RITROVARSI
PARTE TRE
Il giorno dopo e i giorni
successivi Susan decise di rimanere a casa. Era molto
preoccupata: Russell dormiva tantissimo, era stanco, parlava
poco. Quasi non avevano avuto modo di scambiare due
chiacchiere e a Susan dispiaceva molto perché percepiva uno
stato di totale insofferenza e tristezza in lui e nei suoi
occhi. Ma era paziente, assecondava i suoi silenzi, non
chiedeva nulla di più di quello che non riteneva necessario.
Sapeva bene come a volte fosse inavvicinabile e come fosse
inutile cercare di insistere e voler entrare nei suoi
pensieri. Quello era il modo migliore per farlo chiudere in
sé stesso ancora di più e senz’altro per farlo irritare.
Non voleva questo, no. Susan voleva che stesse bene, e avrebbe
aspettato tutto il tempo necessario pur di farlo tornare da
lei. Tuttavia, la preoccupava molto vederlo sdraiato nel letto
e guardare fuori dalla finestra senza dire nulla per ore
intere; incominciò a sospettare di essere lei la causa del
suo umore.
Russell non avrebbe voluto
farsi vedere così da Susan. Mark aveva avuto proprio una
bella idea quando gli aveva proposto una “gita” a New York
per fargli cambiare aria. Come se qualcosa fosse stato
paragonabile a casa sua, poi: nulla lo era. Susan era
cambiata, ma allo stesso tempo era quella di sempre, non aveva
creduto ai suoi occhi quando l’aveva vista davanti a sé in
quel locale. Era della stessa bellezza che si ricordava, con
quegli occhi preoccupati che lo osservavano cercando di
tranquillizzarlo e le sue mani che usavano tutta la
delicatezza possibile per medicarlo. Di anni ne erano passati,
cinque o sei, ma lei sembrava ancora possedere quel candore e
quella purezza che l’avevano fatto affezionare a lei quasi
subito. Molto spesso aveva ripensato alle ore trascorse
insieme a Billy anni prima, mentre lei raccontava i suoi
racconti. Con lei il tempo volava, era come se non riuscisse a
fare a meno dell’energia vitale che riusciva a trasmetterle,
ma era uno spirito libero e indipendente e per quanto fosse
esploso di rabbia quando lei gli aveva detto che sarebbe
partita per l’America, sentiva che non avrebbe potuto fare
nulla per fermarla.
In quell’appartamento di
New York era come se si respirasse un’aria differente da
quella che fino a quel momento, aveva respirato in quel paese
che l’aveva fatto sentire lontano da casa. Lì tutto era
diverso e lo era grazie a lei. La osservava mentre con
pazienza infinita si preoccupava che tutto fosse perfetto, che
lui stesse bene come se quasi fosse lei ad essere un ospite in
casa propria. Ma non le aveva ancora detto nulla, non una
parola per dirle grazie.
Susan entrò nella sua
stanza in punta di piedi, non voleva far rumore e svegliarlo.
“Stai tranquilla, non sto
dormendo.”
“Hey … come stai?”
“Vieni qui.”
La prese per mano e la fece
sedere vicino a lui. Susan sorrise. Russell si sollevò
avvicinandosi maggiormente a lei.
“… Grazie, per tutto
questo … grazie davvero.”
“Cosa vuoi che sia, mi
capita spesso di soccorrere i miei amici coinvolti nelle risse
dei locali notturni newyorchesi.” Il suo tentativo di
alleviare la tensione non sortì l’effetto sperato, pensò
mentre vide il viso di Russell tornare serio e i suoi occhi
tristi.
“Scusami, non volevo, mi
dispiace … non ne dico una giusta.” Si alzò per andarsene
odiando se stessa per aver buttato via anche l’unica
occasione concessale, dopo giorni, di poter stabilire un
contatto con lui. Russell la trattenne per un braccio.
“Non andare via, non ti
preoccupare … dai, siediti qui.”
“Russ, mi dispiace…”
“E smettila di dire che ti
dispiace! … Cazzo … sei l’unica persona al mondo che
conosco che si fa in quattro per gli altri e non contenta
chiede pure scusa!” Scoppiò in una risata allegra, quella
che Susan stava aspettando da giorni.
“Che cosa è successo …
vuoi …” Susan lo guardò con occhi preoccupati nel
rivolgergli quella domanda, lui la interruppe.
“Ho risposto ad una
provocazione …” fece una pausa guardando altrove quasi
come se la risposta fosse scritta sulla parete. “…non
avrei dovuto … ma l’ho fatto … mi sono incazzato e l’alcol
ha fatto il resto … e questi sono i risultati” rise
sarcastico facendo riferimenti con un gesto ai segni della
rissa ancora sul suo viso. “Tu penserai che …”
“Io non penso niente, non
ti voglio giudicare …” disse sinceramente per
rassicurarlo.
“Non l’hai mai fatto …
lo so, non sto dicendo che mi vuoi giudicare … è solo che
è successo … e non è una cosa che posso cambiare.” Era
freddo, cinicamente realista e un po’ rassegnato, come se
stesse parlando di una parte di sé di cui non aveva il
controllo, della quale non poteva rispondere. Susan lo guardò
e gli accarezzò lievemente il viso.
“Come sta il tuo occhio?”
Russell le sorrise
dolcemente guardandola teneramente socchiudendo leggermente
gli occhi.
“Cosa dice la mia
infermiera?”
“Uhm … che se qualcuno
prova di nuovo a metterti le mani addosso gli fracasso il
cranio!”
Russell scoppiò in una
sonora risata.
“In effetti, se non mi
ricordo male, te la cavi bene anche tu nel menare le mani!”
“Lo sai che sono contro la
violenza … ma quell’essere aveva un’aria talmente
antipatica …”
“Hey … vieni qui …
chissenefrega, lasciamo quella testa di cazzo lì dov’è;
lui di sicuro non è stato soccorso da un’infermiera carina
come la mia.”
Passarono il resto del
pomeriggio a parlare di tutto il tempo in cui non si erano
visti. Era incredibile, alla fine era sempre la stessa storia
… bastavano pochi istanti, poche parole, ed era come se anni
di distanza venissero completamente cancellati. Ognuno
raccontò all’altro che cosa era accaduto: Susan parlò a
Russell dei suoi libri e lui le parlò dei suoi film.
“Mi dispiace di non
esserci stato … ti avevo promesso che potevi contare su di
me, ma non è stato così.”
“Non importa, sei qui
adesso, il resto ha poca importanza … e poi, in un certo
senso tu c’eri.”
“Farò in modo di
sdebitarmi.”
“Non dire cavolate … gli
amici servono a questo, altrimenti che amici sarebbero?”
“Ma non preoccuparti, non
resterò qui ancora molto, io e Mark dovremo tornare a Los
Angeles quanto prima …”
“Sì, l’ha detto anche a
me … circa una settimana fa … prima di passare da me e
lasciarmi la tua valigia.”
“Cosa?!”
“Non c’è bisogno che tu
parta subito, Russ, prenditi una vacanza, anche Mark pensa che
sia una buona idea.”
“Già …” la guardò
con aria sorniona “… e so anche chi l’ha convinto.”
“Dimmi che non ho ragione!”
Russell rise scuotendo la
testa rassegnato.
“E poi quello che dovevi
fare là lo puoi fare anche qua, con la differenza che qui hai
una persona simpatica e allegra che ti fa due battute … e
nel caso ti annoiassi, nell’appartamento in fianco al mio c’è
giusto giusto un bambino che cerca un compagno di giochi …
è adorabile, si chiama Marlon … e ti somiglia molto … non
vuole mai fare il bagnetto.” Susan non riuscì a dire una
parola di più, quasi soffocata dalla stretta di Russell che
la colse di sorpresa in un abbraccio totale, tenendola stretta
al suo torace e con una vulnerabilità improvvisa nelle sue
parole.
“Ti adoro, lo sai …sul
serio.”
Susan sentì tutta l’energia
del suo affetto in quell’abbraccio e lo guardò nel verde
azzurro dei suoi occhi così profondamente veri, seri, in
quell’istante lucidi e finalmente grati per avere avuto di
nuovo l’opportunità di potersi esprimere, senza una
maschera davanti, con qualcuno disposto ad accettarlo per
quello che realmente era: con o senza successo, con o senza la
voglia di entrare nei panni di qualcun altro.
Ritrovata l’armonia
sperata, i giorni successivi furono decisamente migliori.
Susan e Russell passavano molto tempo insieme, chiacchierando,
scherzando e talvolta anche discutendo animatamente. Russell
ebbe modo di conoscere meglio anche i migliori amici di Susan
e, come lei stessa aveva sospettato, si affezionò in men che
non si dica al piccolo Marlon, che sul serio trovò in lui un
allegro ‘compagno di giochi’ e un simpatico alleato contro
il fronte femminile di mamma e zia “adottiva” contro il
quale si stava “battendo” da ben cinque lunghissimi anni.
Una sera delle tante Russell
era seduto per terra, sul tappeto del salotto di Susan; di
fronte a lui, dall’altra parte del tavolino, sempre seduto
per terra, c’era Marlon. Russell lo guardava con aria
divertita e allo stesso tempo con sguardo adulto. Prese in
mano un paio di tappi di birra e li gettò gentilmente verso
Marlon.
“Rilancio di uno”
Con buffa aria vissuta
Marlon ribatté.
“Stai bluffando!”
“No, non sto bluffando!”
Susan guardò l’orologio e
si diresse verso di loro:
“Coraggio, sono quasi le
otto e mezzo, Marlon, è l’ora del bagnetto.”
“No! Dobbiamo finire la
partita!”
Susan, avendo capito l’antifona,
guardò Russell negli occhi sperando di trovare in lui un
appoggio.
“Russ … diglielo tu.”
Russell la guardò con occhi
sorridenti e facendo cenno con la testa verso Marlon rispose:
“Non l’hai sentito?
Dobbiamo finire la partita…” strizzò l’occhio al
ragazzino nascondendo il resto del viso dietro alle carte che
aveva in mano.
“Russ!!!” Susan lo
guardò allibita.
“Ma perché deve farsi un
altro bagnetto? L’ha già fatto ieri … lascialo qui un
altro po’ che finiamo la partita.”
“Russ, non incominciare
anche tu a dargli corda … e lo sai che Sabrina non vuole che
impari a giocare a Poker!”
“Che sarà mai … dovrà
pure diventare un uomo … o volete che cresca come una
donnicciola?”
Certe sere Russell e Susan
rimanevano alzati fino a tardi e talvolta facevano entrambi da
baby sitter a Marlon che, oltre ad aver incominciato a
chiamare anche Russell con l’appellativo di “zio”,
preferiva di gran lunga le storie di Susan lette e
interpretate da lui che, con eccellente maestria teatrale,
riusciva a cambiare le voci a seconda dei personaggi arrivando
a divertire non solo Marlon, ma tutti gli adulti presenti ogni
qual volta il bambino chiedeva un bis anche di fronte a sua
madre. Susan adorava quei momenti perché vedeva Russell
davvero felice, sollevato e rilassato. Era terribilmente
affascinata dal suo talento, dirompente, carismatico e
talmente vero, da farle provare tanto rimorso per non averlo
avuto vicino per tutto quel tempo. Era come se fossero una
famiglia, e ogni giorno sentiva crescere sempre di più un
profondo, inattaccabile affetto nei suoi confronti, un affetto
che la faceva sentire viva, ma che si stava trasformando in un’attrazione
per lui che le faceva paura. Ogni tanto lo osservava, sicura
di non essere vista, mentre leggeva seduto sul divano o
preparava la colazione anche per lei. Era il suo migliore
amico, come Jeremy per Sabrina, era normale che gli volesse
così bene, quella era la cosa più importante. Non avrebbe
rischiato di rovinare la loro amicizia commettendo l’errore
di confonderla con qualcos’altro.
“Hey Yankee, senti un po’…”
Seduto sul divano Russell era intento a leggere interessato
uno dei libri di fiabe di Susan e ne approfittò vedendola
passare per la stanza.
“Dimmi …”
“Ma questo … ‘Canguro
di nome Rusty’ … come ti è venuto in mente?”
Il suo sorriso piratesco
tradì la domanda solo apparentemente casuale.
“Chissà … un amichetto
che avevo che … a giudicare dal corpo che si è fatto ora
potrebbe anche darsi allo spogliarello nei locali notturni.”
Rispose Susan con un sorriso altrettanto ironico.
“Sì, ma fossi in te gli
sconsiglierei i locali di New York … la gente trova più
eccitanti le risse tra ubriaconi.!”
“Glielo dirò … hey
senti, ti è arrivato questo … dalla California. Deve essere
importante, hanno fatto assicurare il pacco.”
“Ah sì, lo stavo
aspettando.”
Russell scartò quello aveva
tutta l’aria di essere un libro … rilegato a caldo.
“Russ … non dirmi che è
…”
Sorrise dispettoso
togliendole dalla vista ciò che aveva in mano.
“Ok, non te lo dico.”
“Russ, non tenermi sulle
spine … è quello che penso?”
“Ebbene sì …” Si
voltò verso di lei tenendo in mano il contenuto della busta.
“… Il copione del mio prossimo film.”
“Oddio, Russ, voglio
vederlo, voglio vederlo!”
“Piano … da maneggiare
con cura…” glielo porse. “È tratto da un romanzo….”
“… di James Ellroy.”
Susan finì la frase dopo aver letto il titolo e lo guardò
con gli occhi che le brillavano letteralmente di entusiasmo.
“L.A. Confidential”
dissero all’unisono
“Esatto … l’hai letto
… devo dedurre.”
“Altroché, è
terribilmente cruento, ma avvincente, pieno di colpi di scena
… com’è piccolo il mondo, non ci credo...”
Susan teneva il copione fra
le mani sfogliandolo qua e là emozionata come una bambina
davanti ad un regalo.
“Sarà un successo me lo
sento … ma a te che parte danno … quella di Bud White, per
caso?” Disse facendo seguire alla sua battuta una risata
sonora e divertita. Forse la sua battuta non fu apprezzata,
Russell la guardò serio … molto serio.
“Mi prendi per il culo?”
Susan lo guardò con occhi
arzilli.
“… ci ho azzeccato, vero?”
“Forse hai sbagliato mestiere … dovevi
fare l’indovina.”
“Esagerato, ho letto il libro, ricordi? Ho
pensato un po’ ai personaggi che c’erano … ho pensato a
te … insomma, Bud White è l’unico personaggio che ti si
addice … a quanto mi ricordo della storia.”
“Perché mena botte da orbi?”
“No … perché ha un fisico da
spogliarellista, naturalmente!”
“Ah già, dimenticavo.”
“Comunque sì … se la vuoi proprio
sapere tutta, dovrò interpretare la parte di Bud.”
“Ti piacerà, è un bel personaggio. Un
duro dal cuore di burro.”
“ … Come me?” Aveva uno sguardo dolce
e vulnerabile, come quando l’aveva abbracciata nel giorno in
cui erano riusciti finalmente a chiarirsi. Come e più di
chiunque altro Russell aveva bisogno di conferme, di certezze,
anche lui sentiva il bisogno di cose concrete e negli ultimi
anni passati da un set all’altro, senza sosta e senza
respiro, all’accanito inseguimento di un sogno che voleva
con tutte le forze che fosse suo, aveva dovuto trascurare
quell’aspetto, quella parte importante di sé stesso che
forse, prima che Susan decidesse nuovamente di partire per l’America,
aveva data per scontata. Da quando se ne era andata, però,
era come se dentro di lui fosse rimasto un vuoto che aspettava
ancora di essere colmato e che forse iniziò ad esserlo in
quel locale di New York del quale in quel momento riusciva
solo a ricordare l’istante in cui gli occhi di Susan si
erano ripresentati davanti ai suoi. Si era chiesto spesso cosa
sarebbe successo tra loro se lei non fosse mai partita, se
avesse deciso, dopo quel bacio, di non prendere quell’aereo.
Forse ogni cosa sarebbe andata diversamente, forse …
chissà. Forse se lei avesse voluto che nascesse qualcosa di
più tra loro dell’amicizia che li univa da anni, non
sarebbe partita affatto, ma aveva deciso altrimenti e forse
quella era la risposta. Lei aveva scelto, aveva scelto di
partire, di non restare con lui. Russell non voleva, che quel
suo dubbio, quella domanda che probabilmente non avrebbe mai
trovato risposta, rovinasse quello che di meraviglioso in
realtà c’era, senza alcuna ombra di dubbio: l’amicizia
che li aveva fatti ritrovare.
“Mi prometti che mi reciterai qualche
pezzo in anteprima?” Susan sembrava davvero essere tornata
un’adolescente ai primi forti entusiasmi.
“Te lo prometto … te li reciterò qui,
nel tuo salotto.” Disse sorridendole e allontanando i
pensieri di poco prima.
Susan intanto continuava a sfogliare il
copione alla rinfusa sotto lo sguardo attento di Russell che
non si perdeva una sola sfumatura delle sue reazioni. Sorrise
in attesa delle parole che, sapeva, sarebbero seguite alla sua
risata improvvisa.
“E poi non dirmi che non ho ragione …
senti un po’ questa … Lynn dice a Bud: “lei dice ‘cazzo’
tante volte.” … ora, dimmi se questa battuta non è
assolutamente verosimile? Ammettilo quale altra parte
avrebbero mai potuto darti?” Lo guardò negli occhi
sorridendogli con affetto e piena di ammirazione.
“Cazzo … hai proprio ragione.”.
Russell si sentiva ogni
giorno meglio ed era riuscito a trovare nuovamente la voglia e
la concentrazione necessarie per fare quello che amava di
più. Sentiva quella come casa sua grazie all’armonia che
Susan riusciva sempre a creare. Era attenta e presente anche
nella capacità di sapere rispettare i suoi spazi e ogni tanto
sorrideva, mentre leggeva il suo copione, nell’osservarla
muoversi per casa, silenziosa e discreta come una gatta. C’erano
momenti in cui, sollevando lo sguardo, lui si fermava a
guardarla; erano istanti interminabili in cui lui la osservava
senza mai stancarsi, tornando subito al suo copione non appena
sentiva che stava per accorgersene.
Susan era molto contenta
dell’equilibrio che a poco a poco si era venuto a creare e
del fatto che Russell stesse decisamente meglio. Era come
essere tornati a Sidney, tanti anni prima, quando
condividevano l’appartamento e andavano così d’accordo.
Non volle più fare nessun riferimento all’episodio del
locale convinta che lui stesso non ne volesse più parlare.
Era colpita ogni giorno di più dalla straordinaria
determinazione con cui Russell prendeva il suo lavoro. Nelle
ore in cui si dedicava allo studio del suo copione era come se
si eclissasse dal resto del mondo; rimaneva lì, seduto sul
divano anche per ore; le volte in cui si alzava lo faceva per
passeggiare per il salotto, perso nel suo mondo, probabilmente
concentrato sulle vesti del suo personaggio, su come doveva
camminare, pensare, agire. In fondo era un po’ come vivere
con due persone diverse a seconda delle ore del giorno.
***
Susan stava per andare a
farsi una doccia quando dal bagno sentì il telefono
squillare; essendo Russell in salotto e sapendola intenta a
fare altro, aspettò che fosse lui a rispondere. Il telefono
però continuava a squillare imperterrito. Probabilmente si
sbagliava e Russell non era affatto in salotto e vi si
precipitò rimanendo alquanto stupita del contrario …
Russell ‘era’ in salotto, seduto accanto al telefono
insistente, intento a leggere il suo copione, concentrato su
quello e nient’altro. Ancora presa da stupore Susan sollevò
la cornetta, ma avevano già riattaccato.
“Ah, sei qui … Devi
telefonare? Se vuoi mi sposto in un’altra stanza così parli
in santa pace.”
Susan lo guardò non
convinta se la stesse prendendo in giro o se stesse facendo
sul serio. Possibile che non si fosse accorto di nulla?
“No, … veramente…”
Russell le sorrideva, il suo sguardo era sincero: era talmente
assorbito e concentrato su quello che stava facendo, che
davvero non si era accorto di nulla e il telefono non l’aveva
sentito affatto. Quell’uomo, che conosceva da anni, era una
continua sorpresa per lei, e l’attrazione per il suo
carisma, in continua crescita; se ne rendeva conto ogni volta
che passava per il salotto e lo vedeva intento a leggere
avvolto nel suo silenzio.
“Ad ogni modo avevo finito
… lasciamo Bud White lì dov’è, ho bisogno di pensare ad
altro.”
“Va bene, io vado a farmi
una doccia e poi preparo la cena.”
“Ti serve una mano?”
“Con la cena?”
“Vedi tu, se vuoi ti do
una mano anche con la doccia, se da sola non ce la dovessi
fare...” La guardò sorridendole nel suo solito modo, quello
al quale né Susan né probabilmente nessun’altra donna
sulla terra avrebbe saputo resistere.
“Faccio in un attimo.”
“Fai con comodo io mi
sento un po’ di musica.”
A doccia finita Susan, come
da programma, si mise ai fornelli. Russell la osservava dal
divano, dove si era comodamente accomodato allungando le gambe
sul tavolino davanti a lui. La radio stava trasmettendo dei
classici; alle prime note di “I believe in miracles (You
sexy thing)” Russell sorrise sentendosi dello stesso giocoso
umore di diversi anni prima, quando lei e Susan erano ancora
in Australia senza nessuna preoccupazione al mondo. Si alzò e
andò verso la radio alzandone il volume, Susan si voltò
guardandolo con aria interrogativa. Sopracciglio alzato e
occhi accesi in un sorriso sornione: doveva sicuramente averne
in mente una delle sue e trattenere una risata fu impresa
ardua mentre lo vedeva avanzare verso di lei, impugnando un
immaginario microfono e seguendo le parole della canzone
perfettamente intonato. In un attimo le avvolse la schiena con
una braccio incominciando ad ancheggiare costringendola a fare
lo stesso mentre, tra le risate di Susan e un passo tra il
sensuale e il goffo di Russell, quel ballo si stava
trasformando in una scena a dir poco esilarante.
“Russ … ti prego, guarda
che mi fai cadere!”
Non c’era verso di farlo
smettere, lui non solo cantava a squarciagola, ma aveva anche
cominciato a farla girare per la stanza senza che lei potesse
far nulla per impedirglielo.
“Dai, che sveglieremo
Marlon!”
Per tutta risposta non fece
che continuare a cantare semplicemente sussurrando le parole
della canzone e a Susan non restò che assecondarlo. Era bene
approfittare dei momenti in cui fosse così di buon umore che
le facevano dimenticare quelli in cui sembrava inavvicinabile,
da chiunque, persino da lei. La canzone finì e Susan si
avvicinò alla radio per abbassarne il volume quando le prime
note di “Wonderful Tonight” invasero la stanza e loro due.
A parte circostanze come quella di pochi attimi prima, non le
era mai capitato di ballare con Russell; fece per spegnere la
radio, colta da un senso di piacevole disagio che però pensò
fosse meglio non assecondare, ma Russell la trattenne
dolcemente avvolgendola anche con l’altro braccio.
“No dai, facciamoci anche
questo.”
Si lasciò stringere nel suo
abbraccio sentendo le sue dita scorrerle lungo tutta la
schiena trasmettendole brividi fin sotto la pelle. Nonostante
una giornata intera fosse passata non ve n’era traccia sul
suo corpo; sapeva di buono: un misto di soffice odore di
bucato mescolato alla sua pelle profumata. Russell la teneva
stretta pensando a come tutto gli apparisse più semplice
quando stava con lei. C’era un’intesa con Susan che non
era mai riuscito a stabilire con nessuna e avrebbe voluto dire
o fare qualcosa per farglielo capire. Si sentiva un
adolescente idiota, in fondo era Susan! La conosceva bene, si
erano sempre detti tutto, che cosa poteva esserci di difficile
nell’aprirsi ancora una volta con lei? Ma in qualche modo si
sentiva terrorizzato.
“Russ … ti vibra la
tasca della camicia.”
“Cazzo! Il telefono …
Scusa … me ne libero subito.”
Susan fu lusingata e stupita
allo stesso tempo da tanta premura, ma rispose solo con un
sorriso e un cenno per fargli capire che sarebbe andata in
camera per lasciarlo parlare in pace.
Seduta sul letto con una
rivista presa a caso tra quelle nel cesto di vimini, Susan
cercò di concentrarsi su quello che stava leggendo. Non era
facile, però, sia per i pensieri mescolati alle sensazioni
che ancora la stavano avvolgendo dandole un piacevole senso di
vertigine, sia per il tono della voce di Russell che, dall’altra
stanza, sembrava essere coinvolto in una conversazione
piuttosto animata. Pur decidendo di non ascoltare, alcune
parole, quelle meno signorili, erano comunque assolutamente
distinguibili fra le altre. Un feroce quanto sbraitato “Vaffanculo”
concluse la conversazione durata pochi intensi e accesi
minuti. Susan era pronta ad un’altra serata di pessimo
umore; seduta sul letto, con la rivista tra le mani, stava
solo facendo il conto alla rovescia. Russell aprì la porta
guardandola con il viso lievemente arrossato e teso per l’animata
discussione. Di sottecchi Susan lo guardò con un sorriso
incerto appena disegnato sulle sue labbra. Non c’era bisogno
di chiedere nulla, in qualche modo, entro pochi secondi, si
sarebbe sfogato da solo. Cercò di sdrammatizzare la tensione
di quell’attesa.
“Ci mangiamo qualcosa?”
Russell senza parlare andò
verso di lei e si lasciò cadere a pancia in giù sul letto.
Allungò una mano per prendere un cuscino che si schiacciò
sulla testa, un istante dopo, l’unica parola ad uscire dalla
sua bocca fu un soffocato, ma comunque percettibile.
“Cazzo!”
Susan aspettava, lo
guardava, paziente come sempre, non nascondendo un’aria
leggermente divertita da quella scena di un uomo, sopra i
trent’anni che sembrava volersi far sopraffare da … un
cuscino. Sbucò qualche secondo più tardi con tutti i capelli
spettinati e fissando la coperta.
“Secondo te …” si
interruppe.
“Dimmi…”
“Secondo te… ho un
carattere di merda?”
Susan sorrise stupita senza
staccare gli occhi dal giornale.
“No, sei adorabile!”
“Non sto scherzando! Dimmi
la verità … sono un rompicoglioni? … Sii precisa!”
Agli occhi di Susan aveva un’aria
buffa intento a stropicciare la coperta con le dita.
“Un rompicoglioni …”
“Sì, un rompicoglioni, un
rompicazzo … lo sono o no?”
“Forse è un po’
esagerato … scusa ma chi ti ha…?”
Russell si trascinò su di
lei facendole passare le braccia dietro la schiena e
appoggiando la testa sul suo ventre, un gesto che colse
alquanto di sorpresa Susan che fece appena in tempo a spostare
il giornale.
“Uffa, perché non li
mandiamo tutti a fanculo e scappiamo io te?”
Russell appariva ai suoi
occhi teneramente infantile. Guidata dalla più totale
spontaneità incominciò ad accarezzargli i capelli, proprio
come avrebbe voluto che lui avesse fatto tanti anni prima,
quando era entrato in camera sua e, vedendola sul letto con
gli occhi chiusi, aveva pensato che stesse dormendo. Sentiva
dal suo respiro tranquillo e profondo che si doveva essere
addormentato. Ma Russell aprì lentamente gli occhi rimanendo
a fissare il vuoto, coccolato dalla punta delle dita di Susan
che gli scorrevano tra i capelli. Avrebbe continuato a far
finta di dormire, non avrebbe rinunciato a quelle carezze per
nulla al mondo. Ma quanto a lungo avrebbe potuto sopportare
solo quello che aveva? Il vederla ogni giorno sotto i suoi
occhi, giorno, dopo giorno, dopo giorno … irradiarle quel
suo fascino fatto di discrezione, premure, e spontaneità e
doversi accontentare di poterle sorridere soltanto. Forse era
un bene che di lì a poco sarebbe dovuto partire. Avrebbe
potuto lasciarsi alle spalle tutto: lei e quei sentimenti che
non potevano essere. La distanza e il suo lavoro lo avrebbero
aiutato e il pensarla senza vederla sarebbe stato un peso meno
difficile da sopportare e a poco a poco, avrebbe anche smesso
di pensarla. Sì, sarebbe andata sicuramente così. Sapeva che
farle sapere quanto provava sarebbe stato un rischio, dato che
lei non gli aveva mai dato segno di vederlo come qualcosa di
più di un semplice amico. No, non voleva rischiare, ma non
voleva rinunciare a quel momento in cui poteva abbracciarla
senza che lei si chiedesse il perché e cullato dalle sue
carezze si addormentò per davvero.
Quando Susan aprì gli occhi
si ritrovò distesa nel suo letto; la schiena le faceva male
per essere stata a lungo costretta in una posizione non
comodissima. Percepiva un leggero formicolio alla gambe,
ancora lievemente addormentate sotto il peso di Russell. Lui
non c’era. Non si era alzato da molto e prima di andarsene,
aveva sistemato Susan sotto le coperte spostando la rivista
sul comodino. Era nervoso e confuso; ancora scosso dalla
telefonata con il suo agente che lo aveva profondamente
irritato, e impaziente con se stesso per non aver ancora preso
una decisione chiara e definitiva. Non sarebbe potuto stare in
quella casa un giorno di più. Aveva pensato di uscire per
schiarirsi le idee: con i jeans, una camicia qualunque e un
cappellino blu degli Yankee calcato sulla testa, sembrava un
newyorchese fra i tanti.
Era Sabato, Susan fu
intristita nel trovarsi sola a casa, così abituata ad andare
in cucina trovando Russell sdraiato sul divano addormentatosi
con il copione sulla faccia. Era incredibile la profonda,
intensa tenerezza che le ispirava il suo viso. Nel vederlo
addormentato, pacifico come un bambino e allo stesso tempo
sensuale nella sua mascolinità, non riusciva a riconoscere l’uomo
di quel locale che li aveva fatti ritrovare. E così pure le
volte in cui tornando a casa dal lavoro, lei l’aveva trovato
con Marlon addormentato sul suo petto: un braccio intento a
stringerlo e l’altro con in mano uno dei suoi libri di
fiabe. Era difficile stabilire chi dei due fosse il bambino.
Avrebbe voluto capire che cosa lo avesse portato a reagire in
quel modo, ad avere lati del carattere così opposti,
eterogenei. Ma forse avrebbe dovuto capire, dopo così tanto
tempo, come farsi troppe domande su come mai Russell fosse in
un modo o nell’altro, fosse cosa inutile. Una volta, quando
lui l’aveva invitata nella sua fattoria, aveva avuto modo di
parlare a lungo con Jocelyn, sua madre. Erano subito andate
molto d’accordo. Lei adorava suo figlio, ma si rendeva anche
conto della difficoltà di saper gestire alcuni aspetti del
suo carattere. A Susan era rimasta impressa una frase in
particolare: “Russell è quello che tu sai bene”.
Sorrise stringendo la tazza di caffè fra le mani. Era vero,
Russell era così, e lei non poteva che volergli bene, in
qualunque modo lui fosse.
Decise di andare da Sabrina,
era da un po’ di tempo, date le circostanze, che loro due
non avevano avuto l’opportunità di passare del tempo
insieme, chiacchierando in tutta tranquillità. Le mancavano
molto le loro conversazioni tutte al femminile; in fondo
Sabrina era una delle più care amiche che avesse avuto modo
di conoscere in quegli anni. In parte doveva anche a lei
quello che era in quel momento e non avrebbe mai smesso di
esserle grata per averla spronata a partecipare a quel
concorso.
“Allora, come va?”
“Che dirti? Grazie al
cielo è Sabato. Certe volte vorrei che Marlon fosse già
indipendente e senza compiti da fargli fare previa minaccia
… ma per il resto tutto bene … tu che mi dici? Come sta
Russell?”
“Bene, credo … è
uscito, ha scritto che andava a farsi un giro.”
“Strano … le fa spesso
queste cose?” Sabrina la guardò incuriosita.
“A Russell piace
camminare, di solito lo scenario che cerca è un po’
diverso, ma penso che Central Park possa essere un sostituto
quasi degno.”
“Alle praterie
australiane?” Chiese Sabrina guardandola con ironia.
Entrambi si sorrisero e si risposero all’unisono scoppiando
in una risata divertita.
“Non credo proprio!”
“A parte gli scherzi …
ieri era un po’ arrabbiato, gli ha telefonato non so chi che
lo ha irritato non poco, sono volate parole a dizionari
interi!”
Sabrina osservò lo sguardo
di Susan perso nel vuoto mentre ripensava e le raccontava gli
avvenimenti della sera precedente.
“E fra voi due … come
va?”
“Bene …” sorrise
“…se penso … che erano quasi…accidenti, sei anni che
non lo vedevo. Se me lo avessero detto non ci avrei mai
creduto. E poi con lui … è come se il tempo non fosse mai
passato … che c’è?”
“No, scusa se rido, ma …
voi due siete la coppia più strana che mi sia mai capitato di
incontrare.”
“Sabrina, finiscila, io e
Russ siamo buoni amici. Ti rendi conto che lo conosco da
quando io avevo diciannove anni? È come se fosse un fratello
per me e credimi, io non sono più che una sorella per lui.”
“Senti, raccontala a un’altra
e non farmi incazzare!”
“Ma … senti…”
“No, senti tu, mi sarò
anche fatta mettere incinta a sedici anni, ma del tutto
cogliona non sono, se permetti!”
Susan prese a guardarla,
divertita, come sempre, dai suoi modi tutt’altro che
eufemistici di esprimere la sua opinione.
“E vedi di non ridere! No,
dico, ma vi siete visti? Vi siete mai onestamente fermati a
osservarvi un attimo a vicenda?”
“Sabri …”
“Fammi finire! … Cazzo
… sono anni che io e Jeremy cerchiamo di accasarti, ma tu
no! Mai una volta che abbia rivolto uno sguardo a quei
disgraziati che solo vagamente si avvicinasse a quello che ti
ho visto rivolgere a Russell in quel locale! Per non parlare
poi di lui … l’altro tonto d’oltreoceano!”
“Che c’entra lui,
adesso?”
“D’accordo che l’amore
non ti fa vedere le cose in modo molto chiaro, … ma voi
viaggiate con fodere di prosciutto sugli occhi! Forse non ci
avrai fatto caso alle volte in cui siamo usciti tutti insieme
a cena …”
Susan si stava pian piano
facendo accompagnare per mano su una strada che fino a quel
momento aveva scelto di evitare; lasciò che Sabrina parlasse
e le riempisse la mente solo delle parole che più di tutte le
altre avrebbe voluto sentirsi dire.
“…o alle volte in cui tu
e lui eravate qui e lui giocava con Marlon, ma ogni tanto
buttava l’occhio verso di te … Tesoro mio, amo Edward alla
follia, ma se un uomo mi avesse guardato come lui ha guardato
te in quel momento, mi sarei spogliata in meno di un nano
secondo!”
“Ma … Sabrina!!!”
Susan arrossì imbarazzata,
poi scoppiò a ridere ripensando a quell’ultima frase.
“C’è poco da ridere! È
la verità!” La guardò con aria affettuosamente
provocatoria. “No, dico, forse tu in tremila anni che lo
conosci sei stata lì a raccontargli barzellette, ma io ti
consiglio di dare un’occhiata al suo fondoschiena la
prossima volta che esce dalla doccia!”
“Sabrina, vergognati …
se ti sentisse Edward!”
“Come se Edward le altre
non le guardasse! Stare con un uomo ti può rendere felice e
magari completa, ma non ti tappa gli occhi davanti alle
meraviglie del mondo.” Disse strizzandole un occhio.”
Il tono amichevole,
divertente, affettuoso e complice di quella conversazione
aveva aiutato Susan a leggere più profondamente dentro sé
stessa. Era come se all’improvviso si sentisse libera di
esprimere quello che sentiva e che forse da troppo tempo
teneva dentro di sé. Forse parlarne con Sabrina le avrebbe
fatto bene e forse sarebbe riuscita a vedere più chiaro in
quel vortice di totale confusione. Sorrise guardandola con
sguardo da adolescente alle prese con la prima cotta.
“I suoi capelli … mi
fanno letteralmente impazzire!”
“E tu con tutto quello che
hai a disposizione stai a guardare i capelli?”
“Sabri … “
“Dimmi”
“Tu che faresti?”
“Te la posso raccontare
una cosa? Non l’ho mai detta a nessuno, nemmeno a Jeremy …
ma penso che a te potrebbe servire.”
“Cosa …”
“C’è stato un momento
in cui ho creduto di essermi innamorata di lui, di Jeremy
intendo … è stato tanto tempo fa, nei primi tempi dopo la
nascita di Marlon. Lui era sempre da me, per un motivo o per
un altro, c’era sempre; mi aiutava, mi distraeva dal fatto
che fossi incazzata con quello stronzo del padre … grazie a
lui ho imparato a concentrarmi su quanto bene volessi a mio
figlio, su come volevo che diventasse una persona diversa da
quella che era stata suo padre. Dopo tanto tempo trascorso con
una persona arriva il momento in cui cominci a chiederti di
che natura sia il vostro legame.”
“Ma non gliene hai mai
parlato?”
“No, perché ho capito
dopo che non era amore il mio, ma il desiderio di proiettare,
su di lui, ciò che avrei desiderato fosse il padre di Marlon.
Mi crederai pazza nell’affermare questo, ma … nonostante
io ami Edward e benedica ogni giorno l’istante in cui ci
siamo incontrati, la persona che non smetterò mai di amare, e
che amerò più di ogni altra, sarà sempre il padre di Marlon.”
“Ma perché…”
“Credi che non me lo sia
chiesto? Forse perché c’è una parte di noi che continua a
rimanere aggrappata all’illusione che una persona sia come
te la sei voluta dipingere quando ancora era tutto perfetto.
Forse, paradossalmente, se non fosse stato per il padre di
Marlon non sarei mai stata in grado di essere la persona che
sono e di innamorarmi di Eddy. Grazie all’esperienza che ho
avuto ho ritrovato la vera me stessa, capisci quello che
intendo? Guardati, sei una persona completamente diversa da
quando tu e lui vi siete rincontrati. Non negare il sentimento
che provi, vivilo e basta, ma voi due non lo state facendo Vi
girate intorno come due … insomma, lui è un uomo, ma tu,
che scusa hai?”
“Non so che cosa pensare,
non so nemmeno se abbia senso fare questi discorsi dal momento
che sono l’unica a farsi questi … è proprio il caso di
dirlo, ‘film in testa’, mentre lui tra qualche giorno
andrà a Los Angeles a girarne uno vero!”
“Ma di che cosa avete
paura?”
“Se non fosse vero? Se non
funzionasse? …” Susan aveva un tono della voce quasi
spazientito, stupita lei stessa di come quelle parole le
fossero uscite dalla bocca. “… anche la nostra amicizia
finirebbe e io non potrei sopportare di perderlo!”
“Di perderlo?! Lascia che
ti dica quello che penso! Due persone che non si vedono da sei
anni, che hanno smesso di avere contatti di alcun genere, uno
con la sua vita in Australia e l’altra con la sua a New York
e che in una sera qualunque decidono di andare, tra le
migliaia di locali che ci sono in questa città, proprio nello
stesso … bè … sono destinate solo a ritrovarsi, sempre e
comunque e non a perdersi!”.
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