

1. Informazioni di carattere generale
La legge Pinto è stata l'ultima legge approvata dal Parlamento della XIII legislatura (v. il testo). E' stata approvata pressoché all'unanimità, salvo rare voci critiche. Il primo progetto di legge risale al 1994, proponente Conso. In Spagna è stata recentemente approvata una legge simile.

Lo scopo dichiarato è stato quello di introdurre un rimedio giurisdizionale interno alle violazioni della durata ragionevole del processo, di cui all'art. 6 § 3 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, ratificata in Italia nel 1953. Ciò, su pressanti richieste della Corte di giustizia e del Consiglio d'Europa - Comitato dei Ministri (sul sito www.psicologiagiuridica.com puoi leggere la decisione n. 49 del Comitato dei Ministri, del 3 maggio 2000, ove si ribadisce che l'eccessivo ritardo costituisce un significativo pericolo per il rispetto dello Stato di diritto).
Il Csm, con delibere del 15 settembre 1999 e del 6 luglio 2000, ha affrontato la questione richiamando i dirigenti degli uffici giudiziari ad una serie di adempimenti (sul sito di Unicost puoi leggere un conciso riassunto delle delibere in un intervento di Mariano Sciacca del 22.4.2001).

Attraverso il meccanismo processuale della "irricevibilità", gran parte dei circa 16.000 ricorsi pendenti sarà respinto in limine dalla Corte europea e dovrà essere ripresentato in Italia presso la Corte di appello entro sei mesi. Con solerzia il Cancelliere della Corte ha inviato lettera datata 22.5.2001 a tutti gli avvocati interessati preannunciando che, ove il ricorrente "mi farà sapere che non intende adire la Corte di appello e che intende mantenere la domanda, provvederò alla registrazione come ricorso e la Corte si pronuncerà sul medesimo. E' tuttavia mio dovere sottolineare che la Corte potrebbe decidere di dichiarare il ricorso irricevibile in applicazione dell'articolo 35 §§ 1 e 4 della Convenzione. …. se non riceverò alcuna risposta, dopo un anno il fascicolo provvisorio sarà distrutto …" (puoi leggere per intero la lettera sul sito www.dirittiuomo.it; il sito della Corte europea è www.echr.coe.int).

L'ammontare complessivo delle condanne della Corte europea è, per il 1997, di circa otto miliardi, per il 1998 di sette miliardi e per il 1999 di dodici miliardi; nei primi due mesi del 2000 sono state pronunciate condanne per circa cinque miliardi.

La Corte di appello di Roma dovrà occuparsi dei ricorsi proposti contro i ritardi dei procedimenti giudiziari pendenti in Campania. Benevento è una delle città ove maggiormente è coltivato il ricorso alla Corte europea: centinaia di ricorsi ogni anno. Tra l'altro il ricorso alla corte europea è gratuito, a differenza di quello introdotto dalla legge Pinto.
Presso la Corte di Roma è stata istituita una nuova sezione, la quinta, con due presidenti e dieci giudici, scelti tra il penale ed il civile. La legge prevede che il procedimento di equa riparazione si esaurisca entro quattro mesi. Qualcuno già paventa che, in caso di ritardo della decisione della corte di appello, potrà instaurarsi altro giudizio per equa riparazione dinanzi ad altra corte di appello. Se ciò avverrà, potrà annoverarsi tra gli effetti positivi della legge lo sviluppo di un indotto economicamente significativo connesso al "turismo giudiziario".

2. Riflessioni
Saranno molto importanti i criteri di accertamento delle violazioni, delle responsabilità e di liquidazione che elaboreranno le corti di appello e la corte di cassazione investita delle impugnazioni dei decreti.
Saranno gli stessi della Corte europea, che accoglie ormai il ricorso per il solo fatto del ritardo, con una liquidazione standard, o saranno criteri più ragionati e selettivi?

I giudici delle corti di appello sono chiamati ad una importante opera di interpretazione. La legge Pinto mostra di non voler riparare il danno da ritardo puramente e semplicemente; richiede una indagine sulla "complessità del caso e, in relazione ad essa …, sul comportamento delle parti e del giudice, nonché quello di ogni altra autorità che concorre alla sua definizione" (art. 2 comma 2). La legge richiede di compiere una analisi dell'andamento del processo, di fare un "processo al processo"; processo che può essere ancora in corso, posto che la domanda di equa riparazione può essere proposta anche in tali casi, allo scoccare della violazione del termine ragionevole che le corti di appello individueranno.
La legge è in linea con la prima interpretazione della Corte europea, che quando iniziò ad esaminare i casi di violazione della durata ragionevole, approfondì i comportamenti tenuti dalle parti, ad esempio esaminando se la durata del processo era dipesa da comportamenti delle parti, ad esempio da richieste congiunte di meri rinvii, o da rinvii ex art. 309 c.p.c. e così via. La forza del numero crescente dei ricorsi fece però sì che in seguito l'interpretazione della Corte europea mutasse ed oggi, vista anche la definizione di "pratica contraria alla Convenzione" correntemente usata dalla Corte europea (CEDU), la condanna dello Stato italiano consegue senza approfondire i comportamenti tenuti dalle parti, e senza che debba motivarsi la condanna. E' stato comunque violato l'obbligo di risultato. Ma, si noti, nel giudizio dinanzi alla Corte europea il soggetto sottoposto a valutazione é lo Stato italiano.
La legge Pinto riconnette invece all'esito del giudizio della Corte di appello la comunicazione alla Procura della Corte dei conti ed ai titolari dell'azione disciplinare dei dipendenti pubblici (art. 5). Sottolinea pertanto ancor più la necessità che la Corte di appello compia un approfondito accertamento della avvenuta violazione da parte di determinati soggetti: le parti, il giudice, la struttura delle cancellerie, gli ufficiali giudiziari, i ctu.
Una notazione: perché la legge non ha pensato, nei casi in cui fosse accertato un comportamento censurabile "delle parti", anche ad una segnalazione al Consiglio dell'ordine degli avvocati?

Oggi il termine è individuato dalla Corte europea in tre anni per il giudizio civile di primo grado - due anni e sette mesi se si tratta di cause di lavoro o di status - ed in sei anni per tutti i gradi del giudizio; otto in caso di giudizio di rinvio ed undici in caso di un secondo rinvio. Il tipo di giudizio che deve effettuare la Corte di appello non sembra peraltro compatibile con la fissazione di un termine standard; dovrà valutare il singolo caso ed in relazione ad esso stabilire se violazione del termine ragionevole vi è stata o meno.

Se dovesse essere individuato un termine standard, esso dovrebbe essere fissato in un termine ben superiore ai tre anni. Penso a quattro anni.
D'altra parte, in caso contrario è prevedibile che quasi tutta la giurisdizione civile ordinaria sarà colpita dalla legge Pinto, e ci saranno processi sui processi in corso, prevedibili astensioni dei giudici, con ulteriori processi di equa riparazione sugli eventuali ritardi della Corte di appello nel decidere sul ritardo del giudizio oggetto di censura. Non sembra poi che le altre giurisdizioni - amministrativa e contabile - siano immuni da tempi di pendenza analoghi. Insomma, è forte il rischio di corto circuito dell'intero sistema.

Gli effetti della legge possono essere ancor più dirompenti se permane l'interpretazione secondo cui all'equa riparazione ha diritto ciascuna parte, anche quella che sarà soccombente, per il solo fatto di aver dovuto attendere una decisione per un tempo irragionevole. In effetti l'art. 6 citato della Convenzione europea parla indifferentemente del "diritto di ogni persona …. al fine della determinazione sia dei suoi diritti e dei suoi doveri di carattere civile, sia della fondatezza di ogni accusa penale ….".
Ma se così è, la proliferazione dei processi potrebbe allora essere infinita, assecondando i più deteriori appetiti economici e distruggendo definitivamente la giurisdizione ordinaria nel nostro paese. Si pensi anche alla concreta possibilità di atteggiamenti dilatori delle parti ed alla possibilità di introdurre cause civili simulate per poi richiedere, da parte di attore e convenuto, allo scoccare dei tre anni, l'equa riparazione da ritardo.
E gli strumenti di cui dispone attualmente il giudice civile non sono adeguati. Sotto questo punto di vista l'Italia non è ancora Europa, in quanto in altri paesi europei sono previsti strumenti processuali atti a dissuadere la parte che ha torto dall'intraprendere un giudizio. Penso per tutti alle sanzioni economiche previste all'esito del giudizio.
Oggi il giudice civile ha un generico potere di direzione delle udienze ex art. 175 c.p.c.. E' però anche vero che la maggior parte delle sequenze processuali sono ad istanza di parte, ovvero la legge processuale civile costruisce dei diritti potestativi processuali in capo a ciascuna parte. Sempre ad istanza di parte sono l'emissione delle ordinanze di pagamento di somme non contestate e le ordinanze ingiuntive ex art. 186 bis e 186 ter c.p.c. Anche la condanna per lite temeraria ex art. 96 c.p.c. richiede l'istanza di parte. E molti avvocati non la richiedono vivendo detta istanza come una censura rivolta al collega avvocato di controparte. Non di rado il giudice civile si imbatte in liti palesemente temerarie, ma nulla può fare d'ufficio. Personalmente, quando mi viene chiesta, condanno con liquidazione equitativa. Un legislatore serio dovrebbe finalmente risolvere dette questioni; che sono state segnalate da anni sia all'interno del parlamento sia dall'Anm. Su questi temi processualcivili mi permetto di rimandare per una più diffusa trattazione al mio articolo - ed agli altri interessanti ivi contenuti - pubblicati su La Magistratura, organo dell'Anm, gennaio-marzo 1998, all'esito di una "Indagine sul processo civile".
Paradossalmente, invece, dall'iniziale progetto di riforma legislativa tendente ad introdurre "misure per l'accelerazione dei giudizi e previsione di equa riparazione in caso si violazione del termine ragionevole del processo", si sono espunte proprio …. le misure acceleratorie, talune molto importanti. L'unità di intenti è stata raggiunta solo sull'equa riparazione.

La legge Pinto parla di "equa riparazione" e richiede la prova dell'esistenza di un "danno patrimoniale o non patrimoniale".
Un quesito si impone: la domanda di equa riparazione è una domanda da fatto illecito ex art. 2043 c.c. o una "equa riparazione" da attività legittima? La legge non ha previsto una sanzione civile, ma ha fatto riferimento al concetto di danno.

Prescindendo da questo pur rilevante aspetto del problema, che involge anche l'approfondimento della applicazione della legge per la riparazione degli errori giudiziari, mi soffermo sul danno patrimoniale. Tralascio approfondimenti pur possibili sul danno morale (e sul danno biologico?) lamentato dal ricorrente. Il danno patrimoniale, al pari di quello non patrimoniale, potrà essere liquidato equitativamente: il comma 3 dell'art. 2 della legge Pinto fa riferimento all'art. 2056 c.c..
Il danno risarcibile è solo quello riferibile al periodo eccedente il termine ragionevole.
Al riguardo si deve osservare che il giudice dell'equa riparazione, per liquidare il danno in via equitativa, non potrà prescindere dall'esaminare il comportamento concreto tenuto dai vari soggetti coinvolti, la compresenza di altri fattori, il grado della colpa.
Altrimenti, dovrebbe ragionare in termini di responsabilità dello Stato per attività legittima. Ma come perverrà alla individuazione del "danno" da liquidare?

Le considerazioni che precedono escludono che in base alla legge Pinto la Corte di appello possa liquidare un risarcimento standard uguale per tutti i casi. In tale prospettiva, sembra pienamente ammissibile che le corti di appello liquidino importi inferiori a quelli liquidati dalla Corte europea, perché parametrati in base agli indici di liquidazione suddetti. E ciò non dovrebbe legittimare - come invece taluno già prospetta - la proposizione di una nuova domanda dinanzi alla Corte europea, fondandola sul fatto che il rimedio interno italiano gli ha liquidato un importo inferiore di quello invece liquidabile dinanzi alla Corte europea. Infatti, in base all'art. 13 della Convenzione europea, il cittadino ha diritto ad un rimedio giurisdizionale interno "effettivo ed adeguato" al fine perseguito. Non già ad una liquidazione identica. Il problema potrebbe sorgere solo nel caso di risarcimenti irrisori e nel caso in cui il rimedio stesso sia elusivo.

Ma quale potrà essere in concreto il danno patrimoniale derivato dal ritardo? Per i creditori di una somma di denaro, gli interessi e la rivalutazione già assolvono a questo scopo. Il giudice dell'equa riparazione dovrà poi verificare se la parte ha coltivato tutte le istanze processuali che avrebbero potuto evitare o ridurre il danno. Ad esempio, sono stati chiesti i provvedimenti anticipatori ex artt. 186 bis e ter c.p.c.?

La legge Pinto interagisce con la legge che disciplina la responsabilità civile dei giudici, la n. 117/88?
In tale ultima legge si disciplina la responsabilità del giudice per gli atti giudiziari compiuti. Con la legge Pinto viene in rilievo il generico comportamento del giudice che ha causato ritardo nella definizione del processo. Qui, si indaga sull'organizzazione del lavoro, sui meri rinvii eventualmente disposti, sul mancato controllo dei tempi di attività del ctu o di altri adempimenti processuali.
Nella situazione data, dove certamente pochissimi giudici civili possono garantire la definizione in tre anni del processo di primo grado, sarebbe doveroso che il Csm individui criteri di priorità nella trattazione delle cause. Devono avere velocità di definizione le cause relative a diritti della persona? Deve guardarsi al tipo di domanda, ad esempio alle grosse invalidità permanenti da sinistro stradale e da fatto illecito in generale ? E per le cause strettamente patrimoniali, può dirsi che una causa di dieci miliardi per ciò solo va preferita ad una di cinquanta milioni? Occorre vedere la qualità delle parti e gli interessi economici vitali sottesi?
Per i magistrati amministrativi la legge n. 205/2000, art. 19, ha attribuito al Consiglio di Giustizia la fissazione dei carichi di lavoro dei giudici.
La domanda per equa riparazione può essere esperita anche se pende il procedimento nel cui ambito la violazione si assume verificata.
In tale situazione, il giudice dovrà astenersi o no? Il giudice non è parte nel giudizio dinanzi alla Corte di appello, ma una volta che avrà notizia comunque del giudizio, cosa dovrà fare?
Certamente la norma può prestarsi ad un uso strumentale, potendo costituire un facile espediente per sottrarsi al giudice naturale del processo.
Ricordo che la domanda di equa riparazione può proporsi contro qualunque procedimento, civile, penale, tributario, militare, amministrativo, contabile, e così via.

3. Prospettive
La legge Pinto segna probabilmente un punto di non ritorno. Va certamente criticato il fatto che il legislatore ha scaricato sulla struttura pubblica inadempienze che in gran parte sono proprie e dei vari governi. Va ancora criticato il fatto che se equa riparazione doveva essere, doveva predisporre norme di ben altra chiarezza e contenuto. Anche individuando il quantum da elargire. Ha invece preferito ancora una volta percorrere la facile via di scaricare sui giudici - di appello e della cassazione - l'interpretazione di punti essenziali e nodali, predisponendo norme di ambiguo significato giuridico.
E' anche inevitabile nella situazione data non attrezzarsi con comportamenti processuali di difesa conseguenti. Qualcuno parla di necessità di mettere in mora lo Stato-apparato, il Ministero della giustizia, i dirigenti degli uffici -sia magistrati che cancellieri -, i presidenti di sezione, i dirigenti le singole cancellerie di sezione.
Certamente l'Anm deve porsi il problema di una tutela collettiva e richiedere con forza l'attivazione dell'ufficio del giudice e da subito l'assistenza di personale di cancelleria in udienza, come previsto dalla legge.
La legge Pinto deve segnare l'occasione per mettere definitivamente in chiaro quali sono le disfunzioni del sistema giudiziario in cui si opera; ciascun giudice nella propria sezione, civile o penale, coordinandosi con gli altri. Occorre anche che i singoli ruoli dei giudici siano tra loro omogenei e perequati. Le assegnazioni interne alle sezioni dovrebbero ora prevedere monitoraggi nelle assegnazioni, per assicurare che, nell'ambito delle materie assegnate alla sezione, tutti i giudici siano tendenzialmente assegnatari della medesima quota di cause distinte per materie: tot numero di appalti, tot numero di sinistri stradali, tot numero di compravendite immobiliari, tenuto anche conto di obbiettive complessità nella trattazione di certe cause.
E però non si può ragionare solo in termini di difesa. La legge Pinto può anche segnare - penso alla giurisdizione civile ordinaria - l'occasione perché il giudice si riappropri della sua funzione centrale nella conduzione del processo, si riappropri dei fascicoli e delle udienze, aggiorni i modi di redazione delle motivazioni dei provvedimenti, non veda solo nella sentenza il momento più qualificante del proprio operare.
E ciò in tempi rapidi. Molte sono le parti interessate al definitivo tracollo della giurisdizione pubblica e sono pronte a proporre soluzioni di privatizzazione della giustizia.

Roma, 25 giugno 2001

 

 

 

 

 

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