Bisogna
innanzitutto precisare che l'approccio teorico verso la medicina da parte
dei medici non è da considerare così automatico come avviene
nei nostri giorni: la medicina, sia in epoca romana che nel periodo medievale,
era una pratica informale e non istituzionalizzata, ed il movimento, a partire
dall'XI secolo, teso a ristabilire la preminenza della teoria medica, fu
in gran parte un fenomeno che interessava una élite culturale,
individuabile nei medici universitari: la complessa teoria galenica e
le sue elaborazioni da parte dei medici e filosofi arabi prima e dai
medici universitari poi era di poco aiuto al medico pratico, che invece
si basava su solidi precetti derivati dalla medicina empirica e dalla tradizione
farmacologica antica. Tra l'altro l'insegnamento della medicina fu in gran
parte di tipo diretto, da padre a figlio o dal medico all'apprendista, per
cui è difficile, specialmente prima del XIII secolo, stabilire quanto
il bagaglio teorico-speculativo influisse sulla pratica.
La medicina erudita medievale si basava essenzialmente sulla nozione galenica
di "complessione", concetto che proveniva dalla
teoria empedoclea degli elementi. Ma la complessione non era che una
delle cosiddette res naturales che presiedevano
alla costituzione dell'uomo nel suo complesso assieme, ad esempio,
alle virtù (animale, vitale e naturale) o alle membra. La salute,
equilibrio degli umori e buona armonia delle res naturales, poteva
essere mantenuta attraverso la cura delle cosiddette
res non naturales, concetto già
presente in Galeno ma che entra nell'uso comune con i commenti
arabi e specialmente con il Canone di Avicenna: la cura dell'equilibrio
della complessione, la scelta degli alimenti e delle bevande, l'eliminazione
delle superfluità, il giusto ritmo del sonno e della veglia
e così via: insomma l'igiene del corpo. |
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