RITROVARSI
PARTE 2
Los Angeles, 1996: una notte qualunque.
Saranno state le tre del
mattino, forse le quattro. Nella suite di un hotel di cui non
si ricordava neanche più il nome, Russell si rigirò nel
letto di un altrettanto anonimo hotel americano. Chiuse e
riaprì pigramente gli occhi a fatica. Tutto l’alcol bevuto
la sera precedente si stava ribellando dentro al suo corpo
impedendogli di tenere i suoi movimenti sotto controllo. La
testa era pesante, le braccia erano pesanti, le gambe erano
pesanti, persino sollevarsi dal materasso gli sembrava un’impresa
impossibile da compiere. Provò ad alzarsi e si ritrovò di
nuovo seduto con la testa tra le mani e la stanza che girava
attorno a lui. Si sdraiò nuovamente guardando il soffitto con
una mano sulla fronte. Era meglio aspettare che la stanza
smettesse di girare. Girò la testa da un lato: anche la donna
sdraiata accanto a lui, nuda, come lui, non era meno anonima
di quella stanza d’albergo di una notte qualunque. Si accese
una sigaretta e rimase a guardare verso l’alto con un
braccio appoggiato sulla fronte; la luce che filtrava dalle
tende formava degli strani disegni sul soffitto, seguirli con
lo sguardo … impossibile. La donna si rigirò nel letto e un
suo braccio lo cercò, forse per un abbraccio o forse, molto
più probabilmente, per continuare a fare quello che poche ore
di sonno avevano interrotto. La guardò illuminata dalla luce
della notte, era molto bella, come del resto tutte quelle che
in quegli anni gli era capitato di conoscere, o magari anche
di non conoscere, ma di portarsi a letto comunque. In un modo
o nell'altro le cose, ‘quelle’ cose, erano diventate
sempre più semplici, fottutamente semplici; non avrebbe mai
pensato di arrivarci: il successo gli aveva portato anche
questo, ma forse non era lui, erano quelli dentro ai quali lui
entrava, a "fare il miracolo", ma aveva forse
importanza? Forse no, se alla fine riusciva a sentirsi bravo,
desiderato, voluto e … sì, preso … come a chiunque altro
sarebbe piaciuto essere preso. Sorrise al nulla, al silenzio;
quanti ne erano passati? Cinque, sei di anni? E chi l'avrebbe
detto che sarebbe piaciuto tanto? Chi avrebbe puntato tanto su
di lui? Forse una persona sì, Susie… lei sì che glielo
aveva sempre detto, ma ora non c'era a festeggiare con lui
quel successo. Avrebbe voluto, ma lei non lo avrebbe di certo
perdonato per essere sparito. Che razza di amico era stato …
lei era una persona speciale e sicuramente aveva realizzato il
suo sogno, del resto se lo meritava, più di ogni altra che
lui avesse mai conosciuto, e si meritava anche di trovare
persone senz'altro migliori di lui, che potessero essere
presenti e mantenere le promesse che facevano. Lui era lì, e
lei … chissà, forse era ancora a New York. Aveva il suo
numero di telefono … prese la cornetta in mano, ma
riattaccò subito, come era accaduto numerose altre volte, e
sorrise nel sentirsi un idiota. Chi mai avrebbe accettato
delle scuse cinque anni dopo e soprattutto ... fatte a
quell'ora del mattino? Probabilmente non viveva nemmeno più a
New York … che idea gli era venuta in mente? Anche lui in
fondo aveva seguito la strada che stava cercando da tempo. Un
ingaggio dopo l'altro, a spasso per l'Australia e adesso lì,
in America. Le riprese, il lavoro dalla mattina alla sera, i
primi successi, i soldi, le ragazze. Chi non avrebbe firmato
un assegno in bianco per una vita del genere? Buttò fuori
un'altra boccata di fumo. Si diresse verso la finestra, questa
volta, per fortuna, la stanza si era fermata, guardò fuori:
che spettacolo orrendo … solo cemento, nient'altro. La festa
di quella sera non era stata poi male … o, data l'ora, forse
sarebbe stato meglio dire della sera prima; tutta gente che si
era comportata come se lo conoscesse da una vita, ma che in
realtà di lui non sapeva un bel niente. Come del resto quella
donna nel suo letto. Nemmeno lui sapeva nulla di lei, era
vero, ma per una buona mezz'ora gli aveva dato quello che lui
voleva: dimenticare dove si trovava, dimenticare chi gli
mancava., in quello, sì, era stata brava. Ora però era al
punto di prima, lui, sé stesso … e basta. Si sdraiò di
nuovo nel letto e la donna si svegliò nel sentirlo muoversi
accanto a lui.
"Non riesci a dormire,
amore?"
"Qualcosa del
genere." Le sorrise spegnendo la sigaretta nel
portacenere sul comodino.
"Possiamo rimediare
alla noia se vuoi." Sorrise con sguardo seducente
mettendosi in un solo gesto a cavalcioni sopra di lui. Russell
sorrise freddo e non oppose alcun tipo di resistenza alle
carezze sensuali sul suo torace e su tutto il suo corpo, fino
alle sue parti più intime. Non ci volle molto perché la sua
eccitazione arrivò ben oltre il livello di guardia e la donna
quasi stava urlando il suo piacere quando lui la penetrò con
desiderio rabbioso, ancora una volta, nel tentativo di cercare
in chissà chi, dentro alla buia intimità di quella donna,
una completezza che ancora non aveva trovato. Chiuse gli occhi
e pensò a un'altra, una persona lontana, che ormai non
avrebbe più rivisto, una persona che aveva creduto in lui fin
dall'inizio, ma che ormai aveva perduto, lo sapeva, e mentre
la rivide, innocente, bella e vera, allontanarsi nuovamente da
lui, all'aeroporto di Sidney, raggiunse l'apice di un piacere
che fu solo fisico, ma non mentale.
New York: una settimana dopo. h. 7:30
La sveglia suonò puntuale
come ogni mattina e Susan schizzò quasi in un solo gesto dal
letto alla doccia. Fu pronta in un attimo e uscì lasciando un
biglietto di buon giorno, come ormai era diventata abitudine
fare, sia sulla porta di Jeremy, che su quella di Sabrina. Non
avrebbe rinunciato a quell'angolo di paradiso per nulla al
mondo, adorava quel palazzo, quel calore, adorava i suoi
amici, il piccolo Marlon che ormai aveva preso l'abitudine di
chiamarla zia, ma a lei non dispiaceva affatto. Gli si era
così affezionata che quasi a volte lo considerava figlio suo.
Da quando poi Sabrina aveva iniziato a frequentare Edward, le
cose sembravano aver preso una piega positiva anche per lei.
Sembrava così felice, di nuovo innamorata quando ormai aveva
quasi giurato di dire basta a qualunque essere maschile le si
fosse presentato davanti. Ma questa volta sembrava diverso e
Susan aveva fatto più che volentieri da babysitter ogni volta
che era stato necessario. Amava proprio quel luogo così pieno
di piccoli ricordi e non le importava se le sue condizioni le
avrebbero anche permesso di vivere in una zona migliore. Lì
aveva cominciato e lì desiderava restare, lo considerava il
suo "luogo porta fortuna" e non se ne sarebbe
andata. Non si era ancora abituata a vedere la sua foto sui
giornali e soprattutto nelle librerie più famose. Sorrideva
al pensiero di come in pochi anni le cose si erano andate
evolvendo. Quasi per scherzo aveva seguito il consiglio di
Sabrina e aveva deciso di partecipare ad un concorso indetto
dalla casa editrice McDove & Hill e sponsorizzato dal New
York Times che avrebbe premiato il racconto più originale,
oltre che con una somma in denaro, con la sua pubblicazione.
Susan aveva scelto uno dei racconti che tanto avevano
entusiasmato Marlon e dopo solo un mese quella telefonata.
"Il suo racconto ci è
piaciuto, signorina Mc Arthur";
quelle parole sarebbero per sempre rimaste impresse nella sua
memoria come le più belle, le più importanti, perché quel
paese, disposto tanto ad accoglierti con calore, quanto a
lasciarti per strada con la rapidità di un battito di ciglia,
le aveva dato l'opportunità che da tempo immemorabile stava
cercando, e le aveva detto che c'era riuscita. In poco tempo
un racconto aveva seguito l'altro e nel giro di qualche anno
era diventata la scrittrice per l'infanzia più richiesta e
nota di tutta New York City. Non c'era bambino e non c'era
mamma che non conoscessero i suoi meravigliosi e fantasiosi
personaggi, i suoi animali parlanti dell'Australia. Come
avrebbe mai potuto lasciare il posto da cui tutto questo aveva
avuto inizio?
Quello era un giorno
importante, Jeremy aveva avuto un nuovo incarico al giornale
dove lavorava e bisognava festeggiare. Susan era contenta
perché il suo lavoro le permetteva sia di scrivere da casa
che dalla biblioteca dove spesso andava per ricerche. Si
sentiva piena di energie, scrivere era la sua energia, e ciò
le permetteva di essere mattiniera nonostante scrivesse fino a
tarda notte. Non aveva perso le vecchie abitudini nonostante
la fama: era ancora la ragazzina che se sentiva un'idea
improvvisa balenarle nella testa, doveva scriverla, a
qualunque ora e in qualunque luogo le si presentasse. Le
giornate le volavano sotto il naso, era sempre così: dalla
mattina alla sera c'era l'intervallo di un soffio.
"Ciao zia Susan!"
Marlon era sgusciato fuori dalla porta di casa nelle braccia
di Susan nel sentirla rientrare.
"Ciao birbante! Dov'è
la mamma?"
"Di là che si
prepara."
"E la nonna è
già arrivata?"
"Sì, è
di là in cucina."
Marlon, che non la voleva
lasciare, la costrinse ad entrare a casa di Sabrina. Salutati
rapidamente tutti, Susan si precipitò poi nel suo
appartamento per prepararsi ad uscire. Tutti erano pronti,
Jeremy, Sabrina con Edward e Susan. Avevano deciso di darsi
alla pazza gioia in un locale vicino alla 57esima. Era uno
spettacolo vedere Sabrina insieme a Edward teneramente
abbracciati per le strade di New York e Sabrina aveva persino
abbandonato il look aggressivo con il quale si era fatta
conoscere, per lasciare spazio a quella che Susan aveva
sospettato da sempre essere la vera Sabrina: una giovane donna
che in fondo aveva ancora tanto desiderio di amare quanto di
essere amata e di credere che tutto questo potesse ancora
esistere. Susan li osservava contenta, ma provava allo stesso
tempo un senso di malinconia, perché avrebbe desiderato avere
lo stesso spirito, lo stesso desiderio di amare come lei. Ma
sembrava che tra tutte le cose belle che le erano accadute in
quegli anni, quella fosse una porta che ancora non le era
stata aperta. Frequentava persone, certo, alcune poi, non
avevano perso occasione di farle sapere quanto avrebbero
desiderato colmare il vuoto che sembrava invaderle gli occhi e
lo spirito. Il suo lavoro la rendeva felice, ma le sarebbe
piaciuto aver qualcuno con cui condividere quella gioia. A
volte si sentiva sbagliata, perché non era riuscita ad
innamorarsi di alcune persone che aveva avuto modo di
incontrare, persone anche simpatiche ma non quelle giuste,
alcune si erano persino innamorate di lei, nonostante il suo
essere altrove, chissà dove e a cercare chissà cosa o
chissà chi. Ma poteva forse biasimare sé stessa per questo?
C'erano momenti in cui sentiva quasi un vuoto incolmabile
dentro di sé, come una domanda alla quale nessuno aveva mai
risposto o che lei stessa aveva deciso di lasciare in sospeso.
"Qualcosa non va?"
"No, tutt'altro."
Sorrise tornando alla realtà.
Jeremy, che aveva imparato a
conoscerla bene e che ultimamente la vedeva spesso perdersi in
pensieri probabilmente lontanissimi, le si era avvicinata
avvolgendola con un braccio intorno alle spalle.
"Entriamo?"
"Certo."
La serata trascorse
piacevole, tra risate, battute, bevute e brindisi. Si stava
facendo tardi, il locale era sempre più affollato di gente
che amava molto fare le ore piccole e ascoltare buona musica.
Sabrina ed Edward praticamente non si erano persi un ballo e
anche Susan e Jeremy si erano scatenati, la musica era così
alta e coinvolgente che quasi nessuno si era accorto del
trambusto che ad un tratto si era venuto a creare. Rumori di
bicchieri rotti nella sala adiacente a quella della musica,
passarono inizialmente inosservati. Dopo una prima serie di
pezzi rock si passò ai lenti e fu allora che i rumori anonimi
di poco prima attirarono maggiormente l'attenzione di tutti.
Un tizio dall'aria ridanciana e un po' ubriaca sbucò
dall'altra sala.
"Hey, di là se le
danno!"
Più d'uno fu subito
attratto dalla "notizia", tra questi Edward che
trascinò con sé anche Sabrina. Susan e Jeremy si guardarono
e quasi automaticamente li seguirono. C'era una gran
confusione, non si vedeva praticamente nulla, ma i rumori e le
parole volavano alte e sonore. Susan iniziò a sentire un
certo disagio nel vedere qualcosa che veniva osservato come un
fenomeno da circo.
Sembravano due uomini, se si
potevano definire tali, coinvolti in non si capiva che tipo di
discussione. Il fumo impediva la visuale e Susan aveva solo
voglia di andarsene. Prese per un braccio Jeremy facendogli
segno con la testa di andare mentre lanciava uno sguardo verso
i due boriosi, uno sopra l'altro, intenti a picchiarsi chissà
per che ragione. Dovevano essere certamente ubriachi. Jeremy
assecondò la richiesta di Susan che nell'andare via fu colta
da una strana sensazione, come di deja-vù, e si fermò. Si
voltò un attimo ancora e si fece strada tra la folla che
spinta dall'alcol era eccitata da quello spettacolo da saloon
di terza classe. Jeremy seguì il suo sguardo, con un gesto
della mano Susan gli aveva fatto segno di aspettare, ma
vedendola avvicinarsi sempre di più al "ring" si
era preoccupato e l'aveva seguita. Susan non credeva ai suoi
occhi … no, non poteva essere. C'era un uomo ubriaco
fradicio, che non tanto per prestanza fisica, quanto per
corporatura, era nettamente superiore all'altro, sotto di lui,
che si trovava in quella posizione per aver appena risposto ad
un pugno in pieno viso. Lo guardò bene … lo guardò meglio
e si girò immediatamente per cercare Jeremy.
"Jeremy, vieni a
separarli! "
"Cosa?!"
“È Russell!”
Susan andò verso Jeremy e
lo trascinò per un braccio. Nel frattempo anche il gestore
del locale aveva preso i suoi provvedimenti e due buttafuori
si stavano avvicinando per separare i due rissosi. C'era una
confusione invivibile e Susan si sentiva nervosa oltre ogni
limite, non capiva più nulla, si stava solo affidando al suo
istinto, al perché Russell si trovasse lì non aveva pensato
e nemmeno voleva pensare, voleva solo che quell'assurdità
finisse. Vide i gorilla avvicinarsi e separare i due con modi
tutt'altro che gentili. Avrebbe voluto andare subito da lui,
ma Jeremy la trattenne.
"Lascia stare, ci
stanno pensando già loro!"
Susan si voltò lanciandogli
uno sguardo arrabbiato che Jeremy non aveva mai visto, uno
sguardo che non ammetteva né repliche né lasciava spazio ad
alcuna spiegazione. Il suo sguardo passò rapidamente dagli
occhi di Jeremy alla sua mano intenta a trattenerla per un
braccio. La lasciò subito e lei si precipitò verso i
buttafuori che stavano per far intendere ad uno dei due
coinvolti nella rissa, ovvero a Russell, con le 'loro'
maniere, cosa ne pensavano del fatto che stesse opponendo
resistenza. Spinta da chissà che istinto Susan si mise in
mezzo tra l'addetto alla sicurezza e Russell prendendo
quest'ultimo per un braccio: lui incredulo e intontito da
pugni e alcol, lei senza ancora aver pensato alle parole da
dirgli. Lo fece sedere sulla prima sedia che trovò, uno
sgabello alto che più che seduto lo lasciava quasi in piedi,
ma lei lo teneva per le spalle, o almeno ci provava dato che
tendeva a ricadere in avanti appesantito dall'ubriacatura e
affaticato dalle botte. Ma che stava combinando … lui non
l'avrebbe probabilmente nemmeno riconosciuta.
"Russell, sono io,…guardami,
Russ, sono Susan."
Il suo sguardo, perso e
alcolizzato, cercava di mettere a fuoco l'immagine di una
ragazza davanti a lui che le ricordava tanto una persona che
lui conosceva e che diceva di chiamarsi con lo stesso nome.
L'istinto di scostarla con un braccio per tornare a quella che
era la sua principale preoccupazione svanì quasi all'istante
quando la guardò bene e la vide sorridere, e sentì la sua
mano sulla fronte intenta ad accarezzargli il viso e i capelli
per cercare di calmarlo. Russell portava una leggera barba che
Susan non gli aveva mai visto, ma in quel momento era più
preoccupata dell'occhio nero e del suo labbro rotto e
sanguinante. Ora la riconosceva, ma forse stava solo
desiderando di trovarsela davanti. Fece per abbracciarla e
chiederle che cosa ci facesse lì, ma quel gesto si trasformò
in qualcosa di maldestro e incontrollato. Russell crollò,
perdendo in parte i sensi, su Susan che, se non fosse stato
per l'intervento di Jeremy ed Edward, sarebbe caduta sotto il
suo peso.
"Ragazzi non voglio
rogne nel mio locale, ok?…Se lo conoscete portatevel … un
momento, ma non è quel ... ?"
"No, non è!…Permesso,
scusate."
Una voce dietro il
proprietario del locale, intervenuto chiaramente troppo tardi,
si fece strada e si chinò su Russell per terra con la schiena
appoggiata al bancone. Susan lo guardò e riconobbe anche lui.
"Susan! Cazzo …
quando si dice la provvidenza … ma tu vivi ancora a New
York?"
"Io non mi sono mai
mossa da New York! Voi piuttosto, che ci fate qui … che ci
fa ‘lui’ qui? … Guarda come l'ha ridotto!"
"Lo vedo, cazzo ...
anche se nemmeno quell'altro era messo meglio …" disse
con una punta di quasi sadica soddisfazione cameratesca.
"Non mi sembra il
momento di fare battute!…" Susan era preoccupata e
visibilmente irritata.
"Hey amico, arrivi
tardi … lo spettacolo è finito." Russell con la voce
impastata dall’alcol si rivolse con sguardo imbambolato a
Mark.
"Russ, stai tranquillo
che adesso ce ne andiamo."
"Dove andate?"
"Torniamo in albergo,
domani ripartiamo per Los Angeles …"
"Nemmeno per sogno, lui
viene a casa con me!"
"Susan, … Forse è il
caso che ne discutiamo …"
"Non te lo
consiglio." Jeremy intervenne con un sorriso eloquente
nella discussione dei due.
"E ti assicuro che ha
ragione!" Ribatté Susan guardandolo dritto negli occhi.
Mark rimase per un attimo in
silenzio a riflettere rapidamente.
"Siete venuti in
macchina?"
"Sì, ovvio."
"In effetti forse
l'idea non è male … all'albergo daremmo un po' nell'occhio
… e non è che abbiamo bisogno di questo genere di
pubblicità ..."
"Jeremy, aiutami a
tirarlo su."
Sabrina la osservava, non
l'aveva mai vista così, mai in sei anni che la conosceva;
determinata lo era, ma non avrebbe mai pensato di vederla
sfidare lo sguardo né di un buttafuori, né di un manager, o
presunto tale, che aveva l'aria di sapere il fatto suo. Ma
forse c'erano cose che rendevano le persone in grado di
reagire come mai altri si sarebbero aspettati, come ad esempio
il ritrovare dopo anni, una persona che si pensava di aver
perduto per sempre e alla quale non si era mai smesso di
pensare.
Susan fece strada a Mark e
Jeremy nell’appartamento e con il loro aiuto riuscì a far
sdraiare Russell sul suo letto.
“Ecco, fatto” disse Mark
“dormirà fino a domani mattina.”
“Sue, sei sicura di non
aver bisogno di una mano?”
“No, davvero, ci penso io.”
Rispose già seduta accanto a Russell e voltatasi solo per un
attimo.
Sabrina le si avvicinò
mettendole una rassicurante mano sulla spalla.
“Allora … se ti serve
qualcosa sai dove bussare … buonanotte…”
“Ti ringrazio … e grazie
anche a voi ragazzi … Jeremy scusa se la serata …”
Con un gesto della mano e un
sorriso la fermò
“Non ti preoccupare … ci
serviva qualcosa per movimentarla.”
“Già.”
“Hey Sue, domani ti …
faccio arrivare la sua valigia?”
Susan sorrise dopo una breve
riflessione, forse sulla domanda o sull’assurdità di quella
situazione venutasi a creare da un momento all’altro.
“Sì … grazie, Mark.”
“Dovere … sei sicura che
…”
“È tutto a posto, sul
serio … adesso è qui con me.”
Quella frase uscitale così
spontaneamente dalla bocca l’accompagnò di nuovo, poco più
tardi, quando tutti se ne furono andati e lei rimase da sola
in quella stanza con Russell. Aveva preso l’occorrente per
disinfettargli il labbro e del ghiaccio per alleviare il
dolore dell’occhio. Russell dormiva o forse era soltanto
molto indebolito e non riusciva a razionalizzare quello che
gli era capitato, perché si fosse cacciato in quella
situazione, ma poco importava: Susan si stava prendendo cura
di lui. Cercava di tamponare delicatamente, col cotone, il
labbro che doveva dargli molto fastidio considerate le smorfie
di dolore che, nonostante la debolezza, si leggevano accennate
chiaramente sul suo viso. Susan lo osservava: era così
cambiato, non aveva mai portato la barba quando lo frequentava
tanti anni prima, ma gli stava bene, anche i capelli erano
diversi, leggermente più lunghi di come se li ricordava.
Aveva un aspetto più adulto, ma su quei tratti maturi
ritrovava ancora quelli del ragazzo che conosceva. Si
domandava che cosa lo avesse spinto a comportarsi così, …
lui, in un locale qualunque di New York, invischiato in una
rissa con chissà chi. Poteva essere stata una reazione
eccessiva causata dall’alcol, ma lei lo conosceva bene;
Russell amava sì bere, ma l’alcol lo sapeva reggere …
però poteva anche darsi che si sbagliasse, forse non lo
conosceva più. Lo osservava dormire e l’unica cosa alla
quale riusciva a pensare era all’incredibile gioia che
improvvisamente sentì rinascere nel suo cuore. In un modo
inaspettato, che non avrebbe mai creduto possibile, lei e
Russell, ancora una volta si erano ritrovati, non aveva
bisogno di chiedersi il perché, forse era proprio di una cosa
del genere di cui aveva bisogno per sentirsi davvero viva. Del
resto, era sempre stato così: rincontrarlo in una città
così grande che non era mai appartenuta a nessuno dei due,
era una cosa tanto assurda quanto speciale nella sua
assurdità. Forse non poteva che essere così, forse era
segnato da qualche parte che, in un modo o nell’altro, prima
o poi, i loro cammini si sarebbero sempre ancora una volta
incrociati. Si addormentò serena quella notte, con quei
pensieri che la accompagnarono, fino al sonno più profondo,
sdraiata sul divano del salotto di casa sua.
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