Ma i film hanno un’anima?
Ovvero, si può parlare di filosofia prendendo spunto dai film?
La domanda rimanda al rapporto tra cinema e filosofia, una relazione
ambigua eppure ininterrotta.
La prima osservazione, la più ovvia, è che il cinema
è un’arte che si esprime attraverso le immagini, non attraverso
le parole e i pensieri che ad esse sottostanno. Ma tra le idee, le
parole e le immagini corre molta familiarità: non vi sono idee
che non si esprimano con le parole e non vi sono parole che non
rimandino alle immagini, le quali a loro volta contengono le tracce di
una riflessione, di un pensiero che non necessariamente ha forma
visibile.
La seconda osservazione, non meno ovvia della prima, è che il
cinema è la forma più infelice di arte perché
dipende in misura notevolissima dal denaro, e questo non solo
perché per fare un film occorre molto denaro ma anche, e
soprattutto, perché il principio dominante nell’opinione comune
è che un film è buono se si vende bene.
Eppure il cinema rivela forti attrazioni, dispone di sostanze
espressive la cui potenza è in grado di toccare i nostri strati
inconsci e intuitivi ben al di sotto della sfera intellettiva e
logico-simbolica, dischiude la possibilità di riuscire a
cogliere il pensiero che risiede dietro la fisicità e la
realtà che si nasconde oltre la parola.
Ecco allora che lentamente la macchina da presa scompare e le immagini
si spiegano da sole: è l’uomo che si interroga su sé
stesso, è l’umanità che va a tentoni nel mondo alla
ricerca costante di una via, è questo il vissuto che il grande
cinema predilige ed è questa la filosofia di cui è
depositario; e il cineasta, come il poeta di Heidegger che cammina sul
ciglio cedevole dell’esistenza, prova a sondare una realtà che,
ostile, predilige restare occulta assumendosi il rischio del fallimento
pur di scoprire il senso di quel vissuto.
Si può dunque cercare di ragionare sul cinema con
profondità culturale, in termini diversi dall’analisi delle
trame o dal computo dei soldi.
“Il cinema d’autore è un cinema di poeti, i grandi registi sono
poeti. Un poeta nel cinema è un regista che crea il proprio
mondo e non tenta di riprodurre la realtà che lo circonda,
è questo il cinema poetico.”(Andrej Tarkovskij)
La strada migliore verso lo spettatore è dunque rimanere
sé stessi, farsi strada attraverso il mondo esterno per toccare
le problematiche interne dell’individuo: è in questo modo che il
cinema parla il linguaggio filosofico.