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La famiglia.... dalle novelle

Come la vita anche il Matrimonio ricade – secondo Pirandello - nel torchio del Bisogno,e, quando questo stringe, fa uscire le ultime lacrime e fa sparire i sogni le ambizioni, i desideri.

A differenza delle novelle del Verga, che sviluppa le tematiche realiste di una vita rurale da cui è impossibile sfuggire, le novelle di Pirandello "rappresentano" – quasi in forma di dramma coagulato- secondo lo stile decadente, le <<parti>> che ciascuno ha da rappresentare nella vita. Il gioco delle parti può essere terribile, non solo perché può ispirarsi alla realtà, ma questa la si esaspera appunto come pura rappresentazione, come <<maschera>> che cela e rende anonimo (e forse proprio per questo universale) l’esistere e soprattutto l’interpretazione della vita e dell’esistenza. A ognuno la sua parte, il suo frammento di vita e a tutti il dovere di <<rappresentarla>>.

Il torchio della vita stringe la povera Marastella – protagonista della novella Prima notte - che alla fine deve cedere alle insistenze della madre, Mammm'Anto', e alle ragioni esistenziali:

<< Mi vedi? sono vecchia ormai: più della morte che della vita. Che speri? che farai sola domani, senz'ajuto, in mezzo a una strada? ……

tant'altre considerazioni faceva lei, Marastella, dal suo canto. Brav'uomo, sì, quel don Lisi Chìrico che le volevano dare per marito, - non lo negava - ma quasi vecchio, e vedovo per giunta. Si riammogliava, poveretto, più per forza che per amore, dopo un anno appena di vedovanza, perché aveva bisogno d'una donna lassù, che badasse alla casa e gli cucinasse la sera. Ecco perché si riammogliava>>.

E nel Bisogno dell’uno confluisce il bisogno dell’altra per non rimanere sola e senz’aiuto in una società patriarcale.

Né l’aspetto fisico dello sposo, che, per farla meglio, aveva pensato di rasare l’ispida barba << in quelle gote cave, che or gli davano l'aspetto d'un vecchio capro scorticato>>; né l’animo oppresso dai doveri: uno verso la prima moglie morta appena un anno addietro << Riprendo moglie, - disse don Lisi socchiudendo gli occhi e impallidendo, - ma non voglio né suoni né balli. Ho tutt'altro nel cuore>>, l’altro verso la donna che sposa <<Marastella>>, e non ultimo il dovere di << sonare l'avemaria, lassù>>, e quel lassù è l’ultima dimora, il cimitero di cui è custode il Lisi, dove ci abita e dove deve andare a vivere la novella sposa.

La festa di nozze si conclude in quell’aura funebre del cimitero, regno dei morti e dei vivi imprigionati nei propri lutti e ricordi, in una coincidenza di domicilio del guardiano, domicilio dei novelli sposi, blocco pietrificato delle lapidi e delle memorie dei propri cari.

E in quella notte di nozze,

<<andarono per i vialetti inghiajati (del cimitero), tra le siepi di spigo fiorite.

Spiccavano bianche tutt'intorno, nel lume della luna, le tombe gentilizie e nere per terra, con la loro ombra da un lato, come a giacere le croci di ferro dei poveri……..

- Qua, - disse il Chìrico, indicando una bassa, rustica tomba, su cui era murata una lapide che ricordava il naufragio e le tre vittime del dovere. - C'è anche lo Sparti, (il giovane di cui Marastella era stata innamorata, vittima di un naufragio insieme al padre) - aggiunse, vedendo cader Marastella in ginocchio innanzi alla tomba, singhiozzante. - Tu piangi qua... Io andrò più là; non è lontano (la tomba della moglie Nunzia). La luna guardava dal cielo il piccolo camposanto su l'altipiano. Lei sola vide quelle due ombre nere su la ghiaja gialla d'un vialetto presso due tombe, in quella dolce notte d'aprile.

Don Lisi, chino su la fossa della prima moglie, singhiozzava>>.

L’intreccio di vita e morte, di amore e lutto è sublimato da questo muoversi di ombre; e tali sono i due protagonisti, forse non solo perché è notte, ma perché il Bisogno rende, a volte, "anime morte" anche i viventi.

All’intreccio dei bisogni fa seguito l’intreccio degli scherzi della Natura. E sì che questa nella combinazione degli atomi, delle cellule, degli individui e degli sposi intreccia a modo, strano e impertinente, con saggezza ma anche con capriccio, tipi e stature fisiche e morali.

Nella novella Un matrimonio ideale, intrigante già il titolo utilizzato da uno scrittore e sceneggiatore sorprendente come Pirandello, il protagonista – Todi , così minuscolo fisicamente, -

<< per il piacere di vederla ridere così burlescamente non uscì a dire che la moglie ideale per lui sarebbe stata lei, Margherita Carena>> - un donnone dalla circonferenza vita inafferrabile.

<<- Lei! lei, sì! Proprio lei!

Per miracolo la tavola si tenne su le quattro zampe. La vidi sussultare come per un terremoto, e cader bicchieri e bottiglie.

- Vi dico seriamente! Riflettete bene, signori miei. Sarebbe il matrimonio ideale! Una vendetta meravigliosa contro la natura sarebbe! sì! sì! contro la natura che ha fatto lei tanto grande, e me così piccolo!>>

E dopo sfide e brindisi con tutti gli interrogativi del caso se si trattasse di una buffonata o di una cosa seria, << Così, proposto dapprima per burla, si concluse sul serio quel matrimonio ideale d'un nano con una gigantessa.>> . Siamo alle stature e siamo a una vendetta contro la Natura. Ne sarebbe ben felice il Leopardi, se avesse assunto non solo la sfida contro la Natura con <<il procomberò sol io>>, ma anche l’ironico atteggiamento – quello dei paesani di Todi e Margherita.

<< Vi assicuro però che tutto il paese - naturalmente - da principio ruppe in un'omerica risata, ma poi vide bene e sto per dire che stimò anch'esso ragionevolissima la loro unione, la quale stabiliva tra i due spropositi della natura una specie di equilibrio e come un'equa, per quanto comica, riparazione.>>

Il matrimonio ideale dunque fondato su questo equilibrio <<tra due spropositi>>. E sì che di spropositi – non solo quelli fondati sulla filosofia naturalistica e meccanicistica, ma soprattutto dell’esperienza che il buon Pirandello ha avuto in famiglia – è seminata la vita.

Se l’equilibrio non si rompe allora può capitare a Todi - e a chiunque altro – che lui

<< l'omettino ormai vecchierello - che volete? - soffre, sì, ma non per causa di lei, badiamo! Lei lo ama, lo stima, gli è grata e lo cura, ha proprio tutti i riguardi per lui. Soffre, il povero ingegner Todi, perché naturalmente, con gli anni, gli cominciano a seccare e a pesare un po' troppo le beffe della gente; teme che lo facciano scapitare di fronte ai figliuoli, da cui vuol essere rispettato, come un padre sul serio>>.

Un uomo sa avvedersi ed essere consapevole dei propri limiti, ma nel ruolo di genitore non può perdere la faccia o meglio la stima dei figli, perché è questo compito che primeggia sugli altri ruoli.

<<I figliuoli lo rispettano; ma via, se vogliamo dire, non è neanche bella la loro condizione con un padre così minuscolo che par fatto e messo su quasi per ischerzo.

Questa afflizione c'è, innegabilmente. Perché la vita non sa esser tutta e sempre una farsa. Un marito e una moglie possono far ridere finché vogliono; ma la paternità non può non essere una cosa seria>>.

La paternità è una cosa seria, ricorda il Pirandello; la società siciliana non ammette repliche, intromissioni, diminuzioni all’esercizio autoritario della paternità.

Ecco un’infelicità, sia ben chiaro una tra le tantissime che sono presenti nella vita familiare, <<I figliuoli lo rispettano; ma via, se vogliamo dire, non è neanche bella la loro condizione con un padre così minuscolo che par fatto e messo su quasi per ischerzo>>. I figli non scelgono i loro genitori, ma questo, in riferimento a qualità fisiche, a qualità morali, a disponibilità di beni di fortuna… vorrebbero, a volte, poter scegliere altre condizioni. E un padre o una madre soffrono questa loro impossibilità e si giocano la fiducia e il rispetto dei figli. E allora ecco genitori che per sopperire a ciò che ‘’sembra mancare’’ ai figli si sbilanciano in concessioni che a volte deresponsabilizzano i figli.

Anche la condizione del povero Chiarchiaro nella novella La Patente, condizione racchiusa nella qualifica di iettatore, è tristissima non solo per il protagonista, ma anche per i figlioli e per la moglie. Al giudice D’Andrea cui si è rivolto per essere da costui <<patentato>> iettatore, uomo apportatore di disgrazie, solo che lo voglia, racconta:

<<Lavoravo. Mi hanno fatto cacciar via dal banco dov'ero scritturale, con la scusa che, essendoci io, nessuno più veniva a far debiti e pegni; mi hanno buttato in mezzo a una strada, con la moglie paralitica da tre anni e due ragazze nubili, di cui nessuno vorrà più sapere, perché sono figlie mie; viviamo del soccorso che ci manda da Napoli un mio figliuolo, il quale ha famiglia anche lui, quattro bambini, e non può fare a lungo questo sacrifizio per noi. Signor giudice, non mi resta altro che di mettermi a fare la professione del jettatore!>>

professionista rovinato e ancor più marito e padre mortificato perché non sa più come venire incontro ai bisogni dei suoi cari.

E per tutto questo il Chiarchiaro è pronto a dichiarare:

<<Perché, signor giudice, ho accumulato tanta bile e tanto odio, io, contro tutta questa schifosa umanità, che veramente credo d'avere ormai in questi occhi la potenza di far crollare dalle fondamenta una intera città!>>

In questo testo il tema della famiglia entra di scorcio, ma sempre in quella cornice di società dove il capofamiglia provvede alle necessità di moglie e figli. Che le figlie rimangano nubili perché il padre è un porta-sfortuna è già grave, ma che non abbiano da mangiare perché il lavoro ne risente a tal punto che non può portare il pane a casa, non può mantenere la famiglia – lui il capofamiglia - questo è proprio insopportabile; e di qui <<l’odio per questa schifosa umanità>>.

E il <<mantenimento della famiglia>> diventa il punto intorno a cui si sviluppa la novella L’uscita del vedovo.

<<Che c'entra il mantenimento? - scattava la moglie.

E lui, Piovanelli, subito:

- Permetti? Io dico... dico in genere, intendiamoci! Non stiamo mica a parlar di noi, adesso, che grazie a Dio stiamo tanto bene! In genere. Poni una famigliuola senza beni di fortuna, che viva unicamente di quel poco che guadagna il capo di casa. Muore lui, il capo di casa, va bene? Come farà la vedova a mantenere i figliuoli?>>

L’ amore – nel gioco sottile della generosità e della luna di miele – farebbe dire a ognuno dei coniugi:"morirei io piuttosto!"; ma qui in ragionamenti che rasentano il bizantinismo, in articolazioni del pensiero logico il ragionamento della moglie del Piovanelli, signora è esposto in queste righe iniziali della novella:

<< Tante volte la signora Piovanelli, conversando dopo cena col marito, aveva fatto l'augurio che se, per disgrazia, uno dei due dovesse morire prima del tempo - ma fosse morto lui! Lui, lui, sì; anziché lei. Per il bene dei figliuoli; non per sé, beninteso.

(Teodoro Piovanelli) Grosso e mite e di modi gentili, si sentiva ferire ogni volta fin nell'anima; sorrideva per dissimulare l'agro, e coi mansueti occhi pallidi e ovati che gli s'intenerivano afflitti nel biondo rossiccio delle ciglia e dei capelli, pareva chiedesse: Ma perché? Perché? Oh bella! Perché è sempre meglio per i figliuoli... cioè, meglio no: meno peggio - sosteneva la moglie - che muoja il padre, anziché la madre>>.

La logica del meglio – ovverosia meno peggio – che muoia il padre anziché la madre sta in quel terribile dilemma posto dalla signora Piovanelli

<< Ebbene: per i figliuoli è cento mila volte meno peggio che riprenda marito la madre, anziché moglie il padre, perché è sempre centomila volte meglio un padrigno che una madrigna. E lo sanno tutti!>>

E, a seguire, un ragionamento che sa di filosofia della vita, di esperienze secolari, di psicologia spicciola, di sociologia alla minuta, ma sempre molto efficace:

<< Te lo provo! Una donna che ha figliuoli e che per necessità riprende marito, anche avendo altri figliuoli da questo secondo marito, non cessa mai d'amare i primi; non solo, ma riesce a farli amare anche dal padrigno. Sfido! Li ha fatti lei, questi e quelli: suo sangue, sua carne! Un vedovo, invece, con figli, che riprenda moglie, anche se non abbia altri figliuoli dalla seconda moglie, non ama più quelli come prima, perché la madrigna se n'adombra, la madrigna se ne ingelosisce; e se poi questa gliene dà altri, lo tira ad amare i proprii e a trascurare i poveri orfanelli; e lui, vigliacco, schifoso, mascalzone, farabutto, obbedisce!>>

È la storia di tanti vedovi e vedove, la storia di orfani di padre o di madri soggiacente a queste parole tragiche e pur vere per tanti aspetti, dove a prevalere è la sconfitta dell’amore, della serenità, delle relazioni tra i componenti di un nucleo familiare!

Nella seconda parte della medesima novella, però, non è più il mantenimento dei figli a impensierire il Piovanelli, né la triste sorte di chi potesse venir meno in una famiglia se prima la moglie e dopo il marito, oppure viceversa. Il tema si sposta sulla <<gelosia>>, il cancro della coppia, la miccia della serenità, l’infelicità permanente, indefinibile eppure sottile come il mal sottile.

<<Nessuno meglio di lui poteva sapere quanto fosse ingiusta la moglie, dicendo così.

Riammogliarsi lui? Ma Dio lo doveva prima fulminare!

Non solo per il bene dei figliuoli non lo avrebbe mai fatto, ma neanche per sé. E non già perché fosse scottato del matrimonio a causa della moglie che gli era toccata in sorte, ma anche per un tristo concetto che gli s'era profondamente radicato in corpo: di non aver fortuna, ecco; e che infelicissimo sarebbe stato sempre con qualunque donna, se tale era con questa che in fondo, via, non era cattiva: tutt'altro, anzi! saggia massaja, amante della casa e dei figliuoli... forse un po' troppo franca nel parlare; sì, ma lieve difetto, in fin dei conti, che tante buone qualità avrebbero potuto compensare, se non fosse stato accompagnato da un brutto male, ah brutto... brutto... - la gelosia>> .

Pirandello questo mal sottile l’ ha sofferto per una buona fetta della propria vita. Sua moglie nel soggiorno a Roma l’ ha reso infelice per una sorta di paranoia intrisa di gelosia, gelosia morbosa, clinicamente irreversibile. Come scrive Camilleri in Biografia del figlio (p.196):

<<Di colpo, la gelosia di Antonietta (la moglie di Pirandello) cambia oggetto: ora non sono più le studentesse a insidiare il marito, bensì le attrici che, per una come lei, educata dalle suore, devono essere l’incarnazione assoluta del male. Pur di tenerla buona, Luigi non va alle prove se non di straforo o con scuse umilianti>>.

La novella sufficientemente autobiografica, specifica la paranoia anche in occasione della lettura di un giornale:

<< Diventava un supplizio per lui, ogni sera, la lettura del giornale. Sua moglie gli si metteva dietro le spalle e cercava, come un bracco, nella cronaca, i fatti scandalosi. Appena ne trovava uno:

- Qua! Leggi qua! Hai letto? Lo vedi di che siete capaci?...>>

Quando a uno/a viene rinfacciato :<< Lo vedi di che siete capaci?...>> il terreno della coppia e della famiglia trema come per terremoto per scosse di altissima frequenza. Il disastro è là sotto gli occhi!

L’uomo o la donna perdono il contatto con la realtà, si confessano incapaci di tantissime cose, si autoannichilano.

E per lui, il Piovanelli della novella, << Tutte le donne della terra eran diventate un incubo: tante nemiche della sua pace>>.

La morte della moglie lo coglie non di sorpresa, perché la brutta polmonite l’aveva messa a letto per tantissimo tempo. Le aveva promesso fedeltà anche per il tempo dopo la morte.

Ma la conduzione della famiglia, il vivere in simbiosi, il triste connubio tra l’infelice e l’infelicitante, è sempre meglio che vivere senza la presenza dell’altro/a.

<< Oh con quale ardore la desiderò in quel momento! Sì, sì, nonostante tutto il martirio che ella gli aveva inflitto per nove anni. Sì, egli la voleva, la voleva! aveva bisogno di lei! Senza di lei non poteva più vivere. Oh, anche a costo di soffrire da lei le pene più ingiuste e più crudeli... Non poteva rassegnarsi a vedere così spezzata per sempre la sua esistenza!

Aveva appena quarant'anni!>>

Non poteva rividere e desiderare altri amori, non poteva ritrovare un vecchio amore di quando era giovane, perché in quella casa, nella camera dei bambini sorvegliava, sbarrava la strada << …. quel ritratto, là, vigilante, terribile, della moglie>>.

Un ritratto oltre la morte. Una presenza oltre il destino terreno. Una moglie o un marito non per la vita, ma come incubo in vita e anche oltre la morte.

 

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