LA CHIESA CATTOLICA E LA BIBBIA












LIBRI APOCRIFI O LIBRI DEUTEROCANONICI?


QUANDO ENTRARONO NELLA BIBBIA ?


CONTENGONO CONTRADDIZIONI REALI O PRESUNTE?



 

 

 

 

 

 

Libri apocrifi e libri deuterocanonici

 

La Chiesa cattolica, per quanto riguarda l'Antico Testamento, considera ispirati due gruppi di libri contenuti nella Bibbia: i libri protocanonici conservati in ebraico o in aramaico ed i libri deuterocanonici (Tobia, Giuditta, Sapienza, Siracide, Baruch, I e II Maccabei ed alcune parti dei libri di Ester e di Daniele) trasmessi in lingua greca dalla Bibbia dei Settanta. Di fatto, i libri sacri per gli ebrei sono 39 e non comprendono i cosiddetti "deuterocanonici", così che, nella tradizione rabbinica, si parla spesso solo di 24 libri che "sporcano le mani", essendo colà aggregati i dodici profeti minori, i due libri di Samuele, i due libri dei Re, i due libri delle Cronache, nonché Esdra e Neemia. Per la precisione è comunque il caso di notare come tanto Flavio Giuseppe (Contro Apione, I, 8) che Gerolamo (Prologo Galateo) abbiano parlato solo di 22 libri canonici (quante le lettere dell'alfabeto ebraico), essendo spesso accorpato Geremia alle Lamentazioni ed il libro dei Giudici a quello di Ruth.

Nella tradizione ebraica esistono poi altri libri (libro di Enoch, testamento dei dodici patriarchi, salmi di Salomone, libri della Sibilla, III° e IV° libro di Esdra, III° e IV° libro dei Maccabei, libro dei Giubilei, lettera di Aristeia, …) che sia i cristiani che gli ebrei hanno escluso senza esitazioni dal canone perché apocrifi (cioè nascosti, non ispirati e non autentici) o pseudoepigrafi (cioè falsamente attribuiti ad un famoso personaggio dell'antichità). I libri deuterocanonici, pur essendo contenuti  nel codice sinaitico, nel codice vaticano e nel codice alessandrino, furono comunque inclusi nel canone della Bibbia cattolica solo in un secondo momento, dopo aver suscitato incertezze, dubbi, meditazioni, riflessioni e discussioni.

 

 

 

Il fenomeno della pseudo epigrafia

 

Il fenomeno della pseudoepigrafia è strettamente legato alla produzione apocrifa del tardo giudaismo e del cristianesimo primitivo. Un autore sconosciuto tenta di accreditare visioni, profezie e rivelazioni private divulgando scritti apocrifi,  attribuiti ad un personaggio famoso ed ispirato (Libro di Enoc, Testamento dei dodici patriarchi, Apocalisse di Mosé, III e IV libro di Esdra, Salmi di Salomone, Vangeli di Bartolomeo, di Filippo, di Gamaliele, di Giacomo, di Tommaso, dello Pseudo Matteo, Atti di Paolo, Atti di Pietro, Atti di Andrea, Apocalisse di Pietro, Apocalisse di Paolo, Apocalisse di Esdra). Il carattere truffaldino della pseudo epigrafia è fuori discussione e totalmente inaccettabile è la tesi di tutti coloro che insegnano come tale espediente fosse largamente diffuso e tollerato dalla tradizione giudaica. Esistono comunque limitati casi di pseudoepigrafia onesta ed ispirata. Alcuni libri della Scrittura (Quoelet, Cantico dei Cantici, Sapienza, Siracide, Daniele) potrebbero essere pseudoepigrafi per "modum compilationis" e non per "modum inventionis": in questi casi un autore sconosciuto riscopre, recupera, riedita, ricompatta e riassembla scritti, materiali e tradizioni autentiche, frutto del lavoro di precedenti autori ispirati (l'ultima parte del libro dei Proverbi, ad esempio, contiene alcuni detti di Salomone trascritti dagli uomini di Ezechia, come risulta chiaramente dall'inizio del capitolo XXV). Del resto, già un autorevole padre della chiesa ricorse a varie cause efficienti per spiegare l'origine dei libri sacri: l'ispirazione divina (modum inspirantis), la paternità reale o putativa (modum invenientis) e la effettiva redazione (modum compilationis); [Bonaventura, Commentario al Libro della Sapienza, Proemio, VI].

 

 

 

L’opinione dei Padri della Chiesa

 

L'ispirazione dei libri deuterocanonici fu infatti negata da Origene, Atanasio, Epifanio di Salamina, Ilario di Poitiers, Gregorio Nazianzeno, Cirillo di Gerusalemme, Melitone da Sardi, Rufino, Anfiloco di Iconio, Girolamo (che li inserì in appendice alla Vulgata) e Giovanni di Damasco. Vennero ritenuti edificanti, anche se non adatti a dirimere sottili questioni sui dogmi della fede, da San Gregorio Magno, da Giovanni di Salisbury, da Ugo di San Vittore e da Antonino da Firenze. Furono invece citati come ispirati da Clemente Romano, Ignazio, Policarpo, Ireneo, Giustino martire, Clemente alessandrino, Tertulliano, Cipriano, Agostino, Giovanni Crisostomo. Agostino poi non si limitò a citare alcuni versetti tratti dai libri deuterocanonici ma elencò chiaramente come canonici tutti i libri contenuti nelle moderne bibbie cattoliche ed ortodosse, non facendo alcuna distinzione tra libri protocanonici e libri deuterocanonici (Agostino, La dottrina cristiana, II, 8, 13)

 

 

 

Le ragioni della Chiesa Cattolica

 

Nel 382 papa Damaso, dopo aver affidato la revisione della Vetus Latina a Girolamo, iniziò un lungo lavoro di ricerca finalizzato a verificare la canonicità dei vari libri contenuti nei numerosi manoscritti della Settanta. I lavori si conclusero dopo più di un secolo con un sinodo presieduto a Roma da papa Gelasio I. Con le cosiddette “Decretali di Gelasio” venne pubblicato nel 494  il catalogo ufficiale dei libri canonici, nonché la lista dei libri apocrifi ed eretici contenuti nei vari codici greci e latini. Furono considerati ispirati tutti i libri del Nuovo Testamento ed i libri deuterocanonici oggi presenti nelle bibbie cattoliche. Vennero invece rigettati come apocrifi alcuni libri contenuti nella Bibbia greca dei Settanta (libro di Enoch, testamento dei dodici patriarchi, salmi di Salomone, libri della Sibilla, III° e IV° libro di Esdra, III° e IV° libro dei Maccabei, libro dei Giubilei, lettera di Aristeia, …) ed un gran numero di vangeli, atti, epistole ed apocalissi di incerto autore e di fantasioso contenuto. Le decisioni di papa Gelasio furono confermate nel 405 da papa Innocenzo I che ribadì l’ispirazione dei libri deuterocanonici in una famosa lettera indirizzata al dubbioso Esuperio, vescovo di Tolosa. La Chiesa cattolica dichiarò ispirati i libri deuterocanonici nei sinodi di Ippona (393) e di Cartagine (397-419) e nei concilii di Basilea-Ferrara-Firenze-Roma (1442) e di Trento (1546), mentre gli ortodossi ne riconobbero l'ispirazione nei sinodi locali di Jassy (1642) e di Gerusalemme (1672). I vari patriarcati, pur non avendo mai preso alcuna decisione ufficiale o conciliare, hanno comunque sempre incluso i libri deuterocanonici nelle loro Bibbie.  Solo alcune frange della chiesa russa ortodossa  hanno recentemente avanzato dubbi sulla loro canonicità, avvicinandosi così alle posizioni assunte in passato dagli ebrei e dai protestanti.  I libri deuterocanonici sono infine tuttora presenti (purtroppo con alcuni libri apocrifi) in alcune bibbie slave, greche, serbe, bulgare, russe, ucraine, copte, armene, nestoriane, monofisite e giacobite. 

 

 

 

Le ragioni della riforma protestante

 

La Riforma protestante rigettò i libri deuterocanonici perché conservati solo nella Versione greca dei Settanta, perché non accettati dagli ebrei e perché favorevoli ad alcuni insegnamenti cattolici (opere buone, elemosine, digiuno, preghiera per i defunti, …), non compatibili con il  dogma protestante della "salvezza per sola fede"[1]. La Bibbia tedesca di Lutero (1522), pur riconoscendone l’utilità ed il carattere edificante, li pose in appendice. Anche la prima versione della Bibbia di Re Giacomo (1611) inserì i libri deuterocanonici in appendice, salvo poi stralciarli definitivamente dopo la confessione di fede di Westminster (1647). Nella dichiarazione di fede della Rochelle (1559) gli ugonotti francesi dichiararono che tali libri "benché utili, non possono essere usati per fondare alcun articolo di fede", incoraggiando così la progressiva espulsione dei libri deuterocanonici dalle bibbie protestanti francesi.  Nel 1826, su pressione dei presbiteriani e dei calvinisti, anche la Società Biblica Britannica e Forestiera cessò di stampare bibbie contenenti i libri deuterocanonici, favorendo inevitabili critiche, sospetti, rifiuti e condanne da parte della chiesa cattolica.

 

 

 

I deuterocanonici in ebraico ed il rifiuto degli ebrei

 

Qualunque cosa si possa pensare delle scelte operate in passato dai fratelli evangelici, occorre ricordare che tra i manoscritti di Qumran (1947) sono stati ritrovati numerosi e consistenti frammenti deuterocanonici in lingua ebraica ed aramaica, cosicché oggi molti cattolici (e non pochi acattolici) sono convinti che tali libri siano nati ebraici e siano stati tradotti in greco solo in un secondo momento. Va inoltre detto che gli ebrei, nella famosa riunione di Jamnia (90 dopo Cristo), oltre ai libri deuterocanonici, rigettarono in blocco tutta la Bibbia dei Settanta (che alcuni secoli prima avevano peraltro mostrato di gradire) e tutti i libri del Nuovo Testamento (considerati minim cioè eretici). Alcune profezie relative a Gesù Cristo risultavano infatti molto più chiare leggendo il testo greco e la Chiesa cattolica faceva costante riferimento alla Versione dei Settanta, viste anche le reali difficoltà di leggere e tradurre la Bibbia ebraica ed il Targum aramaico.

 

 

 

Quale Zaccaria chiude il Vecchio Testamento?

 

Tutte le chiese protestanti fanno da secoli riferimento a Luca 11,49-51 (“per questo la sapienza di Dio ha detto: Manderò a loro profeti e apostoli ed essi li uccideranno e perseguiteranno; perché sia chiesto conto a questa generazione del sangue di tutti i profeti, versato fin dall'inizio del mondo, dal sangue di Abele fino al sangue di Zaccaria, che fu ucciso tra l'altare e il santuario”) per delimitare il canone dell’Antico Testamento ai libri compresi tra la Genesi (l’omicidio di Abele è narrato in Genesi 4,8) ed il secondo libro delle Cronache (dell’omicidio di Zaccaria si parla in 2 Cronache 24,20-21). Occorre però notare che 2 Cronache 24,20-21 parla dell’omicidio di Zaccaria figlio di Ioiadà, mentre Matteo 23,35 (“perché ricada su di voi tutto il sangue innocente versato sopra la terra, dal sangue del giusto Abele fino al sangue di Zaccaria, figlio di Barachìa, che avete ucciso tra il santuario e l'altare”), passo parallelo di Luca 11,49-51, fa riferimento all’omicidio di Zaccaria figlio di Barachia. Molto probabilmente Gesù si riferì proprio ad uno degli ultimi profeti ebrei che, con Aggeo e Malachia, chiudono l’Antico Testamento e cioè a Zaccaria, detto figlio di Barachia (e nipote di Iddo) in Zaccaria 1,1 o figlio di Iddo in Esdra 5,1. Anche se la Bibbia non parla del suo assassinio è molto probabile che Gesù facesse uso di alcune tradizioni giudaiche molto note a quei tempi, proprio come fece Paolo quando mostrò di conoscere il nome dei maghi di Egitto (Jannes e Jambres) che, nei giorni dell’Esodo, si opposero a Mosé (2 Timoteo 3,8).

 

 

 

Dubbi anche sul canone del Nuovo Testamento

 

L’opinione negativa di molti Padri della Chiesa sul canone del Vecchio Testamento non deve poi turbare più di tanto: dubbi furono infatti avanzati da non pochi autorevoli cristiani dei primi secoli anche sul canone del Nuovo Testamento. L’attuale canone del Nuovo Testamento fu infatti accettato in Occidente  solo nel IV secolo, come testimoniano gli scritti di Atanasio, Ambrogio, Agostino e Girolamo e come confermano i sinodi di Ippona (393) e di Cartagine (397-419). Basti a tal proposito pensare che Origene (185-253) sollevò non poche perplessità sulla canonicità della seconda lettera di Pietro e sulla seconda e terza epistola di Giovanni, mentre Eusebio di Cesarea (265-339) riferì dei non pochi dubbi sulla canonicità della seconda lettera di Pietro, della seconda e terza epistola di Giovanni, della lettera di Giuda e dell’Apocalisse. Il frammento muratoriano (II secolo) omette poi la lettera agli Ebrei, l’epistola di Giacomo e la seconda lettera di Pietro, mentre nella Vulgata Siriaca (V secolo) mancano l’Apocalisse, la lettera di Giuda, la seconda lettera di Pietro e la seconda e terza lettera di Giovanni.

 

 

 

Le citazioni nel Nuovo Testamento

 

Anche il fatto che i libri deuterocanonici non vengano mai citati nel Nuovo Testamento non sembra decisiva: il Nuovo Testamento non cita mai neppure Esdra, Neemia, Ester, Cantico dei Cantici ed Ecclesiaste. Inoltre esistono punti del Nuovo Testamento che, pur non citando esplicitamente i libri deuterocanonici, sembrano fare a questi diretta allusione. Si confrontino a tal proposito:

 

  • Romani 1, 18-32 con Sapienza 12-14  ( a proposito dell'immoralità dei pagani);
  • Ebrei 1,3 con Sapienza 7,25 (a proposito del Figlio, immagine del Padre);
  • Ebrei 11,35-38 con 2 Maccabei 6,18-7,41 (a proposito delle torture subite per fede);
  • Apocalisse 21,18-21 con Tobia 13,16-17 (a proposito della Nuova Gerusalemme).

 

 

 

Le presunte contraddizioni contenute nei libri deuterocanonici

 

 I.  Nel libro di Ester è scritto: "Il re era assiso sul trono reale nella casa reale, di faccia alla porta della casa. E come il re ebbe veduta la regina Ester in piedi nel cortile, ella si guadagnò la sua grazia; e il re stese verso Ester lo scettro d’oro che teneva in mano; ed Ester s’appressò, e toccò la punta dello scettro. Allora il re le disse: Che hai regina Ester? che domandi? Quand’anche tu chiedessi la metà del regno, ti sarà data" (Ester 5:1-3). Nelle aggiunte deuterocanoniche fatte a questo libro troviamo scritto, a proposito dello stesso episodio, queste parole: "Varcate tutte le porte, si presentò davanti al re, che stava assiso sul suo trono, rivestito di tutti gli ornamenti della sua maestà, fulgente d’oro e di pietre preziose: il suo aspetto era imponente. Or, appena egli ebbe alzato il capo scintillante di splendore, e lanciato uno sguardo ardente di collera, la regina cambiò colore, svenne e si appoggiò sulla spalla della damigella che l’accompagnava"  (Ester 5: 9-10).  Se si leggono attentamente i due testi si può notare come la descrizione fatta nella parte deuterocanonica non contrasti con quella fornita dal testo greco ma integri, completi ed arricchisca la descrizione più sintetica fornita dal testo ebraico.

 

IIa.  Il libro di Tobia non è pieno di favole e di menzogne come affermano molti di quelli che lo hanno escluso dal canone. Tobi, padre di Tobia:  i) visse 112 anni (Tobia 13,2); ii) si trovava ancora nella terra d'Israele quando la tribù di Nèftali abbandonò la casa di Davide e si staccò da Gerusalemme (Tobia 1,4) per fare sacrifici sui monti della Galilea al vitello di Geroboàmo in Dan (Tobia 1,5); iii) fu successivamente deportato in Assiria (Tobia 1,10).  Nel libro non è però scritto che Tobi abbia assistito allo scisma di Geroboamo (931) ma è scritto che Tobi si trovava nella terra d'Israele quando la tribù di Nèftali aveva abbandonato la casa di Davide e non era stata ancora deportata in Assiria. Sappiamo solo che Tobi fu probabilmente deportato in Assiria da Tiglat Pilezer (745-727) ed assistette ai regni di Salmanassar V (727-722), di Sargon II (722-705), di Sennacherib (704-681) e di Assurbanipal (668-630).  Il fatto poi che il libro trascuri Sargon II (Tobia 1,15) e faccia seguire il re Sennacherib direttamente a Salmanassar V non ci sembra una svista così grave da invalidare l'attendibilità storica del libro. Non è quindi impossibile che Tobia, figlio di Tobi, vissuto ben 117 anni (Tobia 13,14) abbia sentito parlare, prima di morire, della rovina di Ninive (Tobia 13,15), avvenuta nel 612.


IIb.
  Non sembra carico di superstizione l'episodio in cui Tobia fu consigliato dall'angelo sulle virtù terapeutiche del cuore, del fegato e del fiele di un pesce (Tobia 6:8).  Che dire dell'episodio dell'angelo della piscina di Betzaeda (Giovanni 5,4)? Che dire del fango applicato dallo stesso Gesù Cristo sugli occhi del cieco nato (Giovanni 9:6)?  Si trattava anche in questo caso di vane superstizioni? Non erano invece miracoli potenti operati mediante materia visibile, segni, gesti e parole?


IIc. 
Il fatto che l'angelo Raffaele risponda a Tobia : ‘Io sono Azaria, figlio di Anania il grande, uno dei tuoi fratelli’ (Tobia 5:4-13) non è una perfida menzogna. Non si deve esagerare con il moralismo e non si può considerare il comportamento dell'angelo più deplorevole di quello di Raab la meretrice quando salvò le spie ebree (Giosué 2-7) o di quello di Giacobbe quando carpì la benedizione del padre (Genesi 27)[2].

 

III.  Le incongruenze storiche e geografiche contenute nel libro di Giuditta sono tanto numerose e paradossali da fare pensare che non siano affatto casuali: Nabucodonosor (famoso re babilonese vissuto tra il 604 ed il 562) viene detto re degli assiri e ha la sua capitale in Ninive (città ormai distrutta dal padre Napobolassar nel 612), il popolo dei giudei sembra essere appena tornato dall'esilio (evento iniziato solo dopo l'editto di Ciro del 539) e aver ricostruito il tempio (evento realizzatosi nel 515), mentre il re dei medi Arpacsad, nemico di Nabucodonosor, è totalmente sconosciuto alle cronache storiche ufficiali. La soluzione più semplice del problema potrebbe trovarsi in un semplice errore di qualche copista o traduttore della Settanta, che scambiò il nome di Assurbanipal con quello di Nabucodonosor. Del resto, anche nel libro di Esdra, l'imperatore persiano Dario vene detto Re dell'Assiria (Esdra 6,22), forse considerando come Assiria tutta la Mesopotamia e la Persia. Un'altra soluzione ipotizza che in piena persecuzione ellenistica il racconto utilizzi re e città del passato per descrivere un evento recente e drammatico. L'autore del libro di Giuditta potrebbe aver volutamente evitato di nominare i Seleucidi ancora potenti e minacciosi, facendo vagamente riferimento a Ninive e a Nabucodonosor, una città e un re tradizionalmente ostili al popolo di Dio. Del resto lo stesso espediente fu prudentemente seguito anche dagli autori del Nuovo Testamento che, per evitare di nominare Roma e gli imperatori romani, fecero ampio riferimento a Cesare (Matteo 22,21 e Atti 25,11) e a Babilonia (1 Pietro 5,13 e Apocalisse 17), benché Cesare fosse morto da decenni e Babilonia fosse stata distrutta da quasi due secoli. Ninive potrebbe pertanto celare il nome di Seleucia (capiatale del regno dei seleucidi), Nabucodonosor potrebbe essere Antioco III il grande o Antioco IV epifane, mentre la guerra con i medi potrebbe nascondere gli interventi militari contro la nascente potenza dei parti. [3].

 

IV.  Lo scrittore del secondo libro dei Maccabei termina con queste parole: "Se la disposizione della materia è stata buona e come si conviene alla storia, é quello che ho desiderato. Se poi é mediocre e di scarso valore, é quanto ho potuto fare" (2 Maccabei 15:38).  È vero che uno scrittore ispirato da Dio non avrebbe mai scritto parole simili sul contenuto e sulla attendibilità di un libro ispirato: avrebbe però potuto scriverle riguardo all'esposizione e alla forma. Non dice forse la Bibbia che lo stesso Mosé era lento nel parlare ed impacciato di bocca e di lingua (Esodo 4:10)? Dobbiamo forse concludere che lo Spirito Santo lo abbandonava quando parlava?

 

V.  Sempre nel secondo libro dei Maccabei lo scrittore dice che il profeta Geremia se ne andò al monte dove Mosè era salito per vedere la terra promessa e presso questo monte, in una caverna, nascose il tabernacolo e l’arca e l’altare dei profumi: il luogo sarebbe rimasto ignoto fino a quando Dio avrebbe riunito nuovamente il suo popolo (2 Maccabei 2: 1-8).  Ciò non contrasta affatto con il libro del profeta Geremia dove è scritto che all’arca del patto dell’Eterno non si sarebbe più pensato (Geremia 3:14-16). L'arca dell'alleanza ricomparve, infatti, in cielo (Apocalisse 11:19) dopo che due popoli (Giudei e Gentili) vennero raccolti nella stessa chiesa (Efesini 2:14)

 

VI. Altra contraddizione a cui fanno spesso riferimento coloro che negano l'ispirazione dei libri deuterocanonici è la descrizione della morte di Antioco Epifane che è riportata in tre modi completamente diversi. In un passo è infatti scritto: "Al sentire tali notizie, il re restò abbattuto e, preso da profonda agitazione, si gettò sul letto, e s’ammalò per la gran tristezza, perché le cose non erano andate secondo i suoi desideri. Egli rimase così per molti giorni, e siccome la sua tristezza andava crescendo, si sentì vicino a morire" (1 Maccabei 6:8,9). In un altro passo si dice che lo stesso re fu lapidato in Persia nel tempio della dea Nanea: troviamo infatti scritto che i sacerdoti di Nanea "massacrarono i compagni del re a sassate, tagliarono loro le membra e la testa " (2 Maccabei 1:16), senza peraltro chiarire se lo stesso Antioco perì nell'imboscata o fu colà solo gravemente ferito. In un altro passo infine troviamo scritto che Antioco Epifane "morì roso dai vermi ad Ecbatana perché Dio lo colpì con una piaga" (2 Maccabei 9:1-28).  Evidentemente le informazioni in possesso ed in circolazione erano molte ed è probabile che alla stesura dei libri dei Maccabei abbiano contribuito più autori. Non ci sembra però così grave che essi non abbiano spiegato in modo meticoloso e dettagliato gli avvenimenti legati alla morte di Antioco IV (morte per lapidazione oppure lapidazione e successiva morte per altre cause).  Del resto anche nel Nuovo Testamento non furono talora citate fonti non ispirate (Libro di Enoch ed Assunzione di Mosé) in perfetta buona fede (Lettera di Giuda)?  A ben guardare (e a rigor di logica) la malattia e l'omicidio di Antioco IV Epifanie non sono poi totalmente incompatibili, né un castigo esclude per forza l'altro. Nel Nuovo Testamento non viene forse detto che Giuda morì per impiccagione (Matteo 27,5) ma anche che egli si precipitò in avanti, si squarciò in mezzo e le sue viscere si sparsero tutto intorno (Atti 1,18)? Agli scettici, ai critici ed agli agnostici le due descrizioni possono sembrare antistoriche e contraddittorie.  Si può però legittimamente pensare che la corda non abbia retto il peso dell'impiccato e che il corpo di Giuda sia veramente precipitato, squarciandosi in modo orribile.

In conclusione, per la Chiesa cattolica, la Bibbia è considerata senza errore solo circa le verità fondamentali del messaggio teologico, mentre piccoli errori e discordanze sono inevitabilmente legati al contesto culturale nel quale vivevano i diversi autori (ignoranza di alcuni fatti storici, imperfetta conoscenza delle leggi fisiche, utilizzo di espressioni comuni ed imprecise), allo sviluppo redazionale (traduzioni e trascrizioni imperfette) e all'evoluzione della morale. I cattolici pertanto non credono che la Bibbia sia stata letteralmente dettata da Dio, ma pensano piuttosto che Dio abbia ispirato i suoi autori umani, i quali hanno trasmesso il messaggio divino servendosi dei mezzi linguistici ed espressivi a loro noti e scrivendo testi che risentono dei condizionamenti storici, culturali e morali del loro tempo. Anche nei libri protocanonici esistono comunque apparenti contraddizioni, peraltro facilmente spiegabili con un minimo di fede, di ragionamento e di buon senso. Si pensi ad esempio ai figli di Iesse che talora sono considerati otto (1 Samuele 16,10-11), mentre altrove risultano essere solo sette (1 Cronache 2,13-15) oppure al re di Giuda Asa che, secondo alcuni, tolse via gli altari degli dei stranieri (2 Cronache 14,2), mentre secondo altri non eliminò affatto gli alti luoghi (1 Re 15,14). Altri esempi famosi sono quelli del censimento di Davide, ispirato da Dio, secondo alcune pagine della Bibbia (2 Samuele 24,1) ma incitato da Satana, secondo altre (1 Cronache 21,1), con risultati peraltro significativamente differenti: 800.000 uomini atti alle armi in Israele e 500.000 in Giuda (1 Samuele 24,9) e 1.100.000 uomini atti alle armi in Israele e 470.000 in Giuda (1 Cronache 21,5).

 

 

 

 

 

 

 



[1] Il principio della "salvezza per sola fede" è stato poi approfondito e riveduto da non poche chiese evangeliche che, distinte le opere morte della legge giudaica (Romani 3,28 e Galati 2,15-16) dalle opere buone della carità (Efesini 2,10; Tito 2,14; Ebrei 10,24 e Giacomo 2,17), preferiscono oggi parlare di fede operante attraverso l'amore (Galati 5,6) e riconoscono, al pari dei i cattolici e degli ortodossi, come la carità copra una moltitudine di peccati (1 Pietro 4,8).

 

[2] A ben guardare non si trattò neppure di una malefatta: secondo l'attuale scienza medica, nei parti gemellari eterozigoti, il secondo nato è il primogenito, cioè il fratello generato per primo. Che Giacobbe ed Esaù fossero poi gemelli eterozigoti emerge chiaramente dalla bibbia che descrive Giacobbe di bell'aspetto ed Esaù fulvo e peloso.

 

[3] Nel 331 a.C. Alessandro Magno entrò a Babilonia, ne rimase affascinato, eseguì imponenti lavori di ammodernamento e proclamò la città capitale del suo nuovo impero. Morto Alessandro, l'impero venne diviso in quattro parti dopo la battaglia di Ipso (301): la Tracia e l'Asia Minore andarono a Lisimaco, la Macedonia e la Grecia a Cassandro, l'Egitto a Tolomeo, la Mesopotamia e la Persia a Seleuco. Seleuco I (304-280) ed Antioco I (280-261) fecero costruire la nuova città di Seleucia (sul fiume Tigri), con l'intento di soppiantare la vecchia Babilonia (sull'Eufrate). Nel 275 a.C. fu quindi emanato un editto in base al quale tutti i babilonesi avrebbero dovuto lasciare Babilonia per recarsi a Seleucia: le mura e le fortezze di Babilonia furono smantellate e la sua vita economica e politica venne ridotta ai minimi termini. Babilonia continuò però a vivere perché non fu abbandonata da tutti. Verso il 125 a.C. i seleucidi entrarono in guerra con i Parti, popolo situato ad oriente della Persia: la città fu abbandonata, il satrapo Evemero la rase al suolo e la rovina di Babilonia fu completa. Nel 116 d.C. Traiano svernò a Babilonia, ma secondo gli storici del tempo la città era ormai diventata un cumulo di macerie.