La calata di Carlo VIII in Italia mostrò non solo l'intima debolezza
organica e il fondo pur sempre anarchico del regno di Napoli,
ma anche la mancanza di coesione e la debolezza di governo
dello Stato Pontificio.
La defezione dei Colonna ebbe un'importanza decisiva nel determinare
la resa del papa di fronte alle forze del re di Francia.
In seguito però i Colonna passano dalla parte del re di Napoli
e del papa, ma quasi automaticamente sono gli Orsini a ribellarsi
al pontefice.
Con la resa di Atella, ad Alessandro VI pare finalmente giunto
il momento buono di iniziare veramente l'opera di restaurazione statale
coll'abbattere la potenza dei baroni romani ceppi dei pontefici,
cominciando dalla irrequieta famiglia degli Orsini.
Tanto più che il capo, Virginio, ancora rimane, contro i patti, prigioniero del re di Napoli,
il Pitigliano è a Venezia, e i Vitelli si trovano in Francia.
Alla fine di ottobre cominciano le operazioni: l'esercito pontificio è rafforzato
dai contingenti dei Colonna e del duca d'Urbino.
Cadono vari castelli, fra il Tevere e il lago di Bracciano, poi la guerra
si riduce attorno al lago stesso.
Anguillara apre le porte, Trevignano è presa dopo breve assedio.
Non resta che Bracciano, difesa tenacemente da Bartolomeo d'Alviano
e dalla fiera moglie Bartolommea Orsini.
Ma ai pontifici difetta assai l'artiglieria, l'assedio va per le
lunghe, e alla fine ecco Vitellozzo Vitelli, reduce dalla Francia,
venire al soccorso.
L'esercito pontificio gli muove incontro, e il 24 gennaio 1497,
fra Soriano e Canepino, alle falde del Cimino, avviene l'urto.
I Papalini dispongono di cavalleria pesante e leggera, d'artiglieria
e di 800 lanzichenecchi, e su quest'ultimi fanno molto assegnamento.
Ma anche il Vitelli ha istruito i suoi 1.000 fanti italiani
alla svizzera e con fine intuito li ha tutti equipaggiati
con picche più lunghe del normale.
Vitelli schiera le sue truppe rifiutando un fianco, non avendo
cavalleria pesante per coprire entrambi i fianchi,
la mette tutta sulla destra delò proprio schieramento.
Il fianco sinistro lo poggia al sicuro verso un bosco,
dove mette dei schermagliatori con armi da tiro, mentre al centro
mette in buona posizione difensiva e leggermente rialzata
la sua fanteria con le picche.
L'attacco pontificio è sferrato da due masse soltanto,
rispettivamente di fanteria (lanzichenecchi) e cavalleria pesante,
preceduto dalla solita inefficace scarica delle artiglierie.
Il primo scontro tra cavallerie leggere è a favore dei pontifici,
poi tocca alle cavallerie pesanti, ma è al centro che il miracolo
accade perché l'avanzata dei lanzichenecchi è dapprima fermata
e poi respinta.
Il combattimento di cavalleria rimane indeciso, ma contro
le previsioni, i picchieri italiani hanno subito la meglio;
resistono dapprima alla furia nemica, poi contrattaccano,
rompono e avviluppano il quadrato nemico e lo annientano.
E allora i cavalieri nemici, minacciati sul fianco si ritirano.
In breve l'esercito pontificio è in piena rotta e fugge abbandonando
artiglierie e salmerie; lo stesso duca d'Urbino viene fatto
prigioniero.