Torrione del Cinquantenario
Via Gandini
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La via è semplicemente splendida. La linea di salita è ovvia, la roccia è sempre perfetta, le difficoltà mediamente impegnative, tanto da divertire ed entusiasmare chiunque, l'arampicata è spesso dura e faticosa tanto da giustificare ampiamente le tre ore necessarie a completare la via, ma è sempre bella ed emozionante; così pure la verticalità e l'esposizione ne fanno una via indimenticabile. La chiodatura è perfetta per una via di questo tipo: le soste sono comode e a prova di bomba e lungo i tiri ci sono i pochissimi chiodi originali integrati da uno spit - nell'ultimo tiro - ed un paio di resinati; più della metà delle protezioni deve essere approntata su clessidre ma mai con difficoltà; dadi e friend possono al limite essere eliminati del tutto. |
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Difficoltà: |
TD (molto sopra al V, due tratti di VI-, A0, 6c in libera) |
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Sviluppo: |
5 lunghezze, 130 m |
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Esposizione: |
S |
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Chiodatura: |
buona, soste su catena |
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Materiale: |
10 rinvii, 2 corde (comoda 1 staffa) |
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Salite: |
26.04.98 Mirko, Andrea
19.09.98 Mirko, Silvano
01.05.00 Mirko, Andrea
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AvvicinamentoL'avvicinamento è lo stesso necessario per raggiungere la normale o le altre vie del Cinquantenario. Può essere raggiunto comodamente dal rifugio Rosalba, in pochi minuti. Dai Resinelli, il più comodo e veloce è l'avvicinamento per il sentiero delle Foppe (n.9) che, partendo dal rifugio Alippi, porta senza giri viziosi fino ai pendii del Rosalba; ancora più diretto il sentiero dei Morti che si stacca dal sentiero delle Foppe e risale ripido fino al gruppo di torri; evidenti cartelli segnalano l'intero percorso. Per il sentiero dei Morti ci si avvicina al Torrione del Cinquantenario dal basso e lo si individua immediatamente, appena usciti dal bosco. Il sentiero prosegue lungo i crinali che delimitano il canalone ghiaioso al di sotto delle torri. Una volta raggiunto il canalone alla base del torrione non lo si segue verso l'alto, come per le altre vie, ma lo si attraversa lungo un sentierino, in prossimità del punto più basso del torrione. Raggiunta l'altra sponda del canale si risale, ancora per un sentierino, il dosso che circonda la base della parete del torrione. La via inizia dalla fessura che taglia la perete e raggiunge la sua base proprio alla sommità del dosso.
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Sviluppo della L1, dall'attacco |
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L1Il primo tiro attacca direttamente la fessura, molto evidente: all'inizio della fessura si trova un buon anellone d'assicurazione, separato dal sentierino da una rampa di due o tre metri di elementari roccette. L'approccio è ostico quasi subito; i primi due metri di IV grado lasciano spazio subito al V, ma all'unico chiodo del tiro si arriva comunque senza problemi anche se a prima vista può sembrare un po' in alto. Dal chiodo le cose si complicano e la fessura si trasforma in un V+ piuttosto faticoso. Volendo si trova il modo per proteggersi con dadi e friend. Al termine della fessura, invece, dopo una quindicina di metri, le cose si fanno più facili e nonostante l'assenza di chiodi ci si può aiutare con le numerose clessidre del III grado che resta. Questa seconda metà può essere affrontata lungo l'evidente caminetto, ideale prosecuzione della fessura d'attacco, di III, oppure ci si può tenere sulla destra, sulle rocce lavorate al suo esterno, non superiori al IV, più elegante, forse, ma la via originale segue il caminetto. La sosta è su una buona catena su un comodo pulpito, al di sotto di uno strapiombo.
L2Il secondo tiro sale direttamente proprio lo strapiombo: dalla catena si sale verso destra lungo ovvi elementari gradoni, per un paio di metri, fino a raggiungere la base del pronunciato strapiombo: in libera sarebbe un bel 6c ma per i meno abbienti può essere trasformato in un A1 molto faticoso; si consigliano staffe - anche improvvisate con fettucce, se necessario. Lo strapiombo è corto, ci sono solo due chiodi, a venti centimetri di distanza tra di loro; già il primo è raggiungibile a fatica alzandosi sulla punta dei piedi dalla base dell'ultimo facile gradino. Con fatica si sale in artificiale fino al secondo chiodo, ci si alza quanto possibile e quindi si esce sulla sinistra: l'uscita è delicata e richiede un buon equilibrio perchè con un solo piede sulla staffa ci si deve affidare totalmente ad un solo appiglio traverso degno del VI- che segue lo strapiombo. Una volta superato lo strapiombo si attraversa prima a sinistra e poi in diagonale, sempre a sinistra, la placcheta di VI- che porta ad un chiodo; quindi si segue in nuova diagonale a destra una fessura rovescia, fino a raggiungere una spaccatura verticale. Ci si trova un chiodo all'inizio ed uno a metà, eventualmente utilizzabili per trasformare questo nuovo V+ in A0. Al termine della spaccatura risulta comodo uscirne sulla sinistra per prendere le facili roccette che in pochi metri portano alla seconda sosta, meno comoda della prima, ma la cengia sulla roccia inaspettatamente abbattuta si presenta confortevole nella verticalità del posto.
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Muro verticale della L3 |
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L3Il terzo tiro è il più semplice della via, se si vuole escludere la possibilità della variante all'ultimo tiro. Dalla sosta si alza sempre verticale in perfetta linea retta per meno di venti metri fino alla sosta successiva ed è fatto di pochi metri di V e quindi di IV+. Non ci si trova nemmeno un chiodo ma con un paio di clessidre - se ne trovano diverse - ci si può proteggere a sufficienza. La roccia qui è splendidamente lavorata e ricorda molto l'aspetto e le sensazioni dell'ultimo tiro dello Spigolo del Fungo. La terza sosta è molto comoda e con un po' di buona volontà ci si trova anche lo spazio per sedersi.
L4Il quarto, invece, è il tiro più complicato, anche se le difficoltà si concentrano quasi essenzialmente nei pochi metri di un traverso di VI-. Dalla sosta si inizia un traverso verso sinistra, eventualmente abbassandosi di mezzo metro, lungo un V- delicato che porta all'interno di un ampio diedro. Lo si segue per qualche metro senza preoccuparsi per l'assenza di chiodi: la via è quella giusta e a mezza altezza - dopo sette o otto metri - si trova il modo per rinviare su una bella clessidra. Si prosegue nel diedro fino ad una coppia di chiodi dai quali si inizia ad intuire la linea d'uscita del tiro: da qui si sale ancora qualche metro in leggera diagonale verso destra diretamente ad un altro chiodino - il IV+ del diedro si trasforma qui in un buon V - e quindi si inizia il traverso verso destra; tre metri più in là si vedono già un chiodo ed un vecchio fittone di ferro, ma in mezzo c'è una paretina di VI-. Dal termine del traverso alla sosta, invece, ci sono solo pochi metri di rocce facili. Anche qui la sosta è molto comoda.
L5Per il quinto tiro ci sono due possibilità; la prima consiste nel segure la via che da molti anni seguono quasi tutti i ripetitori della Grandini: lungo una rampa di rocce facili si sale in diagonale verso destra, si aggira l'intera parete e ci si porta sull'ultimo terrazzo della normale che si segue poi fino in cima; il tutto non supera prima il III e poi il IV grado. L'altra possibilità consiste nel seguire la via originale fino alla cima: oggi il compito è facilitato dalla riattrezzatura dello strapiombo operata nei lavori di apertura della nuova via Sony. Dalla sosta si segue la facile rampa fino sotto agli strapiombi del termine della parete; da qui si vede un fittone spuntare dalla parte superiore della paretina verticale; si sale direttamente al fittone lungo un normale V grado (purtroppo completamente sprotetto), quindi con fatica lo si supera con un piccolo spostamento a sinistra, si segue la stretta cengia verso destra fino ad uno spit e quindi - eventualmente in A0 se non ci si vuole abbandonare al 6a dopo la durezza della via quasi terminata - ci si innalza oltre fino alla rampa finale di roccette che conduce alla campanella della vetta.
DiscesaLa discesa è ovviamente la stessa da seguire nel caso della normale: ci si cala dapprima con una doppia da 25 metri in direzione del Cecilia, fino all'ampio terrazzone della sella che divide i due torrioni, quindi ci si porta all'anellone della prima sosta della normale e quindi ci si cala con un'ultima doppia da 40 metri fino al fondo del canalone, scendendo da ultimo lungo i quindici emozionanti metri nel vuoto dell'ampio anfratto che caratterizza la parete Ovest del Cinquantenario.
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