A ERBA UNA CASA EDITRICE CHE RACCONTA DI MONTAGNA, DALLE PREALPI LOMBARDE ALLE VETTE IMALAIANE

GRANDI EMOZIONI PER PICCOLI UOMINI

 

"Quel giorno di cinque anni fa Battistino e Leopoldo, due miei alpinisti, raggiunsero la vetta dell’Everest. Ancora ho viva e nitida nella mia mente la voce di Battista, quando alle tre e quaranta del pomeriggio mi chiamò dalla cima dicendomi: "Ciao Oreste, siamo qui in cima. Tutto bene, Leo è arrivato su venti minuti prima di me, tutto bene ma sta nevicando. Passo." …il momento più bello della mia vita… e se mai dimenticherò quelle parole di Battista, nemmeno potrò scordare quelle di Giuliano, parole drammatiche che alle sei di mattina di una decina di giorni prima, esattamente il 6 di maggio, mi erano giunte via radio dal campo 4, a 8350 metri di quota: "Oreste, Fausto è assopito". "Come assopito?- gli avevo chiesto - cosa vuol dire assopito?" "È assopito, non riesce più a svegliarsi…"

Queste e tante altre emozioni, tutte legate alle proprie esperienze alpinistiche ma anche alla tenerezza di un uomo che cerca di essere buon marito e buon padre con la stessa veemenza che ci mette in montagna. Sono i racconti della Mountain Promotion di Erba, casa editrice fondata tre anni fa da Oreste Forno che oltre ad esserne il titolare è anche scrittore, giornalista, fotografo e… papà di due bellissimi bambini: Franco, 4 anni, e Matteo, 2 anni, che tanto lo anno ispirato.
Oreste Forno, che ora vive a Erba, è nato a Berbenno, in Valtellina, 49 anni fa. È istruttore nazionale di sci alpino e proprio con gli sci ai piedi ha conquistato la maggior parte dei suoi record. Timido, riservato, discreto, pur essendo soddisfatto della propria vita e consapevole delle proprie capacità, non ama vantarsi di sé e infatti il suo curriculum professionale abbiamo dovuto faticosamente ricavarlo dai suoi libri e dagli articoli scritti su di lui. Dalla moglie Ombretta invece, figlia della guida alpina Graziano Bianchi, apprendiamo che proprio in questi giorni sta lavorando con il noto documentarista Folco Quilici ad un filmato sulle alpi e prealpi lombarde, commissionato dal CAI. Oreste collabora all’aspetto culturale, storico e, ovviamente, strategico del progetto. Pur avendo stretto la mano ai più celebri alpinisti del mondo, tra cui Messner, e conquistato cime famose in Alaska, Perù, Russia, Himalaya, rivestendo anche molte volte il ruolo di capospedizione, si considera una persona qualunque, a volte più fortunata di altri perché ha sempre portato a casa la pelle. "Il primo ottomila ti schiaccia fra le sue membra, si diverte a giocare con te, vuole vederti soffrire. Poi ti sputa lontano".

Con la Mountain Promotion, aperta nel 1998, ha già scritto e pubblicato quattro libri, tutti ispirati alle proprie esperienze personali. Ogni anno realizza anche dei calendari artistici che propone a ditte, negozi o privati. Dispone di un archivio fotografico per le conferenze e le serate dimostrative a cui partecipa. Ha tenuto parecchie lezioni anche nelle scuole promuovendo la montagna in modo consapevole. Salita all’inferno è il suo primo libro. Un’affascinante avventura per metà vera e metà inventata che si svolge sull’Himalaya. Uno sherpa sarà coprotagonista principale: molta suspance, sentimento, intimità. Non manca la tragedia ma la narrazione riesce a coinvolgere il lettore e a lasciare un segno. "L’idea di scrivere un libro del genere mi è venuta vedendo tanti sherpa, troppi sherpa, morire durante il loro supporto alle spedizioni alpinistiche impegnate in Himalaya. I responsabili di queste morti sono gli alpinisti, siamo noi che li ingaggiamo per quattro soldi sapendo che non possono dire di no al denaro di cui hanno bisogno".

Un libro bellissimo in cui traspare tutta la sofferenza dell’Himalaya ma in cui si riesce anche a gustare ed assaporare la serietà di queste persone umane, i loro pittoreschi villaggi, l’austerità della vita quotidiana, i cambiamenti dovuti al progresso: "Nuovi Lodge, negozi, ristoranti sorgono ogni giorno lungo la valle di Khumbu…" Nel 1990 Oreste aveva già pubblicato, per l’editore Dell’Oglio, un libro sui "conquistatori senza gloria": Sherpa. Dedicato a Sungdare, un anonimo sconosciuto trovato morto annegato nel fiume sotto casa. Un eroe, scoprì in seguito Oreste, che aveva calcato la cima più alta del mondo per ben cinque volte e aveva anche delle dita amputate, segni di congelamenti dovuti alla sua generosità nell’assistere i colleghi alpinisti. Di lui e tanti altri valorosi uomini delle montagne, dei loro meriti alpinistici delle loro frustrazioni, sopportazioni, privazioni, del loro fondamentale ruolo nella sicurezza delle scalate racconta questo bel libro che sa collocare le persone al posto giusto.
Il secondo lavoro da neo editore Compagni di cordata lo ha dedicato al primogenito ancora in procinto di nascere. È una specie di dialogo confessione in cui l’autore riversa tutta la propria fragilità umana ma in cui gli mostra onestamente sé stesso attraverso le più intime emozioni. La naturalezza che tanto apprezza e rispetta nel nepalese, Oreste la rivive nella propria infanzia contadina che racconta al figlio augurandogli la stessa semplice povertà: un bambino che corre a casa trafelato dopo la scuola e veloce, toltosi la divisa scolastica, indossa "il ruvido maglioncino di lana"; intasca "due michette di pane comune" e via di corsa "senza badare alle solite parole che mi raggiungevano" verso l’ovile. Per portare al pascolo le pecore "insieme agli altri compagni, pastorelli come me del doposcuola". Lì la montagna incomincia ad affascinarlo e a lanciargli il suo mistico richiamo: "E mentre le ragazze più grandi cuocevano castagne e patate io ero piuttosto spericolato e mi divertivo ad arrampicarmi sui massi, ma in cima mi soffermavo a osservare la montagna che avevo di fronte magari già imbiancata di neve. C’era in essa qualcosa che mi attirava, ma era tanto lontana…"

Il terzo è simile ma le Lettere a un presidente sono indirizzate al presidente del CAI e riguardano più specificatamente la montagna. L’ultima avventura letteraria di Oreste, cui è molto affezionato anche per l’esperienza acquisita sul campo della fantasia, è un romanzo.
I suoi libri sono viaggi affascinanti nell’animo umano: storie di arrampicate ansimanti, di amicizie, salvataggi, tramonti infuocati, canti e risate davanti a un piccolo fuoco di campo. Quasi tutte ambientate qui sulle nostre prealpi e… finite poi immancabilmente nel mitico Nepal. E così anche se non abbiamo confidenza con la montagna, impariamo a conoscerla: "Serata quasi primaverile quella di questa sera qui al Buco del Piombo! Avevo voglia di sgranchirmi le gambe così sono salito fin quassù. Nel bosco, fatto più che altro di carpini, si respira già l’aria del risveglio. Lo si sente dalla terra, che oltre alle Rose di Natale sta già lasciando uscire i suoi profumi, dall’aria tiepida e soprattutto dalle melodie degli uccelli che sentono l’avvicinarsi della stagione degli amori. Un merlo sta diffondendo le sue stupende note con rigoglii che sembrano scendere giù fino alla valle…" e via via scopriamo così i magici momenti che ci possono offrire le nostre località: il Cornizzolo, il Bollettone, le Grigne, il Resegone, il Badile… scopriamo il romanticismo della natura, ma anche la sfida dell’uomo, lo sforzo, l’energia vitale che si spreme a fatica per raggiungere il suo obiettivo "Sono partito forte già sul sentiero, ma sulla rampa finale ho dato tutto quello che ero in grado di dare. Il battito del cuore era naturalmente alle stelle, il diaframma andava su e giù come un enorme pistone spinto dall’aria che inspiravo con forza, sudavo come un cavallo da corsa ma il motore teneva bene e questo mi procurava un immenso piacere. In certi punti quasi arrancavo per evitare di perdere il ritmo e facevo naturalmente fatica. Ma quando ho raggiunto la cima e finalmente mi sono fermato a prendere fiato, è stato bellissimo!" Storie di passione, sudore, gioia, ma anche storie di Lacrime e sangue, titolo dell’ultimo avvincente romanzo. Da non perdere. E l’Everest fa sempre da sfondo: "Ti avvii misurando ogni passo, fermandoti a prendere fiato su ogni spuntone di roccia facendo attenzione ai ponti di neve, e giù, sempre più giù verso il basso prima che il cielo diventi un mosaico di stelle e la Via Lattea una strada d’argento. Non avrei mai immaginato che il cielo di notte fosse così pieno di luci…" Un rapporto di odio-amore, si potrebbe dire, quello di Oreste per l’Himalaya. Una sorta di muto richiamo, come il canto di una sirena, che ti può innalzare fino a toccare le stelle ma ti può anche infrangere sulle rocce, senza preavviso e senza pietà. "Rimani sconcertato quando a morire sono gli alpinisti di grande forza ed esperienza …sappilo la morte sulle grandi montagne non guarda in faccia a nessuno. Ma anche se a morire sono alpinisti normali, con poca esperienza, rimani dispiaciuto perché capisci che anno perso la vita, la cosa più preziosa e sono certo che se potessero fare ritorno non la metterebbero in gioco mai più, per nessuna montagna". Ama la vita, e rispettala a tutti i costi, è il messaggio finale, bellissimo che lancia al figlio attraverso i suoi scritti. Ma per il lettore anche un messaggio di coraggio, un incitamento ad afferrare l’energia interiore per confrontarsi accanitamente contro le intemperie, il freddo, la fatica… momenti di intensa sofferenza ma in cui si percepisce una forza scorrere forte nelle vene e ci si sente davvero vivi.

Qualcosa lo aveva spinto, tanti anni fa, a lasciare un lavoro sicuro e ben remunerato per dedicarsi completamente, anima e corpo, alle scalate. "Ho lasciato l’IBM dopo 17 anni di servizio, quando non trovavo più soddisfazione per l’ambiente in cui operavo e per ciò che facevo. Caffè, cravatta, orari flessibili… me ne sono andato dando un calcio alla sicurezza economica pur di riprendere a vivere". … Mc Kinley, Huascaran, Pisco, Copa, il Pic Lenin poi nel 1985 il Shisha Pangma dove finisce dentro un crepaccio. Nel 1988 è in cima allo Cho Oyu, 8201 m.: "Immortalare quel momento, o meglio assicurarmi le prove della mia salita fino alla vetta era ciò che in quel momento mi interessava di più poi finalmente incominciai a guardarmi in giro". Nel 1989 guida una spedizione al Dhaulagiri che porta in vetta Franco Stefani e Sergio Martini. Poi segue un nuovo tentativo al Shisha Pangma ma un brutto incidente in cui perde la vita un giovane medico ticinese, Luca Leonardi, lascerà a tutti un amaro trofeo: "L’incidente allo Shisha Pangma mi aveva fatto capire quanto può essere facile morire e soprattutto quanto è importante la vita. Ed è proprio grazie a quel giorno a quell’avventura dall’apparenza drammatica se io oggi guardo alla vita in modo diverso. La vedo come un dono prezioso e cerco di viverla con entusiasmo giorno per giorno, anche andando a cercare i momenti che mi sanno dare le più grandi emozioni." Il 17 maggio 1991 Leopold Sulovski e Battista Bonali, da lui condotti, saranno in vetta all’Everest, 8848 m., senza ossigeno e per una via nuova. "Ciao Oreste… quanta gioia mi diede la sua chiamata dalla vetta"… e appena un libro dopo, un anno dopo… "Battista non c’è più, è caduto mentre scalava una montagna in Perù". Le arrampicate di Oreste Forno finiscono con la vittoria del Makalu, 8463 m., nel ‘93. Da adesso e almeno per un po’ di anni non scalerà più, non per paura "La morte l’ho vista in faccia e non mi spaventa", ma per senso di responsabilità verso i figli piccoli. Poi si vedrà. Intanto si può sempre sfogare con le nostre belle guglie lariane.

Qualcosa di nuovo lo aveva spinto a ritirarsi anche dal "mercato" imalaiano per mettersi a scrivere. E questo qualcosa è la morte.. o meglio … la vita. Sì, perché "Ho avuto la possibilità di capire e di cambiare prima che fosse tardi. Molti miei compagni diventano schiavi degli sponsor: non sei nemmeno libero di programmare le scalate a tuo piacimento e sei costretto ad affrontare rischi inutili trascinando chi ti segue nella spedizione per assecondare i tempi imposti dalle leggi commerciali. Anche molti sherpa, di natura tendenzialmente diversa e di grande spiritualità, si lasciano attrarre dal meccanismo delle contrattazioni economiche ed entrano nella spirale perversa del volere sempre di più. Fortunatamente alcuni di loro se ne sono accorti ed hanno detto basta. La vita è un bene troppo prezioso e bisogna esserne responsabili, non rischiare di metterla a repentaglio così stupidamente, solo per orgoglio, per ambizione o, peggio ancora, per soldi". Troppi incidenti, troppi morti sui candidi pendii delle guglie ammantate di neve che si stagliano alte verso il cielo del Sudamerica, dell’Alaska, dell’Oriente e anche d’Europa. Molti di questi morti, dice Oreste, sono guide professionali o poveri portatori d’alta quota, padri di famiglia spinti dalla fame e dalla necessità ad assecondare vaneggianti capricci di gloria di chi ha già troppo dalla vita. " …gente priva dell’esperienza necessaria o presuntuosi accecati dall’ambizione che rincorrono una cima soltanto per dire - sono bravo -. È il caso degli ormai tanti che partecipano alle spedizioni commerciali che nella maggior parte dei casi puntano all’Everest. Perché pare che uno sia bravo solo se sa salire in vetta alla montagna più alta del mondo. Sì a volte può anche andar bene… lo sherpa che ti batte la pista, ti prepara i campi, ti fa trovare pronto il tè quando raggiungi la tenda e ti predispone le bombole di scorta sul percorso… ma se va male il risultato può essere come quello di neanche due mesi fa: una catena di morti".

E il rapporto fra interessi economici e umanità ancora esplode furiosamente in Lettere a un Presidente: "Allora incominciai a provare rabbia, rabbia nel vedere portare dei clienti, persone che magari non avevano sufficiente esperienza d’Himalaya, a pagamento su una montagna come l’Everest. Per business. C’è chi è disposto a sborsare fino a 65.000 dollari. E poi si mettono insieme persone che non si conoscono, che non hanno affiatamento e magari non vanno d’accordo". E racconta di storie vere. "È il caso di quei due che continuavano a litigare. Lui era tedesco, si chiamava Rudiger Lang ed era alpinista esperto con già al suo curriculum un ottomila, lei era una signora italiana che alpinisticamente non avevo mai sentito nominare e che , seppi dopo, aveva pochissima esperienza d’alpinismo e soprattutto d’alta quota. Rividi la signora circa un mese e mezzo dopo al nostro ritorno al campo base. Mi sembrò delusa… non era andata molto in alto, come previsto. Rudiger sì ma non era più tornato... a un certo punto lo avevano visto là, un punto fermo. Un punto fermo che non si era mai più mosso nemmeno nei giorni successivi, nessuno seppe mai perché morì e il suo corpo restò lassù solo e abbandonato finché la montagna non ebbe compassione e gli diede sepoltura".

In seguito a queste riflessioni, ad ogni spedizione il suo pensiero, lontano dalla vetta, andava al figlio nascituro. Ogni minuto libero, in treno o sul campo, era buono per prendere carta e penna, scrivere al figlio come per aggrapparsi, come se quella vita in lotta per venire al mondo fosse un disperato appiglio di fronte all’incombenza di una Morte così vorace, mai sazia di corpi.
"I loro corpi sono rimasti lassù insepolti e ben visibili a chi passando di lì pensa alla dura legge imalaiana. Quella legge che dice che chi sale deve essere consapevole dei rischi a cui va incontro e oltre a una certa quota (qualcuno parla addirittura di 7000 metri) uno non può che contare su se stesso. È una gran balla, questa, sappilo! Questa non è la legge dell’Himalaya, ma è la legge dell’egoismo che si va diffondendo sempre più".


Mountain Promotion è in via Puccini 1 a Erba. tel. 031-610270
Presto saranno disponibili anche una E-mail e un sito internet.

 

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broletto n.64 inv.2001