Le isolette dello Stagnone, prospicienti
la costa siciliana a breve distanza da Marsala, offrono
aspetti naturalistici peculiari legati alle loro particolari
condizioni ambientali. La conformazione pianeggiante non
consente infatti agli organismi vegetali ed animali che le
popolano alcun riparo dagli agenti climatici che,
soprattutto nel periodo più caldo dell'anno, sono
severissimi.
La pronunciata aridità ed insolazione estiva, insieme
all'azione dei venti marini ed alla salinità dei suoli,
hanno favorito l'insediamento di una vegetazione adattata ad
habitat difficili, costituita in prevalenza da piante che
riescono a sopravvivere in suoli imbevuti di acqua salata,
le cosiddette «alofite». Queste piante hanno sviluppato
particolari adattamenti per assorbire ed immagazzinare acqua
in tutto simili a quelli delle piante dei deserti. Le piane
e le depressioni periodicamente allagate dalle acque
salmastre costituiscono infatti un ambiente in cui
l'approvvigionamento idrico è possibile solo a specie
vegetali che abbiano forti soluzioni saline disciolte
all'interno delle proprie cellule.
Il territorio delle tre isole principali, (Santa Maria, San
Pantaleo ed Isola Grande) appare comunque fortemente
modificato dall'uomo che ne ha utilizzato vaste estensioni
per la coltura della Vite, dell'Ulivo e dell'Agave. Buona
parte dell'Isola Grande è inoltre occupata da saline.
L'interesse venatorio dei proprietari delle tre principali
isole ha fatto si che venissero immessi numerosi Conigli
selvatici, le cui popolazioni oggi però compromettono
seriamente la vegetazione. Sulle isole sono anche presenti
numerose Lucertole campestri, nonché Pipistrelli albolimbati
e nani.
Le isole dello Stagnone permettono la nidificazione di varie
specie di uccelli fra le quali il Cavaliere d'Italia, il
Fratino e il Fraticello. |
Gli ambienti salmastri, localizzati lungo la costa delle tre isolette, ospitano piante rare ed interessanti come il Fiorrancio marittimo, il Senecione costiero, la Camomilla marina, oltre che diverse specie di Limonium.
Sull'Isola Grande la vegetazione spontanea appare chiaramente diversificata in cinture, a seconda della maggiore o minore distanza dal mare. Piccoli lembi di macchia sempreverde a Lentisco, Olivastro e Asparago pungente sono abbastanza frequenti nell'isola di Santa Maria e San Pantaleo, mentre nell'Isola Grande sono limitati ai tratti più interni ed elevati delle contrade Straboria, Altavilla e Carco. I bassi fondali dello Stagnone ospitano una ricca vegetazione marina costituita prevalentemente dalla Posidonia oceanica, nota volgarmente come «Triscina» , fanerogama adattatasi all'ambiente sommerso, dotata di robusti rizomi per l'ancoraggio al fondale e di lunghe foglie nastriformi. Questa specie forma qui caratteristiche formazioni ad atollo, che costituiscono un ecosistema di soggetti a continue inondazioni e ricoperti da uno spesso strato di cloruro di sodio, sono colonizzati dalla Salicornia amplessicaule, rara pianticella erbacea che forma qui popolamenti quasi puri; le zone più interne dei pantani e delle saline abbandonate ospitano invece una vegetazione più fitta composta da suffrutici con foglie succulente come la Salicornia radicante e la Salicornia glauca, alle quali si accompagnano specie erbacee come l'Erba franca annua e la Spergularia marina. Nelle aree rocciose più rialzate vivono altre specie anch'esse comunque legate ad habitat salmastri, come il caratteristico Limonastro cespuglioso, lo Sparto steppico, lo Statice densifloro. Numerosi sono gli invertebrati legati a questo ambiente, alcuni dei quali esclusivi dello Stagnone, come tre specie di molluschi nudibranchi recentemente scoperte ed alcune specie di spugne.
Nelle acque più a ridosso della costa la vegetazione sommersa è costituita dalla rara Zostera marina, mentre i canali delle saline e le paludi salmastre sono caratterizzati da ricchi popolamenti di Ruppia maritima della sottospecie spiralis. Qui si può osservare l'Aphanius fasciatus o Nono, piccolo pesce capace di vivere nelle acque dolci, marine e in quelle soprasalate delle saline, dove si raduna in genere in folti branchi composti principalmente da femmine. Infine di notevole interesse è la presenza di un piccolo ghiozzetto, ritenuto endemico, il Pomatoschistus tortonesei, scoperto nel 1968 dall'ittiologo inglese Miller.
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Nella riserva e nella pre riserva si
trovano tre vaste aree occupate da saline.
La più estesa è quella dell'Isola Lunga che costeggia la
laguna ed è tra le più attive della provincia di Trapani con
una produzione di sale di migliaia di tonnellate. Altra
vasta area occupata dalle saline si trova a poche centinaia
di metri dall'Isola di Mothia. In essa si trovano due
mulini, uno dei quali lo scorso anno è stato restaurato,
mentre per l'altro è già stato programmato il recupero.
Anche queste saline fanno parte della riserva dello Stagnone.
Appartengono invece alla pre riserva le saline in disuso
dell'ex Villa Genna e quelle prospicienti il Canalone. Si
tratta di impianti ormai abbandonati sul piano produttivo,
anche se sono ben visibili le strutture tipiche delle saline
con le varie canalizzazioni. Per queste c'è già un
interessamento del comune di Marsala per un recupero
estetico e paesaggistico. Nell'isola di San Pantaleo, cuore
della riserva, esiste un esempio emblematico di equilibrio
perfetto tra paesaggio e passato storico. Questa condizione
privilegiata inizia con Joseph Whitaker, appassionato
cultore di archeologia e scienze naturali, che nei primi
anni di questo secolo acquistò l'isola dai pochi contadini
che la abitavano, per eseguire scavi archeologici e
dedicarsi ai suoi hobby naturalistici. Le modifiche da lui
effettuate al paesaggio consistono essenzialmente
nell'impianto di una pineta, nell'espansione dei vigneti
preesistenti e nella costruzione della palazzina con il suo
piccolo museo archeologico, nel punto dell'isola in cui già
esisteva qualche edificio rurale.
Il rosa caldo di queste case, il giallo acceso dei magazzini
di pietra, sono i colori insulari di una architettura
essenziale, tipica delle case più vecchie che si specchiano
sullo Stagnone. Successivamente, protetta dai vincoli
archeologico, ambientale e paesaggistico, l'isola si è
conservata a dispetto dei tempi.
San Pantaleo è sede dell'antica Mothia, città fondata alla
fine dell'VIII secolo a.C. dai Fenici; per la sua posizione
favorevole ai commerci marittimi divenne ben presto una
delle più floride colonie fenicie d'Occidente. Intorno alla
metà del VI secolo a.C. infatti, vennero realizzate le
maggiori opere pubbliche: le fortificazioni; la strada di
collegamento con la costa antistante, ora sommersa, che
conduceva alla località detta «Birgi»; il Cothon;
l'ampliamento dei santuari. Tra questi ultimi il tofet, in
cui venivano deposti i resti combusti di offerte e sacrifici
umani al dio Baal Hammon, ha restituito più di mille stele
scolpite.
La zona «industriale» della città, posta in un settore
periferico lungo la costa settentrionale ed orientale per
proteggere l'abitato dai fumi delle officine, è
caratterizzata dalla presenza di numerosi forni da vasaio,
la cui forma «ad omega» ricalca fedelmente quella dei più
antichi forni della madrepatria.
Tra le diverse strutture urbane di servizio, il Cothon ne
costituiva una delle principali: era questo un piccolo porto
interno, usato per il carico e lo scarico delle merci e
forse anche per la riparazione delle imbarcazioni. Gli
approdi dell'isola erano situati invece lungo la costa
settentrionale, dinanzi Porta Nord, il principale ingresso
alla città. Qui si svolsero i più violenti attacchi nemici,
che si conclusero nel 397 a.C. con la distruzione della
città ad opera del tiranno Dionisio di Siracusa.
Nel corso di quella guerra le numerose e belle case di cui
narra Diodoro Siculo vennero rase al suolo, la città fu
abbandonata al saccheggio delle truppe e parecchie persone
vennero massacrate. Gran parte dei superstiti allora
abbandonò l'isola per fondare Lilibeo, l'odierna Marsala,
sulla costa antistante; qualcuno rimase a Mothia, ma la
città non risorse mai più allo splendore ed alla ricchezza
dei suoi anni felici. Un vano segno di speranza ci è stato
trasmesso dalla ormai famosa statua marmorea del cosiddetto
«Giovane», scoperta nel 1979 sotto un cumulo di detriti,
probabilmente nascosta dai Moziesi, nel timore che i Greci
ne facessero bottino di guerra e nell'intento forse di
ricollocarla in tempo di pace nel suo luogo originario.
L'abitato non è stato oggetto di scavi sistematici, e di
esso si conoscono essenzialmente due case; la prima, adorna
di mosaici pavimentali a ciottoli bianchi e neri,
raffiguranti lotte di animali reali e fantastici, doveva
appartenere ad un cittadino facoltoso; l'altra, denominata
«casa delle anfore» per la presenza di un grosso deposito di
anfore trovato al suo interno, sembra invece far parte del
quartiere artigianale dell'isola.
Mothia non era certo l'unico luogo abitato dello Stagnone:
testimonianze archeologiche sono state raccolte infatti a
Birgi, Santa Maria e nell'Isola Lunga. Quest'ultima, in
particolare, aveva probabilmente la funzione di avamposto
della città per il controllo del mare aperto; Birgi invece
era più ampiamente popolata, come hanno dimostrato i resti
della grande necropoli, in parte scavata dal Whitaker, in
parte distrutta nei secoli dalle arature dei campi.
Per tornare a Mothia, nel luglio del 1988 è stato riaperto
al pubblico il Museo «G. Whitaker», il cui riallestimento
museografico è stato curato dalla Sezione Archeologica della
Soprintendenza per i Beni Culturali ed Ambientali di
Trapani. Nel Museo sono esposti i reperti archeologici più
importanti rinvenuti nell'isola, tra i quali spicca la
statua del «Giovane», eccezionale capolavoro di arte greca
del V secolo a.C. |