LA GUERRA D'ETIOPIA 1935-36
"E Noi tireremo
dritto", Axum, la stele, il rito della "Fede", faccetta nera, la forestale, Curtatone e
Montanara, la Colonna Celere, Cappellani d'assalto
Abbiamo lasciato Ras Tafari Makonnen, col grado di Vicario Imperiale,
nell'incerto scenario della successione al trono di Menelik. Nel 1924, convinto
che il suo paese dovesse evolversi dal feudalesimo verso una forma più civile nel
rinnovato contesto internazionale, portò con se gli altri ras ad una visita della capitali europee.
Con se per un motivo molto semplice; se li lasciava a casa non era sicuro di
ritornarci lui
in
Etiopia. Le tecnologie del mondo occidentale, ormai
diffuse, stupiranno questi signorotti di provincia e convinceranno ancor di più
il futuro Negus Hailè Selassiè che l'unica possibilità di salvare l'ultimo
grande impero sovrano d'Africa è la modernizzazione o in alternativa essere preda
di uno o più vicini (europei) o dei propri stessi cittadini visto quanto era
successo in Russia. Inizialmente
la politica italiana verso l'Etiopia era stata di benevolo
protettorato, sulla falsariga dei vecchi accordi di pace, confermati anche dal
nostro ruolo attivo svolto nell'agevolare l'ingresso di
Addis Abeba nella Società delle Nazioni. Ad accentuazione di questo stato di cose nel 1928 era stato
stipulato un patto di amicizia
della durata di 20 anni
che avrebbe dovuto mettere il cuore in pace al Negus. Hailé Selassié non nascose però la diffidenza nei
confronti del governo di Roma. Nutriva il sospetto che l'aiuto di tecnici italiani
preludesse alla penetrazione economica. Per sventare la minaccia chiamò tecnici da
altre nazioni (forse questi non facevano penetrazione economica !!!) e ostacolò, per quanto possibile, gli appalti alle ditte italiane
per la costruzione di strade, rallentando anche i rapporti commerciali. Nel giro di pochi anni l'atmosfera si avvelenava: secondo la
testimonianza di De Bono, Mussolini inizia a meditare l'invasione dell'Etiopia
fin dal 1932. Salito al potere nel 1930 il Negus Hailé Selassié si circondò
ben presto di consiglieri Inglesi, Francesi, Belgi, Svedesi per il riordinamento
dell'esercito, l'addestramento all'uso delle nuove armi e dell'aviazione.
Quel
che all'Italia occorreva ora era un "casus belli". La zona dei pozzi di Ual-Ual, una
ventina di pozzi d'acqua potabile, era stata
fortificata dagli italiani per proteggerla dalle frequenti incursioni, e per
controllare questa risorsa essenziale per le popolazioni nomadi
del controverso Ogaden, a cavallo tra i due paesi. Il possesso della zona non è
mai stato riconosciuto dall'Etiopia e, per la vicinanza al confine con il
Somaliland britannico, anche l'Inghilterra era da sempre interessata alla questione. Il 24
novembre 1934 una commissione mista anglo-etiopica si avvicinò ai pozzi,
accompagnata dalla minacciosa presenza di centinaia di abissini armati di tutto
punto. Al momento stazionavano nel fortino italiano due sottufficiali indigeni e una
sessantina di dubat, i quali sollecitarono istruzioni al telefono senza cedere la
posizione. La tensione salì rapidamente. Arrivò il comandante delle bande armate
confinarie, capitano Roberto Cimmaruta, il quale si rese immediatamente conto
che era meglio fare affluire altre forze, sostenute da autoblindo, e mettere in
allarme
l'Aeronautica. A nulla servirono i tentativi di negoziare sul campo,
britannici compresi, una
qualche soluzione con gli abissini che
pretendevano l'abbandono immediato della località. La tensione salì
ulteriormente quando i pozzi vennero sorvolati dagli aerei italiani. Gli inglesi
espressero una vibrata protesta "diplomatica" ma si levarono
dalle castagne. Gli
abissini guidati da
un audace fuoriuscito somalo, Omar Samantar, noto per le sue azioni di
guerriglia invece restarono. Il 5 dicembre, pomeriggio, bastò un
gesto di scherno, una parola di troppo e scoppiò il finimondo.
La risposta italiana, la mattina successiva, è devastante. Il capitano Cimmaruta fece intervenire i carri veloci e l'aviazione
che in picchiata mitragliando e spezzonando i concentramenti abissini decisero la partita: 300 morti fra gli abissini, 21 fra i nostri dubat
ed un centinaio di feriti fra gli italiani. Mussolini non
sentì ragione di chiudere diplomaticamente la questione e come sua abitudine
alzò il prezzo. Gli avvenimenti d'ora in poi si susseguirono con un crescendo
tragico: il 27 dicembre la
mobilitazione in colonia, il 7 gennaio 1935 l'accordo di
desistenza con la Francia (per Gibuti) e da febbraio
imbarco dall'Italia delle divisioni dirette a Massaua e Mogadiscio:
II C.d'Armata -Maravigna
|
I C.d'Armata - R. Santini |
Comando
Superiore Op. - De Bono 3/10 - 21/11/35 Badoglio 28/11/35
- 5/5/36
CSM Melchiorre Gabba
Riserva D'armata IV cda Gen. Ezio
Babbini
Div.Cosseria
Gen. Adolfo Olivetti (89-90 f 108 ar)
Div.CC.NN 1 Febb.
Gen. Attilio Teruzzi
X e XV Indigeni
Div. CC.NN 3 Genn.
Gen. A. Traditi
Div. Sila
Gen. Francesco Bertini
|
*La 5° divisione
alpina Pusteria è nuova, e per non indebolire le divisioni territoriali, la
compongono il 7° reggimento alpini con i battaglioni Feltre, già del 7°,
Pieve di Teco, del 1°, Exilles, del 3°; l'11° reggimento con i battaglioni
Trento del 6°, Saluzzo del 2°, Intra del 4°; il 5° reggimento artiglieria
alpina, di nuova costituzione, con i gruppi Belluno del 3° da montagna della
Julia, e Lanzo, del 1° montagna della Taurinense; in più c'è il VII
battaglione complementi alpini (che diventerà il battaglione Amba Uork), l'XI
battaglione complementi alpini, la 10° colonna salmerie, e la 5° mista genio
e servizi. In totale, compresi i servizi trasporti, la sezione Sanità e
quella di Sussistenza, sei ospedali da campo e una compagnia chimica: oltre
350 ufficiali e sottufficiali, 12.750 uomini di truppa e quasi quattromila
quadrupedi."
|
Div.Gran Sasso
Gen.
Adalberto di Savoia |
Div. Assietta
Gen.
Enrico Riccardi
29-30° f
- 25 art |
Div. Gavinana
Gen. Nino Villasanta
83-84-70 f 19 art |
Div. Pusteria
*Gen.
Luigi Negri
7-11° fa - 5 art |
Div. Granatieri Savoia
10° granatieri e btg alpini "Uork Amba" e GDF
11° poi con III battaglione bersaglieri A.O.I. |
Div. Sabauda
Babbini poi Gen.
Italo Gariboldi
45-46° f - 3° Bers (Col. De Simone) -16 art . |
3a Div. CC.NN 21 Aprile
Gen. Giacomo Appiotti
230/252/263 leg |
2a Div.CC.NN 28 Ott.
Gen. Umberto Somma
114/116/180 leg 6° gr ccnn Pietro
Montagna |
XVIII e XXIII Indigeni Bande Seraè, Cheren, Hamasen |
V - XXV Indigeni e banda Scimezana |
10° sq. c. veloci Esploratori del Nilo
|
5° Gr. squadroni carri veloci |
Artiglieria di Cda I e IV gruppo |
Artiglieria di Cda III e V gruppo |
Aviazione e servizi e Genio |
Aviazione e servizi e Genio |
secondo
http://italie1935-45 |
III C. d'Armata Ettore Bastico |
C.d'A. Eritreo A. P. Biroli |
C.d'A.Somalo R. Graziani |
Ezio Babbini è nato a Pistoia nel
1873. Sottotenente nel 1893, ha percorso la carriera nell'arma di fanteria.
Prende parte alla campagna di Libia poi alla grande guerra col grado di
capitano; nel settembre 1915 fu promosso maggiore; tenente colonnello nel
febbraio 1917; colonnello già nell'agosto (scarseggiavano i quadri). Fece parte dapprima, e per oltre un
biennio, dello Stato Maggiore della 3a armata; nel dicembre 1917 gli fu
affidato il comando del 15° fanteria che tenne fino al novembre 1924. Fu poi
insegnante di storia alla Scuola di Guerra e comandante la Scuola centrale
di fanteria. Da generale di brigata e di divisione ha comandato le Scuole
centrali militari di Civitavecchia, indi le divisioni di fanteria "Monferrato" e
"Pasubio". È decorato della croce di cavaliere (Gorizia,
Altipiano Carsico, maggio 1915-agosto 1917) e di quella di ufficiale (Carso,
Piave, 26 ottobre-9 novembre 1917) dell'OMS e della
medaglia di bronzo al valor militare (Carso giugno 1915-giugno 1917).
|
Bassopiano Occidentale Gen.
Amedeo Couture
Btg indigeni bande appiedate, raggr. Celere, Carri
veloci |
Div. 1a Eritrea
Gen. Salvatore Di Pietro
I Brigata mista
Gen Gallina III brigata mista
Gen. Cubeddu e art. montagna |
Div. Peloritana
Gen. Sisto Bertoldi
(3-4°f -166 a) |
Bassopiano Orientale Gen.
Oreste Mariotti
Btg indigeni, Btg Libico, bande Massaua, Dancale,
Artiglieria
|
Div. 2a Eritrea
Gen.
Achille Vacacrisi
II Brigata mista Gen. Renzo
Dalmasso IV brigata mista
Gen. Gustavo Pesenti
e art. montagna |
Div. Libica
Gen.
Guglielmo Nasi
(1-2-3° f.lib -1 arl) |
Div. CC.NN Tevere
Gen. Enrico Boscardi |
1a Div.CC.NN 23 Mar.
Gen Ettore bastico
135/192/202 leg. I gr. ccnn Diamanti |
Div. CC.NN 7a Cirene |
|
4° Gr. squadroni carri veloci e a cavallo
e art. |
Bande cavall. Indigena e Squadrone carri v. |
Camicie nere Eritrea |
Bande Hassamò |
X Battaglione libico |
Artiglieria di Cda e Genio |
Artiglieria di Cda |
Artiglieria di Cda e Genio |
Aviazione e servizi |
Aviazione e servizi e Genio |
Aviazione e servizi |
Con
i militari si imbarcarono oltre 100.000 civili portando la forza complessiva a
oltre 300.000 uomini. I civili dapprima impiegati per allargare le zone portuali,
saranno poi al seguito delle truppe per tracciare ed allargare le strette
mulattiere che si inerpicano sulle ambe (alla fine della guerra molti di questi
civili resteranno e le strade costruite resteranno per decenni le uniche grandi
opere). All'epoca solo una ferrovia collegava
Addis Abeba al resto del mondo (a Gibuti francese). Il comando delle operazioni venne dato al Gen.
De Bono, quadrumviro della prima ora, che passò l'estate ad allestire il più
grande esercito che si sia mai visto in terra d'Africa. L'Inghilterra
preoccupata dalla brutta piega degli avvenimenti inviò la Home Fleet nel
Mediterraneo ed in risposta ne ebbe la (famosa) frase di Mussolini " ...e
noi tireremo dritto ". Loro il gesto lo hanno fatto ora possono
ritornare a casa. Il 2 ottobre dal balcone di Palazzo Venezia, dopo che le sirene
e le campane avevano radunato in tutte le piazze d'Italia milioni di persone,
Mussolini consegnò alla storia la sua prima dichiarazione di guerra (se si
esclude Corfù) " Con
l'Etiopia abbiamo pazientato quarant'anni. Ora basta ". Il passaggio del canale di Suez,
"stranamente" in mano inglese,
si deve pagare in oro. A ciò non basterà la raccolta lanciata per l'oro alla
patria. Si disse che l'Agip, padrona di diritti di perforazione in Iraq
("stranamente" superprotettorato inglese galleggiante sul petrolio), abbia
ceduto le proprie quote in cambio di quell'oro che gli Inglesi si riprendevano
poi a
Suez. Il Negus visti i
voltafaccia di inglesi e francesi si era rivolto per le armi ai soliti Belgi e Svedesi e
sicuramente ai tedeschi, offesi per la presunta protezione data dall'Italia
all'Austria nel Luglio 1934 all'epoca del Putsch. Fra gli armamenti che saranno poi catturati c'erano
infatti 10.000 fucili
Mauser, 36 cannoni antiaerei e 30 anticarro "pak 35" tutti tedeschi. I vari Ras
schieravano un ugual numero di armati ma in difetto di trasporto, logistica,
artiglieria e aviazione. Le truppe italiane varcarono il confine il 5 novembre
1935 dirigendosi in tre colonne su Axum
(la città santa, la città dei cento obelischi), Adigrat e Adua. Qui, il 6, De Bono decise di
fermarsi per saggiare l'eventuale reazione avversaria. Questa azione mandò su
tutte le furie il Duce che gli mandò personalmente l'ordine di attaccare. Il 2
novembre la Società delle Nazioni aveva intanto decretato le sanzioni contro
l'Italia, in pratica un embargo su molti prodotti strategici. Gli effetti di
questo embargo oltre che rafforzare il fronte interno diedero impulso alla già
fiorente industria autarchica. I paesi che non aderirono all'embargo, Germania,
Stati Uniti !! e Giappone, continuarono a fornire materie strategiche.
Dagli Usa
riuscimmo a comprare addirittura Caterpillar e Camion Ford, coi soldi raccolti
fra gli
stessi italiani d'America (colletta fatta dal sindaco di New York Fiorello la Guardia). Il
regime aveva preparato il terreno costituendo negli Usa associazioni tra
emigrati che fecero pressione sui "congressmen" di Roosevelt eletti col peso dei
voti degli italo-americani. Il
6 novembre, rimesse in moto le armate, occupammo Makallè senza peraltro aver
visto segno del nemico. Il 15 novembre, stante la lentezza delle operazioni, De
Bono viene però sostituito dal redivivo Badoglio. I tempi della
sostituzione, comunque lunghi, comportarono per ora una pausa nella avanzata.
In
Italia intanto si era celebrato il Rito della Fede
dopo le sanzioni. "Oro alla patria" veniva anche chiamato sulla
falsariga di quanto avvenne più modestamente nella Grande Guerra in Italia e non: migliaia di donne Italiane avevano
donato la loro fede matrimoniale e anche Pirandello offrì la medaglia d'oro del
Nobel. Gli
abissini intanto si preparano, come ben si poteva immaginare, a concentrare le
forze ed a muovere le prime schermaglie. Il 15 dicembre, al passo Dembeguinà, Ras
Immirù attaccò una colonna italiana di carri "armati" L3 ( detti anche Arrigoni!!!
o scatolette per l'esiguità della corazzatura ) del 10° squadrone di cui
ebbe ben presto ragione.
Il concentramento del nemico che per noi era la minaccia maggiore fu rallentato
nei 30 giorni successivi con attacchi aerei e chimici dopo la specifica
autorizzazione rilasciata da Mussolini. Le opinioni
sull'uso effettivo dell'iprite (vescicante) sono contrastanti sia per la natura
del terreno, che non era favorevole, che per la mancanza di maschere da parte
italiana. In caso di errori di lancio e per le condizioni sfavorevoli di vento
la minaccia si sarebbe ritorta su noi stessi (queste son cose risapute fin dalla
grande guerra). Sul fronte nord sicuramente venne
usato fosgene (circa 1.000 proiettili o bombe ). Il 20 gennaio Badoglio presa
ormai in mano la situazione, vedendo che tutte le scorte erano ripristinate e le
comunicazioni con la costa (500 km) pure riprese
l'attacco. L'impiego di tale massa di uomini, ricordiamo che i civili e gli
stessi militari quando non impegnati provvedevano allo sterro o allargamento di
camionabili (3.500 km di strade fatte al '41),
comportò a livello logistico una organizzazione altamente efficiente,
efficienza che venne accresciuta in mancanza di un reale contrasto nemico o
diminuita dalla natura e dalla impossibilità di procurarsi sul posto parte
delle scorte.
Badoglio, prima dell'offensiva, disponeva fra l'altro di
500.000 scatolette di carne, 150.000 unità di latte condensato, 150.000 bottiglie di
acqua minerale, 99 q.li di marmellata, 500.000 hl di vino, 500 hl di
cognac, 700.000 limoni, 450 q.li di frutta secca, 20.000 scatole di frutta
sciroppata e 15 milioni di sigarette; il tutto portato sull'altopiano con la
teleferica e la ardita ferrovia terminata nel 1911.
In successive battaglie
Badoglio prende l'Amba
Alagi sconfiggendo Ras Muluighetà e nelle montagne del Tembien Ras Cassa e Ras
Sejum. Contrariamente ai voleri del Negus le varie forze s'erano presentate
divise all'attacco degli italiani permettendo a questi, secondo un antico
concetto tattico, di batterle singolarmente. Dalle bocche dei legionari all'addiaccio
sotto il cielo stellato d'Africa e nelle lunghe marce sotto il sole cocente escono parole e
musica della
più famosa canzone di quel tempo: Faccetta Nera
http://www.mussolinibenito.net/mp3.htm
. Altri due fronti, a
cui s'aggiunse la colonna da Assab, erano stati aperti in via precauzionale per
impegnare parte delle forze del Negus. A sud il Gen. Rodolfo Graziani dalla Somalia si
mosse il 12 gennaio nella zona di Ganale Doria e Daua Parma tenuta dalle forze
di ras Destà. Le sue colonne in parte autocarrate (Aosta e Genova Cavalleria) sono
comandate dai Generali Bergonzoli, Nasi e
Augusto Agostini.
|
Il Luogotenente Generale Augusto Agostini, già comandante della
Milizia Forestale in Patria aveva il comando di una colonna così
composta: oltre alle 4 bande autocarrate c'erano il gruppo bande Dubat
(agli ordini del T. Col. alpino Camillo Bechis), una
coorte della milizia forestale con annessa batteria di artiglieria
(65 e 70 mm) e il Battaglione
Universitari Curtatone e Montanara.
La Coorte di volontari si imbarcò a
Napoli l' 8 ottobre 1935, diretta in Somalia ed ai primi di
dicembre era già schierata in prima linea fra Dolo e Malga Rie dopo aver
fatto traghettare i suoi numerosi automezzi, nottetempo, oltre il Giuba.
Una centuria proseguiva oltre il Daua Parma assieme al 4° Rgt. fanteria ed al XIV Btg. mitraglieri Arabo
Somalo, all'artiglieria, a sezioni autoblindo e lanciafiamme e a reparti
di Dubàt. Con la colonna Agostini, venne inquadrato anche il gruppo dei Carabinieri Reali. Il porto
fissato per lo sbarco dei Carabinieri era quello di Obbia, nella regione
della Migiurtinia, non praticabile come altri per i fondali (a
causa del pescaggio eccessivo della nave). Uomini e materiali furono quindi sbarcati, il 10 marzo, a un
miglio dalla costa. Venti
giorni dopo arrivarono anche gli automezzi e le quattro bande furono a
quel punto pronte ad aggregarsi alla colonna Agostini nella zona di
Rocca Littorio (250 Km nell'entroterra migiurtino. Consistente fu il contributo dato dalla
Milizia forestale
(vedi sotto)*
per la conquista dell’Impero (42 decorati di cui una medaglia
d’oro alla memoria e quattro d’argento (oltre il conferimento
dell’Ordine Militare di Savoia al suo Comandante). Fatti d’arme -Vallone della Morte – Daua Parma
21/01/36, Dagahbùr 14/04/36, Gunu Gado 24/25-04-1936.
http://www.littorio.com/home-i.htm
ccnn in aoi
Battaglione
Universitari Curtatone e Montanara:
questa formazione che ritorna nel tempo, come una
fenice che risorge dalle ceneri, la incontreremo ancora nella guerra di
liberazione al sud Libri
Ed. «Bur Scibis» Via F. Pinelli 13 - 00136 Roma.
Gaetano Falzone
IL
BATTAGLIONE UNIVERSITARIO
Sono passati 60 anni dall'epopea africana (1936) ed è stato fatto di tutto
perché se ne perda la memoria storica. Il battaglione CC.NN. «Curtatone e
Montanara» formato da giovani universitari che rinunciarono al grado di
Ufficiale pur di partecipare alle operazioni belliche, fu assegnato al
fronte Somalo sotto il comando di Graziani.
Beppe Rebuffa
C'ERA UNA VOLTA IL BATTAGLIONE
UNIVERSITARIO «CURTATONE E MONTANARA»
C'era una volta un paese pulito, ordinato, laborioso nel quale vivevano
studenti, professionisti, operai, impiegati, madri e spose, fieri della
loro Patria. Fra costoro 800 studenti universitari chiesero di partecipare
alla guerra d'Africa e diedero vita al Battaglione «Curtatone e
Montanara». Emuli di quelli toscani del
29 maggio 1848 che
opposero strenua resistenza agli austriaci, permettendo la vittoria di
Goito. Il testo parla della costituzione del Reparto e, attraverso gli
scritti dei volontari, riusciamo a partecipare al loro entusiasmo e alla
loro avventura. Gli elenchi completi dei volontari e del personale di
inquadramento permettono di ritrovare i nomi ed i volti dei camerati di un
tempo.
|
Dopo scontri ripetuti Graziani entrò a Neghelli il 19. Nessuno fino a quel
momento aveva capito l'importanza del fronte Sud che poteva destabilizzare la
reale continuazione della guerra ( gli inglesi 5 anni dopo rifaranno la stessa
strada per venirci a prendere). Spostate le forze nell'Ogaden orientale, e perdendo tre mesi preziosi, Graziani mosse
all'attacco dell' Harrar con obiettivo la ferrovia Addis Abeba Gibuti allo snodo
di Dire Daua che raggiungerà il 10 maggio 1936. La cosiddetta seconda battaglia
dell'Ogaden prevedeva sempre l'avanzata per linee parallele di tre colonne (Nasi,
Frusci, Agostini),
con il compito di convergere sul nodo strategico di Dagahbur per poi avanzare sui
passi di Giggiga e sull'importante città di Harar. L'obiettivo operativo era di
frustrare un ritorno offensivo abissino guidato dal degiac Nasibù Michael,
favorito in febbraio dall'iniziativa del suo sottoposto, il fitaurari Abatè
Tafari, che era riuscito, dopo un aspro combattimento, a eliminare il presidio
di una sessantina di dubat a Curari, permettendo la creazione di una buona base
offensiva per la riconquista dell'Ogaden. Nell'estremo nord con
obiettivo Gondar e Lago Tana si mosse il 19 marzo la colonna celere Starace
composta dai bersaglieri del 3° reggimento con un battaglione di camicie nere,
autoblindo e artiglieria. La colonna, ( 5000 uomini autoportati) che si
snodava per 15 km, sfondava foreste di bambù sotto un sole accecante con la temperatura interna delle macchine a
+50°. Tratto a tratto, proteggendo
sia il grosso degli uomini che gli sterratori all'opera, si avanza per 15-20 km
al giorno. Il 1
aprile abbandonati i mezzi negli ultimi chilometri la colonna entrerà a Gondar
a piedi dopo 300 chilometri di terra desertica e inesplorata. A sbarrare la
strada della capitale non restavano che i resti delle varie armate dei Ras e la
stessa guardia imperiale del Negus. Vicino al lago Ascianghi per 13 ore si
combattè l'ultima battaglia. Era la fine per gli
abissini. Persa Dessie capitale dei Galla ( nemici acerrimi del Negus ) non
restava altra strada che l'ultimo treno per Gibuti (2/5). Il 5 maggio Badoglio entrò ad
Addis Abeba scortato dal Gruppo Battaglioni Nazionali composto da rappresentanti
di tutti i reparti. Questa Guardia personale, costituita un mese
prima, comprendeva il battaglione misto cp. Bersaglieri motociclisti,
Granatieri, Finanzieri e S. Marco. La guerra è finita o almeno così sembra. Ras Desta impegnerà
però ancora per 8 mesi le armate italiane. Il costo dell'impresa non è mai stato determinato ma si stima arrivò a raggiungere il
12% del reddito nazionale.
Diceva Crispi
dopo le sconfitte "nelle guerre coloniali le più
grandi difficoltà vengono dopo". Badoglio dopo l'inaugurazione di una
strada lasciò a Graziani la patata bollente e questi ebbe a dirgli
"Tu non hai tagliato un nastro
hai tagliato la corda". Dopo l'attentato (vedi foto sotto) lui fece altrettanto.
La guerriglia qui come in Libia aveva iniziato
la sua opera destabilizzante con reazioni altrettanto violente. Dopo l’attentato
subito il 19 febbraio 1937 Graziani procedette all’esecuzione sommaria di oltre
3.000 persone, alla distruzione di villaggi e,
tra il 19 e il 20
maggio, al massacro nel convento copto di Debrà Libanòs, nel corso del quale
vennero uccisi 297 monaci, 129 giovani diaconi e 56 laici, rei di aver
collaborato all’attentato. Nel
dicembre del '37 arrivò a Massaua il Principe Amedeo d'Aosta, con immenso
sollievo degli Italiani e degli Etiopi. Amedeo d'Aosta portò in Etiopia una
atmosfera nuova, illuminata. Cessarono le rappresaglie e si diede inizio a
grandissime opere civili. Ospedali, scuole, strade, città. Era stata abolita la
schiavitù, annullata la politica feudale dei Ras. Malattie e fame andarono
calando. Hailè Selassiè, il Negus, al ritorno definì gli italiani più bravi
come costruttori che come guerrieri. Nessuna ritorsione venne attuata col suo
consenso. Come terra di ripopolamento del sovrappiù nazionale
non funzionò o non ne ebbe il tempo, perché 5 anni dopo l'intera Africa
Orientale Italiana era persa.
In tutte queste vicende non è stato finora citato l'atteggiamento della
principale confessione religiosa italiana (riconosciuta dal '29), che era la Chiesa
Cattolica Romana. Pentecostali e altre minoranze religiose in questo momento erano guardate con
diffidenza per il solo fatto che erano minoranze
«diverse» in uno Stato totalitario. Diverse anche per i loro legami e rapporti con
l’estero (soprattutto con i paesi anglosassoni, con quell'Inghilterra
che aveva voluto le sanzioni). Degli Ebrei si sa come andò a finire,
mentre una relativa neutralità si ebbe dai Valdesi, liberati coi predetti, nel
1848. Il codice penale Rocco del
1930 stabilì implicitamente la superiorità del culto cattolico, proteggendolo
con il reato di vilipendio depenalizzato solo recentemente da Berlusconi. Il primo articolo della legge del
1929 sui culti ammessi afferma: «Sono ammessi nel Regno culti
diversi dalla religione Cattolica Apostolica e Romana, purché non professino
principi e non seguano riti contrari all’ordine pubblico e al buon costume». Con
la guerra d’Etiopia ed il clima di crescente fascistizzazione la vigilanza del
regime conobbe una nuova stagione. Se i pentecostali, i cui riti vengono giudicati
«... nocivi alla salute fisica e psichica della razza..**.», sono quelli che
subiscono maggiormente (ma anche testimoni di Geova ed
Esercito della Salvezza), pure la Chiesa valdese non venne risparmiata ed i suoi dirigenti diventarono
oggetto di un’inchiesta di polizia perché:
« restii ad assumere un netto
atteggiamento patriottico nei riguardi delle attuali divergenze italo-inglesi
(L'uso del francese dovette sparire nelle loro conversazioni e
scritti)». Nel clima quindi euforico dell'Impero, si crearono
i
cappellani d'assalto che avrebbero dovuto ricondurre il paese africano nel solco
della chiesa cattolica, oltre la soluzione politica già prevista.
(Il
12 dicembre 1935 monsignor Giorgio Maria Del Rio, arcivescovo di Oristano, sul
“Bollettino dell’Arcidiocesi”, denigrava l’infimo livello religioso e morale
delle popolazioni abissine e aveva parole d'esaltazione per la “generosità”
dell’Italia, che portava loro, insieme al pane, alle strade, alla liberazione
dalla schiavitù, “gl’insegnamenti e gli aiuti della Religione cattolica,
apostolica, romana”. La “vera guerra”, “ingiusta, incivile, insensata”, era
quella aperta dalla Società delle nazioni, vale a dire dai paesi protestanti con
le loro sanzioni).
**La scomunica fascista ai Pentecostali verrà ritirata solo nel 1955 !!!.
|
*Milizia forestale.
-
L'impiego bellico di altre specialità della M.V.S.N,
(es.Contraerea, Stradale, Ferroviaria era, se non plausibile, possibile
per gli eventi bellici che avevano,anche fuori
dal territorio nazionale, sconfinato dai campi di battaglia . Un impiego
para bellico per la Forestale fuori dai confini fu del tutto inaspettato,
poiché le aree boschive straniere erano sicuramente l'ultimo dei nostri
problemi. D.L. 16 maggio 1926 n. 1056; il fascismo che voleva assicurarsi la massima disponibilità delle forze di polizia
con le diverse milizie speciali (stradale, ferroviaria, confinaria, ecc.) soppresse il Corpo Reale delle Foreste ed istituì al suo posto la Milizia Nazionale Forestale.
La Milizia Forestale nell'esercizio dei compiti tecnici dipendeva dal Ministero dell'economia nazionale - trasformato successivamente in Ministero dell'Agricoltura e delle Foreste con R.D. 12/9/1929
n.1661 - mentre come corpo armato dipendeva direttamente dal Comando generale della Milizia e quindi Forza Armata. Vennero costituite 10 legioni (10a Tripoli) territoriali a cui s’aggiunsero in seguito Addis Abeba e Tirana. Sul piano tecnico i Forestali operarono per la difesa della superficie boschiva, anche se, nella fase di autarchia voluta dal Governo, dovettero curare sempre di più gli aspetti produttivi con una maggiore attenzione alle colture legnose a rapida
crescita a usi civili, militari e industriali.
Sul piano militare, durante il secondo conflitto mondiale furono chiamati maggiormente ad assicurare il rifornimento di legna e carbone per le forze armate e per le popolazioni dei centri urbani. La Milizia Forestale ebbe una Scuola per Ufficiali a Vallombrosa
(Fi) e una per sottufficiali a Cittàducale. I forestali
oltre alla coorte mobilitarono un raggruppamento su due Legioni della Milizia che operò sul fronte alpino (1940) e sul fronte
albanese -jugoslavo (1941) di cui non si conoscono vicende. Dopo l'8
settembre 1943 la Forestale inclusa nei territori della Repubblica
Sociale continuò ad operare nel proprio servizio nell'ambito della
Guardia Nazionale Repubblicana come G.N.R della Montagna e delle
Foreste. Dal giugno 1944 la Forestale assunse connotati bellici poiché
venne sempre più armata per far fronte alle bande partigiane che frequentavano le
loro stesso zone. Con decreto dello stesso anno si occupò anche delle
risorse idriche (dighe di montagna) e minerarie (come i pozzi
petroliferi). Si calcola che ebbe circa 150 caduti in servizio. Con
l'avanzare del Fronte la scuola di Cittàducale e l'Accademia di Firenze
vennero chiuse a favore prima di Oderzo poi di San Pellegrino Terme.
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