Demansionamento e danno biologico –
Discrezionalità nel ricorso a CTU – Limiti – Ferie non fruite nonostante
l’invito datoriale – Spettanza, comunque, dell’indennità sostitutiva.
Il
giudizio sulla necessità ed utilità di far ricorso allo strumento della
consulenza tecnica rientra nel potere discrezionale del giudice del merito,
la cui decisione è, di regola, incensurabile in Cassazione; tuttavia, quando
la decisione della controversia su un determinato punto dipende
esclusivamente da un questione tecnica, poiché i fatti da porre a base del
giudizio non possono essere altrimenti accertati o provati, il giudice non
può non disporre indagini tecniche, a meno che non dia conto della sua
scelta utilizzando nozioni tecniche di comune conoscenza (Cass., 1 marzo
2007 n. 4853; 3 marzo 2005 n. 4652; 8 marzo 2004 n. 4686; 16 luglio 2003 n.
11143)
Fermo
restando il carattere irrinunciabile del diritto alle ferie, garantito anche
dall’art. 36 della Costituzione, ove le ferie non siano effettivamente
fruite, anche senza responsabilità del datore di lavoro, spetta al
lavoratore l’indennità sostitutiva, la quale ha per un verso carattere
risarcitorio, in quanto idonea a compensare il danno costituito dalla
mancata fruizione del riposo (e quindi dall’espletamento di un plus di
lavoro con mancata ricostituzione delle energie psicofisiche e ridotta
possibilità di dedicarsi ad attività ricreative o relazioni familiari e
sociali), e per altro verso costituisce erogazione di indubbia natura
retributiva.
Alla luce
del ricordato principio di diritto il motivo è fondato nei limiti della
misura della indennità sostitutiva, a nulla rilevando il mancato
ottemperamento del lavoratore agli inviti a fruire delle ferie.
Nulla,
invece, è dovuto al di là della citata indennità, sostitutiva, in primo
luogo perché l’accertato rifiuto del lavoratore a usufruiredelle
ferie è idoneo ad escludere responsabilità per danni ulteriori rispetto a
quelli coperti dalla indennità sostitutiva delle ferie non godute; e,
inoltre, perché non risulta comunque dedotto e provato un danno ulteriore
rispetto a quello che l’indennità è destinata a ristorare.
Svolgimento del processo
Con
ricorso al Pretore di Roma, depositato il 23 settembre 1996, Antonio Uliana,
dipendente della s.p.a. Istituto Nazionale delle Assicurazioni con
inquadramento nel settimo livello e qualifica di funzionario di seconda
classe, conveniva in giudizio la società datrice di lavoro chiedendo: a)
accertare la dequalificazione da lui subita e disporre la reintegra nelle
mansioni di incaricato dei rapporti istituzionali dell’ente, con il suo
accreditamento presso la Camera dei Deputati, il Senato ed il Ministero
dell’Industria; b) accertare il suo diritto all’inquadramento nella
categoria dirigenti dal settembre 1990; c) condannare l’INA al risarcimento
del danno da dequalificazione professionale e del danno bio-psichico subito
per la dequalificazione stessa; d) condannare la società al pagamento del
danno da lavoro usurante per mancata fruizione delle ferie.
A
fondamento delle sue pretese il ricorrente esponeva che, con la nomina del
nuovo presidente dell’INA, avvenuta nel novembre 1994, non gli era stata più
richiesta l’attività di collaborazione che aveva svolto, dal settembre 1990,
per il precedente presidente, con un servizio di supporto e di consulenza
relativo alle attività dei due rami del Parlamento e del Ministero
dell’Industria.
L’INA,
costituitasi, contestava le domande.
Escussi
alcuni testi, il Pretore rigettava il ricorso.
L’appello
del lavoratore – cui resisteva l’INA Vita s.p.a., quale successore dell’INA
s.p.a. a seguito di conferimento di ramo di azienda, mentre la s.p.a.
Assicurazioni Generali, quale incorporante dell’INA s.p.a., si costituiva
solo per evidenziare la sua estraneità al giudizio – veniva parzialmente
accolto dal Tribunale di Roma con sentenza del 23 ottobre/11 novembre 2003.
I giudici
di secondo grado ritenevano che dequalificazione vi era stata dal gennaio
1996, allorquando non era stato chiesto il rinnovo della tessera di accesso
al Senato per l’appellante, al settembre 1996, epoca di deposito del
ricorso; in tale periodo il lavoratore era rimasto inattivo per buona parte
della giornata, atteso che le mansioni svolte all’esterno occupavano da un
terzo alla metà dell’orario lavorativo.
Escludevano la dequalificazione per il periodo precedente, per il quale il
lavoratore si era limitato a lamentare che la documentazione e le note
informative presentate non avevano trovato riscontro presso il nuovo
presidente.
Ritenevano
improbabile la insorgenza di una seria patologia psichica di carattere
permanente da ricondurre al comportamento datoriale.
Respingevano le altre censure, osservando, quanto al lamentato danno da
superlavoro per mancata fruizione delle ferie, che il teste Battisting aveva
dichiarato che l’appellante si rifiutava di andare in ferie nonostante i
suoi inviti; e che riprova della volontà dell’INA di far fruire le ferie si
ritrovava nella lettera dell’8 aprile 1991.
Il
Tribunale condannava quindi l’INA VITA s.p.a. al pagamento della somma di
euro 6.274,95 a titolo di risarcimento del danno da dequalificazione
professionale, oltre rivalutazione ed interessi.
Per la
cassazione di tale decisione ricorre, formulando tre motivi di censura,
Antonio Uliana.
INA VITA
s.p.a resiste con controricorso. Le parti hanno depositato memoria.
Motivi
della decisione
1. Con il
primo motivo, denunciando violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2, 4
e 35 della Costituzione, 2103 e 2087 c.c. e vizio di motivazione, la difesa
del ricorrente critica la sentenza impugnata nella parte in cui ha escluso
il danno da dequalificazione per il periodo precedente il gennaio 1996.
Critica la
motivazione sul punto ("in quanto, nello stesso ricorso il lavoratore non
lamenta la privazione delle mansioni ma solo che le note informative e la
documentazione presentata non aveva avuto alcun riscontro e che non aveva
ricevuto istruzioni sul lavoro da svolgere, comportamenti questi che
rientravano nel potere del Presidente il quale non aveva alcun obbligo di
utilizzare e condividere le informazioni e proposte elaborate dal
ricorrente, né di impartirgli istruzioni, considerata la autonomia
asseritamente goduta dallo stesso nell’effettuare ricerche ed elaborare
studi.").
Sostiene
che il Tribunale non ha considerato che gli accessi periodici al Parlamento
derivavano dalla stretta collaborazione con il Presidente, collaborazione
negata dal nuovo Presidente.
Ricorda
che il datore di lavoro ha l’obbligo di predispone il cd. substrato
materiale dell’obbligazione lavorativa, e che, se è vero che il mancato
rinnovo della tessera di accesso al Senato per il 1996 impediva lo
svolgimento di attività presso tale organo istituzionale, il Tribunale ha
comunque omesso di accertare se, nel corso di vigenza dell’accredito, il
dott. Uliana fosse stato messo in condizione di svolgere tale attività.
1.a.
Il motivo non è fondato.
Le
considerazioni dei giudici di appello sulla attività (note informative,
ricerche e raccolta di documentazione) svolta dall’appellante nel primo
periodo successivo alla nomina del nuovo presidente e fino al dicembre 1995
costituiscono apprezzamenti di fatto, riservati ai giudici di merito, che ne
hanno dato congrua motivazione. Le censure si risolvono nella non
condivisione di tali apprezzamenti ma, come tali, sono inammissibili in sede
di legittimità.
2.
Con il secondo motivo, denunciando violazione e/o falsa applicazione degli
artt. 2697, 2700, 2087 c.c., 194, 61 e 62 c.p.c., nonché vizio di
motivazione, la difesa del dott. Uliana critica la sentenza nella parte in
cui non ha disposto una consulenza tecnica di ufficio, ritenendo
"improbabile l’insorgenza di una seria patologia psichica di carattere
permanente da connettere casualmente con il comportamento datoriale", sulla
scorta di considerazioni prive di valenza scientifica (quale la durata di
otto mesi del demansionamento) o estranee al dedotto rapporto causale (quale
il richiamo alla fase di mutamento di mansioni comportante comunque problemi
organizzativi in una società di rilevanti dimensioni, come l’appellata).
Deduce che
gli elementi forniti dal ricorrente in ordine alla patologia sofferta non
erano affatto generici, e riporta il contenuto di tre certificati medici,
uno del dott. Giordano in data 23 gennaio 1996, due del dott. Causi,
dell’ambulatorio neurologico dell’Ospedale San Camillo Forlanini Spallanzani;
assume che gli ultimi due, in quanto sottoscritti dal primario di un
istituto pubblico, costituiscono atto pubblico e fanno piena prova delle
attestazioni in essi contenute.
Richiama
inoltre la consulenza di parte allegata al ricorso introduttivo.
2 a.
Il motivo non è fondato.
Il
giudizio sulla necessità ed utilità di far ricorso allo strumento della
consulenza tecnica rientra nel potere discrezionale del giudice del merito,
la cui decisione è, di regola, incensurabile in Cassazione; tuttavia, quando
la decisione della controversia su un determinato punto dipende
esclusivamente da un questione tecnica, poiché i fatti da porre a base del
giudizio non possono essere altrimenti accertati o provati, il giudice non
può non disporre indagini tecniche, a meno che non dia conto della sua
scelta utilizzando nozioni tecniche di comune conoscenza (Cass., 1 marzo
2007 n. 4853; 3 marzo 2005 n. 4652; 8 marzo 2004 n. 4686; 16 luglio 2003 n.
11143).
Nella
fattispecie in esame i giudici di appello, dopo aver affermato che fino al
dicembre 1995 non vi era stato demansionamento (primo motivo), hanno negato
(come improbabile) la insorgenza di una seria patologia psichica di
carattere permanente causata dal comportamento datoriale, per la breve
durata del demansionamento e perché si era in una fase di mutamento di
mansioni comportante comunque problemi organizzativi in una società di
rilevanti dimensioni come l’appellata.
Ora, se è
vero che la seconda delle argomentazioni risulta incongrua, è anche vero che
il primo dei certificati di cui si lamenta una non attenta valutazione
risale al 23 gennaio 1996 e, secondo quanto si afferma nel ricorso (pag. 9),
reca la diagnosi di stato depressivo ansioso reattivo con tachicardia ed
insonnia con claustrofobia, malattia che si afferma risalente al gennaio
1995.
Ne
consegue che, una volta escluso che vi sia stata dequalificazione fino al
dicembre 1995, una malattia già diagnosticata nel gennaio 1996 (ed
addirittura risalente ad un anno prima) non può, da un punta di vista
logico, essere ricondotta al demansionamento intervenuto dal gennaio al
novembre 1996.
Non
sussiste pertanto violazione delle norme denunciate, né ricorre un vizio
della motivazione su un punto decisivo.
3.
Con il terzo motivo, denunciando violazione e/o falsa applicazione degli
artt, 36 e 41 Cost., 2109, 2087 e 2697 c.c., e 432 c.p.c., nonché vizio di
motivazione, la difesa del ricorrente critica la sentenza nella parte in cui
ha escluso il danno per mancata fruizione delle ferie.
Deduce che
la società aveva ammesso, con la lettera 8 aprile 1991 (che trascrive), di
avere consentito già nel 1991 un arretrato di ferie pari a 57 giorni; che il
generico invito a fruire delle ferie non configura adempimento del potere
dovere che grava sul datore di lavoro; che l’arretrato ferie si era
ulteriormente aggravato negli anni successivi, tanto da raggiungere i 131
giorni al novembre 1995, a causa della intensa collaborazione con il
Presidente dell’Istituto.
3 a.
Il motivo è fondato nei limiti di seguito precisati.
Questa
Corte ha chiarito che, fermo restando il carattere irrinunciabile del
diritto alle ferie, garantito anche dall’art. 36 della Costituzione, ove le
ferie non siano effettivamente fruite, anche senza responsabilità del datore
di lavoro, spetta al lavoratore l’indennità sostitutiva, la quale ha per un
verso carattere risarcitorio, in quanto idonea a compensare il danno
costituito dalla mancata fruizione del riposo (e quindi dall’espletamento di
un plus di lavoro con mancata ricostituzione delle energie psicofisiche e
ridotta possibilità di dedicarsi ad attività ricreative o relazioni
familiari e sociali), e per altro verso costituisce erogazione di indubbia
natura retributiva (v. Cass., 25 settembre 2004 n. 19303; 19 maggio 2003 n.
7836).
Alla luce
del ricordato principio di diritto il motivo è fondato nei limiti della
misura della indennità sostitutiva, a nulla rilevando il mancato
ottemperamento del lavoratore agli inviti a fruire delle ferie.
Nulla,
invece, è dovuto al di là della citata indennità, sostitutiva, in primo
luogo perché l’accertato rifiuto del lavoratore a usufruiredelle
ferie è idoneo ad escludere responsabilità per danni ulteriori rispetto a
quelli coperti dalla indennità sostitutiva delle ferie non godute; e,
inoltre, perché non risulta comunque dedotto e provato un danno ulteriore
rispetto a quello che l’indennità è destinata a ristorare.
In
conclusione va accolto per quanto di ragione il terzo motivo e vanno
rigettati i primi due. La sentenza va cassata in relazione alla censura
accolta e la causa va rinviata, per nuovo esame, ad altro giudice di secondo
grado, che si indica nella Corte di Appello di Roma. Il giudice di rinvio si
atterrà al seguente principio di diritto: "fermo restando il carattere
irrinunciabile del diritto alle ferie, garantito anche dall’art. 36 della
Costituzione, ove le ferie non siano effettivamente fruite, anche senza
responsabilità del datore di lavoro, spetta al lavoratore l’indennità
sostitutiva, la quale ha per un verso carattere risarcitorio, in quanto
idonea a compensare il danno costituito dalla mancata fruizione del riposo
(e quindi dall’espletamento di un plus di lavoro con mancata ricostituzione
delle energie psicofisiche e ridotta possibilità di dedicarsi ad attività
ricreative o relazioni familiari e sociali), e per altro verso costituisce
erogazione di indubbia natura retributiva"; la domanda di risarcimento del
lavoratore dovrà quindi essere valutata nei limiti della predetta indennità
sostitutiva.
Al giudice di rinvio si rimette anche la regolazione delle spese di questo
giudizio di legittimità.
PQM
La Corte
accoglie il terzo motivo di ricorso e rigetta i primi due; cassa la sentenza
impugnata nei limiti della censura accolta e rinvia la causa, anche per le
spese, alla Corte di Appello di Roma.
Asserita
natura risarcitoria dell’indennità sostitutiva delle ferie non godute
Cass., sez.
lav.,11 maggio 2011, n. 10341- Pres. Foglia – Rel. Filabozzi - B. c. Rai
Radiotelevisione Italiana spa
Va
riconosciuta all'indennità sostitutiva delle ferie non godute natura
risarcitoria, e ciò in quanto essa è pur sempre correlata ad un
inadempimento contrattuale del datore di lavoro, che obbliga quest'ultimo
(quando l'adempimento in forma specifica sia divenuto impossibile) al
risarcimento del danno, che comprende, in primo luogo, la retribuzione
dovuta per il lavoro prestato nei giorni destinati alle ferie o al riposo
(nonché la riparazione di eventuali ulteriori danni subiti dal lavoratore a
seguito del mancato ristoro delle energie psicofisiche) e che soggiace alla
prescrizione ordinaria decennale prevista dall'art. 2946 c.c., e non già a
quella quinquennale ex art. 2947 c.c.
Svolgimento
del processo
P.E.B.,
dipendente della Rai Radiotelevisione Italiana spa con la qualifica di capo
redattore, inviato a Londra dal 22 novembre 1990 al 7 giugno 1994 - data di
cessazione del rapporto di lavoro - per sostituire un collega di lavoro
corrispondente all'estero, ha chiesto il riconoscimento del suo diritto al
computo delle somme percepite nello stesso periodo a titolo di rimborso
spese dell'albergo, dell'affitto dell'appartamento e di altre spese
sostenute all'estero ai fini del calcolo del trattamento di fine rapporto,
nonché il pagamento dell'indennità sostitutiva delle ferie non godute.
Il
Tribunale di Roma ha accolto entrambe le domande, mentre la Corte di Appello
di Roma, con sentenza del 26.1.2007, ritenuta la prescrizione quinquennale
del diritto alla corresponsione del compenso sostitutivo per ferie non
godute, ha rigettato la seconda domanda.
Avverso
tale sentenza ricorre per cassazione B.P.E. affidandosi a tre motivi cui
resiste con controricorso la Rai, che ha proposto anche ricorso incidentale
fondato su due motivi.
Il B. ha
depositato controricorso al ricorso incidentale e memoria ex art. 378 c.p.c.
Motivi
della decisione
1.-
Preliminarmente, deve essere disposta la riunione del ricorso principale e
di quello incidentale, ex art. 335 c.p.c..
2.- Con il
primo motivo del ricorso principale si denunciano violazione e falsa
applicazione degli artt. 36 Cost., 1218, 2058 e 2109 c.c., con riferimento
alla statuizione con cui la Corte territoriale ha ritenuto la natura
retribuiva della indennità sostitutiva delle ferie non godute, con
conseguente applicabilità del termine di prescrizione quinquennale previsto
dall'art. 2948 c.c., anziché del termine decennale che dovrebbe ritenersi
applicabile in virtù della natura risarcitoria di detta indennità.
3.- Con il
secondo motivo si denunciano violazione e falsa applicazione degli artt.
2705, 2719, 2697 c.c., 214 e 215 c.p.c., 112 c.p.c., nonché omessa,
insufficiente e contraddittoria motivazione, relativamente alla statuizione
con la quale il giudice d'appello ha negato efficacia interruttiva della
prescrizione alla lettera a firma del Consigliere Segretario
dell'Associazione Stampa Romana in quanto non sottoscritta né dal B. né dal
Consigliere Segretario, non essendo stata prodotta, peraltro, neppure la
ricevuta della lettera raccomandata in questione.
4.- Con il
terzo motivo il ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione degli
artt. 2935 e 1193 c.c., nonché vizio di omessa, insufficiente e
contraddittoria motivazione, nella parte in cui il giudice d'appello non ha
considerato che la prescrizione del diritto alla corresponsione
dell'indennità sostitutiva delle ferie poteva iniziare a decorrere solo dal
momento in cui non poteva più essere fatto valere il diritto al godimento
delle ferie, ovvero dalla data della cessazione del rapporto di lavoro,
verificatasi il 7.6.1994.
5.- Con il
primo motivo di ricorso incidentale la Rai lamenta violazione e falsa
applicazione degli artt. 2099 e 2120, comma 2, c.c., in relazione all'art.
36 Cost., degli artt 1362 e ss. c.c., anche in relazione agli artt. 11, 22 e
28 c.c.n.l. 1991-1994, dell'art. 116 c.p.c., nonché insufficiente
motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, con
riferimento al capo della sentenza impugnata con la quale, confermando la
decisione del Tribunale, la Corte d'appello ha ritenuto l'esistenza del
diritto del lavoratore alla richiesta integrazione del trattamento di fine
rapporto con l'inclusione nella base di calcolo dei compensi percepiti dal
B. durante la sua permanenza all'estero. Secondo la Rai, la Corte
territoriale, così giudicando, non avrebbe considerato che il B. era stato
inviato a Londra in qualità di "inviato speciale", con l'applicazione di un
trattamento economico riconducibile al regime di "trasferta", che gli aveva
garantito la fruizione di rimborsi a pie di lista, sulla base di espresse
autorizzazioni di viaggio, con la conseguenza che le somme di cui si
discute, aventi tutte funzione restitutoria o risarcitoria della maggiori
spese sostenute dal giornalista nell'interesse del datore di lavoro, non
potevano essere ricomprese nella base di calcolo del trattamento di fine
rapporto, avuto riguardo anche a quanto previsto dall'art. 28 del contratto
collettivo.
6.- Con il
secondo motivo di ricorso incidentale la società denuncia violazione e falsa
applicazione dell'art. 112 c.p.c., in relazione al capo della decisione con
il quale la Corte d'appello ha ritenuto che non fosse affetta da vizio di
ultrapetizione la sentenza del Tribunale che, riconoscendo la computabilità
ai fini del calcolo del trattamento di fine rapporto dei compensi percepiti
dal B. per il lavoro svolto all'estero, aveva di fatto attribuito al
lavoratore una posizione professionale - quella di "corrispondente" - non
richiesta dal giornalista con il ricorso introduttivo.
Motivi
della decisione
7.- Il
primo motivo è fondato.
Come più
volte affermato da questa Corte, "l'indennità sostitutiva delle ferie e dei
riposi settimanali non goduti ha natura non retributiva ma risarcitoria e,
pertanto, è soggetta alla prescrizione ordinaria decennale, decorrente anche
in pendenza del rapporto di lavoro" (Cass. n. 9999/2009, Cass. n. 3298/2002,
Cass. n. 13039/97, Cass. n. 8212/97, Cass. n. 2231/97, Cass. n. 8627/92).
La sentenza
impugnata si è adeguata alla giurisprudenza talvolta recepita da questa
Corte (cfr. Cass. n. 12554/2003, Cass. n. 12311/2003, Cass. n. 15776/2002 e,
più recentemente, Cass. n. 6607/2004, Cass. n. 11262/2010), secondo la
quale, essendo l'indennità in parola in rapporto di corrispettività con la
prestazione lavorativa che avrebbe dovuto essere effettuata nel periodo
dedicato al riposo, essa ha carattere retributivo e sarebbe, dunque,
assoggettabile a contribuzione previdenziale, anche perché un eventuale suo
concorrente profilo risarcitorio non escluderebbe la sua riconducibilità
all'ampia nozione di retribuzione imponibile delineata dall'art. 12 della
legge n. 153 del 1969.
Questa
Corte ritiene però di adeguarsi al diverso orientamento espresso dalle
sentenze sopra citate - cui adde Cass. n. 12580/2003, Cass. n. 13980/2000,
Cass. n. 5624/2000 - che riconosce all'indennità sostitutiva delle ferie non
godute natura risarcitoria, e ciò in quanto essa è pur sempre correlata ad
un inadempimento contrattuale del datore di lavoro, che obbliga quest'ultimo
(quando l'adempimento in forma specifica sia divenuto impossibile) al
risarcimento del danno, che comprende, in primo luogo, la retribuzione
dovuta per il lavoro prestato nei giorni destinati alle ferie o al riposo
(nonché la riparazione di eventuali ulteriori danni subiti dal lavoratore a
seguito del mancato ristoro delle energie psicofisiche) e che soggiace alla
prescrizione ordinaria decennale prevista dall'art. 2946 c.c., e non già a
quella quinquennale ex art. 2947 c.c. (concernente la prescrizione del
diritto al risarcimento del danno per responsabilità aquiliana; cfr. anche
Cass. n. 12334/97, Cass. n. 5045/97, Cass. n. 5015/92).
Ne segue
l'accoglimento del primo motivo di ricorso con la cassazione sul punto della
sentenza impugnata; non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto
(non vi è, infatti, contestazione sul quantum), la cassazione di tale
sentenza per violazione di norme di diritto comporta la decisione nel merito
della causa (art. 384, comma 2, c.p.c.), con la conferma della statuizione
resa dal Tribunale in ordine alla domanda concernente l'indennità
sostitutiva delle ferie non godute.
8.-
L'accoglimento del primo motivo di ricorso assorbe l'esame delle altre
censure proposte con il ricorso principale.
9.- 11
primo motivo di ricorso incidentale è inammissibile, il secondo è in parte
inammissibile in parte infondato.
10.- Ai
sensi dell'art. 366 bis c.p.c., applicabile ai ricorsi per cassazione
proposti avverso le sentenze e gli altri provvedimenti pubblicati a
decorrere dalla data di entrata in vigore del d.lgs. n. 40/2006, e quindi
anche al ricorso in esame, nei casi previsti dall'art. 360, primo comma,
numeri 1), 2), 3) e 4) c.p.c., l'illustrazione di ciascun motivo si deve
concludere, a pena d'inammissibilità, con la formulazione di un quesito di
diritto, che deve essere idoneo a far comprendere alla S.C., dalla lettura
del solo quesito, inteso come sintesi logico-giuridica della questione,
l'errore di diritto asseritamente compiuto dal giudice di merito e quale
sia, secondo la prospettazione del ricorrente, la regola da applicare (Cass.
n. 8463/2009). Per la realizzazione di tale finalità, il quesito deve
contenere la riassuntiva esposizione degli elementi di fatto sottoposti al
giudice di merito, la sintetica indicazione della regola di diritto
applicata dal giudice a qua e la diversa regola di diritto che, ad avviso
del ricorrente, si sarebbe dovuto applicare alla fattispecie. Nel suo
contenuto, inoltre, il quesito deve essere caratterizzato da un sufficienza
dell'esposizione riassuntiva degli elementi di fatto ad apprezzare la sua
necessaria specificità e pertinenza e da una enunciazione in termini idonei
a consentire che la risposta ad esso comporti univocamente l'accoglimento o
il rigetto del motivo al quale attiene (Cass. n. 5779/2010, Cass. n.
5208/2010). Ne consegue che è inammissibile non solo il ricorso nel quale il
suddetto quesito manchi, ma anche quello nel quale sia formulato in modo
inconferente rispetto alla illustrazione dei motivi d'impugnazione; ovvero
sia formulato in modo implicito o in modo tale da richiedere alla S.C. un
inammissibile accertamento di fatto o, infine, sia formulato in modo del
tutto generico (Cass. sez. unite n. 20360/2007). Anche nel caso in cui venga
dedotto un vizio di motivazione (art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c.),
l'illustrazione del motivo deve contenere, a pena d'inammissibilità, la "chiara
indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si
assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta
insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la
decisione". Ciò comporta, in particolare, che la relativa censura deve
contenere un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) che ne
circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze
in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua
ammissibilità. Al riguardo, inoltre, non è sufficiente che tale fatto sia
esposto nel corpo del motivo o che possa comprendersi dalla lettura di
questo, atteso che è indispensabile che sia indicato in una parte del motivo
stesso, che si presenti a ciò specificamente e riassuntivamente dedicata
(cfr. ex plurimis, Cass. n. 8555/2010, Cass. sez. unite n. 4908/2010,
Cass. n. 16528/2008, Cass. n. 8897/2008, Cass. n. 16002/2007).
11.- Nella
specie, il quesito formulato dalla Rai a chiusura del primo motivo, oltre a
non individuare chiaramente il principio di diritto posto dal giudice a quo
alla base del provvedimento impugnato, non specifica le regole di
ermeneutica contrattuale che sarebbero state in concreto violate dal giudice
d'appello nell'interpretazione delle norme del contratto collettivo che
vengono richiamate - e che si assumono rilevanti ai fini del trattamento di
fine rapporto nel caso di giornalista inviato all'estero - e fa riferimento
ad accertamenti e a valutazioni di fatto (quali sono quelli riguardanti la
stabilità o meno dell'incarico svolto dal giornalista all'estero) che non
possono trovare ingresso in questa sede di legittimità sotto il profilo
della violazione di legge in quanto esterni all'esatta interpretazione della
legge ed integranti una tipica valutazione del giudice del merito, la cui
censura è possibile, in sede di legittimità, esclusivamente sotto l'aspetto
del vizio di motivazione (Cass. n. 9908/2010; Cass. n. 8730/2010, Cass. n.
11094/2009); e tutto ciò a prescindere dalla pur di per sé assorbente
considerazione che il contratto collettivo cui si fa riferimento nel ricorso
per cassazione, e che è stato oggetto di esame da parte del giudice
d'appello, non risulta essere stato ritualmente allegato, ovvero allegato in
veste integrale, al ricorso per cassazione a norma dell'art. 369, comma 2,
n. 4 c.p.c. (sull'onere di produzione del testo integrale dei contratti
collettivi sui quali il ricorso si fonda, cfr. ex multis Cass. sez.
unite n. 20075/2010, Cass. n. 4373/2010, Cass. n. 219/2010, Cass. n.
27876/2009, Cass. n. 16619/2009, Cass. n. 15495/2009, Cass. n. 2855/2009,
Cass. n. 21080/2008, Cass. n. 6432/2008, cui adde Cass. n. 21366/2010 e
Cass. n. 21358/2010). Va ribadito, al riguardo, che l'art. 369, comma 2, n.
4 c.p.c. pone a carico del ricorrente un vero e proprio onere di produzione,
che ha per oggetto il contratto collettivo nel suo testo integrale e non già
solo nella parte su cui si è svolto il contraddittorio o che viene invocata
nell'impugnazione di legittimità - ciò perché la Cassazione, nell'esercizio
della funzione nomofilattica, ben può cercare all'interno del contratto
collettivo ciascuna clausola, anche non oggetto dell'esame delle parti o del
giudice di merito, che comunque ritenga utile all'interpretazione - e che
l'onere di depositare il testo integrale dei contratti collettivi di diritto
privato previsto dalla citata norma non è limitato al procedimento di
accertamento pregiudiziale sull'efficacia, validità ed interpretazione dei
contratti e accordi collettivi nazionali di cui all'art. 429 bis
c.p.c., ma si estende al ricorso ordinario ex art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.,
avuto riguardo alla necessità che la S.C. sia messa in condizione di
valutare la portata delle singole clausole contrattuali alla luce della
complessiva pattuizione, e dovendosi ritenere pregiudicata la funzione
nomofilattica della S.C. ove l'interpretazione delle norme collettive
dovesse essere limitata alle sole clausole contrattuali esaminate nei gradi
di merito (Cass. sez. unite n. 20075/2010 cit. nonché Cass. n. 27876/2009
cit.).
12.- Anche
le dedotte carenze motivazionali (e cioè quelle alle quali si fa cenno nel
corso dell'esposizione delle censure espresse con il primo motivo del
ricorso incidentale), del resto, non appaiono sufficientemente individuate e
precisate nel senso che si è sopra indicato, ovvero mediante la necessaria
indicazione del fatto controverso in una parte del motivo che costituisca un
momento di sintesi del complesso degli argomenti critici sviluppati
nell'illustrazione dello stesso motivo e delle ragioni per le quali tali
carenze dovrebbero rendere la motivazione inidonea a giustificare la
decisione; dovendo rimarcarsi, peraltro, che, come questa Corte ha
costantemente ribadito, il controllo sulla motivazione non può risolversi in
una duplicazione del giudizio di merito e che alla cassazione della sentenza
impugnata può giungersi non per un semplice dissenso dalle conclusioni del
giudice di merito - poiché in questo caso il motivo di ricorso si
risolverebbe in un'inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e
del convincimento dello stesso giudice di merito, che tenderebbe
all'ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, sicuramente estranea alla
natura e alle finalità del giudizio di cassazione - ma solo in caso di
motivazione contraddittoria o talmente lacunosa da non consentire
l'identificazione del procedimento logico-giuridico posto alla base della
decisione (cfr. ex plurimis Cass. n. 10657/2010, Cass. n. 9908/2010,
Cass. n. 27162/2009, Cass. n. 13157/2009, Cass. n. 6694/2009, Cass. n.
18885/2008, Cass. n. 6064/2008).
Di qui
l'inammissibilità del primo motivo del ricorso incidentale.
13.- Il
secondo motivo del ricorso incidentale è inammissibile nella parte in cui
attribuisce al giudice d'appello una violazione dell'art. 112 c.p.c., che
avrebbe dovuto essere fatta valere esclusivamente ai sensi dell'art. 360,
comma 1, n. 4 c.p.c. e non sotto il profilo della violazione di norme di
diritto, riconducibile al n. 3 del citato art. 360 c.p.c. (cfr. Cass. n.
1196/2007). In ogni caso, la violazione è insussistente giacché, come
correttamente rilevato dai giudici d'appello, il giudice di primo grado,
nella valutazione della stabilità o meno dell'incarico svolto dal
giornalista all'estero (nel che consiste, in definitiva, la differenza tra
la qualifica di corrispondente e di inviato speciale, alla quale ha fatto
più volte riferimento la Rai nei propri scritti difensivi), ha
legittimamente esercitato il potere-dovere di accertare e valutare il
contenuto sostanziale della pretesa, quale desumibile non solo dal tenore
letterale degli atti, ma anche dalla situazione dedotta in giudizio e dalle
eventuali precisazioni formulate dalle parti in corso di causa, attenendosi,
dunque, nel pronunciare su di essa, ai limiti della domanda come
interpretata (cfr. ex plurimis Cass. n. 19331/2007, Cass. n.
27285/2006, Cass. n. 27428/2005).
14.- Il
ricorso incidentale deve essere pertanto respinto.
Le spese
dell'intero giudizio seguono la soccombenza e vengono liquidate come da
dispositivo.
P.Q.M.
La Corte
riunisce i ricorsi, accoglie il primo motivo del ricorso principale,
assorbiti gli altri, rigetta il ricorso incidentale, cassa la sentenza
impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, conferma
la statuizione di primo grado relativa all'indennità ferie non godute nonché
quella relativa alle spese; condanna la controricorrente alla rifusione in
favore di controparte delle spese del secondo grado, liquidate in
complessivi Euro 2.000,00, di cui Euro 1.200,00 per onorari, nonché alle
spese del giudizio di legittimità liquidate in Euro 86,00, oltre Euro
3.000,00 per onorari, oltre IVA, CPA e spese generali.