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home arrampicata Ago Teresita - Via Gandini precedente successivo

Ago Teresita

Via Gandini

Una via molto bella ed estetica, difficile e di grande soddisfazione. Si arrampica su terreno complicato, spesso tecnico, sempre eccezionalmente verticale. Le difficoltà sono continue e crescenti, fino al termine del VI del secondo tiro. La roccia è sempre perfetta, con la sola eccezione di un paio di blocchetti nella spaccatura del T2 e di un invitante masso sul terrazzino della sosta intermedia. La chiodatura ormai a prova di bomba; fino a pochi anni fa la via era decisamente poco invitante per via del cattivo stato delle protezioni - in via e in sosta - ma i punti di assicurazione sono stati ormai integralmente riattrezati. La via è relativamente breve, perchè il dislivello complessivo dell'intera guglia non supera i 50 metri, ma i due tiri in cui è divisa non sembrano assolutamente corti. Entrambi i tiri presentano passaggi difficili, tra il V+ e il VI, a volte tecnici, a volte atletici. In seguito alla riattrezzatura avvenuta nel 2003 la via ha cambiato decisamente aspetto, è diventata certamente più sicura e la si afftonta con tutt'altro spirito; tuttavia quello che una volta era il tiro più facile (T2) perchè affrontabile in artificiale, oggi non presenta più gli aiuti dell'attrezzatura originale e per un buon tratto si deve essere in grado di arrampicare in libera su un VI pieno piuttosto faticoso (a meno ovviamente di non attrezzare un artificiale con mezzi propri, a friend e dadi). Uno dei più grandi pregi della via è la sua scarsissima frequentazione: nei ricordi degli arrampicatori sono sempre fresche le sensazioni di precarietà della vecchia attrezzatura, e oggi le accresciute difficoltà la rendono meta di pochi.

Difficoltà: TD- (molto V/V+, tratti di VI/A0)
Sviluppo: 2 lunghezze, 60 m
Esposizione: E/O
Chiodatura: ottima, soste su coppie di fix
Materiale: 8 rinvii, friend, 2 corde
Salite: 07.09.97    Mirko, Andrea
01.05.05    Mirko, Andrea

AvvicinamentoSi segue il sentiero della direttissima (n.8) fino al canalone di Val Tesa. Si risale il canalone per pochi minuti (cartelli per la "cima" della Grignetta e per il "Colle Valsecchi", sentiero n.11). Superata la Guglia Angelina, si raggiunge la base dell'Ago Teresita. Per cengette erbose ci si porta sotto alle rocce alla sua destra (parete est del Clerici), dove un anello nuovo indica la posizione di attacco.

Diedro caratteristico della L1

L1Il punto di attacco è alla base del versante Est dell'Ago, all'inizio della rampa che porta verso il caratteristico diedro. Una volta si sfruttava la catena di attacco della Boga, ma oggi quella via è stata quasi interamente smantellata; oggi si può assicurare su un fix nuovo, un po' a sinistra della linea di salita. L'inizio del tiro è molto facile, valutabile intorno al III; si sale sempre in linea retta, direttamente verso la base del diedro, seguendo una serie di spaccature che rendono la rampa ben articolata ed appigliata. E' il solo tratto della via che si possa dire meno che verticale. L'intera lunghezza della rampa è attrezzata da un solo fix, più o meno a metà altezza. Al termine della rampa, invece, a una quindicina di metri dall'attacco, si trova una nuova coppia di fix. Il fatto che i fix siano due soggerisce che questa potrebbe essere usata come sosta intermedia, per spezzare la via in 3 tiri invece di 2; tuttavia la concatenazione di questi due "mezzi" tiri comporta la salita di un unico tiro di 30 metri, sempre rettilineo, senza nessun problema di scorrimento di corde, quindi la soluzione più pratica consiste proprio nella salita continuata di tutta la lunghezza. Un tempo, in luogo di questa coppia di fix, si trovavano due piccolissimi chiodini con anello fine, arrugginiti, molto precari e fragili, piantati in roccia tutt'altro che salda; potevano funzionare al massimo come aiuto psicologico, ma l'arrampicatore dovea sempre attrezzare qualcosa con mezzi propri. Da qui parte il bellissimo e difficile diedro, tratto chiave di questa prima metà di salita. Verso la metà del diedro, sulla placca di destra, si vede un bel fix di assicurazione - una volta inesistente - mentre più in alto, a un paio di metri dall'uscita, si trova un vecchio chiodone, questo decisamente più robusto, e utilizzabile anche oggi per una buona assicurazione. La salita del diedro non è facile, e le difficoltà sono crescenti con l'altezza; si arrampica sulla placca di destra - quella attrezzata - tenendosi sempre vicini al diedro; la salita non è una tipica arrampicata da diedro, è piuttosto un'arrampicata da vera e propria placca, perchè la quasi totalità degli appigli si trovano sulla destra; il diedro è sfruttabile solo in parte con i piedi, che in un paio di occasioni possono trovare qualche appoggio o incastro nella sua fessura. Si sfruttano dunque le tacchette della placca, sempre sufficientemente nette, ma per nulla riposanti; il tratto del diedro è sempre complicato e tiene le braccia costantemente in tensione, quindi bisogna fare attenzione ad arrampicare in modo deciso e a risparmiare al massimo le forze. Al principio si sale direttamente in direzione del primo nuovo fix; dopo di questo le cose si complicano un po', l'sposizione sale, le difficoltà aumentano; si cerca qualche nuova tacca tenendo un po' a destra, allontanandosi un po' da diedro, per poi tornare a sinistra; quando si parte ci si trova su un bel V-, ma quando si raggiunge il secondo chiodo si è già superato un buon V/V+. Utilissimo il buchetto poco a sinistra del secondo chiodo, che offre un appiglio di insperata facilità. Il tratto più difficile del tiro è quello che manca dal secondo chiodo per raggiungere l'uscita del diedro: è facile alzarsi il primo metro, ma alla fine l'uscita vera e propria costringe a passaggi piuttosto delicati e faticosi; è utile cercare riparo tra gli appigli sopra alla paretina di destra, anche se la linea di salita vorrebbe condurre a sinistra. Non permettere alla stanchezza di convincere ad utilizzare il chiodo con il piede, come fanno in molti: il buco a sinistra del chiodo non è visibile dall'alto, ma se lo si ricorda si sarà in grado di utilizzarlo con maggiore profitto. Una volta fuori dal diedro è fatta: mancano solo pochi metri di terreno più facile e abbattuto; in breve si raggiunge la sosta, su un piccolo e relativamente comodo terrazzino, sul versante nord-occidentale della torre. La sosta oggi è molto bella, fatta da due bei fix nuovi; una volta era attrezzata da un chiodo arrugginito da integrare con un paio di friend precari, da piazzare in una fessurina svasata e molto poco invitante.

Placca di attacco della L2, dalla sosta

L2Il secondo tiro è quello a tutt'oggi indicato nelle relazioni pubblicate come tiro di VI-/A0. La valutazione era vera una volta, quando i vecchi chiodi degli apritori erano ancora in posto, e sebbene arrugginiti, precari e malconci, permettevano all'arrampicatore un'arrampicata artificiale relativamente semplice e non troppo faticosa. Oggi invece la valutazione è assolutamente falsa: i vecchi chiodi - con una sola eccezione - sono stati rimossi, e al loro posto sono stati piazzati due soli fix: l'artificiale è diventato impossibile e i fix stessi sono stati messi su una linea completamente diversa da quella originale, un metro e mezzo più a sinistra, e obbligano a passaggi ancora più difficili di quelli del passato. Dalla sosta sono già visibili i due fix nuovi, ed è subito evidente che vogliono tenere distante dalla linea di salita della spaccatura originale. Si parte entrando nel fondo della spaccatura, si sale lungo il suo profinlo sinistro, e si punta in diagonale verso il primo fix; questo primo tratto è relativamente semplice, un V/V+, anche se piuttosto faticoso. Quando si moschettona il primo fix ci si rende conto di avere a portata di mano anche uno dei vecchi chiodi, ancora al suo posto, ormai inutile, vista la presenza del fix. Da qui è difficile salire direttamente verso il secondo fix: è vantaggioso invece tornare di nuovo nella spaccatura originale, salire di un metro e raggiungere il secondo degli unici due chiodi originali ancora al suo posto; questa volta il chiodo - sebbene non particolarmente solido - è utilizzabile; ci si alza ancora un altro metro e finalmente si riesce a rispostarsi completamente a sinistra, in una posizione assolutamente innaturale e illogica per la linea di salita, a moschettonare il secondo fix. Questo secondo tratto, tra i due fix, è decisamente più complicato del primo, più delicato e più faticoso. Ci si può aiutare proteggendosi eventualmente con un friend: una bella fessura permette il posizionamento di un ancoraggio solido prima del traverso a sinistra verso il secondo fix. Fino a qui due fix e un chiodo vecchio; da qui fino al termine del tratto difficile, invece, il nulla: per l'arrampicatore diventa definitivamente chiara la modifica fatta alla via: la successione di chiodi del vecchio artificiale è stata sostutuita da due fix fuori via nella metà bassa e dal nulla nella metà alta. Per proseguire si torna dal fix dentro alla spaccatura e si cerca di proseguire il più velocemente possibile per i metri successivi, che portano con fatica e senza possibilità di riposo fino al termine della spaccatura. Dapprima ci si muove in diagonale verso desrta, per entrare nella spaccatura, e poi direttamente in verticale, priviliegiando il lato sinistro della frattura, che offre gli appigli migliori. Volendo ci si può proteggere con un nuovo friend e magari un dado. La velocità potrebbe essere importante in questo tratto, per riuscire a portarsi oltre le difficoltà prima del cedimento delle braccia sottoposte a una fatica costante. A quattro o cinque metri dal secondo fix si arriva finalmente a moschettonare un altro chiodo. Da qui le cose si fanno molto più semplici: si prosegue per rocce più rotte e articolate in una successione di muretti molto appigliati; un tratto quasi riposante paragonato a quello appena superato. In breve si raggiunge un bel terrazzo e la base di un ultimo muretto: una placchetta di due o tre metri di V. Una volta attrezzato da un chiodo alla sua base; oggi al chiodo è stato aggiunto un fix nuovo. Superato per facili tacchette si raggiunge il terrazzo della cima. Ci si trovano la vecchia catena di calata - sulla base del terrazzo - e una nuova catena sulla paretina della testa dell'Ago. Attenzione a chi volesse cimentarsi nella risalita dell'ultimo metro di roccia, fin sopra al masso appoggiato della cima: la cima del Teresita è fatta di massi appoggiati molto instabili: è consigliabile lasciarli quanto più in pace possibile.

DiscesaLa discesa si fa obbligatoriamente in doppia. Chi ha una sola corda può cimentarsi in una serie di tre calate lungo la stessa via di salita. Assolutamente consigliabile è comunque una discesa con una calata unica da 50 metri, in direzione dell'intaglio Teresita-Agelina: è una calata molto facile e comoda. Fare attenzione scendendo che i capi di corda raggiungano il punto di atterraggio: la lunghezza è di 50 metri quasi precisi.

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