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home arrampicata Dito Dones - Via del Diedro Obliquo precedente successivo

Dito Dones

Via del Diedro Obliquo

Il Dito Dones è una caratteristica guglia ben visibile dalla Valsassina ed adiacente al vicino Zucco di Teral. Nel 1995, anno di apertura della via, è stata sistemata la via di discesa dalla vetta, con la posa di cavi metallici ed infissi nei punti più esposti. Il Diedro Obliquo sale per la parete sud-est e presenta un'arrampicata bella e divertente, abbastanza tecnica, piuttosto omogenea nelle difficoltà, lungo una successione di diedri e fessure. In via la roccia è sempre ottima, con l'unica eccezione di un paio di lame mobili nella parte bassa. Ottima l'attrezzatura, a spit e resinati; non è un caso il fatto che consultando guide d'arrampicata, si trova in genere la valutazione di questa via espressa in gradi francesi, invece dei più classici UIAA: spesso si tende ad assimilare l'arrampicata al Dito Dones ad un'arrampicata di carattere sportivo, più che alpinistico, ma non ci si lasci tentare a sottovalutarne l'impegno psicologico: su questa via è possibile passare da tratti di 5c con un resinato ogni metro e mezzo, come da tratti di IV e V senza una sola protezione per 10 metri. Un'ultima nota: la via del Diedro Obliquo in senso stretto è la via che segue i diedri della parte superiore della guglia, e parte dalla spalla centrale del Dito Dones, ma per raggiungerne l'attacco senza arrampicare è necessaria una salita lungo un ripido canalino franoso e l'attraversamento di una successione di cengette instabili e rampe scivolose, nella pratica quasi mai percorse da anima viva; è quasi impossibile trovare qualcuno che rinunci a concatenare alla via i primi tre tiri della Via Lunga, un modo da percorrere in arrampicata l'intera guglia.

Difficoltà: D+ (tratti tra il V+ e il VI, A0, 6a+ in libera)
Sviluppo: 4 lunghezze, 100 m
Esposizione: SE
Chiodatura: buona
Materiale: 10 rinvii, 1 corda
Salite: 26.09.98    Mirko, Silvano
28.05.06    Mirko

AvvicinamentoDa Ballabio Superiore, dal parcheggio presso l'inizio della strada per il Pian dei Resinelli, si imbocca il sentiero sv.62 sul retro della Trattoria Alleluia; la stradina è stretta e dà l'impressione di entrare in casa di qualcuno, ma una volta finito l'asfalto ci si accorge di essere sulla strada giusta. Si sale seguendo il sentiero principale, si evitano un paio di diramazioni sulla sinistra, e in breve si ragiunge la cascina Piazza, nell'unico punto della salita dove il bosco lascia spazio a prati più aperti. Si prosegue lungo il sentiero sv.64, che sale sulla destra (evitare di nuovo a sinistra la deviazione per la Valgrande). In pochi altri minuti si raggiunge la base del Dito Dones, contraddistinta da un ben visibile ometto di sassi. Appena sopra all'ometto una piazzuola; appena sopra alla piazzuola la placchetta di attacco.
Se si volessero evitare i primi tre tiri della Via Lunga si dovrebbe proseguire lungo il ripido canalino che sale a destra delle pareti del Dito, e andare a cercare le cengette che conducono fino alla spalla, ma non è detto che la soluzione sia più facile e più sicura dell'arrampicata che si vuole evitare!

Placchetta di attacco

L1Dall'attacco sono già visibili i primi spit, e la via di salita risulta ovvia, prima lungo una placchetta compatta, quindi lungo una rampa sulla destra di uno spigolo. Dal resinato di partenza di sale in verticale fino a un primo spit, quindi si piega a destra verso il secondo, in prossimità dell'uscita dalla placca; il muretto non è elementare (V), un po' scivoloso, inizia a presentare segni di usura. Passata la placca si prosegue lungo i gradini di una rampa più facile; percorrendola si incontrano un altro paio di spit, sulla parete di sinistra. Si raggiunge un comodo terrazzino al termine della rampa. Ci si rivolge ora alla parete di sinistra, da attraversare per raggiungere lo spigolo della guglia. Dal terrazzino si arriva a moschettonare uno spit; ci si alza un paio di metri sfruttando inizialmente i gradini di destra, sotto allo strapiombo, e poi la grozza fessura sopra allo spit; comode delle prese rovesce sulla destra e una vaschetta in placca per il piede sinistro (i piedi sono il problema principale perchè la placchetta qui è piuttosto scivolosa). Si sale fino ad incontrare una grossa clessidra con un vecchio cordino consumato; utile la clessidra per l'arrampicata, ma inutile il cordino, obsoleto di fianco all'ultimo spit del tiro. Da qui inizia un traverso un po' delicato (V), lungo una esile cengetta, che porta ad attraversare l'intera placca e a raggiungere lo spigolo sulla sinistra (è anche possibile evitare il traverso e salire direttamente la placca; i passaggi sono un po' meno delicati, ma più faticosi). Una volta sullo spigolo le cose si fanno più facili: si sale qualche gradino erboso, quindi si prosegue lungo un diedrino verticale di qualche metro; non ci sono protezioni ma le difficoltà sono contenute. Oltre il diedro si approda ad un comodissimo terrazzo, dove si trova la catena di sosta. [35m]

L2Si tratta di un tiro elementare, semplice tratto di raccordo tra i due risalti principali della base del Dito. Dal terrazzo di sosta si superano un muretto e una spaccatura; si sfruttano ottime lame, sempre su difficoltà irrilevanti; volendo, superabile in conserva. Oltre il muretto si raggiunge un nuovo terrazzo, con la sua catena di sosta e calata. Si prosegue oltre lungo un sentierino che in pochi metri porta fino al punto di attacco del tiro successivo, segnalato dal solito resinato alla base di una placchetta. [5+20m]

Diedro di attacco dela L3, dalla sosta

L3Terzo e ultimo tiro della Via Lunga necessario per raggiungere il Diedro Obliquo; mediamente più semplice del primo tiro, ma con un punto da non sottovalutare. Dall'attacco si parte su terreno abbastanza facile (IV) lungo un diedro. Dal diedro ci si porta sulla placchetta di destra, si passa uno spit, quindi si traversa un metro a destra in piena placca per superare gli ultimi passi di un muretto verticale; ci si trova qui nel mezzo di un lungo tratto privo di ancoraggi; volendo integrare le protezioni ci si può trovare una buona clessidra. Dopo pochi altri facili gradoni si arriva ad un piccolo terrazzino, al di sotto di un muro verticale e di uno strapiombo. Si raggiunge finalmente un nuovo spit, un po' in alto, nel mezzo di un muretto verticale. Qui l'arrampicata inizia a farsi più complicata; si inizia lungo il muretto di IV+, più semplice da superare tenendosi parecchio a destra, dove si trovano un paio di ottime lamette, quindi si fa più difficile e faticoso. Si attraversa il muretto fino allo spigolino sulla sua sinistra, ci si alza un altro passo e si arriva a moschettonare un bel resinato (invisibile dal basso); finiti i passaggi più faticosi iniziano quelli più delicati (V): un paio di movimenti che in traverso devono portare, a sinistra, alle facili lame della parete principale, al di fuori dello strapiombo; per il traverso utile una bella maniglia scintillante, ben levigata dall'uso. Da qui l'arrampicata è più semplice, su roccia molto lavorata, tra buchi, lame e clessidre. Si supera una successione di divertenti muretti verticali, dove un altro paio di spit sono utili per individuare la giusta direzione. Attenzione all'ultimo muretto prima dell'uscita: una grossa scaglia mobile alla base di una fessura sembra un appoggio perfetto; meglio tenersi mezzo metro a sinistra della linea più facile. La sosta è su catena, con un unico capo assicurato ad uno spit. [40m]

Quello che segue è un nuovo tratto di raccordo tra il termine del tiro e l'attacco della via del Diedro Obliquo vera e propria. Si segue il sentierino che porta alla base della grande parete principale della guglia, quindi la si contorna verso sinistra. Al principio il sentierino scende per qualche metro, quindi si raggiunge un bel cavetto metallico che assicura l'intero traverso come una via ferrata. Il traverso non è corto nè banale: sempre ben aggrappati al cavo si superano tratti che non sfigurano nemmeno davanti al VI grado del Diedro. Specialmente nell'ultimo tratto, dove un giovane faggetto sbarra la strada ai ben intenzionati arrampicatori. L'attacco del tiro che segue si trova, come è ovvio, alla base di un grande diedro, un paio di metri oltre il termine del cavo.

Attacco del diedro della L4, dalla sosta

L4Questo tiro e il successivo sono il cuore della via; non ci si trova il "vero diedro obliquo", che si incontrerà solo nel sesto tiro, ma offrono un'arrampicata straordinaria, omogenea dal punto di vista tecnico e atletico, sempre molto emozionante. Le difficoltà variano tra il V+ e il VI, con una predilezione per l'atletico, sopra al tecnico. Raramente si trovano buoni punti di riposo, quindi approfittarne quando se ne ha l'occasione. La linea di salita è ovvia ed obbligata: semplicemente si segue il lunghissimo diedro che dall'attacco sale in verticale, a tratti in strapiombo. Si sfruttano le tacchette che si trovano alla destra come alla sinistra della spaccatura, su roccia solidissima, purtroppo in qualche punto un po' usurata. La parte iniziale è forse quella un po' più complicata, più aggettante e dove gli appigli sono un po' più ridotti, ma è protetta da una lunga successione di resinati molto vicini. Si incrociano un altro paio di spit nella parte superiore. Si raggiunge la sosta in mezza lunghezza di corda; si trova una catena spittata sopra ad un piccolo terrazzino, appena a sinistra del diedro. [25m]

L5Semplicemente la fotocopia del tiro precedente. L'omogeneità del posto rende impossibile la descrizione di particolari punti di riferimento. Si sale sempre lungo l'evidente diedro, tra difficoltà costanti (V+/VI) e su roccia dalla solita struttura a tacchette e rare scaglie. Anche in questo tiro gli 8 resinati di assicurazione offrono una protezione eccellente. Al termine del diedro si esce sulla sinistra e si raggiunge un cavo metallico, un po' arrugginito ma decentemente solido; è possibile utilizzarlo in stile ferrata per superare quello che rimane del tiro: una ripidissima traccia franosa di erba e terriccio. Qualche metro più in alto si fa la conoscenza del punto di sosta e della pianta intorno alla quale è assicurato il cavo.
La "ferrata" finisce in corrispondenza di una grossa cengia: è la cengia che contorna l'intera testa del Dito Dones. Per il tiro successivo non si parte dalla sosta appena raggiunta, ma si prende la cengia per portarsi a sinistra, si scende qualche metro, e infine si raggiunge la base del vero "diedro obliquo". Un resinato e una scritta ("diedro obliquo VI") indicano il punto di attacco. [30m]

Il "Diedro Obliquo"

L6Dal punto di vista tecnico si tratta del tiro più difficile della via; dal punto di vista atletico non regge il confronto con i due precedenti, ed è decisamente meno continuo nelle difficoltà. La sosta d'attacco è quella indicata dal resinato, ma l'arrampicata non parte esattamente dal diedrino in cui è infisso: un metro più a sinistra sale il grande diedro obliquo; l'aspetto è inconfondibile e una successione di ben visibili spit segnala la direzione di salita. Si parte tra gradini di roccia spaccata molto facili. Dopo un paio di metri e raggiunto il primo spit inizia il diedro, obliquo verso sinistra. L'arrampicata non è esattamente da diedro, perchè si utilizzano quasi esclusivamente le tacche del lato sinistro (VI-), decisamente più appoggiato. Al contrario la parete di destra è più verticate, con tratti strapiombanti: l'arrampicata è singolare perchè a ridosso degli strapiombini della parete di destra deve restarsene obliquo anche l'arrampicatore... Si raggiunge un secondo spit e poi un terzo nel tratto di diedro che porta fin sotto an un imponente tetto; sotto al tetto una placchetta inclinata e liscia, che deve essere attraversata verso sinistra. Due spit proteggono il traverso, che insieme all'uscita dal tetto costituisce il punto più impegnativo della via. L'uscita in particolare è delicata e faticosa (VI+, non obbligato); può risultare più semplice abbassarsi mezzo metro ad un buon appoggio sullo spigolo e rialzarsi lungo questo fino all'altezza del tetto. Una volta ristabilitisi a sinistra del tetto, in pochi altri passi lungo una spaccatura verticale (V) si raggiunge un ultimo spit, che permette di riposarsi dalle fatiche appena compiute. Il resto del tiro è più semplice (prima V, poi IV) ma totalmente privo di ancoraggi; si sale inizialmente in verticale, per muretti e lamette, quindi in diagonale a sinistra, sempre più pronunciata; si tende a contornare il Dito in direzione dello Zucco di Teral. Superati i primi muretti si passa su roccia più articolata a buchi e clessidre. Si incontra il mozzicone della vite di un vecchio spit, forse giudicato superfluo dopo i 10 metri senza protezione appena passati. Un ultimo breve muretto e si raggiunge il comodo terrazzo della sosta: una catena spittata con anellone. Una delle due maglie di ancoraggio della catena non è in condizioni particolarmente incoraggianti. [25m]

Parete della L7, dalla sosta

L7Si attacca la parete soprastante partendo poco più a destra della sosta (attenzione a non seguire la cengia verso destra fino ad una seconda sosta con spit e fittone). Si sale in verticale con arrampicata un po' faticosa (V+) su roccia dall'aspetto decisamente ostico. Si supera un primo spit e si raggiunge, seguendo una spaccatura, un vecchio solido chiodo, reso inutile dalla vicinanza di un nuovo spit. Qui si inizia un traverso che porta a contornare a destra una pancetta un po' strapiombante. In vista di un esile caminetto si torna a salire in verticale fino a raggiungerlo (spit). Le cose iniziano a farsi più semplici; si risale il caminetto fino a metà altezza, quindi, raggiunto un ultimo spit, se ne esce di poco a sinistra per portarsi su rocce ben manigliate. Quello che resta è decisamente semplice, su roccia salda e lavorata. Si traversa decisamente a sinistra, quindi si prende un sistema di facili rampe e gradini. Passato un ultimo muretto verticale si raggiunge la sosta, a poca distanza dalla croce di vetta. [20m]

DiscesaQualcuno attrezza una doppia (lunga) a partire dall'ancoraggio posto proprio sotto la base della croce. Molto comodo è scendere invece lungo la facile via ferrata con cui è stato attrezzato il versante della testa del Dito che guarda verso la Valsassina. Passati i 40 metri di ferrata si approda al ballatoio che contorna il Dito e se ne sfrutta il sentiero che porta fino alla sella tra Dito e Zucco di Teral. Si prosegue verso destra lungo un sentierino, un po' esposto ma attrezzato con un cavetto metallico. In breve si raggiunge il canalino franoso che scende ripido costeggiando il Dito. Se qualcuno è stato tanto incauto da avere voluto evitare i primi tiri della Via Lunga e da avere lasciato del materiale all'attacco del Diedro dovrà a questo punto scendere il canale e tornare a cercare le cenge per la spalla; tutti gli altri possono proseguire oltre, sempre per sentiero, inizialmente in piano su tracce esili, poi in ripida discesa su tracce ben marcate. Si scende per pochi minuti fino a reimmettersi sul sentiero principale, quindi, imboccatolo verso destra, si raggiunge in qualche altro minuto la base del Dito Dones e la placca d'attacco. Da qui si torna a Ballabio lungo lo stesso sentiero di salita.

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