Felicità

Chi desidera essere felice? Io!

«Non ho fatto il '68 per scelta. I girotondi? Aiuto gente che non ha altro modo per protestare È vero: ho composto una canzone dura come "Signor Giudice", ma credo nella giustizia»

Vecchioni:
«A 60 anni cerco la via di salvezza»


«La morte peggiore sono gli stacchi definitivi dalle situazioni in cui eri felice. È lì che nasce quel morbo che ti mangia il cuore. E non è facile salvarsi. Oggi per me tutto quanto è partenza. La salvezza? È l’appartenenza a se stessi. La sicurezza. La fede. La fiducia in qualcosa di eterno. Un amore che supera i tempi, le circostanze e le occasioni».

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di Gigio Rancilio
Avvenire, 25 giugno 2003


Roberto Vecchioni oggi compie 60 anni. Inseguito, coccolato e magari persino disturbato da quel mare di canzoni che ha scritto in oltre 30 anni: cose importanti come Luci a San Siro, Samarcanda, La stazione di Zima o La bellezza. E ancora: Velasquez, Stranamore, Dentro gli occhi. Lo chiamano il professore e da 34 anni lo è davvero. Dicono sia severo. Sicuramente è colto. Però ha anche scritto la sigla dei cartoni animati Barbapapà e Donna felicità per i Nuovi Angeli. Come lo definisci un tipo così? Di sé sulla Treccani ha scritto che ha la propensione «per il lamento sinfonico».


Vecchioni, lei si sente davvero così?
«Sì, penso di avere esagerato con certe mie canzoni. Ho esagerato a parlare di me stesso, nel favolismo e nel mitismo. Ma mi è piaciuto e l'ho fatto in buona fede».


Com'è cambiato in questi anni il suo rapporto con la canzone?

«Una volta era uno sfogo, una specie di ritratto esterno di me stesso. Mi serviva anche per dire: "guardate quanto sono bravo". Oggi è diventata una consolatio philosophiae. La considero una forma d'arte altissima».


Eppure dappertutto la canzone viene banalizzata e svilita.

«Ma io non parlo delle canzoni di Sanremo o del Festivalbar. Da tre o quattro anni non le seguo più. Vanno benissimo, ma rappresentano un altro mondo musicale. Preferisco la ricerca di gente come Morgan, Carmen Consoli o Elio le Storie Tese».


Diranno che fa lo snob.

«Ma che snob. Non ho certo dimenticato che ho vinto il Festivalbar con Voglio una donna».


E prima di vincerlo ha scandalizzato femministe e irriducibili fan che videro un tradimento in quella canzone che chiedeva la fine del rampantismo femminile.
«La scrissi per sfida. Volevo divertirmi. Mi piaceva che il cantautore intellettuale tirasse fuori una canzonetta, ma tutt'altro che banale, che facesse discutere. Sapevo che avrei scatenato un putiferio. Sa con chi la scrissi? Con le compagne del Pci di Desenzano. Doveva vedere come si divertivano pensando allo scandalo che avrebbe suscitato».


Ma un uomo colto come lei perché ha deciso di mettersi a scrivere canzoni, in anni nei quali non erano certo considerate d'autore?
«Ho scoperto la canzone, a 15-16 anni, attraverso il rock americano. Mi piacevano Elvis Presley, Bobby Darin, Fats Domino. E al tempo stesso amavo tantissimo la parola. In particolare la poesia del '900. Quella di Gatto, Arcangeli, Bertolucci, Marino Marini, Saba. Mi piaceva come mettevano le parole. Il ritmo che mettevano nelle loro poesie».


Qualcuno di loro l'ha influenzata?
«No. Io sono nato poeta in musica, non in parole. Sono campi semanticamente molto diversi. Comunque non ho mai pensato di ispirarmi a qualcuno. Sapevo che nelle canzoni bisogna essere banali ma mai squallidi. E che lo scrittore di canzoni se vuole arrivare al grande pubblico, deve anche saper essere inferiore a se stesso e a tutto quello che potrebbe dire».


Il suo ultimo album «Il lanciatore di coltelli» era un atto d'amore per Fabrizio De André?
«Era soprattutto un atto d'amore per me. Penso sia uno dei miei dischi più belli insieme a Il cielo capovolto. Mentre lo scrivevo avevo il cuore in gola come se mi dovessi sposare».


Torniamo ai primi anni della sua carriera. Si laureò nel '68 alla Cattolica di Milano. Eppure il suo nome non risulta tra le fila dei sessantottini. Come mai?

«Perché anche in pieno '68 sono stato per conto mio. L'ho guardato, ascoltato e sentito sulla pelle. Ma sono diventato di sinistra molto dopo. E anche il mio essere di sinistra è sempre stato indipendente. Sono cattolico e profondamente credente. Con un continuo grande colloquio-litigio con Dio. Non mi sono mai piaciute le esagerazioni».


Però adesso scende in piazza nei Girotondi...

«Sì, perché un sacco di gente non può fare altro. E io sono contento di dare una mano a chi può manifestare solo così».


Solo che fa effetto vederla manifestare per la giustizia, lei che ha scritto una canzone durissima come «Signor giudice».
«Ma io credo nella giustizia. Quella canzone era contro un giudice (che lo mise in carcere con l'accusa, rivelatasi infondata, di avere offerto uno spinello a un fan - ndr) palesemente sbagliato».


In «Samarcanda» lei cantava il rapporto con la morte. Arrivato a 60 anni che effetto le fa?
«All'atto della morte non ci avevo mai pensato: ma da sei-sette mesi è cambiato tutto. Ho subito un'operazione a un polmone. È stata un trauma. Prima ero follemente innamorato della fiction dell'esistenza. Pensavo di poter battere il tempo. Poi ho capito che la morte peggiore sono gli stacchi definitivi da situazioni in cui eri felice. È lì che nasce quel morbo che ti mangia il cuore. E non è facile salvarsi. Oggi per me tutto quanto è partenza. Vedo tutti e tutto come cose passeggere. Intendiamoci: vivo e ho momenti di grande gioia. Ma mi sento un po' come nell'atmosfera del vecchio e il mare: il problema è il pescecane. Riuscirò a portarlo a riva o mi tirerà sott'acqua? La salvezza? È l'appartenenza a se stessi. La sicurezza. La fede. La fiducia in qualcosa di eterno. Un amore che supera i tempi, le circostanze e le occasioni».


È vero che sta scrivendo un nuovo libro e un nuovo album?
«È un racconto lungo, il romanzo arriverà l'anno prossimo. Si intitola Il libraio di Selinunte, come una mia nuova canzone. È la storia di un ragazzo innamorato delle parole che di notte scappa di casa e va a sentire un librario che legge romanzi ad alta voce. Ma al libraio bruciano il negozio. E al ragazzo sembra di avere perso tutto. Perché a Selinunte quando bruciano le parole finiscono tutte le cose. Ma scopre che non è così».

E il disco?

«Mi diverte molto. Ci sto lavorando con Mauro Pagani. Abbiamo costruito brani su ritmi degli anni 50 e 60. Il tutto con testi particolari e qualche mia canzone un po' tosta».

 

 

Felicità: «Vecchioni: "A 60 anni cerco la via di salvezza"», di Gigio Rancilio, Avvenire, 25 giugno 2003


 
Rassegnina   Chi desidera essere felice? Io!
  • Gigio Rancilio
    Vecchioni: «A 60 anni cerco la via di salvezza»

    Avvenire, 25 giugno 2003
    « La morte peggiore sono gli stacchi definitivi dalle situazioni in cui eri felice. È lì che nasce quel morbo che ti mangia il cuore. E non è facile salvarsi. Oggi per me tutto quanto è partenza. La salvezza? È l’appartenenza a se stessi. La sicurezza. La fede. La fiducia in qualcosa di eterno. Un amore che supera i tempi, le circostanze e le occasioni».
     
  • Umberto Galimberti
    Il senso del paradiso

    D-Repubblica, 28 giugno 2003
    « Il senso è come la fame che si avverte non quando si è sazi, ma quando manca il cibo. È l’esperienza del negativo a promuoverne la ricerca, è la malattia, il dolore, non la felicità, sul cui senso nessuno si è mai posto domande. La ricerca del paradiso, artificiale o soprannaturale che sia, è la prova provata che la nostra vita non ci appare davvero priva di senso».
     
  • Mina
    Le invasioni della politica: Alla felicità ci pensiamo noi

    La Stampa, 28 giugno 2003
    L’onorevole Pisicchio ha proposto di inserire nella Costituzione la felicità come diritto fondamentale che la politica dovrebbe garantire. Mina commenta: «Dateci gli strumenti essenziali per vivere, togliete gli ostacoli che complicano l’esistenza. Se permettete, la felicità la cercheremo da soli».

 

Commento:

 

Felicità: tutti la vogliono. Prima delle ferie si fa qualche bilancio: timore, sconforto e sfiducia sembrano atteggiamenti così normali, così realistici! Eppure, un’alternativa a sentirsi vittime c’è: sentirsi soldati. Desiderare il paradiso prova che non siamo fatti per l’inferno; sentirsi in partenza a 60 anni prova che siamo fatti per la giovinezza, per un’eterna giovinezza.


Identificare nella felicità lo scopo della politica, prova che la soddisfazione dell’uomo sta nel conseguimento di un bene supremo. E’ disumano accontentarsi dell’effimero. Il desiderio della felicità sorge non da un bene che non c’è (come dice Galimberti) ma da un bene che c’è, che non è nostro, che si vuole per sé ed eterno. Militia est vita hominis, la vita dell’uomo è una guerra, lotta per la conquista di un bene dato - la vita, la terra, gli affetti -, che sempre è a rischio di essere perso o distrutto.


Nel nostro piccolo come stare in prima linea? Il titolo del Meeting 2003 “C’è un uomo che vuole la vita e desidera giorni felici?” suggerisce la risposta: dire “Io” continuamente. Io voglio essere felice, voglio che mi aiutiate a voler essere felice. Dire “Io” così è il modo per far cultura, per affermare ciò che vale: il positivo accaduto nella nostra vita, così resistente che anche quando ci sembra di non vederlo, continua a tormentarci con il desiderio.


Fare questa cultura è la nostra guerra, personale e comune, di attacco e di difesa insieme: i soldati vanno in vacanza per modo di dire. La vacanza, la felicità è un imprevisto che viene loro incontro.
 

 

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