Sommario:
1.
Funzione, modalità di fruizione e maturazione
delle ferie (anche in malattia)
2.
Il significato
dell’irrinunziabilità del diritto
3.
Regime previdenziale e
fiscale dell’indennità sostitutiva
4.
Questioni ed orientamenti vari
5.
Non
retribuibilità delle ferie non godute dai dirigenti apicali
***********
Mario
Meucci
(pubblicato,
senza gli attuali aggiornamenti giurisprudenziali, in Lav. prev Oggi
5/2001,
494)
(1) E’ la singolare tesi sostenuta da Papaleoni, in “Il diritto alle ferie matura anche in costanza di malattia”, in “Guida al lavoro” (ed. il “Sole-24 Ore”), n. 46/2001, 16 e ss., nota critica a Cass. sez. un. 12 novembre 2001, n. 14020, che risolvendo un contrasto giurisprudenziale ha statuito la maturazione delle ferie durante la malattia così aderendo al precedente di Cass. 23 gennaio 1997 n. 704 (annotata, in senso moderatamente positivo, da Del Punta in Giust. civ. 1992, I, 897) a sua volta adesiva a Cass. n. 5 aprile 1982, n. 2078 (in Giust. civ. 1982, I, 1477 con nota critica di Pera). In senso contrario, in precedenza, Cass.19 ottobre 1996 n. 9125 (in Mass. giur. lav. 1997, 61, con annotazione di Gramiccia). Cfr. in dottrina Del Punta, La sospensione del rapporto di lavoro.Commentario codice civile, diretto da Schlesinger, Milano 1992, 552 e ss.
(2)
In Mass. giur. lav.
1963, 286 con nota di Sermonti.
(3)
In Lav. prev. oggi
1981, 352 e 552 con nota di M. Meucci e in Mass. giur. lav. 1981, 1
e 25.
(3 bis) Può leggersi in “Guida al lavoro”n. 46/2001, 12, cit., con nota critica di Papaleoni.
(4)
Per tutte, v. Trib. Milano
28.1.1978, in Or. giur. lav. 1978, 142.
(5)
Così App. Bologna 26 giugno 1969, in Riv. dir.lav. 1970,II,131.
(6)
Così Pera, Diritto del
lavoro, Padova 1996, 458.
(7)
Vedi Cass. 16 febbraio 1942,
in Riv. dir. lav. 1942,II,245; conf. Cass. 4 febbraio 1971, n. 264, in Giust.civ.
1971, I, 139.
(8)
Conf. Pret. Vigevano 30
aprile 1976, in Segnalazioni, Rep. 2°, col. 247, 8.
(9)
Conf. Pret. Salerno 26
novembre 1985, in Nuovo dir. 1987, 186 che definisce, a supporto del
principio dell’introannualità delle ferie, essenziale per legge il termine
“annuale” ai fini del godimento; conf. Pret. Busto Arsizio 5 gennaio 1990,
in Dir. prat. lav. 1990,18,1174.
(10)
In
Not. giurisp. lav. 1990, 821; Mass. giur. lav. 1991,1; Dir.
prat.lav. 1991, 7, 435.
(11)
Specie di Sandulli, voce Ferie,
in Enc. Treccani, 1988, 8 e ss; ma vedi,
posteriormente, anche Sbrocca, In tema di “annualità” delle
ferie, in Mass. giur. lav. 1991, 2.
(12)
In Lav. prev. Oggi 2000, 2278; conf., in precedenza, Cass. n. 7445 del 3 giugno 2000 (Pres. Ianniruberto, est.
Mazzarella, inedita a quanto consta).
(13)
In Guida al lavoro 2001,
n. 14, p. 12 e in Lav. prev. Oggi 2001, 643.
(14)
In Not. giurisp. lav. 1992,588.
(15)
Cfr. Cass. 26 settembre (o
ottobre) 1994 n. 7868, ibidem 1995, 316 e in Mass. giur. lav.
1994, 693 con nota di Petrucci. Va detto, per completezza, che
non sussistendo una nozione unitaria di retribuzione e di emolumento
risarcitorio nella nostra legislazione - dal lato civilistico (e
non già dal lato fisco-previdenziale) – si continua
correttamente a sostenere la natura risarcitoria dell’indennità
sostitutiva delle ferie non godute (come pure dell’indennità per mancato
riposo domenicale), con la conseguenza che il regime prescrizionale per la
rivendicazione è quello ordinario decennale (e non già quello quinquennale):
in tal senso, ex plurimis,
recentemente Cass. n. 13860 del 19 ottobre 2000, in Not. giurisp. lav.
2000, 73, alla cui nota si rinvia per precedenti giurisprudenziali.
(16)In
Corr. trib. 1995, 767.
(17)
Ibidem
1996, 989.
(18)
Inedita allo stato.
(19)
Cass, 5 luglio 1968,
n. 2277, in Mass, giur. lav. 1969, 142 (m.).
(20)
Così Cass. 15 luglio 1987,
n. 6205.
(21)
Cosi Pret. Milano 26 aprile
1978, in Or. giur. lav. 1978,484.
(22)
Cass. n. 1926/1979, ecc.
(23)
Così Cass. sez. un. n.
6492/1979, ecc.
(24) Così fin da Cass. n. 1967/1963 e fino alle più recenti Cass. n. 4198/1988, in Mass. giur. lav. 1988, 474 e Cass. 19 novembre 1999,n. 12903; Cass. 7 giugno 2005 n. 11786.
NUOVA DISCIPLINA DELLE FERIE A SEGUITO DEL D.Lgs. n.66/2003
La disciplina in materia di ferie è, innanzitutto, regolata dall'art. 36, comma 3, della Costituzione, che tutela il diritto del lavoratore ad un periodo di ferie annuali retribuite cui non può rinunciare.
L'art. 2109, comma 2, del Codice Civile dispone poi che la durata delle ferie è fissata dalla legge, dai contratti collettivi, dagli usi e secondo equità; che il momento di godimento delle ferie è stabilita dal datore di lavoro che deve tenere conto delle esigenze dell'impresa e degli interessi del lavoratore; che il periodo feriale deve essere possibilmente continuativo; che il periodo feriale deve essere retribuito.
Oltre a quanto sopra indicato la Convenzione OIL n. 132 del 24 giugno 1970 (ratificata con legge 10 aprile 1981, n. 157) prevede un periodo di ferie minimo di tre settimane di cui due da godere ininterrottamente. Inoltre, dispone che la fruizione del periodo bisettimanale "dovrà essere accordata e usufruita entro il termine di un anno al massimo, e il resto del congedo annuale pagato entro il termine di diciotto mesi, al massimo, a partire dalla fine dell'anno che dà diritto al congedo". Inoltre, "ogni parte di congedo annuale che superi un minimo stabilito potrà, con il consenso della persona impiegata interessata, essere rinviata, per un periodo limitato, oltre i limiti indicati" in precedenza.
La Corte Costituzionale, con sentenza 19 dicembre 1990, n. 543, ha, fra l'altro, affermato che il godimento infra-annuale dell'intero periodo di ferie deve essere contemperato con le esigenze di servizio che hanno carattere di eccezionalità o comunque con esigenze aziendali serie.
In questo quadro normativo si è inserito il decreto legislativo 66 del 2003 che ha disposto che "il prestatore di lavoro ha diritto a un periodo annuale di ferie retribuite non inferiore a quattro settimane".
Quindi, nel caso di fruizione di un periodo feriale consecutivo di quattro settimane, tale periodo equivale a 28 giorni di calendario.
Con il decreto legislativo n. 66 del 2003 è stata introdotto per la prima volta in Italia, in modo espresso, il divieto di monetizzare il periodo di ferie corrispondente alle quattro settimane previste dalla legge, salvo il caso di risoluzione del rapporto di lavoro nel corso dell'anno. Per quanto riguarda i contratti a tempo determinato, di durata inferiore all'anno, è quindi sempre ammissibile la monetizzazione delle ferie.
L'impossibilità di sostituire il godimento delle ferie con la corresponsione dell'indennità sostitutiva è operante per la quota di ferie maturata a partire dal giorno dell'entrata in vigore del decreto legislativo n. 66 del 2003, ossia dal 29 aprile 2003.
Nei casi di sospensione del rapporto di lavoro che rendano impossibile fruire delle ferie secondo il principio della infra-annualità, le stesse dovranno essere godute nel rispetto del principio dettato dall'art. 2109 cod. civ., espressamente richiamato nell'art. 10 del decreto legislativo n. 66 del 2003, ossia "nel tempo che l'imprenditore stabilisce, tenuto conto delle esigenze dell'impresa e degli interessi del prestatore di lavoro".
Il legislatore delegato ha, ora, dettato una specifica disciplina sul punto, in forza della quale si possono distinguere 3 periodi di ferie.
Un primo periodo, di almeno due settimane, da fruirsi in modo ininterrotto nel corso dell'anno di maturazione, su richiesta del lavoratore. La richiesta del lavoratore dovrà essere inquadrata nel rispetto dei principi dell'art. 2109 del Codice Civile. Pertanto, anche in assenza di norme contrattuali, dovrà essere formulata tempestivamente, in modo che l'imprenditore possa operare il corretto contemperamento tra le esigenze dell'impresa e gli interessi del prestatore di lavoro.
La contrattazione collettiva e la specifica disciplina per le categorie di cui all'articolo 2 comma 2 possono disporre diversamente. Allo scadere di tale termine, se il lavoratore non ha goduto del periodo feriale di due settimane, il datore sarà passibile di sanzione.
Il periodo cui si riferisce la violazione è quello di due settimane. Sarà sufficiente che il lavoratore non abbia goduto anche solo di una parte di detto periodo perché il datore di lavoro sia considerato soggetto alla sanzione indicata, anche nelle ipotesi in cui il godimento di detto congedo annuale sia in corso di godimento in quanto il periodo deve essere fruito nel corso dell'anno di maturazione e non oltre il termine di esso.
Un secondo periodo, di due settimane, da fruirsi anche in modo frazionato ma entro 18 mesi dal termine dell'anno di maturazione, salvi i più ampi periodi di differimento stabiliti dalla contrattazione collettiva. Nell'ipotesi in cui la contrattazione stabilisca termini meno ampi per la fruizione di tale periodo (ad esempio nel settore del pubblico impiego ove il termine è di 6 mesi) il superamento di questi ultimi, quando sia comunque rispettoso del termine dei 18 mesi, determinerà una violazione esclusivamente contrattuale.
Un terzo periodo, superiore al minimo di 4 settimane stabilito dal decreto, potrà essere fruito anche in modo frazionato ma entro il termine stabilito dall'autonomia privata dal momento della maturazione. Questo ultimo periodo può essere monetizzato tenendo conto, per il settore del pubblico impiego, delle previsioni dettate al riguardo.
Violazioni in materia di concessione delle ferie
L'articolo 10 del decreto legislativo n. 66 del 2003, come modificato dal decreto legislativo n. 213 del 2004, stabilisce che "fermo restando quanto previsto dall'articolo 2109 del Codice Civile, il prestatore di lavoro ha diritto ad un periodo annuale di ferie retribuite non inferiore a quattro settimane. Tale periodo, salvo quanto previsto dalla contrattazione collettiva o dalla specifica disciplina riferita alle categorie di cui all'articolo 2, comma 2, va goduto per almeno due settimane, consecutive in caso di richiesta del lavoratore, nel corso dell'anno di maturazione e, per le restanti due settimane, nei 18 mesi successivi al termine dell'anno di maturazione".
La violazione di tale disposizione è punita con la sanzione amministrativa da € 130,00 a 780,00 per ogni lavoratore e per ciascun periodo cui si riferisca la violazione.
La disposizione introduce pertanto i seguenti precetti:
1) obbligo di
concedere un periodo di ferie di due settimane nel corso dell'anno di
maturazione;
2) obbligo di concedere due settimane consecutive di ferie, se richiesto dal
lavoratore, nel corso dell'anno di maturazione; la richiesta del lavoratore
dovrà intervenire nel rispetto dei principi dell'art. 2109 del Codice Civile
pertanto, anche in assenza di norme contrattuali sul punto, dovrà essere
formulata tempestivamente, in modo che l'imprenditore possa operare il
corretto contemperamento tra le esigenze dell'impresa e gli interessi del
prestatore di lavoro;
3) fruizione del restante periodo minimo di due settimane nei 18 mesi successivi all'anno di maturazione.
La normativa attribuisce il diritto al riconoscimento di un periodo di ferie di quattro settimane ma, indipendentemente dalla previsione, la contrattazione collettiva può ampliare tale periodo, ferma restando ovviamente la sanzionabilità esclusivamente per la violazione del minimo previsto dalla legge (quattro settimane).
Ugualmente la contrattazione collettiva può prevedere un termine massimo di fruizione del periodo di ferie minore da quello individuato dal Legislatore (18 mesi successivi all'anno di maturazione), ferma restando la punibilità della sola violazione di legge.
Va inoltre rilevato che, in considerazione della dizione che fa esplicito riferimento alle sole "restanti due settimane", gli ulteriori giorni di ferie spettanti eccedenti le quattro settimane – previsti dalla contrattazione collettiva o dal contratto individuale – possono essere fruiti anche successivamente ai 18 mesi dalla loro maturazione e possono essere oggetto di monetizzazione, salvo eventuali specifiche previsioni di legge o di contrattazione collettiva.
Va infine evidenziato, quanto alle modalità di fruizione delle ferie, che la previsione normativa stabilisce la possibilità di un intervento in deroga da parte della contrattazione collettiva. Da ciò deriva, la possibilità per le parti sociali di introdurre una disciplina modificativa che, sotto un profilo sanzionatorio, dia luogo ad una serie di esimenti che determinano la non punibilità della condotta quando la stessa, pur derogando alle disposizioni di legge, sia conforme alla previsione contrattuale.
Nei casi di sospensione del rapporto di lavoro che rendano impossibile fruire delle ferie secondo il principio della infra-annualità, le stesse dovranno essere godute nel rispetto del principio dettato dall'art. 2109 del Codice Civile, espressamente richiamato nell'art. 10 del decreto legislativo n. 66 del 2003, ossia "nel tempo che l'imprenditore stabilisce, tenuto conto delle esigenze dell'impresa e degli interessi del prestatore di lavoro": dunque si dovrà evitare ogni applicazione "automatica" del principio della infra- annualità laddove ciò risulti impossibile o troppo gravoso per l'organizzazione aziendale. Di conseguenza, anche sotto il profilo sanzionatorio, occorrerà valutare con attenzione ed equilibrio ogni singola situazione.
Anche per tali fattispecie si ribadisce l'operatività dell'apparato sanzionatorio nei confronti del personale di cui all'art. 17, comma 5, del decreto legislativo n. 66 del 2003.
Per tale violazione non trova applicazione l'istituto della diffida di cui all'art. 13 del decreto legislativo n. 124 del 2004.
(fonte: Circ. n. 8/2005 del Ministero dello Welfare)
MALATTIA E FERIE: LIMITI ALL'INTERRUZIONE DELLE FERIE
La malattia che insorge durante il periodo di godimento delle ferie in genere ne sospende, come noto, la decorrenza. Vi sono però dei limiti e delle eccezioni a tale regola di carattere generale
IN CASO Di SOGGIORNO ALL'ESTERO
Sempre più di frequente un rilevante numero di lavoratori italiani viene inviato, per periodi di tempo più o meno lunghi, a lavorare all'estero, in genere alle dipendenze di ditte italiane. È altresì in impetuoso sviluppo il turismo verso l'estero.
Riteniamo, pertanto, opportuno descrivere le modalità da seguire in questi casi per avere l'indennità di malattia.
Negli Stati convenzionati con l'Italia o membri della UÈ il lavoratore ammalato è tenuto a rivolgersi all'apposita istituzione estera, entro tre giorni dall'inizio dell'inabilità al lavoro, presentando un certificato rilasciato dal medico curante e deve successivamente far pervenire all'INPS, oltre che al datore di lavoro, la certificazione sanitaria redatta sugli appositi formulari.
Se invece la malattia insorge in un Paese non convenzionato, le cose sono più complicate. Infatti, entro il termine di cinque giorni, andrebbe fatta pervenire all'INPS e al datore di lavoro adeguata documentazione sanitaria legalizzata dall'autorità consolare italiana e questo non ci sembra affatto facile. .
Con sentenza 2 maggio 1996, la Corte di giustizia europea ha stabilito che il lavoratore che si ammala all'estero ha diritto alla conservazione dello stipendio, secondo le modalità dettate dalla legislazione nazionale, e può esibire un certificato prodotto nello Stato estero. In questo caso non spetta al lavoratore provare la validità del documento, ma eventualmente è il datore di lavoro che deve dimostrarne l'inattendibilità.
Controlli
I lavoratori aventi diritto all'indennità giornaliera di malattia possono essere sottoposti a controllo anche all'estero. In questi casi le visite mediche di controllo possono essere effettuate, oltre che d'iniziativa del sanitario di fiducia della rappresentanza diplomatica o consolare (i cosiddetti controlli d'ufficio), anche su richiesta dell'istituto o dell'azienda: in quest'ultima evenienza, il datore di lavoro rimborserà direttamente all'ambasciata (o al consolato) il costo della visita.
Il Ministero degli esteri ha incaricato le nostre rappresentanze diplomatiche anche di effettuare alcune verifiche: sulla congruità delle prognosi rispetto alla diagnosi evidenziata; sulla connotazione di malattia «comune», in contrapposizione con l'eventuale natura professionale o infortunistica; sull'eventuale origine morbosa, relativamente alla quale sia ipotizzabile una responsabilità di terzi e, conseguentemente, il diritto alla sua surrogazione da parte dell'INPS.
Trasferimento
L'assicurato che si rechi, durante la malattia, in località diversa da quella abituale ha diritto alla relativa indennità, sempre che comunichi, utilizzando la medesima certificazione di malattia o altro mezzo idoneo, il nuovo temporaneo indirizzo, consentendo cosi tutti i controlli sanitari ritenuti necessari.
L'INPS, con circ. n. 192/1996, precisa che il trasferimento all'estero prevede, quale presupposto per la concessione di prestazioni, la necessità di una preventiva autorizzazione da parte dell'istituzione competente, che nell'ambito UÈ viene, per prassi, rilasciata dalle ASL (mod. E1 12). In caso di trasferimento, quindi, il lavoratore dovrà fornire all'INPS e al datore di lavoro copia della predetta autorizzazione. Analogo comportamento occorre tenere nell'ipotesi di trasferimento in uno Stato non convenzionato: autorizzazione ASL o rilasciata dallo stesso INPS. In quest'ultimo caso il medico dell’INPS valuterà la necessità di migliori cure e/o di assistenza che il lavoratore potrà ricevere nell'altro Paese, subordinando eventualmente l'autorizzazione all'onere per il lavoratore di sottoporsi a visite di controllo presso istituzioni sanitarie del luogo o da parte di medici di fiducia dei consolati o ambasciate d'Italia.
Certificazioni legalizzate
Nel caso di assicurati occupati in Italia che si ammalino durante soggiorni all'estero in Paesi non convenzionati, la corresponsione dell'indennità di malattia può aver luogo solo dopo la presentazione all’INPS della certificazione originale, legalizzata a cura della rappresentanza diplomatica o consolare italiana operante nel territorio estero.
L’INPS, con circolare n. 136 del 2003, ha precisato che per «legalizzazione» si intende l'attestazione, da fornire anche a mezzo timbro, che il documento è valido ai fini certificativi secondo le disposizioni locali. Conseguentemente la sola attestazione della autenticità della firma del traduttore abilitato ovvero della conformità della traduzione all'originale non equivale alla legalizzazione e non è sufficiente ad attribuire all'atto valore giuridico in Italia. L'adempimento, potendo richiedere tempi più lunghi, può essere espletato a cura dell'interessato anche in un momento successivo al rientro (e, ovviamente, pure per via epistolare), fermo restando che il lavoratore è tenuto all'invio della certificazione entro 2 giorni dal rilascio, al datore di lavoro ed all’INPS (eventualmente in copia).
SE LA MALATTIA COINCIDE CON LE FERIE
Nel caso in cui il lavoratore si ammali prima dell'inizio del periodo di ferie concordate con il datore di lavoro, la malattia prevale sulle ferie e la fruizione delle stesse viene sospesa: in poche parole il lavoratore va considerato assente per malattia.
La malattia che insorge durante la fruizione delle ferie ne sospende infatti il decorso. Le ferie vanno perciò recuperate in un momento successivo. Lo stabilisce la sentenza n. 616/1987 della Corte costituzionale. Viene così sancito che le ferie sono, per tutti, un «diritto irrinunciabile», finalizzato a ritemprare le energie psicofisiche usurate dal lavoro. L'insorgere di una malattia costituisce un ostacolo alla realizzazione di questo fine.
Per i dipendenti pubblici ben due leggi, del 1979 e 1980, avevano già riconosciuto questo diritto. E noto però che a lungo i dipendenti del settore privato hanno avuto minore protezione. Così è dovuta intervenire la Corte costituzionale che, con la sentenza citata, ha portato in materia eguaglianza di diritti.
SOLO SE LA MALATTIA COMPROMETTE IL RIPOSO
Successivamente la stessa Corte costituzionale, con la sentenza n. 290/1990, «interpretando» la precedente decisione, ha limitato l'effetto sospensivo alla sola malattia che comprometta effettivamente l'essenziale funzione di riposo delle ferie. L'INPS, con la delibera n. 60/1990, ne prende atto. Dunque le infermità di durata superiore a tre giorni, insorte durante un periodo di ferie, ne interrompono il decorso. Ciò a condizione che abbiano comportato la necessità di ricovero in ambito ospedaliero, ovvero nei casi in cui il datore di lavoro e la sede INPS del luogo ove si è verificata la malattia siano stati posti in condizione di verificarla, sulla base della documentazione e nei termini e modi previsti dalla legge. In assenza di ricovero il lavoratore, ai fini del riconoscimento dell'indennità, è tenuto all'osservanza delle disposizioni vigenti in materia:
a) documentazione dello stato di malattia;
b) invio della relativa certificazione;
c) reperibilità durante le fasce orarie;
d) comunicazione del temporaneo recapito, eventualmente diverso da quello abituale.
Per le infermità insorte all'estero vanno seguite particolari formalità, viste nel paragrafo precedente.
Anche le Sezioni unite della Cassazione, con la sentenza n. 1947/1998, hanno poi ribadito che la malattia, se incompatibile con la funzione di riposo e di recupero delle energie psicofisiche propria delle vacanze, interrompe le ferie. Si tratta, in sostanza, conclude la sentenza, di accertare, di volta in volta, se lo stato di malattia possa essere ritenuto incompatibile con la funzione propria del periodo feriale. L'INPS, con circ. n. 109/1999, da attuazione alla sentenza delle Sezioni unite: «Lo stato di incapacità temporanea assoluta al lavoro specifico non sempre è idoneo all'interruzione del periodo feriale, ma lo è solo quando, incidendo sulla sfera biologica dell'individuo, contestualmente diventi causa di un parziale, ma sostanziale e apprezzabile, pregiudizio alle finalità dell'istituto delle ferie, cioè al ristoro e al reintegro delle energie psicofisiche. In altri termini, la sentenza in oggetto vuole tutelare il lavoratore nella capacità di raggiungere un recupero psicofisico, mediante la possibilità di svolgere quelle attività ricreative e di riposo che sono alla base dell'istituto delle ferie». Dunque la malattia che sia causa di inabilità temporanea assoluta al lavoro specifico può anche avere «riflessi marginali sul ristoro proprio delle ferie e pertanto non risultare idonea a interromperle (come nei casi di cefalea, stress psicofisico, sindromi ansioso-depressive reattive all'ambiente di lavoro e in genere quelle patologie che spesso trovano nelle attività ludico-ricrearive un valido sostegno alla risoluzione della sintomatologia)». A questo indirizzo giurisprudenziale aderisce di nuovo la Cassazione con la sentenza n. 15768/2000. Secondo l’INPS, invece, interrompono sempre le ferie le malattie che provocano una inabilità temporanea assoluta generica; a titolo esemplificativo: «elevati stati febbrili, ricoveri ospedalieri, ingessatura di grandi articolazioni e, in genere, gravi malattie di apparati e organi».
Modifica titolo d'assenza
«II lavoratore che intenda modificare il titolo della sua assenza da "ferie" a "malattia" — continua l’INPS con la circ. n. 109/1999 - ha soltanto l'onere di comunicare lo stato di malattia al proprio datore di lavoro; tale comunicazione è idonea di per sé a determinare — dalla data di conoscenza della stessa da parte del datore di lavoro - la conversione dell'assenza per ferie in assenza per malattia, salvo che il datore di lavoro medesimo provi, attraverso i previsti controlli sanitari, l'infondatezza del suddetto presupposto e quindi l'inidoneità della malattia ad impedire la prosecuzione del periodo feriale». Principio confermato dalla Cassazione con la sentenza n. 12776/1999.
«La data di inizio dell'evento, anche ai fini previdenziali, è quella del ricevimento da parte del datore di lavoro stesso della comunicazione (effettuata a mezzo telefono, telegramma, certificato, ecc.) dell'intervenuto stato di malattia. Allo scopo i datori di lavoro dovranno in linea generale (pure, cioè, in assenza di richieste di controlli) comunicare tempestivamente all'INPS, ovviamente per i soli lavoratori aventi diritto all'indennità di malattia, la data in questione. Detta data sarà di conseguenza presa a riferimento ai fini del computo della carenza e del 21 ° giorno (dal quale è elevata la misura dell'indennità), tenendo presente che gli eventuali giorni che precedono la data di ricezione, da parte del datore di lavoro, della comunicazione di malattia (data che può non coincidere con quella di ricezione della certificazione), seppure compresi nel periodo certificato non sono imputabili a "malattia" bensì a "ferie" e quindi non dovranno essere neppure conteggiati nel periodo massimo indennizzabile».
Ricovero figlio
La legge sui congedi parentali stabilisce che la malattia del bambino che dia luogo a ricovero ospedaliero interrompe le ferie del genitore.
Nessun onere probatorio per il lavoratore
«In tema di malattia del lavoratore insorta durante il periodo feriale si ha sospensione del periodo feriale tutte le volte che lo stato morboso denunciato risulti incompatibile con l'essenziale funzione di riposo, recupero delle energie psicofisiche e ricreazione propria delle ferie, con la conseguenza che, una volta che il lavoratore abbia comunicato il proprio stato di malattia, si determina la conversione dell'assenza per ferie in assenza per malattia, salvo che il datore di lavoro non provi l'infondatezza del presupposto allegando la compatibilità della patologia col godimento delle ferie». Con le sentenze n. 8408/99 e n. 7303/2000, la Cassazione esclude dunque, a conferma dell'indirizzo interpretativo INPS, che sul lavoratore ammalatosi durante le ferie gravi alcun onere probatorio in ordine all'effetto impeditivo del godimento delle stesse.
MALATTIE LUNGHE E FERIE
La Cassazione, con la sentenza n. 1786/92, ha stabilito che, in mancanza di specifiche disposizioni legislative o contrattuali, quando si verifichi una malattia prolungata (nel caso specifico, per un anno), il lavoratore non matura il diritto alle ferie annuali, né alla relativa indennità sostitutiva. «Le ferie, in quanto periodo di riposo finalizzato alla reintegrazione delle energie fisiche e psichiche del lavoratore, debbono seguire ad un periodo d'ininterrotto lavoro, avendo in questo la loro causa giuridica e la loro giustificazione». Così recita la sentenza.
Con la successiva sentenza n. 9125/1996, ancora la Cassazione ha precisato che, anche se l'assenza dal lavoro per malattia non fa maturare le ferie, specifiche disposizioni contrattuali possono stabilire il contrario.
Infine, la sentenza n. 704/1997 della Cassazione afferma un principio opposto: il lavoratore matura le ferie anche durante i periodi di assenza per malattia. Si imponeva, dunque, un intervento delle Sezioni unite. Chiarimento che puntualmente è arrivato. La Cassazione, Sez. un., con la sentenza n. 14020/2001, riconoscendo alle ferie non più solo un valore di recupero delle energie consumate attraverso l'effettiva prestazione, e qualificandole come «tempo libero, necessario alla tutela della salute e all'esercizio dei fondamentali diritti di svolgimento della personalità», ha stabilito che i periodi di malattia vanno equiparati a quelli di lavoro effettivo ai fini della maturazione delle stesse. Pur se non si tratta solo di poche settimane, ma di interi mesi.
Libero Seghieri - Pubblicista ed esperto previdenziale in Lucca
(fonte: Consulenza n. 29 del 2 agosto 2005, p.50 – Buffetti ed.)
Diritto alle ferie e divieto di monetizzazione
L’art. 2109,
comma 2, cod. civ., sancisce il diritto del prestatore di lavoro
«ad un periodo annuale di ferie retribuite,
possibilmente continuativo, nel tempo che l’imprenditore stabilisce, tenuto
conto delle esigenze dell’impresa e degli interessi del prestatore di lavoro.
La durata di tale periodo è stabilita dalla legge, dagli usi o secondo equità».
In altre parole, il potere discrezionale di decidere sulla collocazione delle
ferie, nell’arco dell’anno, spetta al datore di lavoro, il quale è però
chiamato a contemperare le esigenze obiettive dell’impresa con gli interessi
personali dei singoli lavoratori (Cass. 24 ottobre 2000, n. 13980).
È intervenuta poi la Carta Costituzionale, con l’art. 36, a qualificare come
irrinunciabile il diritto dei lavoratori alle ferie annuali. Il diritto alle
ferie -secondo l’interpretazione della Corte Costituzionale- rientra in quel
«contenuto minimo di tutela che
(…) deve assistere ogni rapporto di
lavoro subordinato» (C. Cost. 22 maggio 2001, n, 158) e ha la
finalità di consentire il recupero delle energie lavorative spese dal
lavoratore, in armonia con il diritto alla sicurezza e alla salute nei luoghi
di lavoro.
È in questo quadro normativo che si è inserito il D.Lgs. 8 marzo 2003, n. 66 (entrato in vigore il 29 aprile 2003, e successivamente modificato dal D.Lgs. 19 luglio 2004, n. 213) che ha introdotto per la prima volta in Italia, in modo espresso, il divieto di monetizzare, con una indennità sostitutiva, il periodo di ferie corrispondente alle quattro settimane previste dalla legge, salvo che nel caso di risoluzione del rapporto di lavoro.
Il primo comma della suddetta norma stabilisce infatti un periodo minimo di ferie pari a quattro settimane che va goduto, per almeno due settimane -consecutive in caso di richiesta del lavoratore- nel corso dell’anno di maturazione e, per le restanti due settimane, nei 18 mesi successivi dal termine dell’anno di maturazione. La violazione di tale disposizione è punita con la sanzione amministrativa da 130 euro a 780 euro, per ogni lavoratore e per ciascun periodo cui si riferisce la violazione (nuovo art. 18-bis del D.Lgs. 66/2003, aggiunto dal D.Lgs. 213/2004). Il secondo comma dell’art. 10 dispone che «il predetto periodo minimo di quattro settimane non può essere sostituito dalla relativa indennità per ferie non godute, salvo il caso di risoluzione del rapporto di lavoro».
In tema di ferie e di indennità sostitutiva delle stesse, la giurisprudenza della Corte di Cassazione, formatasi prima dell’entrata in vigore del D.Lgs. 66/2003, ha più volte ribadito il principio dell’indisponibilità ed irrinunciabilità del diritto alle ferie annuali sancito dall’art. 36, Cost., in ragione della sua primaria funzione di tutela della persona del lavoratore, volto alla ricostituzione delle energie consumate con il lavoro (Cass. 3 giugno 2000, n. 7445 e Cass. 25 luglio 2000, n. 9760).
Purtuttavia, la possibilità di monetizzare in un momento successivo le ferie non godute era generalmente ammessa. In alcune sentenze è stata ritenuta «inderogabile» la norma per la quale le ferie debbano essere concesse e godute entro l’anno di riferimento «a pena di decadenza» (così, espressamente, Cass. 24 ottobre 2000, n. 13980), ed è stato altresì affermato che, qualora ciò non avvenga, il diritto irrinunciabile alle ferie si «tramuta» nel diritto ad un’indennità sostitutiva (Cass. 3 giugno 2000, n. 7445).
In altre sentenze è stato affermato il principio secondo cui il lavoratore che non abbia potuto godere del periodo feriale nell’anno di riferimento per fatto imputabile al datore di lavoro ha diritto al risarcimento in forma specifica (dunque, di godere effettivamente delle ferie) che, tuttavia, «può tramutarsi in diritto al risarcimento per equivalente se esso risulti eccessivamente oneroso per il datore di lavoro» ai sensi dell’art. 2058, comma 2, Cod. civ. (Cass. 21 febbraio 2001, n. 2569); anche la Corte d’Appello Milano (sentenza 18 settembre 2001), ha sostenuto che «il lavoratore che abbia cumulato ferie maturate in anni precedenti non decade mai dal relativo diritto, salvo che il datore di lavoro non provi un rifiuto del dipendente a goderne […] non essendo ammissibile la monetizzabilità del diritto, a meno che la concessione non risulti eccessivamente onerosa».
Dopo l’entrata in vigore del D.Lgs. 66/2003, invece, il divieto di monetizzazione delle ferie è tassativo e non ammette eccezioni, salvo la cessazione del rapporto. È tuttavia possibile applicare i principi giurisprudenziali sopra ricordati alle ferie maturate e non godute anteriormente all’entrata in vigore della nuova legge, che quindi potranno essere monetizzate nei limiti sopra ricordati e tenuto conto di quanto eventualmente disposto dal contratto collettivo applicabile.
Un’altra distinzione potrebbe farsi tra il periodo minimo di legge (quattro settimane) e l’eventuale ulteriore periodo previsto in aggiunta da contratti collettivi o da accordi individuali.
Alcuni (vedi circolare Confindustria 18104/2004) hanno sostenuto che l’ulteriore periodo di ferie stabilito dalla contrattazione collettiva può essere fruito nei termini e con i limiti fissati dalla stessa contrattazione collettiva e, dunque, eventualmente anche convertito nella relativa indennità sostitutiva. Al contrario, un’interpretazione più severa dell’art. 10, comma 2, D.L.gs. 66/2003, orientata al principio costituzionale d’irrinunciabilità delle ferie, indurrebbe a ritenere che i lavoratori debbano effettivamente godere l’intero periodo di ferie spettante.
Sul punto, la Circolare n. 8 del 3 marzo 2005 del il Ministero del Lavoro sembra finalmente aver posto alcuni punti fermi. Nella Circolare si precisa che si possono distinguere tre periodi di ferie. Un primo periodo, di almeno due settimane, da fruirsi in modo ininterrotto nel corso dell’anno di maturazione, su richiesta del lavoratore. Sarà sufficiente che il lavoratore non abbia goduto anche solo di una parte di detto periodo perché il datore sia considerato soggetto alla sanzione sopra indicata, anche nelle ipotesi in cui il godimento di detto congedo annuale sia in corso in quanto il periodo deve essere fruito nel corso dell’anno di maturazione e non oltre il termine di esso. Un secondo periodo, di due settimane, da fruirsi anche in modo frazionato ma entro 18 mesi dal termine dell’anno di maturazione, salvi i più ampi periodi di differimento stabiliti dalla contrattazione collettiva. Un terzo (eventuale) periodo, superiore al minimo di quattro settimane, potrà essere fruito anche in modo frazionato e anche successivamente ai diciotto mesi dalla maturazione, e potrà essere, al contrario dei primi due, oggetto di monetizzazione (salvo eventuali specifiche previsioni di legge o di contrattazione collettiva).
(fonte: www.toffoletto.it - newsletter n. 22 del marzo 2005)
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In sintesi vedi anche: Le ferie annuali in sintesi
Per la spettanza dell'indennità sostitutiva anche in caso di ferie non fruite dietro invito datoriale, v. Cass. 29.11.2007 n. 24905.
In controtendenza, per l'asserita natura risarcitoria dell'indennità sostitutiva delle ferie non godute, v. Cass. 11.5.2011, n. 10341.
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