IL TRONO DI DIO
E DELL'AGNELLO












DANIELE 7,14 e APOCALISSE 22,1-3




 

IL TRONO DI DIO

 

 

Gesù Cristo, pur esistendo nella forma di Dio (Filippesi 2,6) e pur possedendo tutte le cose del Padre (Giovanni 16,23 e 17,10), non considerò la sua uguaglianza con Dio come qualche cosa da afferrare e da trattenere in modo rapace. In altre parole, pur essendo figlio e pur possedendo sia la dignità regale che la natura divina, non diede la scalata al trono del Padre né volle conservare la sua uguaglianza col Padre in modo geloso. Per salvarci spogliò se stesso, si umiliò (1 Timoteo 2,5), assunse la natura umana (Filippesi 2,7 e Giovanni 1,14) e si rese ubbidiente fino alla morte in croce (Filippesi 2, 8). Pertanto proprio perché in Cristo abita corporalmente tutta la pienezza della divinità (Colossesi 2,9), siamo stati fatti partecipi della natura divina (2 Pietro 1,4) e sappiamo che quando Dio si sarà manifestato saremo simili a Dio (1 Giovanni 3,2), essendo ricolmi di tutta la pienezza di Dio (Efesini 3,19).

 

È forse il caso di osservare come Cristo non regnerà da solo ma insieme a tutti i suoi santi, che condivideranno con lui il trono di Dio come ospiti e figli adottivi (Apocalisse 3,21). Egli verrà nella gloria del Padre, con gli angeli ed i santi a giudicare il mondo (Marco 8,38; Luca 9,26; 1 Corinzi 6,2). Inoltre martiri e santi saranno un regno e sacerdoti di Dio e del Cristo e regneranno con lui per mille anni (Apocalisse 1,6; 5,10 e 20,6). Alla fine dei tempi, il regno, il potere e la grandezza di tutti i regni che sono sotto il cielo saranno dati al popolo dei santi dell'Altissimo, il cui regno sarà eterno e tutti i regni lo serviranno ed obbediranno (Daniele 7,27). .

 

Al momento Cristo è seduto in cielo alla destra di Dio e sul trono di Dio (Filippesi 2,9-11; Ebrei 1,8; Apocalisse 3,21), come profetizzarono Davide (Salmo110) e Daniele (Daniele 7,13-14), come Cristo stesso annunziò (Matteo 26,64), come insegnarono gli apostoli Pietro (Atti 2,33) e Paolo (Ebrei 1,13) e come confermano le visioni di Stefano (Atti 7,55-56) e di Giovanni nell’Apocalisse (Apocalisse 5,13).

 

Immagine del trono celeste di Dio (Salmo 103,19) fu il trono terrestre di Jahvé occupato da Davide e Salomone (1 Cronache  29,23 e Salmo 45,6-7), così come Davide e Salomone furono l'immagine terrena del Re Messia (Luca 1,32-33) e così come tutto l'Antico Testamento è immagine o ombra della rivelazione portata dal Nuovo Testamento (Ebrei 10,1). Evidentemente tra il trono terrestre di Davide ed il trono celeste di Gesù Cristo esiste una sensibile differenza: mentre sulla terra Davide e Salomone ricevettero da alcuni popoli (israeliti e popoli vicini) il tributo e l'onore dovuto a grandi re, nel cielo il Figlio riceve da tutto il creato e dalle potenze angeliche e celesti:

 

·        da solo “genuflessione e signoria” (Filippesi 2,10-11), “gloria e potenza nei secoli dei secoli” (Apocalisse 1,6), “potenza e ricchezza, sapienza e forza, onore, gloria e benedizione” (Apocalisse 5,12);

·        insieme al Padre “lode, onore, gloria e potenza” (Apocalisse 5,13) ed “adorazione” (Apocalisse 5,14).

     

Alla fine dei tempi però Gesù Cristo non si siederà più alla destra di Dio e sul trono di Dio ma sul "trono di Dio e dell'Agnello" (Apocalisse 22,1): in pratica il Figlio non sarà più ospite o delegato o rappresentante del Padre ma contitolare dello stesso trono del Padre, ricevendo con il Padre non solo “prostrazione” (προσκυνηω) ma anche “adorazione vera e propria” (λατρεια) (Matteo 4,10; Daniele 7,14 e Apocalisse 22,3). [1] [2] [3] [4]  [5]

 

Se oggi nei cieli Jahvé ha vicino a sé nella gloria un "elohim" (dio minore, angelo o arcangelo) (Apocalisse. 5,13) e se alla fine dei tempi Jahvé spartirà il suo trono supremo con un "elohim" (il trono di Dio e dell'Agnello di Apocalisse 22,1 e 22,3), la sua potenza sarà sminuita perché condividerà il potere e la gloria con un essere inferiore. Sta infatti scritto: "Io sono Jahvé; questo è il mio nome; e non darò la mia gloria ad un altro …" (Isaia.42,8 e Isaia 48,11) e "Nessuno gli è simile, neppure tra gli angeli di Dio" (Isaia 46,9 e Salmo 89,6). Che poi il Figlio condivida la divinità con il Padre sembra emergere chiaramente dal fatto che la stessa Bibbia insegna come le anime dei martiri cristiani torneranno in vita e saranno sacerdoti di Dio e di Cristo e regneranno con lui mille anni (Apocalisse 20,4-6). A tal proposito un cristian dell'antichità osservò come in questo brano sia chiaramente presupposto che Cristo è Dio, visto che sembra improbabile che si possa essere sacerdoti, oltre che dell'unico vero Dio, pure di qualcuno che non è di natura divina (Agostino, Città di Dio, XX, 7, 1)

 

Nell’Antico Testamento, la dossologia “A Te sia gloria nei secoli dei secoli” è un’espressione di adorazione rivolta solo a Dio (1 Cronache 29,11; Salmo 29,2; Salmo 104,31). Nel Nuovo Testamento è rivolta anche a Cristo (Daniele 7,14; 2 Timoteo 4,18; 2 Pietro 1,17; 2 Pietro 3,18; Ebrei 13,20-21; Apocalisse 1,6) e, congiuntamente, al Padre ed al Figlio (Apocalisse 5,13).

 

Ritroviamo alcune dossologie trinitarie, del tipo “Gloria al Padre, al Figlio ed allo Spirito Santo” o “Gloria al Padre per mezzo del Figlio nello Spirito Santo” o "Gloria al Padre ed al Figlio con lo Spirito Santo nella Santa Chiesa” anche nei Padri della Chiesa, prima del Concilio di Nicea e della crisi ariana (vedansi, ad esempio, Clemente, Lettera ai Romani, I, 58; Giustino, Apologia, I, 67; Martirio di Policarpo, XIV e XXII; Ippolito, Contro Noeto, XVIII; Ippolito, Tradizione Apostolica, IV-VI-VII-VIII-XXXI; Clemente Alessandrino, Il Pedagogo, III, 12; Basilio, Lo Spirito Santo, XXVII, 68 e XXIX, 72).

 

 

 

 



[1] Da un punto di vista grammaticale in Apocalisse 22,3 il verbo λατρευω sembra riferirsi solo al Padre e non al Figlio, visto che Giovanni impiega un pronome personale singolare (αυτω) . Tuttavia la profonda unione tra il Padre ed il Figlio (Giovanni 10,30 e Giovanni 14,11), la partecipazione dell’Agnello al trono di Dio (Apocalisse 22,1) e l’uso dello stesso verbo λατρευω in Daniele 7,14 (dove, secondo la Versione dei Settanta, il Figlio dell'Uomo viene letteralmente adorato) permettono di presumere ragionevolmente che anche il  Figlio sia oggetto di una “adorazione vera e propria” (λατρεια).

 

[2] Teodozione fu tanto scandalizzato dal verbo λατρευω (adorare) -utilizzato dalla LXX per il Figlio dell’Uomo (Daniele 7,14)- che scelse di sostituirlo con il più morbido δουλευω (venerare, render omaggio, servire). L’espediente di Teodozione (peraltro autore un’ottima versione greca del libro di Daniele) non raggiunse però l’effetto sperato: affrontando lo studio della lingua ebraica Girolamo scoprì che il testo originale di Daniele 7,14 conteneva hrp (palah), verbo aramaico piuttosto raro che indica chiaramente il servizio cultuale e l’adorazione (“palah” è usato solo 10 volte in tutta la Bibbia: 9 volte nel libro di Daniele nel senso di “servire Dio” ed una volta nel libro di Esdra nel senso di ministri di culto “serventi Dio”). Si noti come il verbo aramaico hlp (palah) si riferisca sempre al “sacro servizio” prestato al vero Dio o a dei stranieri, mentre altri verbi ebraici come עבד (ebad) possono significare sia "servire la divinità" sia "svolgere un lavoro" o "prestare un servizio" (si vedano, ad esempio, Genesi 2,15; Genesi 29,18; Deuteronomio 6,13 e Salmo 2,11). 

 

[3] A conferma del culto tributato al Figlio dell’Uomo è forse il caso di confrontare il capitolo 7 di Daniele con i capitoli 48 e 49 del libro di Enoch, libro non accolto nel canone dalla chiesa ma tenuto in grande considerazione da tutti i cristiani nei primi secoli dell’Era Volgare (il libro di Enoch fu citato dalla lettera di Giuda ed è tuttora conservato nelle Bibbie dei copti). “E in quel momento, questo Figlio dell’uomo fu chiamato presso il Signore degli Spiriti, e il suo nome venne pronunciato dinnanzi alla “Testa dei giorni”. E prima che il sole e le costellazioni fossero creati, prima che le stelle del cielo fossero fatte, il suo nome fu proferito dinanzi al Signore degli Spiriti. Egli sarà come un bastone per i giusti, affinché essi possano appoggiarsi a lui e non cadere; egli sarà la luce dei popoli e la speranza di coloro che soffrono nei loro cuori. Tutti coloro che abitano sull’arida si prostreranno e l’adoreranno; ed essi benediranno, glorificheranno e inneggeranno al Signore degli Spiriti. E per questo egli è stato scelto e tenuto nascosto dinanzi a lui prima della creazione del mondo e per l’eternità... Nella sua saggezza il Signore degli Spiriti lo ha rivelato ai santi e ai giusti, perché egli ha difeso la parte dei giusti, perché essi hanno odiato e disprezzato questo mondo d’ingiustizia e ne hanno odiato le opere e le vie in nome del Signore degli Spiriti, perché è per la potenza del suo nome ch’essi saranno salvati, ed egli è il vendicatore della loro vita….Perché dinanzi a lui la saggezza scorre come acqua e la gloria non ha fine pei secoli dei secoli.  Egli è potente in tutti i segreti della giustizia e per questo l’ingiustizia svanirà quale ombra e non avrà scampo; perché l’Eletto sta dinanzi al Signore degli Spiriti e la sua gloria (vive) nei secoli dei secoli, e la sua potenza di generazione in generazione. In lui è lo Spirito di sapienza, e lo Spirito che illumina, e lo Spirito di scienza e di forza, e lo Spirito di coloro che si sono addormentati nella giustizia. E’ lui che giudica le cose segrete e nessuno può pronunciare dinanzi a lui parole vane perché egli è l’Eletto che sta alla presenza del Signore degli Spiriti, secondo il suo beneplacito”. (Libro di Enoch, XLVIII-XLIX)

  

[4] Può essere interessante notare come il verbo λατρευω sia usato per la Sapienza dal libro del Siracide. Sta infatti scritto: “Coloro che la venerano (λατρεύοντες) rendono culto al Santo, e il Signore ama coloro che la amano” (Siracide 4,14). Ciò non dovrebbe stupire più di tanto, data l’identificazione della Sapienza con la Parola ed il Logos giovanneo. Gesù Cristo è infatti esplicitamente chiamato "Sapienza di Dio" in vari punti del Nuovo Testamento (Matteo 11,19, Luca 11,49, 1 Corinzi 1,24-30) e la sua identificazione con la Sapienza del Vecchio Testamento ha trovato, nei Padri della Chiesa, un largo consenso. Il versetto citato non fu emendato da Teodozione, avendo il popolo ebraico rigettato i libri deuterocanonici dopo la riunione di Jamnia (90 d. C.), ed è così giunto integro fino ai giorni nostri.

 

[5] Il trono di Dio spetta a Cristo per diritto, essendo egli Figlio di Dio dalla fondazione del mondo (Proverbi 8,22-Giovanni 1,1-3). Lo stesso trono spetta a Cristo come uomo per merito, essendo egli stato ubbidiente fino alla morte ed alla morte di croce ed essendo stato trovato in ogni cosa perfetto (Romani 1,4; Filippesi 2,9-11; Ebrei 2,10; Ebrei 5,8; Ebrei 7,28; Ebrei 9,11-28). Sullo stesso trono saranno poi ospitati (Apocalisse 3,21) i martiri ed i santi, in virtù dei meriti di Cristo, dell’adozione a figli di Dio (Efesini 1,5; Galati 4,4-7) e della testimonianza di fede. Gli ebrei non si scandalizzarono di Daniele 7,14 finché prevalse un'interpretazione simbolica alla visione (il Figlio dell'Uomo poteva benissimo essere Israele) e finché non si resero conto che poteva essere applicata ad un uomo in carne e ossa. Poi capirono benissimo, accusarono Cristo di bestemmia e lo condannarono a morte. Il Vangelo di Marco ricorda come il sommo sacerdote interrogò Gesù dicendogli: «Sei tu il Cristo, il Figlio di Dio benedetto?». Gesù rispose: «Io lo sono! E vedrete il Figlio dell'uomo seduto alla destra della Potenza e venire con le nubi del cielo». Allora il sommo sacerdote, stracciandosi le vesti, disse: «Che bisogno abbiamo ancora di testimoni? Avete udito la bestemmia; che ve ne pare?». Tutti sentenziarono che era reo di morte. (Marco 14,61-64). La bestemmia non era tanto farsi figlio di Dio perché "dei" o "figli di Dio" erano stati chiamati legittimamente gli angeli, il popolo, i profeti, gli uomini potenti ed i re di Israele. La bestemmia era pensare che la "latreia" greca o la "palah" ebraica potesse anche solo sfiorare un Figlio di Uomo. Un Figlio dell'uomo sulla terra su un trono davidico magari chiamato "dio" non avrebbe scandalizzato nessuno. Quello che sconvolse il popolo giudaico ed i suoi capi era un Figlio dell'Uomo in carne e ossa innalzato in cielo sul mega trono dell'Antico di giorni. E' vero che Gesù Cristo non pretese mai per se né il culto. Qualificandosi però come il Figlio dell'Uomo della profezia di Daniele si poneva in cielo alla destra dell'Altissimo, sul suo trono, ricevendo onori, gloria, lode e benedizione (Apocalisse 5,13-14 e Apocalisse 22,3). Altra cosa erano sulla terra le nazioni prostrate davanti a Dio e al re Davide, altra cosa era tutto l'universo prostrato davanti al trono di Dio e dell'Agnello, con un figlio di Davide innalzato fino in cielo.