o stato pontificio si
stendeva dalla Romagna al Lazio, dalle Marche all'Umbria. Dopo la
sconfitta dei piemontesi a Custoza, Papa Pio IX mise al governo il liberale
Pellegrino Rossi il cui incarico fu breve perché assassinato il 15 novembre
1848.
I
moti di piazza susseguenti indussero il Papa a disconoscere il
bolognese Galletti, nuovo primo ministro,
ma anche a fuggire a Gaeta sotto l'ala protettrice
del re di Napoli.
Il
progetto di costituente italiana andava avanti anche in Toscana, tanto
che il 30 gennaio 1849 Leopoldo fu costretto a riparare anch'esso a
Gaeta. Instaurata a Roma la Repubblica, dopo il voto di gennaio, venne
costituito un triumvirato (Saffi, Armellini, Mazzini) che si apprestò
alla guerra contro l'Austria, ritenuta ormai certa dopo la nuova sconfitta
a Novara dei piemontesi. Garibaldi, Bixio, Mameli, erano fra i Senatori.
L'esercito pontificio, tranne le forze mercenarie ed estere, era passato
in blocco dalla parte degli insorti. Per le loro uniformi bastò
sostituire il simbolo papale delle chiavi incrociate, con una semplice
coccarda tricolore, e neanche tutti fecero in tempo. A
questo nucleo si aggiunsero poi i vari corpi di volontari: Roma
che era insidiata da ogni parte, poteva considerarsi alla vigilia
della guerra. La città si preparava a difendersi contro tutti,
ma accogliendo anche tutti coloro che da fuori venivano ad
offrirle il braccio. Accolse gli esuli Lombardi di
Luciano
Manara, i
Genovesi di Goffredo Mameli e d'Avezzana, i legionari di Garibaldi. Anima del governo era sì
Giuseppe Mazzini, ma era poco
energico e troppo ingenuo. Capo di tutte le
forze armate era il generale Pietro Roselli con Carlo Pisacane in veste
di Capo di
Stato Maggiore. Le truppe erano quanto di più eterogeneo si possa
immaginare: 5 reggimenti regolari di fanteria PESANTE E LEGGERA (L) comandati dai
colonnelli DE Pasqualis, Caucci Molara, Marchetti, Luigi Masi (L) e
Raffaele Pasi (L), il reggimento
"Unione" del T. Col. Rossi, i
bersaglieri romani o bolognesi (col. Pietramellara), i
bersaglieri lombardi (col. Manara) (Vedi la stampa di
QUINTO CENNI), i carabinieri (col. CALDERARI),
la legione italiana (col. Sacchi), la legione romana (T.
Col.
Morelli), la legione bolognese (T.
Col.
Berti PICHAT), la legione
universitaria (magg. Roselli), la legione toscana (magg. MEDICI), la
legione polacca (col. Milbitz), la legione straniera (cap. GÉRARD),
i
finanzieri mobili o bersaglieri del Tebro (magg. Zambianchi ),
i reduci (magg. PINNA), la civica mobile romana (col.
Palazzi), la civica- mobile umbra (magg. Franchi), la squadra dei sette
colli, due reggimenti di dragoni (colonnelli Savini e Ruvinetti), i
carabinieri a cavallo del maggiore Tromba, i lancieri della morte del
col. Angelo Masina coi finanzieri a cavallo, gli Zappatori del Genio del col. Amadei, il reggimento di
Artiglieria CALANDERELLI e LOPEZ, la batteria svizzera del col. De SERÉ,
la batteria bolognese, l'artiglieria civica,
il
battaglione Bignami, la legione comandata dallo svizzero Antonio Arcioni, quelli di
Garibaldi naturalmente e qualche altro reparto; in
totale circa ventimila uomini con un centinaio di pezzi d'artiglieria.
Non tragga in inganno la quantità di ufficiali superiori, da maggiore a
colonnello che serviva solo per esibizionismo.
I pericoli imminenti
per la Repubblica invece che dall'Austria vennero dalla Francia, repubblica
appena nata con presidente Luigi Bonaparte nipote di Napoleone I. Con un
decreto urgente questi approvò un possibile intervento in qualsiasi
punto d'Italia per salvaguardare l'integrità Piemontese, ma
essenzialmente per controbilanciare Vienna e ingraziarsi i cattolici
(voti) di Francia. Il 24 aprile la prima nave francese sbarca a Civitavecchia il gen. Oudinot. I bersaglieri di Pietramellara inviati
per contrastare lo sbarco arrivano in ritardo. Oudinot, sbarcato da un giorno, sebbene dicesse di essere venuto come amico, cominciava a mostrare che voleva farla da padrone. Disarmava infatti il battaglione dei bolognesi e il giorno dopo, giunti i vapori "Nuovo Colombo" e "Giulio II"
impedì lo sbarco dei lombardi di MANARA e disse loro:
"Voi siete lombardi, perché v'immischiate negli affari di
Roma". E a lui Manara: "E voi, generale, che siete di Parigi, di Lione, di Bordeaùx, di Marsiglia, cosa
c'entrate?". Oudinot voleva che le due navi tornassero indietro; ma il mare era grosso, i bersaglieri minacciavano di gettarsi a nuoto
e intanto il popolo rumoreggiava. Dopo lunga discussione Oudinot
permetteva al battaglione di sbarcare ad Anzio ma si faceva
promettere da Manara che non avrebbe combattuto fino al giorno 5
maggio !!. Le guerre allora erano anche così, dei "gentleman agreement"
con la parola data da signori. Già dal 28
aprile però i francesi marciano su Roma e solo Garibaldi riesce a
fermarli a Porta Cavalleggeri. Il 9 maggio il
Battaglione di Manara viene inviato verso Velletri per fronteggiare i
napoletani, guidati personalmente da re Ferdinando.
Su due colonne la legione italiana e i
bersaglieri di Manara sconfiggono i Napoletani a Valmontone e dieci
giorni dopo s'impadroniscono di Velletri. Manara, promosso colonnello,
si preoccupa di ripulire le vallate del Lazio dalle bande papaline. Fra
i tanti bersaglieri, oltre a Manara, che parteciparono alla difesa di
Roma, due compagnie di Trentini già del VII battaglione volontari. La
notte del 3 giugno Oudinot proditoriamente interrompe la tregua
attaccando Villa Pamphili Doria e Villa Corsini. Furono feriti Bixio e Mameli,
trovarono la morte
Enrico
Dandolo
(il fratello Emilio fu ferito) Masina, Morosini e Daverio
Capo di Stato Maggioe. Manara viene quindi nominato al suo posto mentre i francesi pongono
l'assedio alla città in attesa di sviluppi. Garibaldi, esperto d'uomini e del loro valore sul campo, nella relazione sulla giornata del 3
giugno scrisse: "... i nostri, specialmente i Bersaglieri di Manara e la
Legione Italiana andarono più volte a caricare petto a petto il nemico. Gli
ufficiali tutti mostrarono immenso coraggio e si resero degni di ben
meritati elogi". I contrasti
all'interno del governo Romano hanno indebolito la resistenza. La
responsabilità della conduzione delle operazioni militari, conferita a Roselli, non convince Garibaldi, che a più riprese chiede la dittatura
militare, per se stesso. Ma ancor prima che cominciassero gli scontri i
contrasti accesi fra Daverio e Garibaldi tenevano banco.
Lettera di Francesco Daverio a Giuseppe Mazzini.
Il corpo di Garibaldi ha, come gli
altri, l'incombenza di provvedere da sé alle vestimenta: al qual uopo
l'Intendenza del Ministero ha il carico di somministrare le
corrispettive somme. Ad onta di questo, quel corpo non ha cessato un
giorno di chiedere danaro, effetti da vestiario, senza che mai si avesse
conto del modo onde il danaro e la roba venivano erogati, senza che mai
si avesse conto del numero degli uomini. Né questa mia pretesa era uno
sconoscere il riguardo dovuto al grande ed eroico italiano Garibaldi, la
gloria del cui nome, la lealtà e generosità di animo han sempre destato
e destano in me la più alta venerazione verso la sua persona…, a me
correva obbligo di porre un limite all'arruolamento di esso, e di
esigere sempre, anche come brigata e divisione, il rendiconto
dell'amministrazione relativa [...] Francamente confesserò che la
legione del Garibaldi, col venirsi sempre più di proprio moto
ingrossando di reclute avventicce (avventizie) e d'ogni pessima ragione, minacciava
pericoli, ai quali bisognava per tempo e risolutamente ovviare. Fatte le
debite eccezioni, la parte più grossolana e novella, la parte più
eterogenea di quella legione, mal sapendosi domesticare al freno
dell'ordine e alla disciplina del soldato, ed abusando dell'innata bontà
del loro capo e di quel suo genio complessivo che mal soffre di
appiccolirsi nelle singolarità disciplinari d'una milizia, trascendeva e
trascende in esorbitanze e soprusi, trascendeva in licenze d'ogni fatta
tanto indegne quanto pericolose. Questa male assortita banda, mentreché
fruiva il soprasoldo di truppa accantonata, ha preteso casermaggio e
fornimenti dal comune di Rieti: Quel provvedimento che ora giustamente e
prontamente si domanda al governo, volevo effettuare mediante l'intimo
che si chiudessero i ruoli della Legione Garibaldi; che al
sopraggiungere di altre reclute, esse fossero mandate ai ruoli di Roma,
e che la legione si riducesse nei termini della militare disciplina...
http://www.domusmazziniana.it/vecchi/1998/1998_2/monsa.htm
A metà giugno, sul Gianicolo, Garibaldi viene di
nuovo impegnato. Il 17,19 e 21 giugno i francesi vengono fermati al Vascello, a
Villa Borghese e a Porta S. Pancrazio, Garibaldi propone un nuovo piano
ai Triumviri. Lasciare la difesa di Roma a Manara e lui, fuori le mura in campo
aperto a condurre le
operazioni. Questa proposta è
respinta e forse da qui nasce la disistima, l'astio di Garibaldi nei
confronti di Mazzini che lo seguirà per il resto dell'avventura
risorgimentale.
La morte di Emilio Morosini da cronologia.it
Il 27 giugno si
dovette abbandonare anche Casa Savorelli. Si stava avvicinando la fine, ormai tutti la sentivano, eppure nessuno dava segni di sgomento; passò il giorno 28, e il 29 era la festa di S. Pietro, fatta in sordina ma alla sera fu illuminata la cupola della Basilica per mostrare al nemico la serenità d'animo dei difensori di Roma. Poco prima della mezzanotte si rovesciò un violento acquazzone sulla città. Rumoreggiava il tuono del temporale e rumoreggiavano le artiglierie del nemico che a sua volta stava preparando il proprio temporale: l'ultimo attacco in piena notte, con tre forti colonne agli ordini del LESPINASSE. L'attacco fu sferrato alle due del mattino del 30. Primi ad essere assaliti furono, il bastione e la casa Merluzzo, presidiati da un piccolo distaccamento di bersaglieri al comando del tenente diciannovenne EMILIO MOROSINI; questi sebbene colti di sorpresa, fecero una disperata resistenza, ma, poi, sopraffatti dal numero abbandonarono il bastione e si dispersero. Quattro di loro però avevano visto cadere il Morosini ferito al ventre da una palla e da un colpo di baionetta, dopo una fiera mischia coi Francesi, e vollero salvarlo.
"Messo su una barella -
"così narrò poi EMILIO DANDOLO " - favoriti dalla confusione, si avviarono correndo verso Villa Spada. Ma questa era già circondata! S'imbatterono quindi nei Francesi che gridarono da lontano: - Chi vive? - Prigionieri, rispose Morosini con voce fioca. Ma i nemici, temendo forse un inganno, si avventarono con la baionetta spianata. Raccontò poi uno dei bersaglieri che portavano il ferito che, trovandosi circondati e minacciati nella vita dal nemico inferocito dalla battaglia, avevano deposto la barella e tentato di salvarsi fuggendo. Ma fu visto quel povero giovinetto di tenente, alzarsi ritto sulla barella insanguinata, e messo mano alla spada che gli giaceva a lato, continuare -lui che era già morente- a difender la propria vita, finché, colpito una seconda volta nel ventre, si accasciò di nuovo sulla stessa barella a versare dell'altro sangue. Commossi a così tanto e sventurato coraggio, i francesi lo raccolsero e lo portarono all'ambulanza di trincea. Molte narrazioni furono fatte sulla morte di questo giovane tenente. Questo solo posso io dire di sicuro: che visse altre 30 ore, rassegnato, pregando, parlando della sua famiglia e strappando le lacrime ai nemici stessi che accorrevano a frotte per vederlo come se fosse una meraviglia. Il mattino del primo luglio spirò serenamente senza soffrire".
La morte di Luciano Manara
Il 29 giugno Garibaldi propone ancora una volta ai
triumviri di lasciare Roma per spostare il governo sugli Appennini in
località più difendibili, ma ormai è troppo tardi. All'alba del 30,
dopo una micidiale preparazione d'artiglieria, Oudinot sferra l'attacco
decisivo. Al convento di San Pancrazio viene
ferito anche Girolamo Induno ed infine una palla centra allo stomaco
Luciano Manara
che di lì a poco spira.
"
la fortuna che oggi ci tradì ci arriderà domani ..... chi vuole
continuare la guerra contro lo straniero venga con me. Non offro ne
paga, né quartiere, né provvigioni. Offro fame sete marce battaglie e
morte....."
Visitati i
feriti, il 2 luglio
alle 19 Garibaldi esce da Roma con 5000 uomini alla volta di Venezia (cadrà un
mese dopo) dove non arriverà mai. La moglie Anita che lo accompagna
spirerà durante il viaggio. Dopo la cerimonia funebre in
S. Lorenzo di Lucina, il corpo del Manara scomparve. Emilio Dandolo,
nascostolo dentro un cassone di merci, riesce a farlo arrivare in
Svizzera a Lugano, nell'attesa di una migliore sepoltura. Da lì verrà
portato poi a Sesto Ulteriano nella cappella di famiglia dei Binaghi
dove resterà 14 anni poi la definitiva sepoltura a Barzanò Brianza nella
tomba di famiglia.
Tra i difensori di Roma anche: Giacomo
Medici, il medico Agostino Bertani, Emilio Cernuschi, i pittori Girolamo e
Domenico Induno, Nino Bixio, Raffaele Tosi, Luigi Miceli, Alessandro
Pettorini, il piccolo Righetto, (12 anni) che si gettava sulle bombe
francesi per spegnerne la miccia con uno straccio bagnato; Colomba
Antonietti che combatteva travestita da uomo accanto al marito il Ten. Porzi,
Maurizio Quadrio, il barnabita Ugo Bassi, Giovanni Livraghi, Nicola Fabrizi,
Felice Orsini, Francesco Nullo, Ludovico Calandrelli, Nino Costa, Bartolomeo
Galletti, Angelo Brunetti detto Ciceruacchio, i fratelli Narcisio e Pilade
Bronzetti, Anton Giulio Barrili e studenti e professori del Battaglione
Universitario Romano. Negli ospedali da campo oltre a Bertani, Anita
Garibaldi, l’americana Margherita Fuller, Cristina Trivulzio di Belgioioso e
Giulia Calame, svizzera, moglie dell’attore Gustavo Modena.
Per saperne di più:
http://cronologia.leonardo.it/storia/a1848q.htm
http://www.maat.it/livello2/1849-repubblica-romana.htm
|