RITROVARSI
PARTE QUARTA
Susan voleva credere a tutti
i costi alle parole che le aveva detto Sabrina. Non fece che
ripensare tutto il giorno a quella conversazione che le aveva
fatto aprire gli occhi su un nuovo mondo, ma che allo stesso
tempo la stava facendo sentire vulnerabile come mai prima. Era
a casa da sola e non sapeva come avrebbe potuto reagire nell’istante
in cui avesse rivisto Russell, che, guardò l’orologio
appeso in cucina, era fuori ormai da ore intere. Stava
incominciando a preoccuparsi … il telefono era spento e non
sapeva cosa pensare. Sorrise al pensiero di come Sabrina in
fondo, fosse stata così brava a leggerle dentro il cuore. Era
lontano da lei da poche ore e già ne sentiva la mancanza,
come se fosse partito da mesi. Passarono ancora più di tre
ore prima che Russell tornasse, la semplice mancanza si
trasformò in concreta preoccupazione. Aveva tentato di
distrarsi in molti modi che non erano però andati a buon
fine: aveva cercato di leggere, di scrivere, di guardare la
televisione o di dare una pulita alla casa. Era stato tutto
inutile, niente sembrava riuscire ad ingannare l’attesa. Si
voltò di scatto quando sentì le chiavi girare nella
serratura della porta di ingresso. Rimase per un attimo in
silenzio.
“Ciao” disse
semplicemente lui senza aggiungere altro, aveva l’aria
tranquilla, come dopo una rilassante passeggiata di mezz’ora.
Susan per un attimo non rispose forse in attesa di un
ulteriore saluto, magari con l’aggiunta di una spiegazione,
ma aspettò inutilmente. Il suo silenzio aveva invaso la
stanza e urtato la sua pazienza.
“Ti avevo dato per
disperso.” Disse nella speranza di dargli un input. Per
tutta risposta ricevette un mezzo sorriso; con lo sguardo non
rivolto verso di lei Russell scosse la testa piano dando una
spiegazione più per accontentarla che per un reale desiderio
di giustificarsi.
“Ho fatto un po' il
turista, ho esplorato questa città da cima a fondo, sono
persino stato a farmi quel giro col traghetto per tutte le
varie isole … il mare aiuta sempre a schiarirsi le idee.”
“E te le sei …
schiarite?” chiese Susan con aria incredula nel notare la
sua assoluta calma e in parte irritata da quello stesso
atteggiamento. Il suo tono fece sollevare lo sguardo di
Russell che la guardò socchiudendo leggermente un occhio come
per chiederle una spiegazione in proposito. C’era forse
bisogno di reagire in quel modo? Con un gesto della mano
proseguì.
“Ti ho lasciato un
biglietto … non l’hai…”
“Certo … ma quando uno
mi scrive che esce un attimo penso che torni al massimo dopo
un’ora!” È tutto il giorno che provo a chiamarti …
potevi almeno farlo tu!”
Sorpreso dal suo tono di
voce ribatté quasi subito.
“ Scusami, io … non
avevo voglia di sentire nessuno … capisci?”
Susan lo guardava con fare
nervoso: come aveva potuto credere, anche solo per un istante,
che tra loro ci potesse essere un legame speciale? Non c’era
nulla del ragazzo che si ricordava e al quale aveva sempre
voluto bene. La persona che aveva davanti sembrava non
accorgersi nemmeno del fatto che lei fosse preoccupata; l’idea
non lo aveva nemmeno sfiorato e incominciò a chiedersi se se
lo meritasse davvero che lei, nel corso degli ultimi due mesi,
si fosse preoccupata solo di lui. Sentì una forte rabbia
crescerle dentro, pensò che se forse non si fossero mai
ritrovati non sarebbe stata lì in quel momento a dannarsi l’anima
per lui. Avrebbe voluto non essere stata così ingenua da
abbassare le sue difese con Sabrina così rapidamente da
lasciarla nuda nell’animo davanti ad un uomo che non la
vedeva nemmeno e che lei, in quell’istante, desiderò che
non fosse mai rientrato nella sua vita. Era stanca di dover
interpretare i suoi silenzi, di dover sopportare la sua
impenetrabilità. Ma non gli avrebbe permesso di distruggerla
del tutto; anni senza di lui, senza che lui le fosse stata
vicina per confortarla e sostenerla come le aveva promesso, l’avevano
fatta crescere ed essere consapevole della sua stessa
capacità di sopravvivenza, molto più di quanto lui stesso
potesse immaginare.
“Sei hai fame c’è della
roba nel frigo!” furono le ultime parole che gli rivolse
prima di chiudere con forza la porta della sua camera alle sue
spalle. Le lacrime trattenute, e alle quali non aveva
intenzione di dare libero sfogo per nessuna ragione, le
stavano facendo esplodere le tempie. Si mise il pigiama in
meno di un minuto buttando tutti i vestiti in un angolo e si
infilò sotto le coperte. Senza trucco aveva l’aria della
ragazzina di diversi anni prima. Prese il libro che aveva sul
comodino e si costrinse a leggerlo, cercando di calmarsi prima
di spegnere la luce e lasciare quell’uomo non solo fuori
dalla sua stanza, ma anche fuori dal suo cuore. Le mani le
tremavano mentre per la trentesima volta nel giro di dieci
minuti ricominciava a leggere la stessa frase. Un lieve
bussare alla sua porta la distolse dal libro, alzò lo
sguardo, Russell era davanti a lei.
Il sollievo nel vederlo non
trasparì dal suo viso che rimase fermo e glaciale a
guardarlo.
“Cosa …” di fronte a
lei e tra loro, solo il silenzio. Susan proseguì. “… se
non trovi niente in frigo ordinati una pizza!” Russell la
guardava con una mano in tasca, silenzioso scosse la testa.
“Che cosa vuoi?” Chiese
con tono non cordiale. Russell scosse nuovamente la testa, in
silenzio, con uno sguardo fermo, ma tanto vulnerabile negli
occhi da scuotere l’atteggiamento di Susan che sentì quella
sua difesa, così frettolosamente rialzata, abbandonarla come
se non avesse mai avuto consistenza.
“C’è qualcosa che non
va?” Avrebbe voluto chiederglielo con lo stesso tono da
pugnale alla mano di poco prima, ma quel nodo alla gola la
tradì e fece trasparire solo la sua emozione nell’esserselo
trovato all’improvviso davanti; quel silenzio fra loro
sembrava urlare più che mai, mentre, ancora un volta, Russell
scosse la testa senza parlare. Mosse qualche passo e arrivato
ai piedi del letto si chinò camminando carponi verso di lei.
Arrivato ad un respiro dal suo viso, Susan fece appena in
tempo a rendersi conto della loro vicinanza improvvisa. Non le
diceva nulla ma i suoi occhi non avevano mai avuto bisogno
della bocca per parlarle. Le prese il libro che aveva in mano
e lo appoggiò sul comodino; sempre in quella posizione le
appoggiò le labbra calde e umide sul collo vicino all’orecchio,
chiuse gli occhi sentendo improvvisa la morbidezza della sua
pelle e il suo profumo prendere possesso dei suoi sensi.
Stupita, incredula e con le mani che fremevano dal desiderio
di assecondarlo, Susan chiuse gli occhi colta di sorpresa da
quel bacio che continuava, seguito da altri che a labbra
socchiuse le stavano percorrendo il tragitto completo dal lobo
dell’orecchio, alla tempia, fino alla fronte. Avrebbe voluto
dare un senso a quello che stava accadendo, voleva trovare un
filo logico per tutta quella giornata che le appariva assurda,
ma non ci riusciva, sempre più coinvolta da quelle labbra che
non era ancora riuscita a sfiorare. Si staccò da lui per
guardarlo negli occhi, ostacolò, con una mano sul suo petto,
il suo tentativo istantaneo di tornare da lei. No, non avrebbe
sopportato ancora a lungo quel silenzio fra loro. Russell
lesse nei suoi occhi e nella sua anima ciò che lei gli stava
chiedendo e fu allora che ruppe quel silenzio.
“Fai l’amore con me.”
Disarmata ormai anche della
più piccola difesa che le fosse rimasta, il cuore di Susan
mancò un battito nel sentirgli pronunciare quelle parole.
Chiuse gli occhi con ancora la mano sul torace di Russell che
più che trattenerlo era in quel momento lì per sentire il
suo cuore battere come non lo aveva mai sentito battere prima.
Sentì riecheggiare ancora e ancora quella frase nella sua
mente prima che le sue labbra nuovamente le sfiorarono la
guancia e Susan gli sfiorò il viso e la barba con la punta
della dita. Russell guardò le sue labbra, non c’erano più
soltanto pochi istanti rubati al momento che li avrebbe visti
allontanarsi uno dall’altro per chissà quanti anni ancora;
avevano tutto il tempo che volevano, anche una vita intera se
l'avessero desiderato. Le sfiorò le labbra con la punta delle
dita che Susan baciò ad una ad una a labbra socchiuse. Con
titubanza la baciò sulla bocca quasi incredulo di sentirla
così viva, reale, e desiderosa di quel bacio. Gli prese il
viso tra le mani attaccandosi alle sue labbra come se fosse
stata l’ultima volta che avesse potuto toccarle. Russell
sentiva l’intenso respiro delle sue narici premere contro il
suo viso e si abbandonò al desiderio di lasciare che quelle
sue mani morbide e a lui sconosciute, lo scoprissero in ogni
dove sarebbero potute arrivare. Si scostò per un attimo da
lei, ancora nella stessa posizione che lo aveva visto
arrivare; rassicurò con un sorriso dolce lo sguardo
interrogativo di Susan ormai completamente in balia di ogni
suo gesto. Con entrambe le mani, delicatamente le prese le
caviglie facendola distendere sul letto. La guardò per un
attimo e si chinò su di lei, sulle sue labbra e sul suo corpo
che desiderava ormai non sapeva più da quanto. Schiuse le
labbra su di lei sentendo le sue dita che si insinuavano tra i
capelli cercando la morbidezza di quel bacio, il calore del
suo respiro dentro al suo, mentre le loro lingue si cercavano
esitanti e contemporaneamente impazienti. Russell fece
scivolare le sue mani sui bottoni del pigiama di taglio
maschile che Susan indossava e rise soffocando quel bacio nel
constatare che lo sbottonarli gli stava dando del filo da
torcere. Susan rise con lui e sollevò le braccia invitandolo
a sfilarglielo dalla testa. Poi l'aiutò a slacciargli la
camicia e i pantaloni stupendosi del suo autocontrollo
paragonato al forte desiderio che sentiva per lei. Quanto
tempo aveva aspettato perché quel momento si realizzasse?
Eppure sembrava che ogni cosa fosse perfetta, l'attimo,
l'istante e il loro essere perfettamente in sintonia cancellò
la distanza che li aveva separati per anni, le persone che li
avevano divisi … ogni cosa accaduta fino a quell'istante,
nelle loro vite vissute separatamente, sembrava averli
preparati all'unica cosa che realmente doveva essere. In quel
momento però non voleva pensare più a nulla, era totalmente
perso nell'intensità del desiderio che sentiva nella sua
voce, nel suo corpo e nel suo respiro sulla sua pelle. Era un
continuo cercarsi, volersi esplorare per annullare le distanze
che per troppo tempo si erano imposti. Lui adorava l'innocente
sensualità delle carezze di Susan su di lui, talvolta
timorose, che sembravano quasi chiedere di essere guidate. Le
piaceva essere coccolata, lo capiva dal modo in cui cercava le
sue mani e non avrebbe mai smesso di accontentarla. Carezze
pazienti sfiorarono il calore della sua intimità in attesa
del momento perfetto. Ogni loro gesto, ogni loro movimento li
stava portando ad una soglia sempre più alta e intensa di
piacere alla quale non volevano sottrarsi, ma solo piegarsi e
cedere. Russell strinse a sé Susan per sentirla ancora più
vicina e sentiva le labbra di lei vicine al suo orecchio sia
quando cercavano la morbidezza di un bacio umido e caldo, sia
quando si lasciavano andare in gemiti lievi seguiti dal suo
abbraccio più intenso e passionale. Non c'era niente che non
avrebbe voluto darle, nulla che non avrebbe fatto se solo
glielo avesse chiesto, era qualcosa di mentale, oltre che
fisico e lo straordinario legame tra questi due elementi lo
portarono ad un'estasi totale, che per un istante
interminabile, fu di entrambi.
Russell non si ricordava
l'ultima volta in cui si era sentito così vivo, così
coinvolto e, … sì, anche felice, perché bastava guardarla,
aprendo gli occhi mentre la baciava, per sentire quanto lei
fosse diversa da tutte le altre che erano entrate a far parte
della sua vita negli ultimi anni. Lei c'era stata addirittura
da sempre e lui non l'aveva vista, o quel che era peggio,
l'aveva data per scontata.
Ancora frementi di quel
desiderio consumato, ma che ancora teneva accesi i loro corpi
stretti uno nell'altro, rimasero avvolti in quell'abbraccio,
guancia a guancia col silenzio di quella stanza rotto solo
dall'intensità dei loro respiri affannosi che non si
sarebbero placati ancora per lunghi istanti. Russell premette
le labbra sul viso sudato di Susan che chiuse gli occhi;
quando li riaprì, trovò quelli sorridenti di Russell nei
suoi, con lievi perle di sudore che brillavano sulla sua
fronte illuminata appena dalla luce notturna che filtrava
attraverso le finestre. Si era appoggiato con un gomito in
fianco a lei senza però voler abbandonare il contatto del suo
corpo col suo.
"Posso restare
così?"
Susan annuì, in silenzio,
volendo solo osservare la perfezione del suo volto, dolce,
adulto, severo e protettivo allo stesso tempo. Possibile che
non si fosse mai accorta di quanto avesse bisogno di lui,
delle sue carezze, dei suoi baci, del calore che era riuscito
a trasmetterle in quella notte che l'aveva vista coinvolta e
disinibita come mai prima, come mai avrebbe creduto possibile?
Gli sfiorò con l'indice le labbra delicate e sorrise nel
vederlo afferrargli istantaneamente la mano per baciargliela.
Sembrava che la stesse leggendo dentro e, come lei, non voleva
parlare, ma solo risponderle con gli occhi, i sorrisi, e ogni
altro possibile coinvolgimento fisico. Sentiva il piede di
Russell scorrerle su e giù per la caviglia e rise lievemente
per il leggero solletico che percepì. Russell rispose alla
sua con una leggera risatina e con un bacio sulla punta del
naso. Sentiva ancora la pelle d'oca della prima volta che lui
l'aveva sfiorata, si sentì pervasa da un senso di totale
sicurezza, come se mai nessun posto fosse stato più giusto di
quello, tra le braccia di Russell.
"Russ … posso dirti
una cosa?"
"Certo…"
"…"
"Cosa…"
"…non importa, non è
importante." Si voltò di spalle avendo cura che le
braccia di Russell non la lasciassero e incominciò a guardare
attraverso la fessura di luce che filtrava dalle tende della
sua stanza.
Una lieve perplessità
attraversò lo sguardo di Russell che per un attimo pensò che
ci fosse qualcosa che la stesse preoccupando, qualcosa che
però non voleva dirgli. Era stato fuori tutto il giorno per
chiarirsi le idee e lo aveva fatto, ne era contento; sì, le
idee se le era schiarite, quella era la cosa giusta, ne era
più che sicuro. Ogni risposta di Susan ai suoi gesti, dal
primo momento in cui l'aveva sfiorata, gli faceva pensare che
anche lei la pensasse allo stesso modo, eppure sembrava che ci
fosse qualcosa che offuscasse quella sua certezza. Le aveva
promesso che per lei ci sarebbe stato, in ogni istante e
minuto, però, alla fine, non era stato così; un'amica forse
poteva perdonare; si domandava se anche una donna sarebbe
stato in grado di farlo. Le sfiorò il viso con le dita
facendo in modo che lo guardasse negli occhi. Le ci sarebbero
voluti chissà quanti interminabili sguardi come quello per
convincerla del fatto che quegli occhi meravigliosi erano
davvero solo per lei.
"Ho sempre pensato che
il nostro rapporto non potesse andare al di là dell'amicizia,
avevo paura che desiderare di più avrebbe voluto dire
perderti anche come amica … scusa se oggi ti ho fatto
preoccupare, non accadrà più."
Susan lo guardava: sembrava
così sincero e sembrava davvero sentire quello che le aveva
detto e volle credergli, con tutta sé stessa e con tutto
l'ardore che mise nel bacio che gli diede dopo quelle parole,
bacio al quale lui rispose senza né esitare né senza che
fosse solo lei a dare. Sentiva la seta dei suoi capelli lunghi
scorrergli tra le dita e sarebbe stato quasi in grado di
divorarla in quel bacio interminabile. Le sue mani scorrevano
sul suo corpo ancora riscaldato dalle carezze precedenti,
sentiva le sue gambe tra le sue in un groviglio coinvolgente e
sensuale di corpi che sembravano non essere ancora stanchi di
rispondere al reciproco e forte desiderio che li chiamava.
"Russ…"
"Dimmi."
"Grazie per stanotte
… per prima, per adesso e …" furono parole mescolate
tra un sospiro e un sussurro.
"Non c'è di che."
Disse coprendo il corpo di Susan con il suo.
Le tre e mezzo del mattino,
Russell lo lesse sulla radiosveglia posta sul comodino di
Susan, l'unica cosa che illuminasse la stanza. Susan era
girata su un fianco e lui, col corpo stretto al suo, le teneva
un braccio attorno alla vita. Si era svegliato forse da un
sogno, o forse non era un sogno, ma una realtà che gli
sembrava un sogno. Si strinse ancora di più al suo corpo, la
osservava mentre dormiva: sembrava una bambina col viso
incorniciato dai quei lunghi capelli scuri che le cadevano
sulla schiena nuda. Li spostò per poterla baciare sul collo
avendo premura di non svegliarla. Dopo un attimo si alzò e
andò alla finestra, guardò fuori: gli alberi del viale sotto
casa loro erano addormentati come il resto del quartiere.
Sorrise nell'aver pensato a quella come a ‘casa loro’, si
voltò verso Susan che dormiva pacifica avvolta in una
bellezza quasi disarmante ai suoi occhi che di donne, e belle,
negli ultimi anni, ne aveva viste tante. Guardò nuovamente
fuori dalla finestra, tutto gli appariva più sereno, persino
quella città, così diversa da quello che per tutta la vita
era stato suo, così lontana da quello che gli era mancato e
che gli mancava. Sentì Susan muoversi nel letto; temendo che
si potesse svegliare senza trovarlo, chiuse nuovamente la
tenda e piano si rinfilò sotto le coperte accanto a lei,
appena in tempo per accoglierla mentre lei, giratasi nel
sonno, trovò il suo corpo e le sue braccia pronte a
stringerla di nuovo e questa volta, fino a che entrambi si
fossero svegliati.
Quando riaprì gli occhi
Susan fu colta dai primi raggi di sole che filtrarono
attraverso le tende socchiuse. Non ci volle molto perché
prendesse coscienza della realtà di quel momento: l’abbraccio
caldo nel quale si risvegliò dipinse un sorriso nei suoi
occhi. Non le era capitato di condividere il letto con molti
uomini, ancora meno di quelli coi quali l’aveva fatto, erano
rimasti con lei fino al mattino. Fu la rassicurante forza che
però quell’abbraccio le trasmetteva in quel momento che la
convinse che quell’uomo fosse diverso dagli altri. Ma come
sarebbe stato lui al risveglio? L’avrebbe guardata con gli
stessi occhi della notte precedente? Con quello sguardo al
quale non era riuscita a resistere e al quale, sapeva, in
qualsiasi altro momento, avrebbe comunque ceduto … che cosa
ne sarebbe stato di quel loro momento? Si girò a pancia in
giù appoggiando i gomiti sul cuscino. Russell dormiva
profondamente, o almeno così sembrava dal ritmo intenso del
suo respiro, e Susan sorrise nel constatare il sottile piacere
che stava provando nello spiare i suoi respiri, il ritmico
movimento del suo torace, le sue spalle, larghe e prestanti
appoggiate alle lenzuola; in un attimo la sua mente fu di
nuovo proiettata alla notte appena trascorsa, stretta tra le
sue braccia forti e sensuali mentre lui le sussurrava, in
gemiti sussurrati, l’intenso piacere che gli stava
regalando.
Gli diede un bacio sulla
spalla, pigramente Russell aprì un occhio e sorrise
richiudendolo subito dopo. Susan appoggiò la testa sul suo
petto e chiuse gli occhi sfiorando con la punta delle dita il
suo avambraccio, assaporando il contatto con la sua pelle e la
sensazione delle dita che Russell aveva cominciato a farle
scorrere sulla schiena. Nella testa di Susan si ripeteva
incessante sempre la stessa domanda che temeva di pronunciare
ad alta voce “Che cosa ne sarà di
tutto questo?”
Russell aprì gli occhi e
guardò per un attimo il chiarore riflesso sul soffitto della
stanza. Quasi come se fosse stato in grado di leggerle nel
pensiero parlò senza esitare e le rispose.
“Vieni con me a Los
Angeles.”
Susan volse lo sguardo verso
il suo.
“A Los Angeles? Davvero
vuoi che venga con te?”
Sorrise stupito dall’ingenua
insicurezza emersa dal tono della sua domanda.
“Certo … io sarò
impegnato con le riprese, ma potremo vederci tutti i giorni
…perché io voglio vederti tutti i giorni … tu no?” Le
chiese mentre un timido sorriso gli compariva sulle labbra.
C’era una calma
rassicurante totale nel tono della sua voce e un sorriso che
illuminava il suo volto e al quale Susan rispose con un bacio
sulla bocca per poi appoggiare il mento sul dorso della mano e
continuare a osservarlo.
“Mi piacerebbe tanto
venire con te.”
“Allora è deciso, ti
prenderai una vacanza dopo mesi che non ti riposi un attimo.”
“Esagerato!” disse senza
riuscire a trattenere una risata affettuosa.
“Non sto scherzando … ti
sei presa cura di me … ora tocca a me prendermi cura di te.”
L’animo di Susan fremeva
letteralmente al suono di quelle parole mentre, stretta a lui,
i suoi sensi si nutrivano del profumo della sua pelle.
“ … e poi voglio
presentarti a tutti.” Rise divertito e con una punta di
orgoglio nel pronunciare quella frase. “Ti va?… Sarà
bello, vedrai!”
“Potrò stare con te sul
set?”
Era felice di sentirla
desiderosa di condividere con lui quell’aspetto della sua
vita.
“Io sul set per fare prima
dormo in un camper, sei sicura di…”
“Io con te dormirei anche
appollaiata su una telecamera!” disse guardandolo negli
occhi sicura.
Russell la strinse tra le
braccia, con la mano portò il viso vicino al suo e in un sol
gesto schiuse le sue labbra sulle sue incominciando ad
esplorare il calore della sua bocca, senza fermarsi,
catturando il suo respiro, incessante nel volerle far sentire
quanto intenso fosse il suo desiderio, di nuovo e sempre di
più. Le mani fremevano dalla voglia di toccarla e non si
fermarono dallo scorrere dalla schiena fino alle natiche. Si
sentì improvvisamente travolto da un desiderio incontrollato,
quasi animale; era sfacciato, provocante e sensuale nelle sue
carezze sempre più esplicite, sempre più profonde che
stavano facendo perdere il controllo a Susan contenta di
lasciare che fosse lui a condurre il gioco. Voleva sentirsela
addosso, solo sua e di nessun altro, voleva che sussurrasse il
suo nome, proprio come stava facendo in quel momento,
completamente persa nel loro piacere reciproco. Dopo che ebbe
sentito fluire il suo calore dentro di lei pronto a penetrare
ed esplodere nel segreto della sua anima, cercò gli occhi di
Russell che la guardò dolcemente e spostò con entrambe le
mani i capelli dal suo viso. Occhi luccicanti la guardavano
come se fosse quasi la prima volta che realmente vedessero,
che realmente sentissero.
“Hey Yankee …” avrebbe
voluto dirle qualcosa, ma rimase a guardarla. Scosse
impercettibilmente la testa lasciando che fosse il silenzio a
parlare per lui. L’aiutò ad appoggiare la testa sul suo
petto, all’altezza del cuore, e chiuse gli occhi
accarezzandole il viso mentre piano il suo battito ritrovava
il suo ritmo regolare.
In un avvicendarsi confuso
di sogni lontani e indistinti, un incessante, ripetitivo
rumore, emerse da quella atmosfera onirica.
“Russ, … bussano alla
porta”
Svogliato e assonnato, con
la voce impastata, Russell emise un biascicato verso
lamentoso.
“Ma chi cazzo è che rompe
le palle di primo mattino?”
Susan rise divertita.
“È quasi mezzogiorno, a
quest’ora è lecito … ‘rompere le palle’.”
Russell nascose la testa
sotto il cuscino.
“Mandali via, digli che
non ci siamo!”
“Smettila, dai, vado io
… tu rimani pure ancora un po’ a riposare” gli rivolse
un sorriso alzandosi e indossando la prima cosa che trovò a
portata di mano. Russell la guardò con sguardo malizioso
mentre Susan indossava la sua camicia, aspettando che si
girasse a guardarlo, cosa che Susan fece un secondo più
tardi. Gli rivolse un sorriso raggiante salutandolo scherzosa
con la mano quando lo vide mandarle un bacio.
“Torno subito” gli
bisbigliò prima di richiudere la porta alle sue spalle.
“Ciao Sabrina! Scusa se ti
ho fatto aspettare, ma all’inizio non ti avevo sentito
bussare.”
“Non ti preoccupare, non
ti preoccupare.”
Sabrina entrò rapida senza
ulteriori commenti e domande; a quanto pareva per lei era la
solita Domenica di sempre e Susan non volle forzare subito gli
eventi.
“Allora, come va?”
“Guarda, ringrazia il
cielo che Marlon è a giocare da Colin così mi godo la
giornata di riposo, ti va di fare un giro in centro? …
Tesoro, ma che pigiama ti sei comprata? Hai sbagliato di
almeno tre misure … a proposito che ci fai ancora in pigiama
a quest’ora?”
“Questo non è un p…”
Sabrina proseguì
interrompendola.
“Non importa, anche io, se
non avessi dovuto accompagnare Marlon dall’amico, me ne
sarei stata a poltrire…”
Susan era divertita dalla
totale mancanza di spirito di osservazione che proprio in
quella circostanza avrebbe dato per scontato trattandosi di
Sabrina, ma cercava di mantenere un’espressione seria, per
quanto possibile, di fronte al comportamento tipico di una
giovane madre che, nonostante lo stress, voleva e riusciva
sempre ad essere iperattiva. Il controllo della situazione che
Susan stava mantenendo alla perfezione non aveva preso in
considerazione il caso imprevisto, nella fattispecie quello di
Russell che, con la naturalezza che lo aveva reso ormai noto
anche a chi lo conosceva meno di Susan, uscì dalla camera da
letto indossando solo i boxer, con un asciugamano sulla
spalla.
“Piccina, vado a farmi una
doccia … ah, ciao Sabrina, eri tu che bussavi … tutto
bene? Come sta Marlon?” disse prima di chiudere la porta del
bagno.
L’espressione di stupore,
nonché di totale inaspettato imbarazzo era leggibilissimo sul
volto di Sabrina che rimase per un attimo a bocca aperta non
del tutto certa di quello che aveva visto o udito. I suoi
occhi si rivolsero in un lampo a Susan che la stava osservando
da un po’ decisamente divertita. I gesti della mano di
Sabrina che cercavano di creare un collegamento tra l’uomo
sparito dietro la porta del bagno, la stanza di Susan e Susan
stessa, si spiegavano da soli.
“Hai visto che bel
fondoschiena, Sabri?…” le disse sorridendo ironica “…
e come ti stavo dicendo questo non è esattamente un pigiama.”
“Ok … credo di avere il
tempo per un caffè!”
Sabrina e Susan si sedettero
sul divano e in poco tempo Sabrina fu aggiornata sugli ultimi
avvenimenti e persino Susan, nel raccontare quello che era
successo, non riusciva a tratti a crederci. Ma era successo e
tra le cose che non aveva pianificato quella le sembrava la
migliore che avesse dovuto “subire”. Era come se da un
momento all’altro, dalla notte al giorno, fosse entrata in
una fase completamente nuova, non importava che cosa sarebbe
accaduto, sarebbe accaduto con Russell e ciò la faceva
sentire in qualche modo sicura, perché per quanto lui non
fosse stato presente per lungo tempo, era come se in quel
momento non fosse importante.
“E così te ne vai a Los
Angeles?”
“Sì,… gli ho detto di
sì senza nemmeno pensarci.” Susan rise sentendosi una
ragazzina posseduta dalla sua stessa impulsività. “…secondo
te faccio bene? … insomma … in fondo …”
“Per una santa volta nella
vita … non pensare, agisci e basta! Vuoi andare? Vai … non
ci vuoi andare … dammi il tuo biglietto che ci vado io!”
Concluse strizzandole l’occhio con aria ironica e maliziosa.
“Assolutamente no, lui non
lo cedo a nessuno!”
“Ecco, così si parla! …
Senti, vado …”
Susan la accompagnò alla
porta e poco prima di chiuderla la trattenne per un attimo
ancora.
“Sabrina, grazie davvero
di tutto … ti chiamo da Los Angeles, prometto che lo faccio.”
“Stai tranquilla e pensa a
divertirti … noi qui ce la caveremo benone. Dirò a Jeremy
di fare le imitazioni del tuo canguro per Marlon …” poco
prima di arrivare alla sua porta Sabrina si girò di nuovo
verso Susan che la guardava dalla sua. “Sai…sono contenta
di averci visto giusto, lui è proprio quello che ti ci vuole.
Ora, però, devo andare da Jeremy … gli devo dei soldi”.
“Come sarebbe a dire? È
successo qualcosa?”
“Abbiamo scommesso su
quanto tempo vi ci sarebbe voluto per svegliarvi dal vostro
sonno eterno … data la mia ancora scarsa fiducia nel genere
maschile … ora devo a Jeremy 20 dollari.”
Si abbracciarono per
salutarsi definitivamente.
“Grazie, di cuore davvero.”
Susan chiuse la porta e
corse a preparare le valigie.
(Continua)
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