Dandolo Enrico (Varese 1827-1849) ed Emilio (1830-1859)
I due fratelli parteciparono alle 5 giornate di Milano ed entrarono nel battaglione di Manara. Con lui seguirono tutte le vicende che portarono alla Costituzione della Repubblica Romana ed alla difesa di Roma dai Francesi. Enrico morì a Villa Corsini. Il fratello Emilio scampato alla avventura romana viaggiò e scrisse diverse opere fra cui "I volontari e Bersaglieri Lombardi" "Viaggio in Sudan, Siria,Egitto". Nel 1855 partì per la Crimea da dove fu costretto a rimpatriare in quanto ex cittadino austriaco con pendenze.
Brani tratti dal libro: "Ricordi di Gioventù (Cose vedute o sapute: 1847-1860)" di Giovanni Visconti Venosta, edito a Milano da Cogliati nel 1904.
Tra quella folla agitata parecchi
erano gli armati con fucili da caccia; alcuni avevano delle carabine o qualche
fucile militare introdotto dal Piemonte. Tra quegli armati riconobbi parecchi
giovani miei amici, o di mia conoscenza, tra i quali Lodovico Trotti, i fratelli
Mancini, Emilio Morosini, i fratelli Dandolo, Luciano Manara, Carlo De
Cristoforis, e mio cugino Minonzio, che diventò poi, quasi vent'anni dopo,
colonnello e capo di stato maggiore del generale Cialdini. Questi giovani, in
unione con altri, sotto la guida di Luciano Manara, avevano fatto venir
secretamente dei fucili dal Piemonte, e durante l'inverno si erano esercitati
tutt'insieme e di nascosto al maneggio delle armi ed avevano preparate munizioni
e cartucce. Quei giovani valorosi, entusiasti d'amor patrio, ed ispirati nel
tempo stesso a idee mistiche e religiose, prima di scendere in istrada armati,
erano andati, circa in trenta, in una chiesa a ricevere l'assoluzione quali
morituri da un buon prete, il coadiutore Sacchi. Li conduceva un barnabita, Il
padre Piantoni, e il precettore dei Dandolo, il prof. Angelo Fava. Corsero poi
alle barricate, e furono primi tra i più audaci nei principali combattimenti per
cinque giorni......... Dopo la battaglia di Novara, il battaglione dei
bersaglieri lombardi, volendo rimanere nell'azione finché in qualche punto
d'Italia si combattesse per la libertà, si recò a Roma. Questi volontari, i cui
uffiziali eran tutti giovani eletti, portarono in mezzo alle truppe repubblicane
e garibaldine di Roma i colori e la croce dell'uniforme piemontese, e il grido
di guerra: "Savoia". La loro fede e il loro valore li circondò di un alto
rispetto anche tra i volontari di diverso partito; rispetto che rifulse sulla
causa che li aveva condotti a Roma. Tra i reduci del battaglione Manara avevo
parecchi amici, ma in quello scorcio dell'estate ne rividi ben pochi.
Alcuni
erano feriti, come Emilio Dandolo, Lodovico Mancini, il pittore Gerolamo Induno,
il dottor Scipione Signoroni; altri si ritirarono in campagna, o si tenevano
nascosti per non venire arrestati, come era avvenuto a Lisiade Pedroni. I
cadaveri di Manara, di Morosini, di Enrico Dandolo, dopo lunghe pratiche, e
molte difficoltà erano stati trasportati a Venezia nella tomba di famiglia dei
Morosini; poi la salma di Manara fu trasportata a Barzanò nella cappella di
famiglia, oggi appartenente a casa Manati.
In quell'anno feci un'altra cara e preziosa conoscenza: fui presentato alla
signora Carmelita Manara Fè, la vedova di Luciano Manara, una signora
intelligente, interessante, e che nonostante le sofferenze d'una salute disfatta
conservava ancora i lineamenti, direi raffaelleschi, della sua primitiva
bellezza. Diceva allora, con molta serenità, di non aver più che un polmone; e
forse era vero perchè??? mori poi etica; come morirono etici i suoi tre figli.
Il suo salottino era frequentato da egregi giovani, quasi tutti reduci dalle
ultime campagne, di cui parecchi erano stati commilitoni e uffiziali nel
valoroso battaglione di suo marito; e tra questi il più assiduo era Emilio
Dandolo, nelle cui braccia appunto suo marito aveva a Roma esalata l'anima
generosa. In quell'anno però il Dandolo era partito per un lungo viaggio in
Oriente con Lodovico Trotti.
Lettera di Emilio Dandolo alla moglie di Manara
http://www.comune.barzano.lc.it/storia/manara/lettera.htm