home Green Rock Alpine Club

attivita

4000

arrampicata

alpi

relazioni

diari

storie

fotografie

4000

arrampicata

altre montagne

club

membri

contatti

guestbook

link

vari

sito

mappa

news

updates

disclaimer

diaristorie


attivita

relazioni

fotografie

club

link




home diari Pizzo Badile arrampicata       scheda       precedente successivo

Pizzo Badile

Spigolo nord

21-23 agosto 1997
Mirko, Silvano

Già da parecchi anni pensavamo al Badile, ma lo Spigolo Nord non ci aveva sfiorato nei desideri prima di allora; era una di quelle vie che rimangono nell'ombra oscurate da quell'alone tenebroso che la soggezione per i grandi nomi e per le vere montagne stende sulle aspirazioni di tanti. A noi non era mai passato per la mente un progetto concreto di attacco del Badile da nord: l'arrampicata per noi è sempre stata una passione ma, limitata com'era alle corte vie delle guglie di casa nostra, l'idea di una salita di questo tipo non solo ci sembrava al di sopra delle nostre possibilità, ma era sempre rimasta al di sopra delle nostre stesse aspirazioni.
Solo l'estate precedente, con quel poco di esperienza e di consapevolezza di montagna in più ci era cominciato a sembrare veramente accessibile. Le nostre accresciute capacità in arrampicata e in montagna ci davano sicurezza sufficiente per permetterci una speranza, ma per una serie di impegni, contrattempi e salite differenti non avevamo avuto il tempo di andarci. Mai fino all'agosto del '97 quando i miei ultimi tre giorni di ferie ci sono stati sufficienti per la più bella delle arrampicate di tutte le nostre estati.

Due anni prima eravamo andati al Badile per dare uno sguardo alla normale, ma non ci avevamo combinato niente di buono: eravamo partiti per la via giusta, ma dopo pochi tiri di corda avevamo sbagliato tutto ed invece di dirigerci in direzione della famosa croce avevamo imboccato quel sistema di cenge che porta all'intaglio finale del canalone che solca la parete Sud. Un errore stupido, avevamo dato retta agli inviti della facilità di quei comodi camminamenti, ma ci eravamo trovati alla fine a guardare orripilati la successione di chiodi e cordini che risale l'intaglio e poi il canalone, lungo una linea di rocce malsicure e sotto il pericolo di scariche. Non ci era sembrato il caso di avventurarci per quella che non ci sembrava in nessun modo la via normale e, dopo lunghi minuti di studio, ce ne eravamo tornati sui nostri passi. Dopo tutto quel tempo perso per niente ci eravamo demoralizzati e la voglia di arrampicare ci era passata del tutto; non ci era servito nemmeno incontrare due ragazzi che scendevano lungo la via normale: le loro spiegazioni e le preziose indicazioni della via giusta non erano bastate a farci tornare la voglia di salire ed avevamo preferito scendere senza aspettare oltre, dopo quei pochi metri di salita. Saremmo tornati a casa più presto e ci saremmo goduti il sole della valle.
La primavera dello stesso '97 avevamo fatto un giro dalle parti del rifugio Gianetti con l'idea di provare di nuovo la normale, ma la neve troppo abbondante ci aveva costretto a desistere: non solo la facile progressione di avvicinamento si era dimostrata molto più faticosa del previsto, ma la stessa linea della normale ci era sembrata sporca ed inutilmente pericolosa. Niente di fatto anche per quella volta, dunque.
Poi l'estate decisiva; sono passati parecchi mesi ed il ricordo ne è stato offuscato nei particolari, ma le sensazioni non si dimenticano.

Io e Silvano partiamo la mattina del 21 piuttosto sul tardi, appena dopo un veloce pranzo anticipato rispetto alle nostre abitudini. Dobbiamo arrivare a Bondo e quindi infilarci nella Val Bondasca. Non abbiamo difficoltà a trovare il paese né la strada giusta per attraversarlo; seguiamo alla lettera le indicazioni di una guida comprata in Val di Mello tempo prima ed arriviamo al negozio del tipo che ci deve dare il permesso (si paga un permesso di transito) per attraversare in macchina la stradina della Val Bondasca. Una iniziale incertezza circa la direzione da prendere in mezzo al paese scompare alle indicazioni di tre signore del posto. Non siamo entusiasti del pagamento, ma grati di non dover percorrere a piedi la lunga strada: già in macchina la lunghezza ci impressiona e il peso che conosciamo dei nostri zaini non ci fa rimpiangere i soldi spesi.
Iniziamo a camminare mentre il cielo non promette niente di buono; non riusciamo mai ad intravedere il nostro Badile e le nuvole si fanno, nel tempo, progressivamente più basse e scure. Ci aspettiamo una bella acquata, per oggi, ma speriamo che le previsioni di bel tempo per domani siano azzeccate. Il sentiero da percorrere è dapprima comodo e piano, attraversa un bel boschetto, costeggia per un tratto un torrentello, ma presto si fa più ripido ed il peso degli zaini si fa sentire; abbiamo con noi parecchia attrezzatura da roccia oltre che materiale da bivacco: prevediamo di passare una notte al rifugio Sasc Furà e una dove ci capiterà: non sappiamo niente di come si svolgeranno, temporalmente, i due giorni che seguiranno. I luoghi che attraversiamo sono incantevoli; sempre nel boschetto, a tratti di fianco a torrentelli e cascatelle, a tratti su panoramici dirupi; un sentiero splendidamente tenuto e mai monotono. Solo la pioggia che infine ci inonda spezza l'atmosfera del luogo. Solo pochi minuti di pioggia, però: stiamo appena per uscire dal bosco ed il rifugio non si vede ancora; stiamo camminando da meno di un'ora e pensiamo di impiegarne un'altra mezza almeno per raggiungerlo perché questo è il tempo che dichiara la guida che abbiamo e perché i nostri zaini non ci consentono di tenere la velocità che ci è solita; ci fermiamo perciò per coprirci con degli indumenti impermeabili. Ripreso il cammino, in un minuto arriviamo al rifugio, nascostoci appena da un irrilevante cambio di pendenza del percorso: se invece di fermarci a coprirci fossimo corsi immediatamente avanti non ci saremmo bagnati quasi del tutto. I pensieri vanno spesso alla montagna che ci aspetta ed entrambi siamo entusiasti e sicuri delle nostre possibilità. Sono preoccupato solo per i miei scarponi: non mi rallegra il pensiero che si possano bagnare troppo e la prospettiva dei giorni seguenti con i piedi bagnati. Deformazione psicologica da tipico perfezionista viziato. Ma certo allora, al contrario di oggi, i miei scarponi erano in buono stato e non erano crivellati dai numerosi buchi e strappi che li segnano adesso: avrebbero resistito a parecchia acqua.
Una volta raggiunto il rifugio, ovviamente, cambia tutto. E' solo metà pomeriggio ed abbiamo tutto il tempo per cambiarci, riposarci e sistemarci come ogni insediamento in rifugio richiede. Lasciamo vagare la nostra curiosità tra i quadri, le fotografie ed i disegni appesi nel rifugio e poi tra le foto delle numerose riviste che non possiamo leggere, tutte rigorosamente scritte in tedesco. La pioggia che non cessa, intanto, da a tutto una strana luce e una cupa atmosfera; mi piacerebbe potermene stare sdraiato su un prato a guardare la meta dei nostri progetti, ma non posso fare altro che guardare il nulla da dietro una finestra, sentire il freddo che attraversa i vetri, ed immaginare il Badile, ben nascosto tra le nubi.
Verso l'ora di cena la pioggia smette, le nubi si diradano ed il sole torna a fare capolino, già troppo basso per scaldare, ma ancora abbastanza acceso da riportare luce e allegria. Riusciamo persino a vedere il Badile per qualche minuto. Le previsioni si confermano buone per domani. A cena mangiamo quello che passa il rifugio e mangiando sentiamo le conversazioni di alcuni dei gruppi che ci circondano. C'è una guida, sulla quarantina, che accompagna una signora di almeno quindici anni di più; nessuno dei due mi è simpatico: lui che si atteggia a supereroe della Val Bregaglia nei suoi racconti di montagne sconosciute e lei che si vanta di come possa permettersi di non avere bisogno di fare nulla nella sua vita, ora come in passato, e di poter dedicare quasi tutto il suo tempo alla montagna - intanto io penso che una che ha potuto dedicare tutta la sua vita alla montagna e che ha bisogno di una guida per salire lo Spigolo Nord del Badile deve essere di ben mediocri capacità. C'è un'altra guida, sulla cinquantina questa, con una lunga barba ed un sorriso e maniere ben più simpatiche della prima, che è di ritorno dallo Spigolo su cui ha accompagnato il suo cliente che ha poi lasciato al Gianetti; questo tipo si è fatto lo Spigolo Nord e la discesa dalla normale con il suo cliente e nello stesso giorno dal Gianetti si è fatto da solo la traversata dei passi del Porcellizzo e del Turbinasca fino al Sasc Furà in poco più di tre ore; a sentirlo dire la cosa non mi sembra nulla di speciale perché non so cosa sia questa traversata, in realtà, anche se so che anche noi la dovremo fare; solo nel farla - l’indomani - mi renderò conto di cosa significa un percorso del genere ad una simile velocità: per me cosa assolutamente impossibile anche con zaino leggero e passo di corsa. Ci sono gruppi di persone di lingua tedesca di cui non comprendiamo nulla. Ci sono due ragazzi che sono diretti alla Cassin, sulla Nord-Est, che ci ispirano simpatia ed ammirazione.
Man mano che il tempo passa cominciano ad insinuarsi in me i primi dubbi sulle nostre capacità ed il timore che qualcosa possa andare storto, il timore di poter essere troppo lenti, di non trovare la via giusta, di non essere in grado di fare le cose con la dovuta sicurezza, di tanti piccoli particolari che si fanno sentire a volte quando la meta è oscura, quando non si conosce quello a cui si sta andando incontro, quando il momento dell'azione si fa vicino e una strana svogliatezza cerca di toglierti tutto l'entusiasmo. Sono strane sensazioni e mi dispiace di non riuscire a godermi di più questi momenti. Tanto più strane se penso alla consapevolezza, alla reale fiducia nelle nostre capacità, cosa di cui non ho mai dubitato. Sappiamo di essere in grado di salire; di più: io credo che sappiamo già che saliremo senza difficoltà e senza intoppi; nondimeno queste sensazioni rimangono e non mi abbandonano fino a quando non mi sdraio sul mio materasso e prendo sonno. Sono le stesse sensazioni che mi prendono prima di attaccare ogni via nuova, dovunque si trovi, di qualunque tipo essa sia, di roccia o di ghiaccio, lunga o corta, in falesia o in alta montagna; sensazioni che prendono prima di attaccare, prima di toccare la roccia con le mani: prima di esserci. Quando ci sei il mondo cambia completamente e tutta l'attenzione è rivolta al divertimento, all'azione, all'eccitazione per il movimento, all'impazienza di vedere e di provare, alla voglia di sentire, guardare, vivere le emozioni che ti attraversano. Non vedo l'ora.

La mattina il tempo è splendido e una meravigliosa gelida stellata è oscurata a Sud dall'imponente profilo nero del Badile. Ci prepariamo velocemente; abbiamo già gli zaini quasi pronti, preparati la sera prima, ci vestiamo, mandiamo giù una colazione veloce, sistemiamo le ultime cose e partiamo, decisi ed allegri, entusiasmati, oggi, dall'approssimarsi dell'azione. Usciamo quasi contemporaneamente ad altri gruppi: due sono già avanti, un ragazzo ed una ragazza sono appena usciti ma non sanno la strada e ci chiedono indicazioni; gliene sappiamo dare di approssimative ma alla fine dobbiamo fare tutti lo stesso percorso e perciò, bene o male, basterà seguirsi a vicenda; subito dopo di noi esce una nuova 'cordata' e noi ci mettiamo a ruota. Saliamo veloci, ma non quanto mi piacerebbe; seguiamo tracce di sentiero per facili pendii e poi accennati camminamenti tra grandi massi appoggiati; ad un certo punto il Badile spunta definitivamente da dietro un dosso ed io e Silvano decidiamo di lasciare la comitiva per continuare da soli, al nostro solito passo. Arriviamo in prossimità della base dello sperone molto presto, ma alcuni nevai fastidiosi ci rallentano all'ultimo momento.
Il primo tratto di salita per lo sperone è elementare: dalla base destra si risale un grande canale e per facili rocce si raggiunge il profilo dello spigolo vero e proprio in prossimità di un'ampia sella. Seguiamo agilmente questi primi metri e raggiungiamo lo spigolo contemporaneamente ad altre cordate. Alcuni partono già in direzione della parete Nord-Est; tra di loro anche i ragazzi diretti alla Cassin che avevamo sentito ieri; un altro paio di cordate partono lungo lo spigolo prima di noi. Intanto noi saliamo slegati ancora per qualche facile decina di metri, fin dove la semplicità della roccia ci concede di trovare un ultimo comodo terrazzo, ci teniamo un po' in disparte, e quindi facciamo tutti i nostri preparativi con molta calma: dobbiamo ancora attrezzarci, sistemarci imbragature ed attrezzatura e legarci; ci concediamo parecchio tempo anche per una bevuta, del cioccolato e qualche fotografia alla via che ci attende. La tensione è del tutto sparita, sostituita dall'impazienza di vedere quale sarà la nostra reazione alla lunghezza, alla difficoltà e all'esposizione a cui stiamo per andare incontro. Diamo di tanto in tanto un'occhiata alla linea di salita delle cordate che ci precedono per essere sicuri di non commettere errori all'attacco; sono solo pochi metri quelli che possiamo osservare, ma ci bastano per darci un'idea di come dovremo fare per raggiungere il nostro posto sullo Spigolo.

Spigolo nord e parete est del Badile, dall'attacco dello Spigolo

Io parto da primo; Silvano seguirà da secondo, per il momento, ma abbiamo in programma di proseguire a comando alterno per velocizzare le manovre di sosta. Faremo eccezione solo dove riterremo conveniente, per la velocità, di non cambiare comando.
Il primo tiro è elementare: una quindicina di metri di traverso in leggera discesa che portano sul versante sinistro dello spigolo per aggirare una marcata torre; Silvano mi raggiunge, sistemiamo le cose e iniziamo l'arrampicata vera. Subito la prima eccezione: vado ancora io per i trenta metri successivi, fino ad un grosso chiodo di assicurazione; Silvano mi raggiunge di nuovo e prosegue immediatamente per il tiro successivo, più delicato, che termina l'aggiramento della torre e conduce, lungo una placca liscia fino al filo dello spigolo. Dietro di noi vediamo arrivare la cordata formata dalla guida e dalla signora che stavano di fianco a noi ieri sera, durante la cena.
Proseguiamo per moltissimo tempo alla stessa velocità, a due o tre tiri di distanza gli uni dagli altri; anche chi ci precede rimane sempre alla stessa distanza, due o tre tiri avanti; ci sono utili perché ci indicano la giusta linea di salita e la distanza delle soste. In verità non abbiamo mai problemi ad individuare la via, ma alcune volte ci troviamo preoccupati quando ai quarantacinque metri ancora non siamo in vista di una buona sosta. Quasi sempre, però, arriviamo a toccare i grossi anelloni di sosta e di calata con cui gran parte della via è stata di recente attrezzata.
L'arrampicata è piacevole e mai veramente impegnativa, a tratti su affilati profili di cresta - in un paio di occasioni superate a cavalcioni per ragioni di equilibrio - a tratti su compatte placche granulose che offrono appigli sufficienti per non essere mai giudicate superiori al IV+ dichiarato dalla nostra relazione. Io arrampico con gli scarponi, mentre Silvano usa le scarpette da arrampicata e sono contento che i due tiri di placca più delicati all'inizio dello spigolo tocchino - per sorte - a lui. Li passa sempre senza il minimo problema, mentre io, da secondo, a volte mi sento in aderenza veramente precaria e sono grato dell'assicurazione che Silvano mi fa dall'alto. Procediamo più spediti del previsto: non siamo particolarmente veloci ma teniamo il ritmo degli altri ed in sosta non perdiamo mai tempo. In poche parole non abbiamo nessuno dei problemi di tempo e velocità di cui avevamo avuto paura prima di partire e che costituivano per noi la prima delle incognite della salita.
Durante l'arrampicata tengo mentalmente conto del numero di tiri di corda che superiamo: la relazione di cui disponiamo dichiara la via come composta da 36 tiri di corda e mi avvalgo di questa nozione per stabilire a quale punto della salita siamo arrivati; non avendo nessuna conoscenza del posto è il modo più ovvio. Allo stesso modo faccio periodicamente calcoli mentali per stabilire una proiezione del tempo di salita e ne sono sempre molto incoraggiato: alla partenza speravamo di poter salire in otto ore, mentre i calcoli che ripeto ed aggiorno di volta in volta mi dicono che potremmo terminare in cinque o sei ore.
Mi diverto molto nell'arrampicata e non soffro della minima insicurezza; a volte mi capita di fare interi tiri di corda di 50 metri senza un solo rinvio. Poco alla volta, verso metà via, la cordata che ci precede si allontana; ugualmente ad un certo punto ci accorgiamo che i due che ci seguivano sono scomparsi: ipotiziamo che la signora si sia stancata oltre misura e sia stata costretta a ridurre la velocità. Intorno al terzo di via anche Silvano mostra stanchezza - ha lo zaino parecchio pesante - e sempre più spesso mi chiede di rimanere da primo; intorno al decimo tiro, dunque, passo in testa io per rimanerci fino al termine. Sono contento della forma che mi sento, ma anche Silvano sta bene, stancato solo dal peso dello zaino, ben peggiore del mio. L'ultimo tiro che passa Silvano da primo è il più complicato della via, attraverso una spaccatura che solca uno strapiombino, unico punto della via a richiedere la sicurezza di un friend supplementare. Poco dopo la splendida placca levigata solcata da un intreccio di fessure; il nuovo strapiombo da aggirare. L'esposizione non si fa mai avvertire; al contrario i panorami sono suggestivi, l'arrampicata è emozionante. Alla metà della via, secondo il calcolo dei tiri, arriviamo all'aggiramento degli strapiombi creati dalla grande frana; in questo punto una cordata di due ragazzi, incredibilmente veloci, ci supera; non li vedremo più. Poco più in alto iniziano le incertezze: davanti non abbiamo più nessuno - nemmeno in lontananza scorgiamo più persone - e dobbiamo inventarci la linea di salita. Ci riusciamo egregiamente anche se il compito è reso più difficile dalla definitiva scomparsa degli anelloni di assicurazione e le soste devono essere improvvisate su spuntoni. Si affaccia a tratti il timore di trovarsi fuori via, anche se su uno spigolo la cosa può sembrare assurda, ma pensiamo che forse la via giusta potrebbe trovarsi piegata più in parete: ci sembra troppo strana la scomparsa totale dei chiodi dopo tanti tiri di corda così ben attrezzati. Alla fine, però, iniziamo ad incrociare persone che scendono lungo lo spigolo per tornare al Sasc Furà; non li invidiamo, non vorremmo dover fare in discesa lo spigolo, seguire una così lunga e noiosa serie di calate. Due cordate in tutto, quelle che incrociamo, praticamente in un unico gruppo, vicine come sono, ma bastano a ridarci fiducia.
Prima del trentesimo tiro ci rendiamo conto di essere vicinissimi alla cima; raggiungiamo un tratto in cui la prosecuzione lungo lo spigolo sembra complicata mentre semplice sembra un traverso lungo la parete Nord-Est. Capiamo che in entrambi i casi arriveremmo a raggiungere un intaglio sulla cresta sommitale ed il traverso sembra conveniente. Partiamo dapprima leggermente in discesa e poi di nuovo in risalita lungo cenge che non offrono la minima resistenza; in due lunghi e rapidi tiri di corda siamo in cresta ed aggirato uno spuntone vediamo la vetta. La raggiungiamo in conserva velocemente ed arriviamo a toccare il caratteristico obelisco dopo cinque ore e un quarto di arrampicata. Siamo entrambi molto felici, consci di avere portato a termine la più bella delle arrampicate di montagna che abbiamo mai vissuto. All'ora di pranzo ci troviamo seduti sul terrazzino sommitale del Badile: abbiamo risolto la più avvincente delle incognite che hanno fino ad oggi animato i nostri progetti. Lo spigolo Nord del Badile è superato.

Mirko in cima

Non rimaniamo a lungo in cima: ci attendono ancora diverse ore di cammino. Dobbiamo prima scendere lungo la via normale, che non conosciamo, e quindi attraversare in direzione del passo del Porcellizzo e del bivacco Pedretti-Dal Prà.
In discesa rimango avanti ancora io. All'inizio la via è semplice, tra le cenge del largo cono/canale proprio sotto alla cima; un vero e proprio sentiero, come non ci saremmo mai aspettati. Procediamo veloci sui facili camminamenti e dobbiamo fare attenzione solo alla fine ghiaietta che ricopre le cenge. Non abbiamo bisogno di assicurarci fino a quando il percorso non si fa più ripido: una volta terminato il sistema di cenge è necessario procedere con facile arrampicata su rocce banali, ma preferiamo sistemare qualche assicurazione. Dapprima scendiamo ancora in conserva, spediti, mentre io piazzo - davanti - qualche fettuccia che Silvano rimuove al suo passaggio; in questo modo riusciamo a scendere con qualche assicurazione pur non perdendo i vantaggi della velocità della discesa in conserva. Più avanti il terreno si complica ulteriormente e per un tratto dobbiamo scendere a veri e propri tiri di corda. A volte assicuro io dall'alto, a volte - più spesso - Silvano. La discesa è sempre in arrampicata, sia per chi è assicurato dall'alto che per chi è assicurato dal basso; non ricorriamo mai a doppie perché l'arrampicata è comunque veloce - più veloce che non una discesa a doppie - e non siamo costretti a lasciare materiale sul posto per l'ancoraggio delle corde. Durante la discesa ci avviciniamo progressivamente ad un gruppo di tre alpinisti che scendono più lentamente. Non li raggiungiamo mai, però:

Silvano in cima

quando arriviamo vicini ci attende il tratto più delicato della parete dove siamo costretti ad una semplice calata in doppia. Atterriamo all'inizio di un facile sentierino che ci dovrebbe condurre fin sulla cresta. E' così, infatti: da questo punto le difficoltà sono definitivamente terminate e ci basta seguire una serie di ometti per raggiungere prima la cresta, in traverso e leggera salita - e poi la caratteristica croce. Siamo contenti di tutti questi segnali che ci confermano costantemente di essere sulla via giusta e quando raggiungiamo la croce siamo consapevoli dell'approssimarsi del termine dell'arrampicata. Scendiamo in arrampicata per un semplice camino, quindi seguiamo le ultime cenge e alla fine i facili pendii rocciosi che portano al canalino di attacco della normale. Decidiamo di scendere anche il canalino con una doppia, per avere tutta la sicurezza e fare più in fretta, adesso che non abbiamo più bisogno di rilegarci, ma solo di mettere via, definitivamente, la corda.
Arriviamo alla base contemporaneamente alla cordata che ci precedeva, ci mettiamo da parte, sistemiamo la nostra roba e rimaniamo qualche minuto per bere e per mangiare. Con i nervi finalmente completamente distesi siamo ancora più felici ed allegri. Peccato le fotografie: ce ne rimane una sola in macchina e la teniamo per la fine: al Sasc Furà c'è una splendida vista del Badile ed ho già in mente l'inquadratura che mi interessa. Quando ripartiamo in direzione del Gianetti gli altri si stanno ancora sistemando; dopo le otto ore di arrampicata camminiamo sorprendentemente veloci e confermiamo l'ottimo stato di forma che abbiamo avuto per tutta l'estate. Arriviamo al rifugio in tempo da record e rimaniamo a riposarci mezz'oretta: un panino, una telefonata a casa, dove troviamo la mamma contenta di sentirci; quattro chiacchiere con il gestore per farci spiegare dove si trova il passo del Porcellizzo, di cui non sappiamo niente. Il gestore ci indica la direzione e ci spiega in poche parole l'itinerario che dobbiamo fare per tornare in Svizzera:ci spiega che il passo è facile da raggiungere ma che dall'altra parte c'è una ripida discesa da fare, con molta neve e ghiaccio e che potrebbe essere molto pericolosa. Ci guarda preoccupato e noi ci immaginiamo il peggio.

Partiamo spediti alla volta del passo; in una quarantina di minuti su sentiero e facili morene, da ultimo lungo una ripida traccia, seguendo evidenti ometti e bolli rossi che rendono impossibile smarrire la migliore direzione, raggiungiamo il passo, ansiosi di scoprire quello che ci attende sul versante opposto. Vediamo che le cose sono semplici e che la preoccupazione del gestore era enormemente esagerata. Scendiamo dal passo con calma, su sentiero ripido e spesso scivoloso, ma privo di problemi; è solo necessario fare attenzione al terriccio insidioso e alla poca neve che si incontra in alto. Man mano che ci si abbassa, però, la neve aumenta e troviamo necessario rimanere al di fuori dell'ampio canalone, sulle facili rocce che lo costeggiano sulla destra: il pensiero di una scivolata lungo i ripidi salti di ghiaccio del canale, fino alle rocce della morena poche centinaia di metri sotto, non ci entusiasma. Solo pochi passaggi si rivelano delicati e relativamente pericolosi, ma ce la caviamo senza intoppi fino alle ultime rocce.
Ad un certo punto il costone roccioso che delimita la destra del canale si interrompe con alti dirupi ed è necessario trovare un modo per discenderli. Con buon intuito troviamo il giusto sistema di cenge per abbassarci lungo il limite dei dirupi ed alla fine troviamo un facile canalino di roccette instabili lungo il quale riusciamo a raggiungere i nevai alla base del costone ed infine i grandi massi della morena. Non è stato impegnativo, ma la stanchezza e la lunghezza della giornata cominciano a farsi sentire e l'attraversamento della lunga morena, tra massi accatastati instabili, si rivela quanto mai faticoso. Diventiamo parecchio lenti in questa marcia, stanchi come siamo, e la monotonia e l'instabilità dei massi, dai più grandi ai più piccoli, fanno la loro parte. Il termine della morena è salutato con esultanza.
Impieghiamo diversi minuti per capire dove dobbiamo andare: gli schizzi che riporta la nostra guida sono insufficienti e non riusciamo ad identificare i pendii sui quali si dovrebbe trovare il bivacco. Attraversati gli ultimi nevai incrociamo una serie di ometti e segnali che decidiamo di seguire; passo dopo passo ci avviciniamo al bivacco ed aggirati gli ultimi massi, al di la di un dosso erboso spunta la meta del nostro cammino.
Dentro si è già sistemato un signore, da solo, sulla sessantina, veterano cercatore di cristalli, ex alpinista; uno che lo Spigolo Nord del Badile lo ha salito per quaranta volte, uno delle nostre parti, tra l'altro, uno delle Grigne, che ha fatto gli esami per diventare guida torchiato dalle domande di Cassin. Parliamo parecchio insieme, delle sue esperienze, delle conoscenze comuni delle vie delle Grigne, delle torri che conosciamo bene, del Badile, delle sue scalate giovanili, del modo di andare in montagna ai suoi tempi, dei cristalli, dei cercatori. E' un tipo simpatico ed estroverso. All'inizio noi ce ne stiamo fuori dal bivacco, da parte, a mangiare la nostra cena, ma poi ci prepara un buon caffè e ci offre anche della grappa. Accettiamo tutto con gioia.
Vicino al bivacco c'è anche una tenda, occupata da un altro gruppo di ragazzi, anche questi in cerca di cristalli. Questi rimangono però sempre per conto loro e scambiamo non più di un saluto. Passiamo una bella tranquilla e riposante serata e la notte nel bivacco è più calda del previsto: siamo abituati ai bivacchi in luoghi e stagioni ben più fredde; a duemila metri in pieno agosto si sta splendidamente.

Il Badile ripreso dal Sasc Furà

La mattina ci alziamo con calma; non puntiamo neppure la sveglia: non abbiamo nessuna fretta e lasciamo che siano la luce e i rumori del giorno a svegilarci. Facciamo colazione con un altro caffè, pane e miele e quindi ci apprestiamo a riprendere il cammino in direzione del passo Turbinasca e del rifugio Sasc Furà. Fuori dal bivacco il tempo è discreto ma a tratti le nuvole si abbassano ad avvolgere tutto in una fitta nebbia. Ancora non sappiamo nulla della strada che dobbiamo fare; di più: non sappiamo assolutamente quale sia il passo Turbinasca; disponiamo appena della descrizione della guida, ovviamente completamente sbagliata: la descrizione dell'aspetto del passo è del tutto diversa dalla realtà e ovviamente ci dirigiamo nel posto sbagliato. Saliamo dal bivacco in direzione del Pizzo Turbinasca, seguendo una serie di ometti che ci fa credere di essere sulla strada giusta, ma dopo un bel po' di salita e di fatica arriviamo al termine di una rampa rocciosa che non si affaccia su nessun passo: al di là si stende si la Svizzera, ma il crinale su cui ci troviamo precipita per centinaia di metri sul nulla. Ovvio che dobbiamo tornare indietro. Scendiamo fin quasi al bivacco, fino a toccare le morene che lo circondano, e poi vediamo una fila di bolli rossi a volte accompagnati dall'iscrizione "T." - ovviamente abbreviazione di Turbinasca; dei ragazzi di passaggio ce lo confermano e così iniziamo a camminare in direzione opposta a quella che avevamo preso inizialmente, fino ad una profonda spaccatura del crinale completamente invisibile dal bivacco. In una ventina di minuti arriviamo perciò al passo - venti minuti dal bivacco - e pensare all'ora intera persa per niente ci fa innervosire.
Al di la del passo la discesa è divertente, lungo un facile itinerario attrezzato con catene. Silvano scende con agilità, mentre io risento ancora della stanchezza per il giorno prima e scendo lento ed incerto. La discesa mi sembra molto lunga ed il tempo mi sembra non passare mai. Al termine del tratto attrezzato mi riprendo, non avendo più necessità di usare le braccia, e continuiamo più veloci lungo i sentieri sui prati che portano al rifugio. Periodicamente ci infastidisce l'incertezza del percorso: non sapere la strada che dobbiamo fare, non riuscire a capire la direzione del percorso che a tratti si fa invisibile e non capire la nostra posizione relativamente al rifugio non ci piace. Riusciamo comunque a non perdere la pista segnalata dalla rara successione di ometti. Poco per volta, però, le cose si fanno più chiare, fino a quando tutto il sentiero diventa visibile e capiamo che dietro al profilo di quell'ultimo dosso, al di sopra del bosco e oltre un pendio apparentemente invalicabile, si deve trovare il Sasc Furà. Mi distendo il morale e ricomincio a godermi i posti che attraversiamo, i prati, i torrenti.
Raggiungiamo il rifugio di buon mattino e troviamo ad aspettarci il grande dalmata dei gestori; ci sistemiamo a riposare e a fare una buona colazione - più sostanziosa di quel poco che ci eravamo concessi appena svegli - sul tavolo all'esterno del rifugio; c'è un bel sole caldo ed ho la possibilità di scattare quell'ultima fotografia ad un Badile sovrastato da un cielo senza nuvole.
Mentre scendiamo di corsa per il sentiero che ancora ci separa dalla macchina, già fantastichiamo sulle imprese che ci aspettano per i mesi a venire.


Mirko Sala Tesciat
1997

arrampicata       scheda       precedente successivo
© 2007  Green Rock Alpine Club  v2.0             built: 27.05.2007