La Famiglia Cadorna
Raffaele Cadorna (Milano 9-II-1815, +Torino 6-II-1897)
Nato a Milano emigrò giovanissimo in Piemonte. Il padre Carlo fu ministro con Carlo Alberto e Presidente del Consiglio di Stato con Vittorio Emanuele II. Soldato distinto nel 1° Reggimento Savoia (13-VII-1833), Sottotenente nella Brigata Pinerolo (2-IV-1834), Tenente del Corpo del Genio (1-II-1840), Capitano poi Maggiore (11-V-1848) in comando ai reparti del genio dei volontari lombardi. Dopo la pace si arruolò nella legione straniera francese d'Algeri fino allo scoppio della guerra di Crimea quando ritornò per comandarne un battaglione. Nel 1859 col grado di tenente colonnello fece da apripista alla battaglia di San Martino. Passò col grado di Colonnello al Ministero della Guerra nel governo provvisorio toscano. Tenente Generale del Regio Esercito Italiano dal 17-III-1866, partecipa alla III guerra di indipendenza col corpo che punta a liberare Trieste. Commissario Straordinario del Re d’Italia in Sicilia dal 18-IX-1866 (repressione dei disordini) e in Emilia (5-I-1869) nei quali ebbe la mano pesante. Comandante in Campo la Spedizione di Roma il 14-VIII-1870 poi Comandante il Corpo d’Armata di Torino. A riposo dal 17-V-1877. Già deputato poi senatore, fu sempre un accanito avversario del garibaldinismo, nonostante fosse spesso affiancato da ex generali di Garibaldi (Bixio, Cosenz, Medici).
Onorificenze: creato Conte il 16-XII-1875. Cavaliere dell’Ordine Supremo della Santissima Annunziata, Gran Cordone dell’Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro, nominato Cavaliere dell’Ordine Militare di Savoia, Commendatore dell’O.M.S , Cavaliere di Gran Croce dell’O.M.S , Deputato al Parlamento del Regno d’Italia dal 22-X-1865, Senatore del Regno d’Italia dal 15-XI-1871.
Luigi Cadorna (Pallanza 4-IX-1850, +Bordighera 21-XII-1928)
Nato a Pallanza (No) nel 1850, ( figlio di Raffaele 2° Conte dal 1897), intraprese la carriera militare nel corpo di Artiglieria col grado di sottotenente. Dopo una breve pausa al Comando del Corpo di Stato Maggiore, da colonnello comanda il 10° bersaglieri nel 1892. Rientrato nei ranghi di Stato maggiore è all'VIII c.d.a. Nel 1898 comanda la brigata Pistoia e la Divisione Ancona. Cavaliere di Gran Croce dell’O.M.S, Senatore del Regno d’Italia 1912, Tenente Generale 30-III-1907, Comandante la Divisione di Napoli 30-III-1907, Generale di Corpo d’Armata 1910, Capo di Stato Maggiore dal 10-VII-1914 all’8-XI-1917, Maresciallo d’Italia 4-XI-1924. Uomo dai difficili rapporti coi politici, sarebbe il naturale successore di Saletta se non fosse che si lascia sfuggire frasi non gradite anche a Corte. Per ora l'incarico va al Generale Pollio. Nel 1911 è generale designato d'Armata. Alla vigilia della Grande guerra sostituisce il Generale Pollio allo Stato Maggiore Generale. Nei primi due anni del conflitto riesce a controbattere tutte le offensive portate dai tedeschi pur dovendo, contro la sua natura, trincerare i reparti dal Trentino a Trieste. Nel 1917 con la caduta del fronte russo, si ritrova forze soverchianti e fresche contro il nostro esercito fiaccato dai tempi e dalla durezza dello scontro. Dopo Caporetto viene esonerato e abbandona l'Esercito al termine del conflitto (salvo un breve periodo nel Comitato consultivo militare alleato di Versailles organo puramente inutile). Alcuni anni dopo, già a riposo riceve il grado di Maresciallo per il contributo comunque dato nell'assestamento del fronte sul Piave. La questione Caporetto era da considerarsi chiusa.
Così il Ten. P. C.
Dominioni descrive una trincea a Quota nn del Carso: La qualifica di trincea,
sulla nostra destra, è un po’ eccessiva: gli uomini hanno come tutto riparo un
muretto di pietre accostate alto un palmo e ci stanno dietro supini o stesi sul
ventre. I fianchi sono protetti da traverse perpendicolari, alte come il
muretto. Muoversi di giorno, una pazzia: e il cambio non si può fare che di
notte”. “Tiro di sbarramento su di noi. Grossi calibri piovono fitti sul nostro
povero sistema difensivo. "…La pioggia continua snida dal terreno il puzzo
della vecchia orina; e in certi posti si è costretti a strisciare a terra,
mettendo le mani sopra ogni genere di roba, magari su qualche decomposto pezzo
di soldato."
Durante un'azione, lo stesso Tenente Dominioni ha qualcosa da ridire sulla
strategia italiana:
"Noi non siamo certo dei luminari della strategia. Al corso ci hanno insegnato
quel po' di tattica che ci doveva bastare per l'esame […]. Ma il terreno di
Castagnevizza l'abbiamo visto uscendo a carponi dai varchi (questo ce lo siamo
studiato da soli, perché all'Accademia non c'era nessuno, allora, che avesse
provato) e ci chiediamo: dobbiamo dunque ostinarci ad attaccare frontalmente
anche stavolta, il colle che ha già inghiottito migliaia di vite? C'è in giro,
da qualche tempo, un noioso pestilenziale libretto intitolato "Attacco frontale
e ammaestramento tattico": c'è scritto come bisogna fare a prendere la
posizione. E allora possiamo dimenticare che il colle obiettivo è fiancheggiato
da due valloncelli aperti e ben visibili fino in fondo, molto meno fortificati,
che sembrano messi lì apposta per l'aggiramento."
C'è una cosa che il giovane tenente non sa:
l'autore del "pestilenziale libretto"
è proprio il Cadorna, e’ una seconda edizione di un opuscolo dalla
copertina rossa, steso dal generalissimo nel 1905; Lo fece ristampare nel luglio
del 1914, quando succedette a Pollio. L'esercito italiano combatteva con criteri
bellici vecchi di (almeno) 10 anni, seguiva istruzioni militari redatte ben
prima dell'avvento della guerra di posizione. Cadorna teorizzava due tipi di
attacco, l'attacco brillante e quello lento: "Per attacco brillante si calcola
quanti uomini la mitragliatrice può abbattere e si lancia all'attacco un numero
di uomini superiore: qualcuno giungerà alla mitragliatrice […]. Per attacco
lento si procede verso la mitragliatrice mediante camminamenti coperti, in modo
da subire meno perdite “. Ci voleva giusto un Generale per elaborare queste
cazzate.
http://www.30giorni.it/it/articolo.asp?id=1446
Cadorna contro i governi
LA DISCIPLINA CADORNA FRA LE ALTE SFERE
http://www.biblio-net.com/
Cesare De Simone (Colonnello) nel suo “L’Isonzo mormorava”:“Nel marzo 1916 il mio comandante
di divisione, al quale riferivo per telefono le ragioni per cui una operazione ordinatami non poteva riuscire e si sarebbe avuto un macello, osservò che di
carne da macello da darmi ne aveva quanta poteva abbisognarmene; risposi che
facevo il colonnello non il macellaio; s’interruppe il telefono: un ordine
scritto mi ordinò l’onerosa operazione.”. Non c’è da stupirsi più di tanto.
Lo stesso Cadorna osava ripetere ai suo generali:“le sole munizioni che non mi
mancano sono gli uomini.”.
.... semplificativa anche la testimonianza del capitano Giorgio Oreffice:“E’ dal
settembre [del 1915] che la linea non si vantaggia che di pochi metri. Mentre
sono in trincea presso l’osservatorio arriva un giorno il Gen. Marchetti
[comandante della 21° di visione] insieme col col. Asclepia Gandolfo del
9°Fanteria. Ed è al colonnello che gli mostra l’impossibilità di superare
l’ostacolo dei reticolati, il Generale con una mentalità che non merita d’esser
qualificata, di fronte ai soldati che ascoltano, risponde: - Superateli facendo
materassi di cadaveri -.”.
Nessun ufficiale poteva ribellarsi agli ordini superiori. La disciplina era una
delle regole ferree dell’esercito regio. Chiunque osava mettere in discussione
le strategie militari di Cadorna, incappava nel suo siluramento.
Non si salvarono generali di grosso spessore, come Giuseppe Venturi, il
conquistatore del Sabotino e del Passo della Sentinella. Così il nipote, Paolo Caccia Dominioni, racconta il “siluramento” :
“ […] In agosto comandava la 14° divisione, proprio a contatto della mia 4° e
anche lui doveva attaccare Castagnevizza. Gli ordini erano per il solito attacco
frontale. Lui si oppone, dice che non vuole massacrare migliaia di uomini per
rispetto a una teoria quando è possibile, con un po’ di scaltrezza, sfruttare i
fianchi del nemico. Succede un pandemonio: stavolta la protezione del cugino
generale Porro [vice capo di S.M.]non ha salvato Venturi dal siluro di
Cadorna.”.
La grande fermezza del generale Venturi appare anche dalla pagine del già citato
De Simone:
“[…] anche il duca d’Aosta, per non essere da meno agli occhi del re [che lo
teneva nelle sue grazie], concesse al colonnello Badoglio, per l’azione del
Sabotino, la nomina a maggior generale. Ben altro meritava Badoglio, visto che
il suo diretto superiore in quell’azione, il generale Giuseppe Venturi, lo
voleva deferire alla corte marziale per aver abbandonato la testa della colonna
a lui affidata, dopo la conquista del monte. Badoglio aveva l’ordine di
proseguire l’avanzata verso San Valentino, invece se ne andò sostenendo che la
sua missione era finita. Quando, quella sera stessa, Capello chiamò al telefono
Venturi per ordinargli di proporre Badoglio all’avanzamento per meriti di guerra
questi si rifiutò:- Dovrei denunciarlo – disse.- Va bene. Allora se non lo
proponi tu lo proporrò io – fece Capello. Badoglio viene nominato comandante del
XXVII corpo d’armata”(e fu così che ci avviamo verso Caporetto con
la triplice Cadorna Capello Badoglio e company
Luigi Capello
http://www.tuttostoria.net/focus_recensione_storia_contemporanea.asp?id=246
Luigi Cadorna apprende a Versailles (qui nella sua veste di membro del Comitato consultivo militare alleato del quale fece parte prima della fine della guerra) delle ingiurie e delle accuse che gli rivolgono alla Camera: «Mi assalgono da tutte le parti, perché non posso difendermi; sanno che sono troppo soldato e troppo lontano per prenderli alla gola. Sta bene. Alla Camera non risponderò che col silenzio. Voglio che mi temano, prima, per quello che potrei dire; perché quei vili mi temono. Che cosa mi potranno fare? Mettermi sotto inchiesta? lo considererò chi sono i giudici: e se sono magistrati ed ufficiali comparirò dinanzi a loro; allora, soltanto allora, parlerò. Ma se saranno deputati o senatori, non mi presenterò: non li riconosco competenti di discutere con me di cose che non sanno. Come potrebbero discutere seriamente, d'altra parte, quando il ministro della guerra ha anticipato le conclusioni alla mia opera? Perché mi potranno rivolgere tutte le accuse, gettare tutte le infamie. Ma per due anni e mezzo ho formato, animato, guidato un esercito italiano di tre milioni e mezzo di uomini. Per la prima volta in Italia, dopo le misere prove del '48, del '66 e anche di dopo, si è visto un uomo solo comandare e comandare davvero. Per la prima volta in Italia l'esercito ha vinto da sé, senza aiuto straniero, battaglie come la Bainsizza, che il nemico ha riconosciuto grandi. Dicano ciò che vogliono i cani che mi mordono: ma quest'opera d'unificazione, la mia gloria, non potranno contestarla, né tanto meno, distruggerla”
Da Villar Pellice Cadorna così si difendeva scrivendo al direttore di "Vita italiana" a fine conflitto (1919). " La Gazzetta del Popolo ha pubblicato ieri (11/9) le conclusioni dell'inchiesta su Caporetto. Si accollano le responsabilità a me e ai generali Porro, Capello, Montuori, Bongiovanni, Cavaciocchi e neppure si parla di Badoglio, le cui responsabilità sono gravissime. Fu proprio il suo Corpo d'armata (il 27°) che fu sfondato di fronte a Tolmino, perdendo in un sol giorno tre fortissime linee di difesa e ciò sebbene il giorno prima (23 ottobre) avesse espresso proprio a me la più completa fiducia nella resistenza, confermandomi ciò che già aveva annunciato il 19 ottobre al colonnello Calcagno, da me inviatogli per assumere informazioni sulle condizioni del suo Corpo d'armata e sui suoi bisogni. La rotta di questo Corpo fu quella che determinò la rottura del fronte dell'intero Esercito. E il Badoglio la passa liscia! Qui c'entra evidentemente la massoneria e probabilmente altre influenze, visto gli onori che gli hanno elargito in seguito. E mi pare che basti per ora!". (Le altre influenze erano della monarchia). (Ib. pag. 133).
LA
COMMISSIONE D'INCHIESTA SU CAPORETTO
Il 12 gennaio 1918 il Governo presieduto dall'onorevole Orlando deliberava la
costituzione di una Commissione d'inchiesta su Caporetto. La Commissione,
presieduta dal generale dell'esercito Caneva, concluse i lavori il 25 giugno
1919, dopo 241 sedute, raccolse 1.012 deposizioni verbali, 130 volumi di
documenti e pubblicò le risultanze in 3 volumi. II primo narra gli avvenimenti
senza commentarli, il secondo esprime gli apprezzamenti e le conclusioni, il
terzo contiene carte e schizzi. La Commissione mostra di comportarsi con molta
parzialità quando, riferendosi al comportamento di Badoglio e del suo XXVIIa C.d'A.,
afferma "... che occorreva avere il dono della divinazione per potere
prevedere la manovra nemica." Poiché è fuori dubbio che il Capello ebbe
questo 'dono' e nella conferenza del 14 ottobre 1917, tenuta al suo quartier
generale di Cormons, aveva esposto ai Comandanti del IV° e XXVII° C.d'A.
l'eventualità di una manovra nemica che sboccasse dalla testa di ponte di
Tolmino, con le caratteristiche che poi si verificarono nella realtà, è evidente
il desiderio o necessità della Commissione di proteggere Badoglio sollevandolo
da responsabilità nel disastro. Queste responsabilità c'erano e la Commissione
cercò di attenuarle, senza però cancellarle. La cancellazione avvenne più tardi
per l'intervento 'politico' che fece asportare (sparire) ben 13 pagine dalle Risultanze
della Commissione d'indagine su Caporetto. Secondo Fadini le pagine fatte
sparire per l'intervento dei deputati Orlando, Paratore e Raimondo, che
coinvolgevano il XXVII° C.d'A. (Badoglio), "... riguardavano più lo
sbarramento dell'Isonzo che l'artiglieria.". Badoglio non prese nessun
provvedimento verso i Germanici che risalivano l'Isonzo nel settore al suo
comando. I nemici, per la mancata difesa del fondo valle, alle 10.30 del 24
ottobre erano già alle spalle di 2/3 del IV° C.d'A.: 46a Divisione (Amadei)
e 43a Divisione (Farisoglio). Il giudizio complessivo della Commissione è così
formulato: "Gli avvenimenti dell'ottobre 1917, che condussero l'Esercito
italiano a ripiegare da oltre Isonzo fin dietro il Piave, presentarono i
caratteri di una sconfitta militare; e le cause determinanti di natura militare,
sia tecnica che morale, predominarono sicuramente su quegli altri fattori
estranei alla milizia, dalla cui influenza, che la presente Relazione dimostrò
esagerata, taluno aveva voluto dedurre che gli avvenimenti fossero da
attribuirsi prevalentemente a cagioni politiche".
- 10.000 morti, 30.000 feriti, 293.000 prigionieri e 350.000 sbandati,
successivamente recuperati in gran parte (e rimessi in organico previo esame),
fanno ascendere a circa 700.000 uomini la diminuzione di effettivi subita
dall'esercito italiano dal 20 ottobre al 20 novembre. Andarono perduti inoltre
3.152 pezzi d'artiglieria, 1.732 bombarde, 3.000 mitragliatrici, 73.000
quadrupedi, 1.600 autocarri, 115 ospedali da campo.
- Commissione d'inchiesta (SMC229/230). Secondo Silvestri i prigionieri italiani
tra il 24/10 e il 4/11/1917 si ripartiscono così: 11.650 IV Armata
(5,1%), 19.600 Zona Carnia (21,5%),
27.650 III Armata (9,1%), 202.000 II
Armata (30,3%), per un totale di 260.900 uomini che si andavano ad
aggiungere alle decine di migliaia già dietro il filo spinato. Le percentuali
sono riferite alla forza iniziale dei corpi. (SMC230) Come abbiamo visto i
soldati italiani combattenti impegnati sul fronte dell'offensiva nemica erano
circa 70.000. I 10.000 uccisi e i 30.000 feriti sarebbero da ascrivere per la
maggior parte a questi combattenti.
Mario Troso "LA BATTAGLIA DI CAPORETTO"
http://www.artericerca.com/Pubblicazioni/La Battaglia di Caporetto 1917.htm