Cosi Sergio Zavoli
"Il 26 aprile 1915 con il consenso del Re, ma senza informare né il
Parlamento né l'opinione pubblica... Salandra e il ministro Sonnino, stringono a
Londra un patto con Francia, l'Inghilterra e Russia in base al quale
l'Italia si impegna ad entrare in guerra
contro gli imperi centrali entro un mese in cambio di Trento e Trieste .....concessioni
minerarie in Turchia e compensazioni nelle colonie tedesche d'Africa.
Così lo vedranno i nostri
alleati. Appunto ‘privato personale’ del primo ministro britannico, sir H.H. Asquith, ad
una amica: Il gabinetto.. .è stato impegnato nella
discussione, come acquistare a basso prezzo l’immediato intervento di quella
potenza voracissima, sfuggente e perfida che è l’Italia. Essa sta aprendo la sua
bocca piuttosto ampiamente, soprattutto sulla costa dalmata, e noi non dobbiamo
permetterle di bloccare l’accesso dei serbi al mare. Ma, a parte ciò, vale la
pena di acquistarla: anche se io rimarrò sempre dell’opinione che sulla grande
scena essa ha interpretato una delle parti più sporche e meschine.
Mentre ce lo riconoscevano ce lo cancellavano. Anche oggi la Serbia non ha
accesso al mare, ma non ho sentito un inglese lamentarsi.
Il Trattato di Londra, o "Patto di
Londra" firmato dall'Italia il 26 Aprile 1915 è classificato come segretissimo,
le sue clausole e allegati, non sono mai state rese completamente note (se ne
trova versioni discordanti una qui). Il patto è stato preceduto da un telegramma pure
riservato, inviato il 21 marzo 1915 da Sidney Sonnino, Ministro degli Esteri
(Ebreo) agli ambasciatori di Londra, Parigi e Pietrogrado.
« Il movente principale, determinante la nostra entrata
in guerra a fianco dell'Intesa, è il desiderio di liberarci dalla intollerabile
situazione attuale, di inferiorità nell'Adriatico, di fronte all'Austria, per
effetto della grande diversità ̀ delle condizioni geografiche delle due sponde,
dal punto di vista dell'offesa e della difesa militare; diversità che è stata
resa più grave dalle armi e dalle forme della guerra moderna. Del resto,
l'Italia potrebbe probabilmente conseguire, la maggior parte dei suoi desiderata
nazionali, con un semplice impegno a mantenere la neutralità senza esporsi ai
terribili rischi e danni di una guerra. Ora, non varrebbe la pena di metterci in
guerra, per liberarci dal prepotente predominio austriaco nell'Adriatico, quando
dovessimo ricadere, subito dopo, nelle stesse condizioni di inferiorità̀, e di
costante pericolo, di fronte alla Lega dei giovani ed ambiziosi Stati jugoslavi.
Per queste ragioni, dobbiamo insistere anche sulla neutralizzazione della costa;
da Cattaro inclusivo fino a Voiussa. Alla Croazia, sia che resti unita all'Austria-Ungheria,
sia che se ne distacchi, resterà la costa da Volosca fino alla Dalmazia, colle
isole più prossime di Veglia, Arbe, Pago, ecc. Come porto principale (la Croazia
?) avrebbe
Fiume, oltre altri porti minori nel canale di Morlacca. Alla Serbia e al
Montenegro, che probabilmente si fonderanno o si consoceranno presto, resterà la
costa dalla Narenta fino al Drin, coi porti importanti di Ragusa e di Cattaro,
oltre quelli di Antivari, Dulcigno, S. Giovanni di Medua e la foce della Bojana,
i quali tutti possono servir di sbarco a ferrovie trasversali, dando accesso al
mare, senza uscire dal proprio territorio, alla Bosnia Erzegovina, diventata
probabilmente serba, e a tutto l'hinterland serbo- montenegrino. All'Albania
centrale, mussulmana, resterebbe Durazzo. La Grecia manterrebbe l'Epiro, oggi da
lei occupato provvisoriamente. Le principali città della Dalmazia sono rimaste
prettamente italiane, malgrado sessant'anni di pertinace politica slavizzante
dell'Austria, e così̀ pure buona parte delle isole prospettanti le coste. Lo
stesso Sazonoff nell'agosto scorso, ammetteva che la Dalmazia « da Zara a Ragusa
» (non disse « da Zara a Sebenico ») andasse all'Italia, se questa prendeva
parte alla guerra a fianco dell'Intesa. Quanto all'entrata in campagna a metà
aprile, ciò non è possibile. Come dissi nelle mie proposte, non possiamo
assolutamente prendere impegni per prima della fine di aprile. Difficoltà ̀
svariate, opposte insistentemente dall'Inghilterra e dalla Francia, ostacolano
le nostre importazioni destinate alla preparazione' dell'esercito, come le
fermate delle navi dell'America recanti cavalli ed altre provviste (vedi ad
esempio mio telegramma di ieri n. 944) hanno reso ben arduo il compito di
mantenere la stessa data alla fine di aprile. Prego V. E. esprimersi in questi
sensi con Sir Edward Grey. Firmato : Sidney Sonnino.
Il testo di questo telegramma, viene pubblicato
il 9 settembre 1920 dal quotidiano "Il Resto del Carlino" - poi anche su "Il
Trattato di Rapallo”, di L. Federzoni, nel giugno 1921. Il vero e proprio
"Trattato di Londra", lo si conosce perché́ i Bolscevichi, volendo smascherare i
capitalisti guerrafondai, lo rendono noto all'indomani della Rivoluzione
Sovietica, nel novembre 1917, pubblicandolo sul giornale Izsvestia, poi
rimbalzato sui giornali inglesi infine letto in Parlamento in Italia nel 1918.
(l'art. 5
del Patto di Londra stabiliva: Parimenti l'Italia riceverà la provincia di
Dalmazia nella sua presente estensione, comprendendo più al nord Lissarika e
Trebinje (due piccole località nella Croazia sud-occidentale), ed al sud tutte
le località fino ad una linea che parta dal mare nelle vicinanze di Capo Planka
(fra Traù e Sebenico) e segua lo spartiacque in direzione est in modo da
lasciare in mano agli italiani tutte le valli i cui fiumi entrano nel mare
presso Sebenico e cioè il Cikola, il Krka e la Butisnijica, coi loro tributarii.
Apparterranno, inoltre, all'Italia tutte le isole a nord e ad ovest della costa
dalmatica , cominciando da Premuda, Selve, Ulbo, Skerda, Maon, Pago e Puntadura,
e più al nord, e arrivando a sud fino a Meleda, coll'aggiunta delle isole di S.
Andrea, Busti Lissa, Lesina, Tercòla, Curzola, Cazza e Lagosa e tutte le
isolette e roccie circostanti, e più in là ancora Pelagosa, ma senza le isole di
Zirona Grande e Piccola, Buje, Solta e Brazza.
questa come detta sopra una versione
linguisticamente diversa "Nello stesso
modo l’Italia riceverà la provincia della Dalmazia nei suoi attuali confini
amministrativi comprendendo al nord Lisarica e Tribania e al sud fino ad una
linea partente dalla costa dal capo Punta Planca e seguente lo spartiacque verso
est, in modo da lasciare in territorio italiano tutte le valli e i corsi d’acqua
scendenti verso Sebenico, cioè la Cicola, la Kerka, la Butisnica e i loro
affluenti. Essa riceverà anche tutte le isole situate al nord e all’ovest della
Dalmazia, da Premuda, Selve, Ulbo, Scherda, Pago e punta Dura al nord , fìno a
Meleda al sud, comprendendo S. Andrea, Busi, Lissa, Lesina, Tercola, Curzola,
Cazza e Lagosta e tutti gli isolotti e scogli circostanti e Pelagosa, ma senza
le isole di Zirona Grande e Piccola, Bua, Solta e Brazza)".
Salandra e il Governo ora hanno bisogno di forzare la mano al paese."
(si scoprirà quindi che per
gli altri gli impegni sono aria fritta, vedi
Maneggi di Francia
in
http://digilander.libero.it/fiammecremisi/schede/maneggifrancesi.htm e
normalizzazione dopo l'ingresso degli Usa nel conflitto)
Il 13
maggio Salandra, di fronte a un paese ancora spaccato fra neutralisti e
interventisti, rassegna le dimissioni. Sotto l'influenza della piazza più
rumorosa (interventista) le dimissioni vengono respinte. Così
scrive Silvio Bertoldi
"Vittorio Emanuele
III vede nella guerra la possibilità di
sfogare antiche avversioni... rivalersi su Guglielmo II che l'ha trattato da
parente povero... vede poi, secondo l'antica tradizione Sabauda, l'occasione per
accrescere a spese altrui il territorio nazionale.... Allora questo Re, sempre
proclamatosi difensore e quasi schiavo dello statuto, lo infrange. Manda a
firmare un patto segreto impegnandosi a scendere in campo accanto ai nuovi
alleati....tiene nascosto questo fatto al parlamento, fomenta l'azione di piazza
e ne prende pretesto per cedere alla volontà popolare. .... A Giolitti non
perdonerà mai di essergli stato contrario... Vendicativo come tutti i deboli non seguirà neanche nel
1929 le esequie di stato di quest'uomo al quale doveva i
soli anni dignitosi del suo Regno ."---- (Al
Re spettava, secondo lo Statuto Albertino, anche il comando delle forze armate,
la possibilità di dichiarare la guerra e firmare trattati di pace, di alleanza e
di commercio. Di fatto, nella successiva evoluzione non scritta della forma di
governo da costituzionale a parlamentare (2 camere), il contenuto di questo articolo, in
cui sono forti le risonanze da "ancienne regime", non ebbe valore reale: in un regime parlamentare
il Re non esercita il potere esecutivo, né dichiara guerra, né elabora
trattati perché agiscono per lui e in suo nome i ministri responsabili. Esso
serviva dunque solo per riaffermare l'unità dello Stato e personificarla nel Re).
Luigi Cadorna proveniente
da famiglia Milanese di politici e militari, emigrata tanti anni prima in Piemonte,
(il padre era stato comandante del corpo
di spedizione sotto le mura di Roma nel 1870) aveva avuto una normale carriera militare
senza però partecipare ad alcuna guerra. Nel 1908, era stato designato a
sostituire nello stato maggiore il Gen. Saletta (comandante della prima
spedizione d'Africa nel 1885) ma poi gli venne preferito Alberto Pollio. L'improvvisa
morte di questi, il 2 luglio 1914, lo proietta alla più alta carica alla vigilia della
deflagrazione del conflitto. Per due mesi, nonostante le sue richieste, non si
provvede ad alcuna azione preventiva o preparatoria di carattere militare,
mentre nel Nord Europa tuonano i cannoni come in mare nel Mediterraneo. Un
eventuale neutralismo
avrebbe comunque richiesto non una passiva bensì una vigile difesa vista la
nostra posizione. In ottobre, quando il ministro alla
Guerra venne sostituito, si diede avvio ai preparativi per l'eventuale
mobilitazione. La prima necessità era
rafforzare la difesa ai confini coi
paesi belligeranti, amici e nemici. Per questo si richiamarono le classi 1889-1890 che avevano
25 anni. La
milizia mobile e territoriale alpina venne presto allargata con formazione dei
battaglioni Valle (Milizia Territoriale) e Monte (M. Mobile). Lo stesso si fece per l'artiglieria
alpina. Dal 1 gennaio 1915 furono costituiti 2 nuovi comandi di corpo d'armata, 11 di
divisione di fanteria e 1 di Bersaglieri. Ai tradizionali 96 reggimenti
(compresi 2 di Granatieri ), si aggiungono ora altri 50 reggimenti di Fanteria
(ma la mobilitazione non è ancora scattata e alla fine i contingenti
mobilitati triplicheranno). I carabinieri
costituiscono un reggimento combattente e i finanzieri 18 battaglioni mobili. Entro la fine
dell'anno il reggimento carabinieri viene sciolto e diviso in sezioni di Polizia Militare a
disposizione dei comandi. La Guardia di Finanza, entro la fine del 1916, dimezza
gli effettivi, ma costituisce il Primo gruppo Regia Guardia di Finanza. Al V btg. RGF
si affianca il IX btg. formando il Reggimento Provvisorio Guardia di Finanza. In
maggio del '16 sarà aggiunto il XVII btg..
Il
Gen. Cadorna viene a conoscenza della firma della nostra entrata in guerra ai
primi di maggio, quando il Col. Montanari lo informa con un telegramma. La
mobilitazione, che doveva restare occulta, richiede almeno 40 giorni; è il 4
maggio (- 20 all'inizio) e non si può ancora parlare di mobilitazione (la
mobilitazione in faccia al nemico senza dichiarargli guerra fa ancora parte
delle cose da non farsi, quelle cose che ti fanno dall'eventuale ragione passare
al torto). Cadorna per
mesi terrà i piedi in due staffe a Ovest pronto ad attaccare i Francesi sulle Alpi
o a Est gli Austriaci. Ma esiste anche una
seconda versione: il Generale Cadorna lo venne a sapere solo casualmente
(accordi stipulati con le potenze dell'Intesa (Patto di Londra, 26 Aprile 1915))
"Dopo il discorso di guerra di Gabriele D'Annunzio allo scoglio di Quarto, la
sera del 5 Maggio del 1915, il Cadorna, commosso e turbato dall'inno di guerra
del poeta, ebbe la visita del commendatore De Martino, Segretario Generale degli
Esteri. Da questo, soltanto perché, per caso, era andato a trovarlo, e perché
egli, Cadorna, chiese, seppe del Patto di Londra, e dell'obbligo per l'Italia di
scendere in campo a fianco degli alleati prima del 26 di Maggio (Ndr. Mancavano
19 giorni).
Da
Daniele Cellamare la preparazione e la mobilitazione dell'E.I. da
Carabinieri.it.
Secondo le valutazioni del Capo di Stato Maggiore, le nostre
operazioni dovevano per prima cosa essere in correlazione temporale a quelle di
Serbi e Russi nel ciclo d'offensiva. Il 21 maggio dal Q.G. (Quartiere Generale) russo si confermò
questa ipotesi di collaborazione, mentre già da 15 giorni le loro truppe stavano ritirandosi
!!!. D'ora
in poi l'effettiva collaborazione sarà solo quella che noi si dovrà attaccare
quando gli altri non ce la fanno più a difendersi, ma non viceversa.
E ora 22
maggio scatta davvero la mobilitazione ufficiale. La mobilitazione è il complesso delle
operazioni e dei provvedimenti mediante i quali tutta una nazione passa in ogni
suo elemento (civile e industriale oltre che militare) dallo stato di pace allo
stato di guerra. La mobilitazione mira:
* al completamento dei corpi e reparti delle diverse armi e servizi già
esistenti dal tempo di pace o da costituire ex novo
* al completamento e costituzione dei comandi delle grandi unità e dei relativi
servizi logistici
Con la mobilitazione che prevede l'occupazione del confine coi relativi
alloggiamenti e servizi logistici è necessario provvedere in loco alle truppe di
copertura (in stato di difesa), per dare sicurezza e protezione alla grande
massa che va mobilitandosi nel territorio, nelle retrovie o sta raggiungendo le località di raduno,
da eventuali colpi di mano nemici.
La capacità enorme dei
tedeschi, di spostare armate da un fronte all'altro del paese sui treni, gli permetteva
anche di attaccare sempre tutti con schiaccianti superiorità numeriche. Da parte dei Serbi
non giungevano segnali di operazioni, tanto che si dubitò fossero ancora dalla
nostra parte. La situazione
italiana degli armamenti e dei mezzi, era delle più tragiche.
Mancavano le mitragliatrici, anche di fabbricazione straniera, poiché nel
periodo della non belligeranza, le forniture si erano interrotte. Le
artiglierie ippotrainate scarseggiavano di cavalli a cui si ovviò con acquisti in
America. Meglio andava per quelle
alpine dotate di muli. L'artiglieria
da campagna che all'inizio del conflitto contava solo 31 Reggimenti, si
integrò a sua volta con Reggimenti di Milizia Mobile a cui andarono i vecchi
pezzi risorgimentali. In alternativa si riducevano le batterie (compagnie)
d'organico. L'artiglieria pesante e d'assedio venne in parte
compensata da materiali della Marina, smontati da navi e installati su chiatte
nella Laguna Veneta. Gli ordinativi alle industrie nazionali ( che si erano
riconvertite), non potevano superare la loro capacità produttiva, anche se si
lavorava su più turni. Ciò fu alla base, nei primi anni di guerra,
dell'aumento del deficit di bilancio dello Stato, essendo le commesse
assegnate al prezzo più alto anche a fabbricanti minori meno competitivi. Per gli autocarri e gli automezzi, ad esempio, il blocco delle
importazioni nell'anno di non belligeranza pregiudicava la messa in linea di
qualsiasi mezzo. Si compravano all'estero carburatori, alberi a gomito e
particolari senza i quali il mezzo non si avviava.
In campo aeronautico l'Italia entrava in guerra con 5 dirigibili e 58 aeroplani
per passare l'anno dopo a 370.
All'inizio della guerra, su
un confine di circa 600 Km il generalissimo Cadorna disponeva di ben 4 armate:
- La 1° armata con comando a Verona agli ordini del gen. Roberto Brusati, si
schierava dal Passo dello Stelvio (Svizzera) al Passo Cereda, Rolle (oggi SS50
da S. Martino di Castrozza verso Feltre) su un arco
valutabile in linea d'aria attorno ai 200 Km. con III Cda dal confine svizzero
al Garda, V Cda dal Garda al Lora e parte dell'VIII cda dal Passo Lora in Val
Cismon
- La 4° armata con comando situato a Vittorio Veneto agli ordini del gen. Luigi
Nava, dislocava le proprie forze dal Passo Cereda al monte Peralba in Cadore (sorgenti del
Piave) per uno sviluppo di circa 75 Km con il IX e I Cda.
Il comando autonomo Carnia del Gen. Lequio con XII Cda e raggr alpini tra il Peralba
e Montemaggiore (*ma molti lo fanno retrocedere al Rombon (Gruppo
Canin) in val di Plezzo molto più a Nord)
- La 2° armata agli ordini del gen. Pietro Frugoni, con sede a Udine, si
stendeva dal Montemaggiore* fino all'abitato di Manzano su uno sviluppo di circa
35 Km in un territorio particolarmente impervio con i Cda IV, II, VI
- La 3° armata con sede a Portogruaro (gen. Luigi Zuccari* poi Duca
d'Aosta dal 25 maggio) copriva il restante confine, fino al mare, comprendente il Carso
vero proprio con i Cda X,XI,VII.
*
Zuccari aveva ricevuto l'ordine da Cadorna di
sconfinare prima della dichiarazione di guerra. Avendo mosso delle obiezioni
perché la mobilitazione non era completa fu sollevato dal Comando. Il 24 maggio
la III armata era ufficialmente senza comandante
http://www.fronteitaliana.it/Uniformi/Sinottico_mostrine1.html il
nuovo esercito
Restavano inoltre dislocati come riserve 4 corpi d'armata (XIII, VIII, XIV).
Un esercito di quasi 500.000 uomini cui l’impero asburgico temporaneamente
oppose solo 80.000 soldati poco esperti, male armati ma ben arroccati.
E’ cosa nota che il fronte
italiano, che fosse alpino o orientale, fosse sguarnito di truppe austriache.
Quand’anche sembrasse il contrario a presidiarlo era la Landsturm territoriale e
la Standsschutzen fatta di vecchi e ragazzi. La miglior gioventù era già morta
sui campi di Russia. Restavano i forti a tamponare l’imprevisto attacco degli
italiani. Ma in
guerra, si sa, se vuoi fare una cosa devi partire un anno prima. Ora che
c’eravamo però ci stendemmo su migliaia di chilometri di fronte e ottoni in testa
avanzammo. Loro naturalmente ci aspettavano e davanti a loro avevano steso
difese attive e passive, e fra le attive erano comprese anche aliquote di
Germanici che noi consideravamo ancora amici dal 1866. La situazione nel Carso
non era certo delle più favorevoli, ma in Carnia e Cadore era anche peggio. Il solo
spostare un cannone era una impresa. Passarono 15 giorni durante i quali gli
austriaci si attrezzarono ulteriormente. Rientrarono reparti scelti dalla Russia
e istruttori con esperienza alle spalle per rinfrancare le spine e i vecchi. Gli
scontri presero quindi sempre più forma e continuità anche se a parteciparvi
erano pochi uomini e pochi saranno i caduti di guerra. Il nemico principale qui
era la natura, specialmente d’inverno.
Così ci
videro gli austriaci nei primi giorni di guerra
(versione confermata anche da
altre fonti):
"Nella sua complessiva condotta, il
nemico si mostra molto cauto, si avvicina piano piano alle posizioni ove pianta
la propria artiglieria e subito si trincera sotto terra. Dal punto di vista
tattico non è un procedere inetto ma strategicamente è assolutamente
sconsiderato. Il momento favorevole (per una fulminea e vittoriosa avanzata) è
ormai passato e nulla lo farà più tornare."
(Traduzione dal tedesco dal Diario del Tenente Generale Kraft
von Dellmensingen, Comandante del Corpo d'Armata Austroungarico del Tirolo – 7
giugno 1915)
|