Felicità
Chi desidera essere felice? Io!
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Le invasioni
della politica:
ALLA FELICITÀ CI PENSIAMO NOI
«Il senso è come la fame che si avverte non quando si è sazi, ma
quando manca il cibo. È l’esperienza del negativo a promuoverne la
ricerca, è la malattia, il dolore, non la felicità, sul cui senso
nessuno si è mai posto domande. La ricerca del paradiso, artificiale o
soprannaturale che sia, è la prova provata che la nostra vita non ci
appare davvero priva di senso».
Vedi
Rassegnina
e
Commento
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Mina
Dopo aver visto le facce stravolte di coloro che giovedì sono stati tratti
in salvo dagli ascensori improvvisamente in tilt per quella mascalzonata del
black-out elettrico senza dovutissimo preavviso, sono ancora più
testardamente convinta che la politica debba volare molto, ma molto basso ed
occuparsi di poche cose essenziali. E la conferma mi è venuta poco più
tardi, quando ho sentito la sofferta intervista ad una signora brianzola che
è rimasta per più di due ore senza quell’unica cosa che la tiene in vita e
cioè il suo polmone artificiale alimentato ad elettricità.
A quanto leggo, l’onorevole Pisicchio vorrebbe proporre di inserire nella
Costituzione il riferimento alla felicità come diritto fondamentale che la
politica avrebbe il compito di garantire. La felicità è tema da dibattiti
filosofici, mentre alle gente interessa prima di tutto l'aria per respirare.
Non so se l’onorevole in questione, che ha un cognome non propriamente
altoatesino, capirebbe se dicessi che si tratta di una vera e propria “tacada”.
Forse lui, certamente più aduso al linguaggio alto della Magna Grecia,
capirà meglio se dico che la sua proposta mi fa tornare alla mente il detto:
“Primum vivere, deinde philosophari”. Potrei anche dire “questioni di lana
caprina”, tanto per intenderci. Come la sua proposta di legge presentata
alla Camera nel gennaio scorso, per istituire il 17 luglio la “Giornata del
rifiuto della povertà”. Mah! E la giornata di nonna Papera?
L’importanza pratica delle parole della politica è uguale a zero. Quindi,
anche se la nostra Costituzione, che va bene così com’è, dovesse sembrare
meno seriosa perché vi inseriamo la parolina magica che la politica
assicurerebbe, non succederà nulla di nulla. E infatti, come si tradurrebbe
nella pratica la felicità come fine e movente della politica? Discutiamone,
che so, con quell’anziano signore che l’altro giorno, buttandosi sui binari
della metropolitana di Milano, ha bloccato il traffico per diverse ore. No,
lui non c’è più. Parliamone con chi esce di casa e non ci torna più, magari
perché, fermandosi al giallo, due uomini (?) lo prendono a calci e lo
ammazzano.
Abbiamo già visto come sono andati a finire i regimi politici che hanno
preteso di finalizzare la politica alla felicità umana. Prima decidevano
loro che cosa fosse la felicità e poi la imponevano con ogni mezzo e orrore.
Come dire: “Se vuoi essere felice, è lo Stato che ti dice che cos’è la
felicità e ti elargisce mezzi e strumenti per raggiungerla”. Così sono nati
i regimi che, con una concezione totalizzante e fanatizzante della politica,
hanno riempito le fosse di cadaveri. Ne ha parlato Orwell, di cui ricordiamo
in questi giorni il centenario della nascita. Sulla stessa linea, oggi,
anche altri fanatismi decidono come l’uomo debba essere felice e per chi non
ci sta ci sono le frustate o le lapidazioni.
Se proprio volete mettere mano alla Costituzione, carissimi pisicchi,
prendete l’articolo 3 e, con i colleghi, date attuazione al compito di
“rimuovere gli ostacoli che, limitando la libertà e l’eguaglianza dei
cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana”.
Dateci gli strumenti essenziali per vivere, togliete gli ostacoli che
complicano l’esistenza. Se permettete, la felicità la cercheremo da soli.
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