Attentato in IRAQ- |
ATTENTATO IN IRAQ-Nassiriya
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Il Foglio, 13 novembre 2003 Il presidente dei Comunisti italiani, Armando Cossutta ha commentato la strage dei nostri carabinieri dando la colpa al governo e ragione ai loro assassini. Con una faccia tosta ineguagliabile, il vecchio amico di Slobodan Milosevic esprime la sua fortissima “collera contro questo governo che ha mandato i nostri figli a morire in una guerra coloniale e imperiale” e conclude con la richiesta di “richiamare in Patria i nostri soldati”. Insomma i terroristi che hanno fatto saltare per aria la nostra caserma hanno ragione, perché si battono contro colonialisti e imperialisti e quindi il loro obiettivo, quello di una fuga degli occidentali dall’Iraq in modo che esso possa essere riconsegnato a Saddam Hussein, va immediatamente accettato. Il cinismo di queste affermazioni fa tornare alla mente quello con cui Palmiro Togliatti si compiacque del fatto che i prigionieri italiani dell’Armir non fossero rimpatriati dalla Russia, perché così il popolo italiano avrebbe imparato la lezione. Anzi, quello di Cossutta è persino più ignobile. L’Italia nel 1941 aveva effettivamente aggredito la Russia insieme all’alleato tedesco, mentre i Carabinieri a Nassiryah svolgono una funzione pacificatrice e difendono la popolazione civile dalle prepotenze dei terroristi e dei signori della guerra. Oggi con il timbro dell’Onu. Quella che irresponsabilmente molti esponenti della sinistra italiana chiamano “resistenza irachena”, puntando a una sconfitta dell’America simile a quella patita in Vietnam trent’anni fa, è un’aggregazione dei più pericolosi nemici della democrazia, della libertà e della pace. Si può discutere, soprattutto dopo l’ultima risoluzione delle Nazioni Unite, sul modo in cui la comunità internazionale deve fronteggiare questo pericolo, ed è comprensibile che l’opposizione punti a far valere, in questa discussione, il proprio punto di vista. Ma oggi, lo dicono anche il diessino Umberto Ranieri e il presidente della Margherita Francesco Rutelli, la priorità è la solidarietà con chi combatte e muore sul campo di battaglia. Chi chiede di ritirare le truppe, chi parla di guerra imperialista è, non solo oggettivamente, complice della sedicente resistenza irachena, cioè si comporta come un nemico. La “resistenza” irachena ha fatto saltare per aria le sedi dell’Onu e della Croce rossa a Baghdad, provocando orrende stragi, non ha niente a che vedere con le pressioni per internazionalizzare il controllo dell’Iraq, per accentuarne il carattere umanitario, per accelerare il passaggio dei poteri ad autorità elette democraticamente. Questi obiettivi, legittimi anche se forse prematuri e intempestivi, sono il tema di un difficile confronto internazionale. L’appoggio a una presunta lotta anticoloniale e antimperialista, invece, rappresenta il tradimento di ogni impegno nella lotta contro il terrorismo internazionale, in cui è impegnata l’Italia, non solo il suo governo e la sua maggioranza parlamentare. E come tale va trattato. |
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Terrorismo: «ATTENTATO IN IRAQ-Nassiriya: Complici della “resistenza” irachena», Il Foglio, 13 novembre 2003 |
Rassegnina |
Attentato in IRAQ -
Nassirya: I soldati contro il "Niente"
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Una
volta tanto le speculazioni politiche su umanità e diritti dell’uomo
passano in secondo piano. Tutti i media hanno giustamente messo in risalto
l’opera dei militari italiani in Iraq, che sono lì ad aiutare gli abitanti
del posto nella ricostruzione del loro Paese. Si tratta di rapporti
personali con la gente: i nostri soldati distribuiscono viveri e medicinali;
mettono a posto strade, acquedotti, elettricità e ospedali; addestrano la
polizia locale; formano contabili e ragionieri per la futura
amministrazione. E gli iracheni ne sono contenti, perché è di questo che
hanno bisogno. Posto che i terroristi distruggono e basta (per il “Niente”,
come dice Ferrara), quello che ci interessa e ci deve interessare sempre di
più è la ragione che muove questi italiani “positivi”.
Leggendo le testimonianze delle vittime e dei parenti, è evidente che per
loro ciò che dà valore alla vita è la percezione esistenzialmente chiara di
un bene che c’è, percezione sostenuta da una tradizione e da una educazione
secolari che ci insegnano che siamo amati: dalla moglie, dai figli, da chi
ci aspetta a casa, in una parola, da Dio.
Per questo uno si sente utile e chiamato a rispondere di questo bene, a comunicarlo a chi ne ha bisogno attraverso il proprio lavoro e la propria pietà. Tanto da mettere a rischio tutta la vita. |