La famiglia appoderata La famiglia appoderata gestiva a vario titolo (proprietà, affitto, masseria, mezzadria) un podere e si caratterizzava per un modello familiare in aggregati multipli, con tendenza alla patrilocalità, dove il lavoro era fissato in base ad una precisa gerarchia dei ruoli tra i maschi e, di conseguenza, tra le donne. Questa famiglia era in grado di produrre al suo interno tutto quanto era necessario al sostentamento dei suoi membri e non dipendeva, pertanto, da risorse offerte dall’esterno, sia che si trattasse del mercato di merci o lavoro, sia di forme assistenziali da parte dello Stato.
L’organizzazione familiare prevedeva una rigida distinzione dei
ruoli. Al vertice stava la figura maschile del capofamiglia
(reggitore) da cui dipendevano tutti coloro che vivevano e
lavoravano nel podere. Egli organizzava il lavoro agricolo ed
amministrava il patrimonio. I figli maschi sposandosi rimanevano
in famiglia ed erano occupati nei lavori più pesanti all’interno
del fondo. La posizione delle donne era determinata dalla maggiore
o minore importanza del ruolo del marito. La moglie del
capofamiglia (reggitrice) si occupava della conduzione della casa
e, sotto la sua direzione, le nuore, le figlie non ancora maritate
o anche le cognate svolgevano tutti i lavori domestici ed anche
agricoli.
Nel caso in cui la famiglia fosse composta solo da fratelli,
diventava capofamiglia il maggiore di essi non sposato e
reggitrice la moglie di uno dei fratelli sposati, per evitare
squilibri ed accentramenti di potere.
Quando si sposavano, le ragazze lasciavano la famiglia paterna per
entrare nella famiglia del marito con una vera e propria
liquidazione tramite la
dote; vigeva, infatti, un’esclusione dal
patrimonio della famiglia d’origine, malgrado le figlie avessero
contribuito, con il proprio lavoro, alla sua formazione.
L’inserimento nella nuova famiglia, d’altro canto, rivestiva i
caratteri di un vero e proprio rito di passaggio in cui, con la
suocera, venivano negoziate le condizioni dell’accesso della
giovane alla nuova casa. Di conseguenza, i rapporti gerarchici non
esistevano solo tra sessi, ma anche in linea femminile poiché le
donne anziane comandavano il lavoro delle giovani e le loro
relazioni erano spesso improntate a durezza e tensioni.
Il lavoro per tutti, maschi e femmine, iniziava all’età di dieci
anni circa, e consisteva nel portare al pascolo gli animali,
aiutare gli adulti nei campi, sorvegliare i bambini più piccoli.
Successivamente si verificava una più precisa divisione sessuale
del lavoro.
Le
donne, finché erano figlie e nuore, svolgevano sia attività
agricole, sia lavori domestici; con un’età più avanzata, ma
soprattutto al mutare della loro condizione nei rapporti di
autorità in casa, cessavano di svolgere attività agricole e si
dedicavano solo a quelle domestiche.
Alessandra Pescarolo sostiene che la divisione del lavoro e la
diversità di lavoro avveniva sulla base del criterio della forza
fisica: risorsa cruciale in una realtà preindustriale. |