Torrione Magnaghi Meridionale
Via Albertini
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La via è molto bella, divertente, estetica, non banale nonostante le difficoltà massime contenute. Se la si trova nella giuste condizioni è emozionante e coinvolgente, ma si tratta di condizioni quasi impossibili: le giuste condizioni sono quelle della calma, ma questa è una delle vie più frequentate della Grignetta, e ogni fine settimana è attraversata da decine di cordate; spesso meta di corsi di arrampicata e di numerosissime compagnie. Per evitare problemi di traffico si consiglia di scegliere orari insoliti: partire molto presto la mattina, o eventualmente dedicarla ad una chiusura serale. L’intera via si svolge su roccia perfetta, anche se - ovviamente - a tratti consumata dal passaggio delle numerose cordate; inesistenti i pericoli di rocce instabili. Anche la chiodatura è ottima: i vecchi chiodi sono stati ovunque sostituiti o integrati da nuovissimi fix cementati e l’articolazione della roccia è tale da permettere molto spesso l’integrazione delle protezioni con mezzi propri: le clessidre sono abbondanti e volendo si trovano ovunque occasioni di protezioni a friend o dadi; cosa peraltro inutile. |
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Difficoltà: |
D- (IV, punti di IV+) |
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Sviluppo: |
5 lunghezze, 160 m |
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Esposizione: |
S |
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Chiodatura: |
ottima, soste su catene a fix |
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Materiale: |
6 rinvii, 1 corda |
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Salite: |
03.11.96 Mirko, Silvano, Andrea
14.09.97 Mirko, Silvano, Andrea, Tiziana
03.04.05 Mirko, Andrea
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AvvicinamentoE' possibile raggingere il torrione in modi diversi, ed in particolare il versante della via Albertini. E' possibile seguire la Cresta Cermenati (sentiero n.7) fino al traverso per i Magnaghi e quindi il traverso fino al Canalone Porta (n.3), oppure seguire direttamente il Canalone Porta stesso fino al punto di incrocio con le deviazioni per la Cermenati, a sinistra, e la Senigalia, a destra (cartelli). Da qui si prende il sentiero di destra, in direzione della Cresta Senigalia, per portarsi in pochi metri in vista della cresta in corrispondenza della Bocchetta dei Prati; si risalgono i successivi pendii per evidente sentiero, costeggiando a destra le pareti Est del complesso di guglie che precedono il Torrione. Si arriva in pochi minuti all'altezza di una evidente spaccatura che taglia la cresta di sinistra proprio in corrispondenza dello spigolo Sud del Torrione Magnaghi Meridionale. Allo stesso posto si perviene anche seguendo semplicemente la Cresta Senigalia (n.1). Da qui si lasciano i terrazzi erbosi per dirigersi esattamente verso la spaccatura; l'accesso comporta una semplice arrampicata su roccette elementari (II) ma non sempre salde. Si attraversa la forcella e si scende per facili rocce il canalino dalla parte opposta. Si arriva, costeggiando la parete Sud del Magnaghi meridionale, in vista dell'intaglio tra il Magnaghi e il Sigaro. Attenzione a non scendere troppo nel canale: il primo tiro porta al punto d'incontro tra il Magnaghi e il Sigaro (sosta in comune con la normale) ed è più facile raggiungerlo da destra, piuttosto che dal basso; se si presta attenzione, sul versante di sinistra del canale - scendendo - si noteranno due fix di assicurazione.
L1Dalla catena nel fondo del canale si seguono in diagonale verso sinistra le facilissime roccette che portano fino all'intaglio tra il Sigaro e il Magnaghi. Bisogna fare attenzione a non lasciarsi trasportare dalla facilità del tiro e a tenere sempre presente il punto di destinazione per non finire troppo in alto ed essere costretti, poi, a ridiscendere. Non si sbaglia se si tiene in vista un evidente spuntone sul filo dello spigolo di sinistra. La sosta è comoda e spaziosa, in comune con quella per “le normali” (Fasana e Boga) al Sigaro.
L2Si inizia col salire in leggera diagonale a destra per pochi metri, per dirigersi verso l'inizio del diedro, dove la caratteristica spaccatura dell'Albertini sembra iniziare. La meta è il primo fix di assicurazione, visibile dalla sosta, sulla sinistra del diedro. L'ultimo metro prima dell'inizio del diedro è il più complicato, forse l'unico tratto di tutto il tiro che si può dire di IV+: ci si trova su un muretto verticale, appena assicurati, dove ci si deve adattare ad usare una serie di tacche nette e ad abbandonare finalmente l'idea delle facili maniglie che hanno accompagnato fino a qui. Si rimaane sulla parete di inistra, ma ci si aiuta anche sfruttando qualche appoggio offerto dal diedro. Il resto del tiro è più facile; si rimane sempre nel diedro, prima in profondità, poi più a sinistra, poi di nuovo in profondità. Si trovano un altro paio di fix, e volendo si può integrare il tutto attrezzando con fettucce qualcuna delle numerose belle clessidre che si incontrano. Gli ultimi metri prima della sosta tornano a dare qualche difficoltà: un lieve strapiombino nel diedro richiede un po' di forza per essere superato; ci si tiene nel fondo del diedro e si esce un po' a sinistra, mirando all'ultimo fix di assicurazione; se non ci si sente sicuri, questo è uno dei punti proteggibili da un grande e robusto clessidrone. In pochi altri metri si raggiunge la cengia di sosta, sulla paretina di sinistra, attrezzata da due chiodi e da una nuovissima catena su una coppia di fix.
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Tratto superiore del camino (L3), visto dal Sigaro |
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L3Si riparte immediatamente in verticale, superando le roccette articolate sopra alla catena. Si prosegue sempre in questo modo, sfruttando le numerose manigliette della parete. Al principio le cose sono molto facili; si fanno un po' più complicate a pochi metri dalla sosta, dove si supera un tratto di parete più levigato, che invita a cercare qualche appiglio verso il diedro. Appena sopra le cose tornano a ridimensionarsi e l'arrampicata si fa facile e veloce. Per lo più si rimane sulla sinistra, sulla bella paretina manigliata, e si ignora il diedro. Non ci si dovrà lasciare ingannare nemmeno dove la parete, a due terzi del tiro, sembra farsi più difficile, dove il diedro sembra essere più sicuro e proteggibile: in parete si trovano sempre le maniglie necesarie e le assicurazioni sono sempre integrabili con mezzi propri. Nella parte alta si esce molto sulla sinistra e si chiude la lunghezza con una decisa diagonale a destra che riporta alla sosta in prossimità del diedro.
L4Si attacca dirigendosi immediatamente nel diedro, con un paio di metri di diagonale. Anche in questo tiro, come nel T2, la difficoltà maggiore è il primo tratto di diedro che si incontra sopra alla sosta. Qui il diedro è molto pronunciato, le due paretine sono lisce su entrambi i lati, in modo particolare sulla destra all'inizio, e sulla sinistra un metro sopra, dove trovare un appoggio sicuro per il piede è una cosa delicata; si sale usando gli appigli che si possono trovare in profondità o sulla destra del diedro e con i piedi che spaccano alla ricerca delle tacche migliori; un po' di opposizione con il corpo aiuta a minimizzare la fatica. Il tratto è molto verticale ma breve. Subito dopo si torna ad arrampicare su roccia più simile a quella lasciata nel tiro appena passato. Si segue la successione di fix che mantiene la linea di salita sempre molto prossima al diedro. Un ultimo tratto complicato lo si affronta proprio nel passaggio della definitiva uscita dal diedro: un ultimo tratto verticale in cui il diedro deve essere superato nel centro, sfruttando in spaccata le due pareti e cercando gli appigli migliori in profondità. E' più o meno il punto in cui, da destra, si immette sulla linea dell'Albertini la via dello Spigolo Dorn. Sulla parete di destra del diedro si trova un bel fix nuovo, che protegge in modo perfetto questo ultimo passaggio complicato della via. Non lasciarsi tentare dall'usare il chiodo con il piede, soluzine adottata da molti per uscire dagli ultimi centimetri di difficoltà. Passato l'ultimo tratto verticale del diedro si raggiunge una zona più aperta: la parete di destra del diedro continua verticale e liscia, mentre quella sinistra si abbatte di molto, si fa più appoggiata, e decisamente più facile. Si dovrà attraversare la parete in diagonale a sinistra, in direzione di un poco pronunciato terrazzino sul profilo sinistro del torrione. Questo tratto è protetto da un fix nuovo e da un paio di chiodini vecchi; la roccia non offre maniglie particolarmente allettanti, ma l'errampicata è comunque semplice. Non ci si lasci tentare dall'attraversare troppo presto: la linea di salita è quella di una diagonale molto pronunciata, ma si prosegue a scalini; dove ci si trova indecisi tra un passo a sinistra e uno verso l'alto, preferire sempre la salita, senza forzare l'uscita verso la sosta. Il punto di sosta è molto spazioso e più comodo dei precedenti, attrezzato con la solita catena a fix.
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Verso la fine del diedro della L4, dal Sigaro |
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L5Se si esclude il primo tiro di attacco, dal canale alla sosta comune Albertini/Sigaro, si può dire che l'essenza dell'Albertini sia interamente contenuta nei tre tiri appena conclusi, da T2 a T5, i tre tiri lunghi che salgono in verticale in prossimità del bellissimo diedro che taglia l'intera parete del torrione. Quello che rimane da fare, in paragone, sembra una semplice formalità, un'ultima passeggiata necessaria solo per raggiungere la cima della guglia e trovare il punto di discesa. Ci sono solo un paio di punti che si possono dire non banali, prossimi all'attacco. Si sale prima in verticale sopra alla sosta, poi si piega a destra e si va ad aggirare lo strapiombo che la sovrasta; si sale per una rampetta molto appogiata e si raggiunge la cima di un primo cocuzzolo; ci si trova un fix di assicurazione; è possibile usarlo anche come sosta se si vuole essere sicuri di non avere problemi di scorrimento di corde. Alcuni iniziano qui ad abbandonare la sicurezza degli ancoraggi ed iniziano una progressione in conserva fino alla cima. Sarbbe consigliabile però rimanere assicurati almeno per il primo tratto successivo: un profondo intaglio separa la cimetta su cui si trova dalla successiva cresta del Magnaghi; si può superare l'intaglio a diverse altezza, con spaccate di ampiezza variabile, oppure ci si può adattare a scendere fino alla sua base - solo un paio di metri - e risalire quindi oltre. Una volta portatisi sulla cresta vera e propria del torrione è possibile decidere di proseguire in conserva senza più eccessivi azzardi. E' molto semplice e veloce ormai raggiungere la cima del torrione e quindi il punto del "Traversino", che attraverso un ultimo intaglio ed un bel passaggio aereo di IV+ può condurre fino alla cima del Torrione Magnaghi Centrale.
DiscesaIl termine dell’ “Albertini” è materia soggettiva. La grandissima maggioranza delle cordate decide di raggiungere la cima del Torrione Magnaghi Centrale, e perciò di superare il Traversino e di proseguire poi in conserva fino alla cima, per poi scendere il facilissimo canalino sul versante opposto (assicurati ad un resinato all’inizio del canale, oppure in conserva con un po’ di attenzione); aiutati da un cavo metallico ci si può portare dalla base del canalino fino alla forcella Glasg: questa è la soluzione preferita da tutti quelli che vogliono proseguire l’arrampicata su qualche via del Magnaghi Settentrionale. In alternativa è possibile rimanere sulla cima del Magnaghi Meridionale ed attrezzare una lunghissima doppia direttamente in direzione del canalone Porta; soluzione adottata da chi è partito da quel versante e vuole raggiungere velocemente il suo punto di attacco. Altri ancora attrezzano una serie di doppie lungo la normale al torrione, sul versante orientale, verso i pendii della Senigalia; cosa non particolarmente consigliabile, per gli inevitabili incroci creati con gli arrampicatori sulla normale.
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