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Le Fan
Fiction di croweitalia
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titolo:
Una come tante (sesta parte) |
autrice: Kya |
e-mail: kyaweb@infinito.it |
data di edizione: 28
novembre 2002 |
argomento della storia: Una ragazza comune e un
giovane attore… dagli esordi alla fama internazionale |
puntate
precedenti: Come certi incontri cambiano la vita… |
lettura vietata ai
minori di anni: 18 |
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(Sviluppo "romantico")
Mark mi guardava come se fosse sul punto di farmi domande indiscrete su di me e Russell e mi imbarazzava molto mettere in piazza i miei sentimenti ancora piuttosto confusi.
- Mark, si sta facendo tardi ed ho ancora le valigie da fare prima di andare a dormire. Mi ha fatto piacere conoscerti. -
Ci scambiammo un paio di baci sulle guance poi mi ritirai nella mia stanza a radunare le mie cose e a piangere sulle note delle canzoni dei TOFOG che si diffondevano ovattate nell’atmosfera opprimente della camera e della mia anima.
16 - La resa dei conti
Uscii di casa prima dell’alba trascinando la mia pesante valigia e trovai i
Crowe, Mark ed i ragazzi della fattoria ad attendere me e Paul in giardino. Russell non c’era. Mi dissero che era nella scuderia. Terminati i saluti ed i ringraziamenti, di Russ non c’era ancora l’ombra, così lo andai a cercare. Lo trovai che strigliava il suo cavallo alla fredda luce di una lampada al neon.
- Non vieni a salutarci? –
- Sì. –
Si voltò lentamente, faticosamente, e io ebbi tutto il tempo per notare la tensione sul suo viso e le sue mascelle contratte anche se la luce era scarsa. Il debole sorriso che gli sfiorò le labbra non cancellò l’ombra che aveva negli occhi.
- Quando ci rivedremo? –
- Non lo so, dipende da te e dai tuoi impegni. Io non andrò molto lontano da Parigi nei prossimi mesi. –
- Credi che potremo incontrarci quando verrò in Europa per la promozione del film? –
- Il progetto della casa non sarà ancora pronto. –
- Non intendo un incontro di lavoro… -
Sorrisi sentendomi un po’ stupida.
- Oh… certo… mi farebbe piacere. –
- Telefonami appena arrivi a casa. Voglio sapere come stai e se va tutto bene. Promettimelo. –
- Promesso. Russ ora devo andare o io e Paul perderemo l’aereo. – detto ciò mi allungai per baciarlo sulla guancia ma le sue braccia mi avvolsero e mi strinsero al suo petto in un modo che non lasciava dubbi sulle sue intenzioni. L’ultima cosa che notai prima di abbandonarmi al suo bacio appassionato fu la dolcezza del suo viso mentre, ad occhi chiusi, cercava le mie labbra.
- Perché? – sussurrai guardandolo negli occhi quando, con riluttanza, mi separai da lui.
- Avevo un vecchio debito con te, ricordi? E io pago sempre i miei debiti, anche dopo cinque anni. –
- E adesso siamo pari? –
- Questo dipende da te… -
C’era un solo modo per capire l’esatto significato di quella frase, restituirgli il bacio con tutta la passione di cui ero capace.
- Ecco, adesso sei di nuovo in debito. – gli dissi appena le mie labbra si staccarono dalle sue.
- Non era solo questo che intendevo. –
Sorrisi trionfante. - Adesso lo so. –
Lui tornò a stringermi forte.
- Mi mancherai. – disse sfiorandomi con le labbra il lobo dell’orecchio.
Uscii alla luce dell’alba con il cuore che mi martellava nel petto.
Qualche ora dopo ero sull’aereo che mi riportava a Parigi, da Maurice. Non avevo più paura di quello che sarebbe successo, perché ormai sapevo che dall’altra parte del mondo c’era qualcuno che mi aspettava.
*** *** ***
All’aeroporto Maurice non c’era ad attendermi. Strano, pensavo che fosse ansioso di rivedermi ma evidentemente mi sbagliavo o forse aveva semplicemente fatto tardi alla galleria.
Salutai Paul e presi un taxi. Davo per scontato che Maurice non fosse in casa e invece, appena entrata, me lo trovai davanti, bello ed arrogante come al solito.
- Ciao! – gli dissi allegramente. Lui mi scrutava con gli occhi socchiusi.
- Sei abbronzata. Te la sei spassata, eh? –
- Ho lavorato sotto il sole. –
- O sotto Crowe? –
Cominciava male. Maurice evidentemente non aveva ancora digerito la mia decisione di partire. Cercai di sdrammatizzare ma sapevo bene quanto fosse difficile. Quando era arrabbiato era come un treno in corsa, impossibile fermarlo. L’unica cosa che potevo fare era dargli ragione sperando che la sua rabbia sbollisse in fretta.
- Se fossi stata sotto Crowe non mi sarei abbronzata. – detto ciò afferrai la valigia e la trascinai in camera da letto. Lui non si offrì di aiutarmi ma si fermò sulla soglia della stanza continuando a fissarmi con uno sguardo torvo. Stavo per chiedergli cosa avesse quando lo vidi allontanarsi. Uscì di casa sbattendo la porta e mi lasciò sola a fare mille congetture sul suo comportamento e sul mio.
Forse era un bene che Maurice fosse uscito: ero così stanca che l’unica cosa che desideravo era stendermi sul mio letto morbido e dormire. Domande e spiegazioni le avrei tenute per l’indomani.
Dormivo della grossa quando sentii Maurice tornare. Gli mormorai qualcosa di gentile ma non ottenni risposta, evidentemente era ancora in collera con me. Appena mi si coricò a fianco gli voltai le spalle cercando di riprendere sonno, ma fu impossibile. Era impossibile dormire con le sue mani che mi percorrevano il corpo senza un briciolo di calore o tenerezza. Protestai e cercai invano di divincolarmi. Lui stava sopra di me e mi inchiodava al letto con il peso del suo corpo muscoloso. Alla fine lo lasciai fare. Fece ciò che gli pareva senza neanche un po’ di sentimento, come un animale, un va e vieni rabbioso dentro di me che me ne rimanevo immobile, passiva.
Io non provavo altro che rabbia e dolore, nel corpo e nell’anima. Odiavo me stessa per avere scelto un uomo meschino capace solo di umiliarmi. Aveva ragione
Russell: come avevo fatto a scambiare per amore il suo egoismo?
Iniziai a muovermi freneticamente, una messinscena che aveva il solo scopo di far finire più in fretta possibile lo schifo ed il dolore che Maurice mi stava facendo provare. Non vedevo l’ora di andarmene, e sarebbe stato per sempre.
Dopo un tempo che mi sembrò un’eternità riuscii finalmente ad alzarmi dal letto e a vestirmi. Non aveva importanza dove sarei andata, non gli sarei rimasta accanto dopo quello che mi aveva fatto.
- Dove vai? – mi chiese con noncuranza. Ora che le sue voglie erano state soddisfatte di me gli importava ancora meno. Lo guardai con disprezzo.
– La prossima volta va’ a Pigalle e pagati una puttana. – dissi afferrando la borsetta e dirigendomi verso la porta. Lo schiaffo in pieno viso mi scaraventò contro lo stipite della porta prima che potessi rendermi conto di cosa stava succedendo.
- L’ho pagata la puttana. L’ho pagata per un anno intero! – sibilò – Dopo quello che ho fatto per te hai il dovere di rispettarmi! –
Non l’avevo mai visto così fuori di sé. Il viso contratto dall’ira, gli occhi ridotti a due fessure, una vena ingrossata che gli spaccava in due la fronte… mi faceva paura ma non riuscivo a pensare che potesse farmi del male finché non mi afferrò per i capelli e mi trascinò giù per le scale, fino al ripostiglio. Appena mi lasciò andare crollai in ginocchio davanti al baule in cui tenevo le cose che avevo portato via dal mio appartamento di periferia.
- Aprilo! –
Ormai cominciavo a capire: in quel baule c’erano i ritratti di Russell e le foto che ci eravamo scattati sul set. Mi accorsi immediatamente che la serratura era stata forzata.
Al mio tentativo di alzarmi lui mi afferrò per la nuca costringendomi di nuovo a terra.
- … mi fai male!… -
Maurice allentò appena la presa, poi si inginocchiò accanto a me e sollevò lui stesso il coperchio del baule. Le foto erano accatastate alla rinfusa. I miei ricordi… le istantanee che ritraevano me e Russell mentre chiacchieravamo seduti sull’erba nelle pause tra un ciak e l’altro.
Maurice ne afferrò una e me la piazzò sotto il naso. Era la mia preferita: Russ seguiva con un dito una coccinella sul palmo della mia mano. Aveva un’espressione tenerissima e innocente, da bambino.
- 1996! –
- E allora? Quello che ho fatto prima di mettermi con te non sono affari tuoi. –
- Prima? Ho i tabulati delle telefonate fatte e ricevute dal tuo cellulare… –
- Cosa??? –
- Non c’è informazione riservata che non si possa comprare con un bel po’ di soldi, ormai dovresti saperlo. Ci sono un paio di telefonate fatte meno di un anno fa ad un numero in Australia, lo stesso numero da cui mi hai telefonato qualche sera fa. Di chi è quel numero,
Claire? –
La collera che provavo era tale da farmi perdere il lume della ragione e spazzare via la paura che mi attanagliava. Riuscii a divincolarmi dalla sua stretta e lo colpii in viso con tutte le mie forze. La sua reazione non si fece aspettare: mi restituì il pugno mandandomi distesa sul pavimento.
- Da quanto tempo sta andando avanti questa storia? Sei andata da lui con la scusa del lavoro solo per farti scopare alle mie spalle! –
Io non riuscivo a ragionare lucidamente, mi rendevo solo conto che niente di quello che avrei potuto dire sarebbe servito a calmarlo. Se anche avessi negato non mi avrebbe creduta.
La violenza del torrente di parole che mi uscì dall’anima sorprese me per prima. Piangendo di rabbia gli sputai in faccia tutte le umiliazioni e le prepotenze che mi aveva fatto subire in un anno di convivenza e che avevo sempre cercato di giustificare in qualche modo, finché Russell non mi aveva fatto aprire gli occhi. Urlai come un’indemoniata fino a perdere la voce e continuai a farlo anche quando Maurice cominciò a colpirmi, una volta… un’altra… un’altra ancora. Mi sentivo soffocare e pensavo che lui avrebbe continuato a picchiarmi finché non si fosse reso conto di avermi ammazzata. Poi non ricordo più…
Quando ripresi i sensi ero sdraiata sul divano del soggiorno con la borsa del ghiaccio sul viso. Maurice era seduto sul bordo del divano.
- Amore, lo sai che non devi farmi incazzare. Te la sei cercata. – mi disse accarezzandomi i capelli. Io mi sentivo troppo male per reagire ma avevo una gran voglia di sputargli in faccia.
- C’è qualcosa di cui hai bisogno? Un tè, del liquore? – mi chiese con un sorriso ironico.
- Un tè…. – mormorai.
Lui si allontanò. Appena lo vidi scomparire in cucina mi alzai. Non era il momento per pensare alle fitte lancinanti che provavo dappertutto, schizzai fuori dalla stanza chiudendomi a chiave la porta alle spalle. Corsi fuori dall’appartamento poi giù per le scale e continuai a correre sul marciapiede, sotto la pioggia battente. Stranamente il terrore e la disperazione, invece di impietrirmi, mi mettevano le ali ai piedi e mi rendevano insensibile al dolore. Mi fermai un attimo per riprendere fiato e solo in quel momento cominciai a riflettere. Ero sola, al buio, sotto la pioggia, vestita solo con un paio di jeans ed un maglione sporco di sangue, non avevo denaro e nemmeno il mio cellulare con cui chiedere aiuto. Dovevo raggiungere la casa di Carla, lì probabilmente sarei stata al sicuro. Mi trascinai fino al primo bistrot ed entrai.
Il brusio che c’era nel locale si spense rapidamente. Dovevo avere veramente un aspetto orribile.
Una cameriera mi corse incontro chiedendomi cos’era successo.
- Per favore, ho bisogno di un taxi... Mi chiami un taxi. – dissi in un silenzio di tomba.
- Chiamo un’ambulanza. –
- No… no, ho solo bisogno di un taxi. -
Un uomo, probabilmente il proprietario del locale, mi accompagnò nel retro e spedì la cameriera a telefonare. L’ambulanza arrivò pochi minuti dopo.
17 - Ombre e luci
In tutta la faccenda non avevo versato neanche una lacrima, nemmeno quando la tensione si era allentata, nemmeno quando Carla, appena arrivata in ospedale, mi aveva abbracciata. Molti mi dicevano che ero forte e coraggiosa, che stavo reagendo bene, ma io sapevo che non era così, semplicemente non riuscivo a sfogare il dolore e la paura che avevo dentro. Sapevo benissimo che prima o poi sarei crollata.
Non piangevo nemmeno quando, qualche giorno dopo, sola nell’appartamento di Carla, improvvisamente i colori attorno a me si spegnevano e cominciavo a tremare senza alcuna ragione. Mi raggomitolavo sotto le coperte, nel divano a letto del soggiorno, e vivevo fino all’ultima goccia la mia angoscia. In quei momenti di terrore, l’unica immagine che mi era di conforto era il ricordo di una piccola casa bianca che splendeva sotto il sole in mezzo alla campagna Australiana.
Avevo promesso a Russell che gli avrei telefonato appena arrivata a casa, ma ora non me la sentivo. Immaginavo che fosse preoccupato ma non sarei riuscita a parlargli senza scoppiare a piangere. Avevo un disperato bisogno di lui.
Maurice mi aveva reso il baule facendolo recapitare davanti alla porta dell’appartamento di Carla. Dentro c’erano alcuni dei miei abiti, la mia biancheria e le foto di Russell fatte a pezzi. A giudicare dai tagli, aveva infierito sulle foto con un coltello. Doveva essere impazzito.
L’avevo denunciato. Era stato arrestato e poi rilasciato in attesa del processo, a patto che si tenesse lontano da me. Non ero certa di essere al sicuro e mi ripetevo spesso che avrei fatto meglio a lasciare Parigi per un po’ e tornarmene a Fréhel dai miei genitori, ma l’unico posto in cui desideravo veramente andare era in campagna da
Russell.
Ogni giorno mi dicevo che era venuto il momento di telefonargli, ed ogni giorno rimandavo perché ero certa che non sarei riuscita a rendere normale la mia voce, alterata dal nodo alla gola e dalle contusioni al viso che mi rendevano doloroso parlare.
Carla mi rimproverava dicendo che avrei dovuto pensare anche a lui e non solo a me stessa e io ribattevo che se tacevo era per non dargli un dolore. In realtà nemmeno io sapevo quale fosse la verità.
Poi, una mattina in cui la disperazione era insopportabile, presi il cellulare e composi il numero di
Russell.
- Alla buon’ora! È più di una settimana che ti cerco. Avevi promesso che mi avresti telefonato appena arrivata a casa. - era veramente arrabbiato.
- Lo so che cosa ti avevo promesso… -
- E allora? Che cazzo hai combinato, si può sapere? Ho avuto una paura! –
- Paura di cosa? –
- Che ti fosse successo qualcosa! Il tuo cellulare era sempre spento… - esitò - … pensavo… che non ti importasse niente di me. E’ così? Lontano dagli occhi, lontano dal cuore? –
- Oh Russ… che stai dicendo? Ho lasciato Maurice. –
Lui tacque un attimo e quando riprese a parlare la sua voce vibrava d’ansia.
- Ti ha fatto del male? –
Sospirai, non era facile nascondergli la verità.
- Claire… ti ha fatto del male??? – gridò facendomi accapponare la pelle. Pensai che se gli avessi detto la verità lui avrebbe potuto fare qualsiasi cosa.
- No, Bud. Va tutto bene. – dissi sforzandomi di apparire naturale ma il suo sospiro mi confermava che non ero riuscita a convincerlo.
- Dove vivi adesso? -
- Da Carla. Mi ospita finché non avrò trovato un altro appartamento. Però fra qualche giorno vorrei tornare un po’ a
Frehel. Adesso che sono libera posso farlo quando voglio. E’ una vita che non vedo i miei. Tu dove sei? –
- A casa, ma domani parto per Londra. –
- Lo sai? Non faccio altro che sognare il ranch. –
- Puoi tornarci quando vuoi, anche se io non ci sono. -
*** *** ***
Pochi giorni dopo Carla e suo marito René mi accompagnarono a Fréhel. Mi faceva bene rivedere la mia casa e scoprire che per i miei genitori niente era cambiato nei miei confronti nonostante mi fossi allontanata da loro per quasi un anno. Mi faceva bene saperlo e nello stesso tempo mi sentivo un’ingrata per aver lasciato che quel maledetto di Maurice gestisse secondo il suo volere la mia vita ed i miei rapporti con i miei genitori.
La voce del mio ritorno a Frehel si era sparsa, complice anche mia madre che, vedendomi depressa, pensò che fosse un bene per me incontrare i vecchi amici. In realtà non volevo che nessuno mi vedesse in quelle condizioni, con il viso tumefatto e giù di morale perché era come ammettere la mia sconfitta. Spesso, in occasione del mio imminente trasferimento a Parigi, avevo sentito commenti del tipo "ma cosa speri di ottenere? ". Era invidia, mi dicevo, ma il fatto che me ne fossi tornata a Fréhel con la coda fra le gambe era, agli occhi degli altri, la dimostrazione del mio fallimento. Mi sembrava di vederli ridere dietro le parole di conforto, gli avvoltoi, coloro che non avevano mai realizzato niente nella loro vita e che si cibavano delle difficoltà altrui. Come spiegare che l’unico fallimento era stata solo la storia con
Maurice, mentre il lavoro andava veramente a gonfie vele e che, grazie al lavoro, mi si prospettava una storia d’amore con uno degli uomini più desiderati del pianeta?
Dietro pressioni ed insistenze varie accettai l’invito ad una festa, un ritrovo con vecchi amici e conoscenti. I lividi sbiadirono sotto un generoso strato di fondotinta e il morale sotto i tacchi venne dissimulato da un sorriso di circostanza. Alla festa però la freddezza di persone che un tempo avevo considerato degli amici mi fece rimpiangere di non essere rimasta a casa. L’amara constatazione di non essere più una di loro mi faceva male nello stesso modo in cui mi feriva vedere la serenità negli occhi del mio ex fidanzato che si era sposato ed era felice con la moglie ed un paio di bambini.
A questo pensavo il giorno dopo, in piedi sulla mia scogliera, mentre il vento gelido e l’umidità entravano nella trama del cappotto e mi penetravano nelle ossa.
Quando a Parigi mi sentivo un’estranea mi dicevo che era naturale perché ero e sempre sarei stata una provinciale di Fréhel. Ora mi rendevo conto di non appartenere più a nessun luogo. Non ci sono legami di sangue che garantiscano di essere amati dalla propria gente, non basta tornare a casa dopo anni in cui si è rinnegata la propria provenienza ed il proprio passato per essere accettati dalle persone che si hanno abbandonato.
Cos’avevo ottenuto con la mia ambizione? Un buon lavoro e nient’altro. Nessuna felicità, nessuna certezza, nessuna stabilità. Amore? Un amore che mi aveva riempita di botte ed un altro che in quel momento era sull’altra sponda del braccio di mare che stavo fissando e che mi avrebbe dato solo mesi e mesi di solitudine.
Con la vista offuscata dalle lacrime mi avvicinai al ciglio del burrone e guardai giù, verso le onde che s’infrangevano con violenza sugli scogli, sessanta metri più in basso. Sarebbe stato così facile lasciarmi andare. Un attimo e poi tutto quanto non avrebbe più avuto alcuna importanza…
Indietreggiai inorridendo dei miei pensieri, mentre un’ondata di nausea mi attanagliava lo stomaco e singhiozzi disperati mi squassavano il petto. Con un grosso sforzo imposi alle mie gambe di riportarmi a casa, quindi mi avviai a piedi verso la strada che dalla scogliera arrivava al paese, ma dopo pochi passi la sagoma di un’auto comparve in fondo alla strada. Turisti o qualcuno che si era perso e che chiedeva indicazioni? Non volevo parlare con nessuno, non volevo essere vista da nessuno, perciò voltai le spalle e tornai indietro, verso la scogliera. Alle mie spalle l’auto frenò ed una voce gridò:
- Claire! –
Mi bloccai all’istante, incredula. I passi veloci sulla ghiaia si avvicinarono rapidamente e si fermarono dietro di me.
- Russ, che ci fai qui? –
Lui mi circondò le spalle da dietro e mi posò un bacio sui capelli.
- Mi era insopportabile non poterti vedere nonostante fossi così vicina. Ho approfittato di un giorno libero per noleggiare un aereo e quest’auto. Sapevo che ti avrei trovata qui. –
Le sue labbra mi scaldarono il collo nel punto dove la sciarpa lasciava scoperto un lembo di pelle. Mi irrigidii e lui se ne accorse.
- Cosa c’è? Non sei contenta di vedermi? –
- Non dovevi venire! –
- Cosa? –
Tenendomi per le spalle mi voltò per guardarmi in viso ed impallidì nel vedere i lividi e le contusioni.
- E’ stato lui? –
- Sì. È successo appena arrivata a casa. Credeva che l’avessi tradito. –
Le mani di Russell sulle mie spalle fremevano di rabbia.
- E adesso dov’è quel bastardo? – ringhiò.
- Dove deve essere. L’ho denunciato e siamo in attesa del processo. –
Russ alzò gli occhi al cielo sospirando. Non faceva nulla per dissimulare la sua tensione, batteva le palpebre rapidamente, come sempre faceva quando era in preda ad una forte emozione. Quando iniziò a parlare la sua voce tremava.
- Lo sapevo che ti era successo qualcosa ma nessuno voleva dirmelo. Quando ho visto che i giorni passavano e tu non mi telefonavi ho chiamato lo studio. Ha risposto una ragazza e quando le ho chiesto di parlare con te ha sospirato e mi ha passato
Paul. Lui mi ha detto che ti eri presa l’influenza ed eri a casa. Ovviamente non ci ho creduto. Ho telefonato qui, ai tuoi genitori, ma non c’era nessuno. –
- Sono stata in ospedale per tre giorni… -
Lo sentii sospirare e quando alzai lo sguardo mi accorsi che aveva gli occhi velati di lacrime.
- Non tenermi mai più fuori dalla tua vita! – sussurrò con voce rotta.
- Russ… - mormorai mentre sentivo che qualcosa mi si lacerava dentro nel vederlo così. Allungai una mano ad accarezzargli la guancia coperta dalla barba morbida. Non avrei mai pensato che la mia ostinazione potesse farlo soffrire in quel modo. Non pensavo nemmeno di essere così importante: una come tante a cui si era interessato, una storia come tante in cui coinvolgersi non completamente. Come avevo potuto sottovalutare così la sua sensibilità ed i suoi sentimenti?
Lo abbracciai e rimanemmo lì a piangere insieme, lui probabilmente di sollievo, io per i sensi di colpa e nello stesso tempo per la gioia di sapere che mi voleva bene veramente.
Chissà cos’avrà pensato il ciclista che per un attimo si era fermato a guardare la scogliera? Avrà visto non una piccola provinciale ed un attore famoso ma solo un uomo ed una donna sullo sfondo di un cielo invernale, abbandonati al loro abbraccio ed ai loro baci.
- Soffri di vertigini? – chiesi a Russell quando mi staccai da lui per riprendere fiato.
- No. –
- Vieni. -
Lo presi per mano ed insieme ci avviammo per un sentiero che correva lungo il fianco della scogliera. Russell guardava il mare aperto e io guardavo il suo viso intenso e radioso, uno spettacolo ancora più bello dell’immensa distesa d’acqua. In quel momento mi resi conto che le mie paure e le mie incertezze erano state spazzate via dal mio desiderio di vivere a tutti i costi quell’amore. Che importanza avevano mesi e mesi di solitudine? Pochi minuti come quelli che stavo vivendo mi ripagavano di tutto. Nessun sacrificio sarebbe stato insostenibile se potevo avere l’amore di quell’uomo!
Scendemmo alla spiaggia deserta a chiacchierare o semplicemente a passeggiare in silenzio sulla sabbia bagnata, beandoci della reciproca presenza. Il buio purtroppo arrivò presto.
- Andiamo a casa. Se ti adatti a stare un po’ scomodo per una notte posso far mettere un lettino da campeggio nella mia camera. –
Russell sospirò.
- Mi dispiace, non posso rimanere. Stasera devo essere di nuovo a Londra. L’aereo mi sta aspettando a
Rennes. –
Sospirai delusa. Lui proseguì:
- Perché non vieni con me? Passiamo a casa tua a prendere quello che ti può servire e stanotte staremo insieme in una comodissima suite. Di giorno devo lavorare, ma potremo passare assieme tutti i momenti liberi e per il resto del tempo sarai libera di visitare la città o di riposarti in hotel. C’è tutto quello che puoi desiderare. –
- Russ guardami! Pensi che io possa andare in giro ridotta così? E poi non possiamo farci vedere assieme finché non c’è il processo. –
- Perché? –
- Perché Maurice va dicendo che se ha fatto quello che ha fatto è perché gli sono stata infedele. Temo che mostrarci insieme possa confermare la sua tesi e cambiare l’esito del processo. –
- Non c’è comportamento che giustifichi il male che ti ha fatto. –
- E’ vero ma io non mi fido. Il mondo è pieno di ipocriti, finti moralisti e maschilisti e io non so chi avrò davanti. Voglio che Maurice abbia quello che si merita. –
Russell annuì e sorrise.
- Sei una tigre! –
- Piuttosto, quando verrai a Parigi? –
- Tra dieci giorni. –
- Bene, allora devo sbrigarmi a trovare un appartamento! – dissi con enfasi. Russell mi guardò sorpreso per quell’improvviso guizzo di vitalità poi scoppiò a ridere scotendo la testa. Lo guardai grata.
- Grazie. –
- Per cosa? –
- Per tutto, per essere qui adesso. Come facevi a sapere che avevo bisogno di te? –
- Non lo sapevo. Veramente sono venuto solo per assecondare il mio desiderio di vederti. Chiamalo egoismo se vuoi. –
- Allora spero che tu sia sempre così egoista! – dissi con un sorriso.
Russell mi accompagnò a casa con sua auto a noleggio prima di proseguire verso Rennes e da lì in Inghilterra. Tre giorni dopo, ritemprata nel corpo e nello spirito e piena di energia, ero di nuovo a Parigi, pronta a ricominciare a vivere.
18 - Emozioni
- Claire, mentre eri via è arrivato un corriere a consegnare questo per te. – disse Carla entrando in soggiorno dove ero seduta a leggere gli annunci immobiliari. Presi il pacchetto che mi porgeva e ne studiai le scritte sull’involucro per capire chi me lo mandava.
- Viene dall’Australia. – proseguì con un sorriso.
- Il mittente è l’agente di Russell. Cosa può essere? –
- L’unico sistema per saperlo è aprire il pacco. Ti lascio sola… -
- Non è necessario. Lo so che anche tu sei curiosa. –
- Non vorrei che ci fosse qualcosa di molto personale. – disse con tono malizioso.
- Ma senti questa…! Cosa pensi che sia, qualche strumento di piacere? –
- Beh, considerato che starai parecchio tempo da sola nell’attesa che lui venga a trovarti… -
Ridendo le tirai addosso uno dei cuscini colorati che stavano posati sul divano e tornai a concentrarmi sul pacchetto. A fatica rimossi il nastro adesivo che lo chiudeva ermeticamente e tuffai la mano in mezzo alla paglia da imballaggio. A Carla brillavano gli occhi per la curiosità.
- Allora cos’è? Un anello di diamanti, una collana di perle esotiche? –
- Un mazzo di chiavi ed un biglietto! – dissi, più perplessa che delusa, tirando fuori gli oggetti dalla scatola.
- Peccato, speravo fosse qualcosa di più romantico. –
Lessi la scritta sul biglietto, la calligrafia era quella di Russell.
- 18, Rue S.Vincent*. Interno 10. Dai un’occhiata e dimmi se ti piace. Russell.-
- Una casa? Ti ha regalato una casa? –
- Non saltare alle conclusioni, non è detto che sia per me. Forse sta meditando di comprare casa qui a Parigi e vuole il mio parere. -
Tornai a leggere l’indirizzo sul foglietto e improvvisamente esclamai:
- Ma questo indirizzo lo conosco! È la mansarda che ho ristrutturato circa un anno fa, quella dell’americano, come si chiamava…? –
- Burns o qualcosa del genere? Ricordo che ti esasperava. –
- Proprio lui. Che coincidenza! –
- Magari Russell ha saputo che quella mansarda è opera tua e la preferisce ad altri appartamenti. Vuole avere qualcosa di tuo! –
- Potrebbe essere. Ti va di venire con me a vederla? Sono curiosa di vedere com’è adesso. –
Uscimmo di corsa, entrambe elettrizzate, e nel giro di pochi minuti ci trovammo all’indirizzo che Russ aveva indicato. Non mi sbagliavo, era veramente l’appartamento che avevo ristrutturato per il cliente americano che mi aveva fatto impazzire con le sue continue richieste.
Aprendo la porta ci accolse l’odore di aria viziata, di vernice e legno nuovo, eppure l’appartamento era pronto ed arredato da quasi un anno!
Carla si guardava intorno ammirando la complicata struttura di scale e soppalchi ed i giochi di luci e ombre che le travi formavano con i raggi che entravano dagli imponenti abbaini.
- Ma guarda che roba! A stare tutto il giorno dietro il banco della reception mi perdo i vostri capolavori. Sei molto più brava di quanto immaginassi. –
Io non la stavo neanche ad ascoltare, ero troppo sorpresa dai dettagli che dimostravano che l’appartamento non era mai stato abitato. Il divano era ancora avvolto nel cellophane come se fosse appena stato consegnato, i caminetti non presentavano alcuna traccia di cenere e di fuoco. Era tutto esattamente nello stato in cui l’avevo lasciato al termine del lavoro.
- Non capisco, qui non ci ha mai vissuto nessuno, eppure Mr. Burns aveva fretta che i lavori fossero conclusi. –
- Cosa te ne importa? Non è meglio così? –
- Sì, però è strano… -
- Non sono affari tuoi. Pensa piuttosto a quando Russell si trasferirà qui, ci saranno momenti in cui potrete vedervi come e quando vi pare! –
- Mi auguro che sia veramente così. –
Carla scomparve in bagno e un attimo dopo sorrisi nel sentire i suoi gridolini di meraviglia. Provai ad immaginare come sarebbe stato fare un bagno con Russell nell'immensa vasca idromassaggio, inondati dal sole che entrava dal lucernario, o alla notte, ammirando le stelle. Persa nelle mie fantasticherie non mi accorsi di Carla che osservava sorridendo la mia espressione sognante.
- Ti aspettano giorni di passione e notti di fuoco! -
- Non voglio illudermi, è possibile che non sia niente di quello che pensiamo. Forza, torniamo a casa, devo fare una telefonata. -
- Ciao Russ, ti disturbo? –
- Tu non disturbi mai. Dimmi, hai visto la casa? Ti piace? –
- Certo che mi piace… l’ho costruita io! –
La risatina dall’altro capo del telefono mi dimostrò che lui ne era a conoscenza.
- Allora è tutto a posto! Ti ci puoi trasferire quando vuoi. –
- Aspetta un momento, io non posso permettermi un appartamento del genere! –
- E chi ti ha chiesto dei soldi? Su, fai i bagagli, metti delle lenzuola di seta nel letto e fatti trovare lì dentro fra una settimana. Al resto penso io. –
- No… Russ… non posso accettare... –
Un’imprecazione improvvisa mi fece tacere.
- Si può sapere perché ti fai sempre tanti scrupoli? La casa è mia, mica te la regalo, ma se ci sei tu dentro è meglio! –
- L’hai comprata? –
- Sì, quasi due anni fa. –
- Come sarebbe a dire quasi due ani fa? La casa era di un riccone di New York, Mr. Burns… -
- Claire, Mr. Burns non esiste. La casa è mia, lo è sempre stata, l’uomo con cui hai avuto a che fare era un mio assistente, una persona che ho assunto per seguire i lavori al posto mio. –
Questo chiariva tutto! Tutte le foto che scattava, tutte le piante che esigeva con la scusa di ragionarci su venivano mandate a
Russell. Era lui che decideva cosa fare.
- Perché non me l’hai mai detto? –
- Perché doveva essere una sorpresa. Ho contattato Paul e gli ho chiesto di te, volevo che fossi tu a ristrutturare la mansarda e mi sono messo d’accordo con lui perché non ti dicesse niente. Ci ha riso sopra, credo che la considerasse la solita eccentricità di un divo del cinema ma poi ha acconsentito. Ricordi quella sera, alla fine dei lavori, quando ti ho telefonato invitandoti a cena? Non ti avrei portata in un ristorante ma nella mia nuova casa. Ti avrei chiesto di lasciare il tuo appartamento di periferia e di vivere lì, con me… No, non te l’avrei chiesto in questo modo perché immagino che saresti scappata, ti avrei proposto di farmi da custode nei mesi in cui sarei stato via e di darmi ospitalità quando sarei stato in città e… -
- Stronzo! – E riattaccai. Avrei dovuto essere felice di sapere che quello che provava per me era tale da fargli decidere di vivere il poco tempo libero lontano dalla sua terra e in mezzo al cemento e al traffico di una grande città. Eppure in quel momento tutto ciò che mi veniva in mente erano i momenti di sconforto e di solitudine che avevo provato quando Russ aveva smesso di telefonarmi mentre preparava la sua "sorpresa".
Ricomposi il suo numero.
- Si può sapere cosa ho detto o cosa ho fatto per farti incazzare? -
- Cos'hai fatto? Per prima cosa non mi piace essere presa in giro… -
- Nessuno ti ha presa in giro! –
- Ah no? Ho lavorato per te per mesi senza saperlo! Se ti ricordi in quel periodo eri sparito nel nulla, senza degnarti nemmeno di sapere se ero ancora viva, tutto preso dal tuo lavoro e dalle tue amichette. Cosa ti aspettavi che facessi, che rimanessi ad aspettarti struggendomi per te o che mollassi tutto nel momento in cui ti sei degnato a riprendere i contatti? Non credevi possibile che ci fosse un altro uomo che si interessasse a me e io a lui? -
- Sì, è così, non mi hai dato molte dimostrazioni di intraprendenza quando eravamo a Los Angeles anche se ardevi di passione, credi che non me ne sia accorto? Quello che è stato è stato, non nego di avere sbagliato, ma penso di avere scontato i miei errori visto che tu sei finita tra le braccia di un altro! -
- Di un altro che mi ha fatto soffrire e che non ci sarebbe mai stato se tu ti fossi comportato nel modo giusto! –
Lo sentii sospirare dall'altra parte del telefono.
- Ti ho già spiegato i motivi per cui sono scomparso. E non è colpa mia se non ti sai scegliere gli uomini!
Claire, sto cercando di rimediare agli errori che ho commesso ma tu, invece di riconoscerlo, non fai altro che rinfacciarmi quello che ho fatto. Cosa devo fare per farmi perdonare? Dimmi tu cosa vuoi che dica o che faccia, e dimmi anche se la vuoi questa casa perché ho già un acquirente interessato. -
A quelle parole riattaccai di nuovo. Carla, incuriosita ma anche un po’ preoccupata, sentendomi sbraitare fece capolino nella stanza per vedere cosa stava succedendo.
- Non ne voglio più sapere di uomini. Tutti prepotenti e presuntuosi! Tu sei stata fortunata a trovare René. -
- Non pensare che anch'io non abbia qualche problema a volte. Per me miri troppo in alto. -
- Non sono io che li cerco, mi sono capitati, tutti e due. -
- Russ però l'hai cercato. -
- Sì, per un autografo e niente di più. -
- Guarda! Ti sta crescendo il naso!!! - esclamò ridendo.
In quel momento il mio cellulare iniziò a suonare insistentemente.
- Non rispondi? -
- No. Che se la veda con la segreteria! - dissi, ma dopo pochi minuti non fui in grado di resistere ed ascoltai il messaggio che Russell aveva registrato.
"Quella casa è legata a te. Tu l'hai ricostruita, tu devi viverci. L'ho comprata per starti vicino ma non ci ho mai messo piede perché non aveva senso starci senza di te. Perciò se tu non accetterai quello che ti sto offrendo preferisco liberarmene. Fai quello che credi sia meglio ma di una cosa ho bisogno, sapere cosa sarà di noi due. "
Non ricordo quante volte ascoltai e riascoltai la voce calda e dolce di Russell che pronunciava quelle parole, ma ricordo bene la mia emozione e ciò che scrissi
sull'SMS con cui gli risposi.
"Affare fatto. Prendo il pacchetto completo, te e la casa."
"Brava bambina, vedo che quando vuoi ragioni. Ci vediamo martedì. SMACK! "
19 - Dolce, calda neve…
Raccolsi in fretta le mie cose e poche ore dopo mi trovavo già nella mansarda di
Russell.
Durante i giorni successivi le fantasie ed i sogni ad occhi aperti accompagnarono ogni momento delle mie giornate, sia che stessi acquistando ogni cosa necessaria a rendere piacevole il soggiorno nell'appartamento, sia che me ne stessi distesa sul grande letto morbido, sognando quello che Russell avrebbe detto e fatto, quello che su quel letto avremmo fatto insieme. I brividi che correvano sulla mia pelle compensavano il fuoco che mi ardeva dentro e che mi faceva sentire pigra e languida ogni volta che pensavo a
Russell, all'odore del suo corpo, alla seta dei suoi capelli, alla carezza sensuale della sua voce.
I lividi sul mio viso e sul mio corpo erano quasi spariti, come pure l'angoscia che mi aveva attanagliata fino a pochi giorni prima. Ero pronta per vivere di nuovo.
Anche se il periodo di convalescenza non era ancora terminato, ripresi ad andare in ufficio, anche se solo per poche ore al giorno. Fu piacevole ritrovare Paul e alcuni dei miei colleghi, quelli a cui ero più legata e che erano stati sinceramente preoccupati per me quando avevano saputo quello che mi era successo.
Era la fine di febbraio eppure era ancora molto freddo. Uscii dall'ufficio stringendomi al collo la sciarpa e mi avviai nel parcheggio verso la mia auto. C'era un uomo fermo accanto alla macchina, un uomo alto avvolto in un lungo cappotto scuro,
Maurice. Mi fermai all'istante e feci per tornare in ufficio ma lui ormai mi aveva vista. Preferii quindi mostrarmi spavalda ed affrontarlo, sebbene mi tremassero le gambe e la tensione mi stringesse lo stomaco come in una morsa.
- Maurice, non dovresti essere qui. -
- Lo so, ma avevo bisogno di vederti. In questi giorni non ho fatto altro che chiedere tue notizie ma nessuno ha mai voluto rispondermi. Ero preoccupato per te. -
Appariva molto invecchiato dall'ultima volta che l'avevo visto. La solita abbronzatura aveva lasciato il posto ad un pallore grigiastro ed i capelli erano molto più bianchi. Sapevo che, quando la notizia di quello che mi aveva fatto e del suo arresto era diventata di dominio pubblico, la crisi lavorativa che stava attraversando già da alcuni mesi era peggiorata ed ora Maurice si trovava quasi sull'orlo del fallimento. Mi guardò in viso con un pallido sorriso.
- Ti trovo bene. -
- Sto bene, nonostante tutto. Adesso devo andare. -
Maurice fu fulmineo nel piazzarsi davanti allo sportello della mia auto.
- Togliti di lì! – esclamai mentre la mia paura arrivava ai limiti di guardia.
- Non prima di avermi ascoltato. Claire, mi dispiace molto per quello che ho fatto. Non hai idea di come mi sono sentito in tutti i questi giorni. Non riesco più a dormire, non riesco più a lavorare. Non volevo farti del male, credimi, e non volevo che finisse così, non volevo che finisse tra noi. Io ti amo e sono pronto a perdonarti per essermi stata infedele… -
- Cosa??? Maurice, tu sei pazzo! -
Feci per allontanarmi ma lui mi afferrò per le spalle costringendomi a voltarmi.
- Claire, devi ascoltarmi. Ti prego, ritira la denuncia e ti prometto che uscirò dalla tua vita e ti risarcirò per il male che ti ho fatto. Devi solo dirmi una cifra. -
- Sei ancora convinto di poter comprare qualsiasi cosa, vero? E con che soldi mi risarcirai? Credi che non sappia che te la stai passando male? -
- Se ritirerai la denucia le cose per me miglioreranno. -
- Il tuo problema non sono io e non è la denuncia. Il tuo problema sei tu e ormai la tua reputazione è rovinata, non illuderti di poter tornare indietro facilmente. -
Tentai di divincolarmi ma fu inutile, le dita di Maurice mi artigliavano le spalle fino a farmi male e i suoi occhi brillavano di una luce sinistra.
- Perché vuoi farmi soffrire così? - urlò.
Improvvisamente un grido squarciò il buio. Io approfittai della distrazione di Maurice per sottrarmi alla sua presa e correre verso Carla che era uscita dalla penombra e stava raggiungendo la sua auto gridando:
- Maurice, non osare seguirci o chiamo la polizia! -
Raggiunsi Carla e insieme partimmo a tutta velocità, abbagliando Maurice con i fari della macchina e mimetizzandoci in mezzo al traffico.
Dopo esserci accertate di non essere seguite Carla mi accompagnò a casa.
- Va' a farti un bagno caldo mentre io telefono a René e gli dico che stanotte rimango qui. - mi disse dopo aver chiuso ermeticamente la porta blindata.
- Non è necessario che tu rimanga, qui sono al sicuro. -
- Non discutere, non sei nelle condizioni di rimanere sola. -
Con immensa gratitudine accettai la sua offerta e feci come mi diceva. Quando uscii dal bagno Carla aveva preparato la cena e l'odore di cibo che mi investì mi mise lo stomaco sottosopra.
- Come stai? -
- Bene. - risposi cercando di dominare la nausea.
- Coraggio, telefona alla polizia. -
- Non esageriamo, Maurice non mi ha fatto niente, voleva solo parlare. Sono io che mi sono spaventata più del necessario. -
- Se non lo fai tu lo faccio io. Non doveva avvicinarsi a te, queste erano le regole. -
Certa che non sarei riuscita a convincerla, presi il telefono e chiamai il mio avvocato. Avrebbe provveduto lui ad avvertire le autorità. Per quella sera io ne avevo abbastanza.
Quando raggiunsi Carla in soggiorno, sullo schermo del televisore scorrevano le prime immagini di L.A.
Confidential.
- Rilassati e pensa a lui invece che a quel bastardo di Maurice. -
- Hai ragione. Pensare a Russell non è del tutto rilassante ma è una tensione molto diversa! - dissi sorridendo. Mi accoccolai sul divano ed in pochi istanti la mia attenzione fu tutta per
Bud.
- Che effetto ti fa? - mi chiese Carla dopo quasi un'ora di visione del film in religioso silenzio.
- Non me lo chiedere, è tutto così strano! Quando ero a Nana Glen passavo le giornate in compagnia di un uomo affascinante, ma che avrebbe potuto essere qualunque cosa, dal muratore al manager. Non riuscivo a pensare a lui come ad un personaggio famoso. E tantomeno riesco a pensare che lui sia mio. -
- Se penso a tutte le volte che abbiamo fantasticato su Russell e io non sapevo niente di voi due! A volte credo che dovrei odiarti o almeno invidiarti per la fortuna che hai avuto. -
- Invidiarmi per cosa? In fondo è solo un uomo! -
Carla scoppiò a ridere. - E i suoi soldi dove li metti? -
- Lo sai che un uomo ricco è una cosa a cui non ho mai aspirato, guadagno abbastanza per togliermi un sufficiente numero di soddisfazioni. Ho sempre cercato un bravo ragazzo fedele ed affidabile come il tuo René e invece guarda cosa mi va a capitare! -
- Hai ragione, una vera sfortuna!!! -
La tensione si era miracolosamente dissolta e finalmente riuscivo a scherzare e a ridere. Stavo bene con Carla. Era in gamba e con la sua intelligenza pronta e la sua praticità avrebbe potuto arrivare in alto, ma aveva avuto la saggezza di accontentarsi del regalo di una vita familiare serena. Forse era proprio per questo motivo che non mi invidiava, perché era soddisfatta di se stessa e non desiderava altro.
- René non è geloso del fatto che passi così tanto tempo con me? -
- Oh no, perché dopo so ricompensarlo come merita! - rispose maliziosa.
- Non ne ho alcun dubbio! - dissi ridendo.
Erano ormai più delle dieci di sera. Mi avvicinai alla finestra per chiudere le persiane e mi accorsi che grossi fiocchi di neve scendevano silenziosi senza disturbare la quiete della serata. Poche auto circolavano per la strada, pochi erano i temerari che si avventuravano fuori con freddo simile. Rabbrividendo chiusi la finestra e mi avvicinai rapidamente al caminetto che inondava il soggiorno di una luce intima e calda. Sbadigliai. Mi sentivo esausta.
- Carla, io vado a letto ma prima ti preparo una stanza. -
- Non è necessario, questo divano è talmente comodo che mi sarà sufficiente una coperta. -
- Ma… -
- Non ti preoccupare, starò benissimo qua sopra e poi, se non riuscirò a dormire, potrò sempre guardare tutti i film di
Russell! -
Fu nel momento in cui tornai in soggiorno con una coperta ed una camicia da notte per Carla che il suono improvviso del campanello congelò l’atmosfera. Io e lei ci scambiammo uno sguardo allarmato.
- Stai aspettando qualcuno? -
- No. Sarà uno scherzo, siete veramente in pochi a sapere che vivo qui. -
- Non credo che quei pochi arriverebbero senza prima avvertire. -
Il campanello suonò di nuovo ghiacciandomi il sangue nelle vene.
- Carla, pensi che sia possibile che Maurice ci abbia seguite? -
- Non lo so. Va' a vedere chi è, io tengo il cellulare a portata di mano e se è lui chiamo la polizia. -
Con le gambe che tremavano ed il cuore in gola andai al citofono.
- Chi è? –
Una voce profonda, inconfondibile, mi scese fino allo stomaco.
- Il fantasma di Babbo Natale. –
Istintivamente il mio sguardo corse verso il soggiorno. Nel televisore scorrevano i titoli di coda del film. Al citofono la voce, imperiosa e seccata dal mio silenzio, proseguì:
- Claire, hai proprio deciso di lasciarmi qui a gelare? -
Il mio cuore prese a battere precipitosamente ma non era più per la paura ma per l'emozione. Russell era arrivato con cinque giorni di anticipo. Carla, dal divano, mi osservava con aria preoccupata.
- Allora chi è? -
Respirai profondamente per dominare la mia voce e risposi:
- Russell. -
Carla scattò in piedi ma poi sorrise nel vedere la mia espressione raggiante e si rassegnò ad affrontare l’uomo dei nostri sogni con il trucco disfatto dopo una giornata di lavoro e le calze smagliate che si intravedevano sotto la gonna del tailleur.
- Che ci fai ancora qui? Vai, vai! -
Nel raggiungere Russell sul pianerottolo passai davanti ad uno specchio. Struccata, con i capelli raccolti in una lunga treccia ed il corpo infagottato in un pigiama felpato e stampato con disegni di pecorelle (la prima cosa che, con mio sommo piacere, avevo comprato dopo aver lasciato Maurice che mi aveva sempre imposto biancheria sexy), non avevo certo l'aspetto adatto al primo incontro con l'uomo che amavo da una vita, ma ormai non c'era abbastanza tempo per rimediare.
Appena uscito dall'ascensore Russell mi squadrò da capo a piedi ed il viso gli si illuminò di un sorriso radioso. Posò la valigia ed allargò le braccia. Io mi ci tuffai, affondando il viso nel suo morbido cappotto di cachemire. Era tale la gioia di vederlo ed il sollievo nel sapere di essere al sicuro che presi a tempestargli il viso di baci.
- Posso entrare o hai intenzione di farlo qui sul pianerottolo? –
– Hai ragione! - ridacchiai. - Però… non sono sola in casa. –
Lui mi guardò sorpreso e contrariato ed io mi affrettai a spiegare:
- Tranquillo, niente uomini, è solo Carla. -
Quando accompagnai Russell in soggiorno trovai la mia amica che si torceva nervosamente le mani in preda ad una visibile emozione. Lui fu magnifico: le si avvicinò con un sorriso cordiale stampato in viso, le strinse la mano e cominciò immediatamente a chiacchierare. Nel giro di pochi minuti Carla era perfettamente a suo agio.
Quella sera Russell era insolitamente elegante, nel bel maglione del colore dei suoi occhi scollato a V da cui sbucava il colletto di una camicia bianca sbottonata, calzoni scuri dal taglio elegante e stivaletti di morbida pelle nera. Ben pettinato e con la barba curata, era veramente una gioia per gli occhi. Però notai che aveva il viso stanco, pallido e gli occhi cerchiati.
- Vuoi qualcosa di caldo da bere? Un tè? -
- Sì grazie. –
Dalla cucina sentivo gli aneddoti che Russell stava raccontando e la risata argentina di Carla.
Visto come stavano le cose, sapevo che prima o poi Carla avrebbe incontrato Russell ed io ero ansiosa di conoscere l’opinione della mia amica sull’uomo che si sarebbe trovata di fronte. Sentirla ridere alle sue battute mi dava un senso di sollievo, Russell aveva superato l’esame.
Tornai in soggiorno con tre tazze di tè e non potei fare a meno di notare lo sguardo di Russell fisso su di me. Anche Carla se ne accorse.
- No grazie, Claire, io torno a casa. – disse mentre le porgevo la tazza fumante.
- Carla, mi dispiace aver rovinato la vostra serata. – disse Russ.
- Rovinata? Vuoi scherzare! Adesso che ci sei tu a far da balia a Claire posso andare a casa a folleggiare con mio marito! –
Un sorriso solare illuminò il viso stanco di Russell mentre salutava Carla la quale, nonostante la solita faccia di bronzo, arrossì fino alla radice dei capelli. L’accompagnai alla porta ringraziandola per tutto quello che aveva fatto per me. Avere il sostegno, l’affetto e la complicità di quella donna mi faceva sentire veramente fortunata. Non sono molte le donne che possono vantare un’amicizia sincera.
- E’ meglio che me ne vada prima che mi venga la tentazione di portartelo via. È veramente favoloso! Domani chiamami tu, non voglio correre il rischio di disturbarvi… - disse strizzandomi l’occhio mentre usciva.
Commossa, emozionata e nervosa tornai in soggiorno dove trovai Russell comodamente abbandonato sul divano. La luce calda delle fiamme del caminetto e quella soffusa di una lampada dietro le sue spalle accendevano di bagliori dorati i suoi capelli sparsi sullo schienale. Gli occhi scintillavano limpidi tra le ciglia mentre seguiva i miei movimenti. Mi sentivo a disagio a stare sotto il suo sguardo penetrante con quel pigiama da dodicenne addosso. Come se lui avesse intuito i miei pensieri mormorò:
- Sei bellissima. –
Sorrisi imbarazzata. – Quanto hai bevuto prima di venire qui? –
Lui non rispose e continuò a guardarmi mentre mi sedevo accanto a lui rigida e nervosa.
- Va tutto bene? Cos’hai fatto in questi giorni? –
Non gli dissi di Maurice, ormai non aveva più alcuna importanza.
- Le pulizie! Questa casa aveva bisogno di aria e di una bella spolverata. – risi nervosamente – Mi dispiace, non ho fatto in tempo a mettere a letto i lenzuoli di seta, sei arrivato troppo presto. Come mai sei qui oggi? –
- Sono scappato! Ho passato le ultime due settimane in giro da una parte all’altra dell’Europa senza un attimo di sosta. Non sono mai riuscito a dormire più di quattro o cinque ore per notte. Sono stanco. Quando sono stanco divento nervoso e quando sono nervoso finisce che tratto male qualcuno e finisco sui giornali scandalistici**. –
- Da quando ti preoccupi dei giornalisti? –
- Anch’io ogni tanto ho bisogno di essere lasciato in pace. Ho preferito svignarmela e venire qui. Ci penseranno Mark ed il mio agente a trovare una scusa plausibile. –
- Così hai pensato di venire a sfogare su di me i tuoi malumori! – dissi ridendo.
- Lo scopo non è esattamente questo. Ho bisogno di un posto dove nessuno venga a cercarmi. –
- Questo è il tuo rifugio. Puoi stare tranquillo, da quando ho lasciato Maurice vivo una vita monastica. Non ho voglia di vedere nessuno tranne Carla, quindi non c’è pericolo che qualcuno possa venire a trovarmi. –
- Nei prossimi giorni hai da fare? –
- Sì… sono impegnata a prendermi cura di te. –
Russell sospirò e per un attimo ebbi l’impressione di vedere i suoi occhi diventare lucidi. Una delle sue grandi mani mi sfiorò una guancia e attirò il mio viso verso il suo finché le mie labbra si posarono sulle sue, morbide e molto calde.
- Russ, hai la febbre. – dissi posandogli una mano sulla fronte.
- Non è niente, una bella dormita e domani sarò come nuovo. -
Scivolai sul pavimento, ai suoi piedi, e gli sfilai gli stivali per poi tornare a sedere accanto a lui.
- Stenditi. -
Russell obbedì docilmente e si sdraiò posando il capo sulle mie cosce.
- Adesso chiudi gli occhi e rilassati. -
Il suo viso stanco si accese di un sorriso beato. Gli posai un bacio sulla fronte poi lievemente, con la punta delle dita, cominciai a massaggiargli il viso tra le sopracciglia e poi lungo la fronte e sulle tempie, scesi lungo i lati del viso e del collo fino al petto. Di attimo in attimo, con soddisfazione sentivo la sua tensione sciogliersi. I tratti del suo volto progressivamente si distesero ed il respiro si fece più lento e profondo. Quando mi resi conto che si era addormentato non mi rimase molto altro da fare che rimanere a contemplare il suo viso forte e gentile, addolcito dalle lunghe ciglia di seta color miele, finché anch’io non scivolai nel sonno.
Mi svegliai qualche tempo dopo perché avevo le gambe intorpidite. Russell dormiva ancora profondamente e mi dispiaceva svegliarlo, ma avevo un assoluto bisogno di muovermi.
- Russ, è ora di andare a letto. – gli sussurrai in un orecchio. Lui sospirò e lentamente aprì gli occhi guardandosi attorno smarrito. Improvvisamente balzò a sedere borbottando, ancora mezzo addormentato:
- Chiamo un taxi e mi faccio portare in hotel. –
- Che stai dicendo? Qui sei a casa tua. – dissi ridendo. Lui mi rivolse uno sguardo stupefatto ed un mezzo sorriso fece capolino sul suo viso quando finalmente riuscì a riacquistare un po’ di lucidità.
- Vuoi che ti prepari una camera oppure… ? – chiesi e mi venne da ridere nel vedere la sua espressione allarmata. - Tranquillo, ti lascerò dormire, te lo giuro! –
- Non ne sono più così convinto. – disse sorridendo.
- Vai a prepararti, ti raggiungo tra un momento. –
Mi attardai un attimo in cucina a lavare le tazze e, quando arrivai in camera, di Russell si vedevano solo il naso ed i capelli che sbucavano da sotto la trapunta. M’infilai sotto le coperte piano piano, cercando di non far rumore.
Sembrava passato un secolo da quella notte nel suo camper, quando ero rimasta con gli occhi aperti nel buio ad ascoltare il suo respiro lieve e regolare. Come in quel momento. La situazione era la stessa ma l’emozione diversa: non più l’incertezza che mi costringeva a chiudere in me stessa il mio cocente desiderio, ma una gioia immensa nel saperlo vicino, nell’immaginare come, solo qualche ora dopo, il suo sguardo tenero e appassionato mi avrebbe percorsa e le sue mani forti probabilmente avrebbero accarezzato il mio corpo vibrante.
Dormi amore, non c’è alcuna fretta…
Ma nel momento in cui lo pensavo un impercettibile rumore increspò il silenzio ed una mano mi toccò un fianco sotto le coperte. Russell si era mosso nel sonno avvicinandosi a me al punto che riuscivo a sentire il calore del suo corpo e del suo respiro. Mi voltai verso di lui e istintivamente la mia mano libera risalì il suo braccio muscoloso fino alla spalla e ridiscese lungo la schiena. Era la prima volta che potevo accarezzare liberamente la sua pelle ed apprezzarne il turgore, il rilievo dei muscoli, l’ampiezza della schiena che si assottigliava verso i fianchi. Se non avessi avuto quell’assurdo pigiama addosso avrei sentito la solidità delle sue cosce tra le mie.
Mi fermai nel sentirlo sospirare e un attimo dopo la sua voce assonnata risuonò nel buio:
- Non avevi promesso di lasciarmi dormire? –
- Scusa. – ridacchiai – Non ho saputo resistere alla tentazione. –
- Ti perdono solo se mi dai un bacio. -
Lo baciai teneramente e dopo mi accoccolai tra le sue braccia. Come una bambina, con il naso schiacciato contro il suo petto, finalmente mi addormentai.
Erano quasi le dieci di mattina quando una lama di luce mi costrinse a svegliarmi. La sera prima avevo dimenticato di chiudere le persiane ed i raggi del sole, separati dalla trama della tenda, disegnavano strane geometrie sulla schiena nuda di Russell, ancora addormentato. Gli tirai su la trapunta fino alle spalle ed uscii dalla stanza senza fare rumore.
Fuori, il cielo terso dopo la nevicata faceva risaltare il manto immacolato della neve che si stendeva sui marciapiedi e sulle aiuole.
Un senso di euforia mi prese mentre, incurante del freddo, indossavo un kimono di seta verde acqua sulla pelle nuda e mi spazzolavo i capelli guardando compiaciuta la mia immagine riflessa dallo specchio: ironia della sorte, il mio corpo sinuoso e tonico, che Russell avrebbe sicuramente apprezzato, era merito di Maurice…
In cucina feci razzia di tutto quello che c’era nel frigorifero e nella dispensa, ben poco a dire il vero: uova, formaggio e verdure, ed un pacchetto di bignè da riempire. Roba sufficiente per preparare una quiche o una omelette con contorno di verdure ma niente carne, povero Russ! Certo che se mi avesse avvisato del suo arrivo gli avrei fatto trovare un pranzo degno di lui!
Preparai una crema pasticciera ed un buon profumo di vaniglia si sparse per tutta la cucina. Cominciai a riempire i bignè e fu in quel momento che mi accorsi di lui. Il rumore di un accendino che scattava mi fece voltare improvvisamente. Russell se ne stava appoggiato allo stipite della porta con una sigaretta tra le labbra ed un posacenere in mano. Era a piedi nudi, con addosso solo un paio di jeans che mettevano in risalto le sue forme e la camicia bianca della sera precedente, stropicciata e sbottonata per tutta la sua lunghezza. Con i riccioli scomposti che gli incorniciavano il viso ancora assonnato era assolutamente irresistibile.
Mi fissava con lo sguardo di una tigre pronta a balzare sulla preda ed io non riuscivo a muovermi, le gambe improvvisamente molli ed inconsistenti, gli occhi che non riuscivano a staccarsi dai suoi, dalla striscia di pelle abbronzata che la camicia lasciava scoperta, dallo splendido collo e dal rigonfiamento dei jeans.
Nemmeno lui si muoveva e continuava a fumare tranquillamente, perfettamente conscio dell’effetto dirompente che la sua presenza aveva su di me.
- Co… come stai? – chiesi cercando di dominarmi e di avvicinarmi a lui.
- Sono rinato. –
- Lo vedo. – Sprizzi vigore da tutti i pori!
Gli tolsi la sigaretta di bocca e la spensi nel posacenere, poi gli posai un rapido bacio sulle labbra, senza toccarlo perché avevo le mani impiastricciate di crema.
- Hai fame? –
- Sì. – rispose seguendomi ai fornelli e sbirciando quello che stavo preparando.
- Mi dispiace, non c’è molto. –
- Non importa, mi rifarò con il dessert. – disse e lo scintillio malizioso dei suoi occhi toglieva ogni dubbio sul senso della frase.
Sorridendo presi una carota dalla ciotola in cui l’avevo messa a lavare e feci per tagliarla a fiammifero.
- Che stai facendo? –
- Carote à la julienne! –
Mi fissò con un tono di rimprovero. - Così ti perdi il gusto della natura! –
Si rimboccò le maniche e, sotto il mio sguardo incuriosito, scelse dalla ciotola la carota più grossa, la sfregò sotto l’acqua corrente e me la porse impugnandola saldamente come se fosse stata l’elsa della spada di Maximus.
- Et voilà, carota à la Crowe! –
Lo guardai perplessa. - Che ci devo fare? –
- Mordila… a meno che tu non abbia un’idea migliore! –
Più divertita che maliziosa morsi la carota, ancora stretta nella sua mano, sotto il suo sguardo compiaciuto. Un semplice morso e via, ma sapevo a cosa lui stava pensando, perché mi guardava come se volesse divorare me e la carota nello stesso istante.
Per sottrarmi al suo sguardo così ardente da essere quasi insopportabile, mi voltai di nuovo verso i fornelli e ripresi ad armeggiare con la siringa per dolci. Il beccuccio si spingeva all’interno del bignè e lo colmava di crema calda finchè una densa goccia colava dalla piccola ferita lungo il solco della superficie… Quella mattina, nella cucina inondata da un sole radioso, i miei sensi accesi davano ad ogni cosa familiare un significato nuovo e inaspettato.
Continuai a riempire un bignè dopo l’altro in un silenzio irreale, fremendo al contatto della mano di Russ dietro la nuca e del dito che si era intrufolato tra i capelli e mi accarezzava la pelle con deliberata lentezza. Il mio desiderio era tale che avrei potuto buttarmi immediatamente tra le sue braccia, e invece preferivo aspettare, centellinare l’emozione e la mia crescente eccitazione, assaporare la tensione che aumentava, il calore sul mio viso ed i brividi dietro la schiena al contatto delle labbra di Russell sul mio collo.
Le sue mani scivolarono lentamente sulla seta che nascondeva i miei seni fino al nodo della cintura del kimono, che si sciolse in un attimo tra le sue dita. Nell’aria si percepiva ancora l’aroma dolce della vaniglia.
- Che profumo! – sussurrò baciandomi una spalla che aveva liberato dal tessuto.
- E’ la crema dei bignè. –
- Te la sei spalmata addosso? –
Non trovai la forza di rispondergli, troppo presa dalle sue audaci carezze. Il kimono ed il resto della biancheria erano scivolati ai miei piedi lasciandomi finalmente senza difese, nel corpo e nell’anima.
Avrei voluto voltarmi, strappargli i vestiti di dosso e inginocchiarmi davanti al suo corpo maestoso per rendergli omaggio come meritava, quasi fosse una divinità, quella che avevo venerato nelle mie notti solitarie o in segreto, mentre giacevo sotto l’uomo che per un attimo mi ero illusa di amare.
Volevo dargli piacere ma ero intrappolata tra il piano della cucina ed i suoi fianchi che premevano contro di me lasciandomi intuire quanto piacere ricevesse dal mio piacere.
Non potevo far altro che assecondare le sue mani che gentilmente mi convincevano a piegarmi in avanti.
No, non così, voglio guardarti negli occhi… ma il mio pensiero sfumò in un caldo e morbido nulla mentre il mio corpo si apriva per accogliere il suo, forte ed imperioso.
Come un’onda che batteva la sabbia bagnata e poi si ritraeva per tornare subito dopo con uguale energia, il sesso dell’uomo scavava la mia anima riempiendola di piacere e, infine, dei suoi umori nell’ultimo sublime istante. Ma non sembrava sazio: mi divorava la schiena con teneri morsi e le sue carezze incessanti non abbandonavano il mio corpo e mi portavano ad una nuova, intensa estasi.
Fu solo a quel punto che mi lasciò libera e mi consentì di voltarmi, di buttargli le braccia al collo e coprirlo di baci come desideravo, con una frenesia che non lasciava scampo a nessuno dei due.
Mi baciò gli occhi e le guance aspirando le mie lacrime d’amore e di passione e mi strinse a sé. Rimanemmo abbracciati nella cucina silenziosa, tra il profumo di vaniglia ed i raggi del sole che entravano a fiotti dalla grande vetrata, e rimanemmo abbracciati sotto il getto della doccia, mentre i nostri corpi si rianimavano e riprendevano rapidamente vigore per amarsi di nuovo nel letto disfatto, tra le lenzuola di cotone.
Per giorni avevo immaginato la nostra prima volta come la scena di una telenovela, tutta seta, cristalleria e champagne. Glielo dissi in un momento di relax e lui scoppiò a ridere.
- Credo che tu abbia bisogno di un po’ di tempo per ridefinire il tuo concetto puerile di rapporto sessuale. –
- Che stai dicendo? – chiesi sorpresa.
- Niente, è solo un libero adattamento di un dialogo del film. –
- Ah. Beh, dopo quello che abbiamo fatto credo di essere già sufficientemente ridefinita! –
Russell si abbandonò sul materasso con un’espressione beata dipinta in viso.
- Mi ami? – chiese.
- No, è solo sesso! – risposi a bruciapelo e rimasi a guardare la sua reazione: quello che per me era stato uno scherzo su di lui aveva avuto l’effetto di una frustata. Dopo il primo attimo di sorpresa mi guardò fissa negli occhi con un’espressione greve per scoprire se quello che avevo detto era la verità. Non avrei mai pensato che fosse così vulnerabile.
- Non si può non amarti! – dissi ridendo con il viso affondato nel suo petto. Lo sentii sospirare di sollievo e quando alzai gli occhi notai che ogni traccia di dubbio era scomparsa dal suo viso.
- Sono passati cinque anni ma ne è valsa la pena! –
- Cinque anni? –
- Sì. Ricordi quella notte nel mio camper? Tu pensavi che io dormissi e invece morivo dalla voglia di abbracciarti e fare l’amore con te. –
- Perché non l’hai fatto? –
- Perché saresti scappata e non era questo ciò che volevo. Ma non è stato solo quello il motivo: se ci avessi provato ti saresti sicuramente sentita una come tante, come quelle tipe che mi portavo a letto e che non significavano niente per me. Non volevo che ciò che c’era tra noi si riducesse ad una sola notte di sesso. –
- Perché, cosa c’era tra noi? –
- Tutto, e avrebbe potuto esserci ancora di più. Claire, mi facevi impazzire, ma eri così insicura e sfiduciata che avrei potuto fare qualsiasi cosa per fartelo capire ma tu non te ne saresti accorta ugualmente e avresti pensato che ti stavo prendendo in giro. Non è così? –
I miei pensieri corsero alle giornate di giugno del ‘96 e di nuovo avvertii quella stretta allo stomaco che mi prendeva ogni volta che Russell mi si avvicinava o che lo vedevo sorridere a qualcun’altra. Ansia di piacergli e paura dei miei sentimenti, gelosia e speranza: non c’era stata tregua per i miei nervi.
- Perché non me l’hai mai detto? Tu non sai che cosa vuol dire sentirsi respinti, stupidi, inutili, indegni… Avresti almeno potuto… - chiusi gli occhi per scacciare le lacrime che pizzicavano dietro le palpebre.
- Fare cosa? Stare insieme a te, parlarti, sorriderti, accarezzarti? Quante volte l’ho fatto, te ne sei dimenticata? Ma suppongo che tu non ti sia mai chiesta il perché. –
Era vero, avevo così paura di illudermi che mi ero chiusa gli occhi e le orecchie e avevo negato l’evidenza, anche quando i suoi occhi rimanevano nei miei più del consentito, anche quando lo scoprivo a guardarmi da lontano oppure appariva improvvisamente alle mie spalle e mi sussurrava qualcosa di gentile o divertente.
- Non esisteva un modo giusto per farti capire cosa provavo, ogni cosa avrebbe potuto assumere il significato opposto se pensavi che mi stessi divertendo alle tue spalle. – riprese.
- E così hai preferito lasciare le cose come stavano e amici come prima! –
- Avevamo alternative? Era giusto illuderci per qualcosa che non aveva futuro? –
- No. – sospirai a fatica per il nodo che mi stringeva la gola.
- Ti prego, non fare così, mi fai sentire in colpa. – disse abbracciandomi teneramente appena le prime lacrime mi brillarono tra le ciglia.
- Perché io? – gli chiesi poco dopo. Era tanto tempo che volevo fargli quella domanda.
- Non lo so. – sussurrò, poi sorrise – Ehi, che fai, mi rubi le battute? –
- Scusa Bud! – risposi ridendo tra le lacrime.
- Mi piacevano la tua semplicità e la tua dolcezza, i tuoi dubbi e le tue incertezze, i tuoi rossori che mi facevano capire cosa provavi anche se ti sforzavi di sembrare indifferente. Eri così fragile eppure così forte, eri vera. – proseguì.
- E pensare che ho sempre maledetto il mio modo di essere. Credevo che fosse la mia goffaggine la causa della tua mancanza di interesse nei miei confronti. Mentre tornavo in Francia ho giurato a me stessa che sarei stata diversa, che non mi sarei lasciata scappare più alcuna occasione. –
- Ci sei riuscita? –
- Mi sono limitata a lasciarmi corteggiare e a non dire no agli uomini che mi desideravano e per i quali provavo appena un briciolo di attrazione. Sono state relazioni che non mi hanno dato nulla e alla fine ho scoperto di non essere molto più soddisfatta di me stessa di quanto lo fossi prima. Credo che questo significhi che non si può andare contro la propria natura. –
Russell mi rivolse un sorriso di una dolcezza infinita e mi accarezzò il viso. La mia felicità era tale che per un momento pensai che non sarei riuscita a sopportarla. Tra tutte le splendide donne di cui era sempre circondato, lui aveva scelto me, una sua fan, una come tante.
Lo abbracciai grata e lui mi strinse a sé fino a farmi scricchiolare le ossa.
- E’ vero che non si può andare contro la propria natura! – sussurrò - Anch’io vorrei poter vivere d’amore, ma non posso ignorare il mio stomaco che si contorce per la fame. –
Scoppiai a ridere, poi mi misi qualcosa addosso e corsi in cucina a recuperare i pochi bignè che avevo preparato.
Quando tornai in camera Russell se ne stava sdraiato a fumare tranquillamente. Dava l’impressione di un leone sazio e soddisfatto che si prendeva il meritato riposo.
Balzai sul letto e gli misi in bocca un bignè.
- Questo è tutto quello che c’è di pronto. –
- In Francia non si usa mangiare? –
- Sì, ma si usa anche andare a fare la spesa quando il frigorifero è vuoto, e passare una giornata a letto, per quanto piacevole sia, non aiuta a riempire la dispensa. –
- Ho capito, è colpa mia… -
- Beh… non solo tua! – dissi ridendo. - Potremmo andare a cena fuori, che ne dici? –
- Non posso farmi vedere in giro. I paparazzi sbucano dal nulla, lo sai. Non voglio mettere nei pasticci Mark che si sarà inventato chissà cosa per giustificare la mia scomparsa da Londra. –
- Allora l’unica cosa da fare è chiamare una pizzeria da asporto aspettare a letto l’arrivo delle pizze. –
- Prospettiva allettante! –
Gli occhi di Russell brillavano felici ed innocenti come quelli di un bimbo mentre si leccava le dita con cui aveva raccolto dal piatto la crema che era colata dai bignè. Gli avevo lasciato l’intera razione e io avevo ripiegato sulle carote à la Crowe, fingendo indignazione ai suoi doppi sensi e alle sue allusioni ogni volta che mi portavo alla bocca una carota. Mi guardava con un’espressione furba e maliziosa e si passava la lingua sulle labbra.
"Ahhhhhh… yeah… yeah baby… this way…. Mmmmmmhhhhhh… !"
Ridendo gli lanciai in faccia un cuscino.
- Male che vada avrai sempre un futuro come doppiatore di film porno! –
- Solo doppiatore? –
- Beh… no. Effettivamente mi sento un po’ egoista a tenere per me il tuo talento! –
- Questo vuol dire che mi autorizzi ad esserti infedele! – disse ridacchiando.
- Ehi Ciccio, non ci provare! –
- Ciccio? Cosa significa? –
Scoppiai a ridere. – Niente! -
Per un po’ rimanemmo sdraiati sul letto a ridere di battute sciocche, poi improvvisamente Russ diventò serio e mi chiese:
- Che intenzioni hai? Te la senti di seguirmi? –
- Seguirti? – sospirai – Aspettarti e raggiungerti, questo è possibile. Purtroppo ho un lavoro impegnativo… -
- Vi odio, voi donne in carriera! La prossima volta voglio innamorarmi di una casalinga single e senza famiglia, che non abbia legami di nessun tipo e che mi segua ovunque. –
Mi trattenni dal ridere perché sapevo che era sincero.
- Farò di tutto perché non ci sia mai una "prossima volta". – gli sussurrai abbracciandolo.
*Rue Saint Vincent - A scanso di equivoci la via esiste, è a Montmartre, nelle vicinanze del Sacre Coeur ma questo è tutto quello che so per averlo visto sulla cartina. Il numero invece è tirato a caso.
** E' curioso: questa frase sembra avere qualche riferimento con la situazione di questi giorni, cioè la rissa nel ristorante londinese, e invece l'ho scritta più di 6 mesi fa!
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(Sviluppo "pratico")
- Claire, ti devo parlare. -
- Dimmi. -
- Non qui, Vieni con me. -
Un brivido di presentimento mi corse lungo la schiena quando Russ, senza aggiungere altro, mi afferrò una mano costringendomi ad alzarmi. Lanciai un’occhiata allarmata a Mark che non fece nient’altro che sorridere maliziosamente, Fu così che mi rassegnai a seguire Russell che girava l'angolo della casa dirigendosi verso il bosco.
L'oscurità era interrotta solo dalle luci della casa che filtravano tra gli alberi e dalla luna che faceva capolino tra i rami. Non so come facesse Russ ad orientarsi, io riuscivo a malapena a vedere dove mettevo i piedi. Nell’aria c’era una strana elettricità che mi dava i brividi e mi spediva il cuore in gola.
- E’ buio, torniamo indietro. –
L’unica risposta fu un braccio che mi circondò la vita aiutandomi a procedere.
- Russ, le lucciole me le hai già mostrate. –
Non sapevo se essere più timorosa o più incuriosita ed eccitata perché intuivo il motivo per cui mi aveva condotta nel bosco.
Russell si fermò e io per un attimo pensai che volesse dar retta alle mie proteste, invece il suo braccio attorno alla mia vita aumentò la sua stretta finché non mi trovai addosso a lui.
- A nessuno verrà in mente di venirmi a cercare qui. – mormorò mentre le sue labbra si incollavano al mio collo e la lingua tracciava una linea sottile dall’orecchio alla clavicola. Un gemito mi sfuggì dalle labbra, un gemito che suonò come un incoraggiamento e lo fece impazzire. Mi prese il viso tra le mani e mi baciò con una foga che mi lasciò stordita. Mi divincolai un attimo per riprendere fiato e in quel momento notai la sua espressione turbata, come se si aspettasse da me una reazione negativa. E invece lo baciai con una passione che sorprese me per prima, anni di amore e desiderio concentrati in un unico bacio.
C'era una voce che sussurrava "lasciati andare". Forse era Russell che lo sospirava nelle mie orecchie mentre mi stringeva i lobi tra le labbra, o forse era la mia mente che mi esortava a non rovinare quel momento che desideravo da tanto. Non avevo bisogno di suggerimenti, il desiderio che provavo era tale che non mi sarei tirata indietro per nessun motivo.
Russell rispondeva nello stesso modo: sentivo i muscoli tesi della sua schiena mentre le mie mani si insinuavano sotto la maglietta alla ricerca della sua pelle.
Eravamo come impazziti, due animali in preda ad un folle desiderio che annullava ogni ritegno. Eravamo solo mani che stringevano più che accarezzare, solo bocche che mordevano più che baciare, solo lingue che si insinuavano in ogni recesso, solo corpi che morivano dalla voglia di unirsi.
Crollammo a terra in mezzo alla polvere del sentiero, sopra gli steli d'erba e le foglie secche. Ero totalmente indifferente ai piccoli rami che mi graffiavano la pelle, conscia solo del mio e del suo calore che pulsavano nella profondità del mio corpo.
Nelle mie orecchie sentivo i suoi gemiti sommessi e parole incomprensibili pronunciate da una voce che era essa stessa una carezza e che mi eccitava né più né meno delle sue mani sapienti e della lingua che mi lambiva i capezzoli.
In un attimo la scintilla che si apriva nel mio grembo si irradiò ad ogni fibra del mio corpo che si avvinghiava freneticamente allo splendido uomo abbandonato al proprio piacere.
Rimanemmo lì, inchiodati al suolo, senza riuscire a far altro che ansimare mentre i nostri corpi si placavano lentamente e le nostre menti riprendevano il controllo.
Ricominciavo a sentire il suo peso sopra di me, la sua pelle umida e salata, il solletico della barba e del suo respiro sul mio collo.
Russell si sciolse dal mio abbraccio e mi aiutò ad alzarmi. Ci ricomponemmo in un silenzio irreale, entrambi increduli per quello che era successo, ed uscimmo dal bosco tenendoci per mano.
Russell, perso nei propri pensieri guadava fisso davanti a sé con un’espressione indecifrabile. Non mi guardava, non so perché, in fondo gli avevo dato ciò che desiderava. L’avevo forse deluso? Non potendo rimanere nel dubbio mi fermai di colpo costringendolo a voltarsi per la sorpresa. Lo fissai negli occhi aspettando la sua reazione e, con mio grande sollievo, vidi il suo viso distendersi ed illuminarsi di un sorriso radioso e irresistibile. Scoppiammo entrambi in una risata irrefrenabile. Era felicità ciò che gli brillava negli occhi, non stava recitando, ne ero certa. Mi baciò dolcemente e mi tenne stretta a sé per un lungo momento, poi ci allontanammo insieme per tornare nella luce e nel frastuono della festa.
Lasciai Russell in mezzo ai suoi amici e mi ritirai in casa per una doccia che mi togliesse di dosso la polvere, anche se questo avrebbe significato lavare via l’odore dell’uomo che amavo. Sarei stata fiera di muovermi in mezzo alla gente indossando quell’odore come se fosse un profumo pregiato.
Non mi andava di tornare fuori in mezzo al caos, niente mi interessava più tranne
Russell. Vedevo gli amici come un fastidioso ostacolo tra me e lui, eppure fino a pochi minuti prima avevo trovato molto piacevole la loro compagnia. Mi stesi sul letto concentrandomi sui rumori che provenivano dall’esterno della casa in attesa di udire le auto partire portandosi lontano tutta quella gente importuna, ma il tempo passava e niente di quello che speravo con tutte le mie forze si realizzava. Di minuto in minuto vedevo sfumare i miei sogni di una notte d’amore. Il dubbio che per Russell fosse stato solo sesso e che, una volta soddisfatte le sue voglie, di me in realtà non gli importasse granché, mi strinse lo stomaco e mi riempì gli occhi di lacrime. Sempre più frustrata cominciai a piangere come una bambina che non riesce ad ottenere ciò che vuole e, come una bambina, stanca e spossata mi addormentai profondamente.
Subito cominciai a sognare un turbinio di immagini indistinte, più sensazioni che forme definite, e fra queste qualcosa di morbido ed umido che mi sfiorava le labbra. Il mio corpo reagiva accendendosi di piacere e il desiderio che tutto ciò fosse reale mi costrinse ad aprire gli occhi. Labbra morbide si muovevano lievi sulle mie e non si trattava di un sogno… Allungai una mano ad accarezzare la pelle liscia della nuca sotto i capelli, arrotolando tra le dita le ciocche che si arricciavano. A quel tocco Russell si sollevò e mi guardò sorridendo dolcemente.
- Non volevo svegliarti ma non ho potuto resistere. Ero venuto a vedere perché non tornavi in giardino. Temevo che ce l'avessi con me per essere stato troppo brutale. -
- Brutale? No, non sei stato brutale. Hai fatto ciò che andava fatto, non mi hai dato tempo per pensare e di questo ti ringrazio. –
I rumori del giardino si erano un po’ placati. Le poche voci che si sentivano venivano inghiottite dal silenzio circostante.
- La festa è finita? –
- Più o meno. Sono rimasti in pochi e non se ne andranno prima di domattina o prima che sia finita la birra. –
Un brivido mi corse lungo la schiena nel vedere lo sguardo tenero e caldo che Russell mi rivolgeva mentre mi accarezzava il viso. Scostai un lembo del lenzuolo e sussurrai:
- Vieni. –
Russ non se lo fece ripetere due volte e si sfilò di dosso la maglietta. Rimasi a guardarlo spogliarsi finchè non rimase in boxer e si infilò a letto accanto a me.
Vivevo un senso di irrealtà, come se si trattasse di un sogno, ma sapevo che questa volta era reale. Era reale la sua pelle che scorreva sotto le mie mani mentre gli accarezzavo il petto, erano reali i battiti del suo cuore nel mio orecchio mentre mi teneva abbracciata. Non so perché ma mi vennero in mente tutte le volte che, con Carla ed altre amiche trovate in Internet, avevo fantasticato sul suo corpo ricordando in segreto quell'unica notte di cinque anni prima all'interno del suo camper. Persa in queste riflessioni non riuscii a reprimere una risatina.
- Lo so, lo so, sono ingrassato ma non mi sembrava di essere così ridicolo! -
- Che stai dicendo? Sei bellissimo! Stavo pensando che sono a letto con uno degli uomini più desiderati del mondo e c'è chi mi farebbe la pelle pur di prendere il mio posto. Non so se hai mai letto quello che si dice di te nelle varie messaggerie che ci sono in Internet. -
Lui scoppiò a ridere.
- Sì che lo so! Certo che ne hanno di fantasia! E tu? Anche tu partecipi alle discussioni? -
- Beh sì, ammetto di averlo fatto. -
- Almeno tu avevi qualcosa di reale da raccontare. -
- Ben poco a dire la verità. –
- Adesso hai qualcosa di più. –
- Ma non lo racconterei per nessuna ragione. Pensa che prima di venire qui non sapeva del nostro incontro di cinque anni fa neppure Carla che è la mia migliore amica. Mi ha odiata per questo, pensava che non mi fidassi di lei a sufficienza. Non sapeva nulla nemmeno
Paul. –
- Lui lo sapeva, gliel’ho detto io. È stata la prima cosa che gli ho detto quando l’ho contattato per la casa. Volevo che il progetto fosse tuo. Morivo dalla voglia di rivederti, perciò ho parlato con Paul e gli ho chiesto di te. –
- Non importava che ti impegnassi in una spesa simile solo per rivedermi, bastava che mi telefonassi. – dissi ridendo.
- L’ultima volta che l’ho fatto mi hai scaricato. –
- Già. Quel maledetto rispetto per Maurice… - sospirai
- Perché adesso non rimani qui? Tra una settimana devo fare il tour promozionale in Europa, perciò potresti tornare a casa insieme a me, con un comodissimo volo privato. –
- Mi dispiace ma non posso, ho un sacco di lavoro da fare a Parigi e poi ho una missione da compiere… –
- Posso parlare io a Paul e convincerlo a farti rimanere ancora per una settimana. Per quanto riguarda la "missione", la puoi compiere anche da qui con una telefonata o una e-mail. –
- Non sono così vigliacca da scaricarlo per telefono. –
- E perché no? Tu non gli devi niente! –
- Ma… -
- Ti ha sempre trattata bene? Ti ha sempre rispettata? –
Esitai.
- Rispondi! –
- No. -
- E allora ripagalo con la stessa moneta! È ora che pensi un po’ a te stessa. E se non vuoi farlo, allora pensa a me, io ho bisogno di te. Ho aspettato cinque anni un’occasione come questa e, non so se te ne rendi conto, ma avremo sempre poco tempo per stare assieme, non è il caso di sprecarlo per qualcuno che non se lo merita. –
- Chi ti dice che io voglia stare con te? –
Lui mi accarezzò una guancia guardandomi intensamente negli occhi.
- Tutto. Tutto in te me lo dice, fin dall’inizio. Non è necessario che tu sia sincera con me ma … -
- … ma cerca di esserlo con te stessa. Ok Russ, ho capito la lezione. Hai ragione però… a volte detesto riconoscere che hai sempre ragione tu. –
- Allora è tutto a posto! –
- No… senti, voglio guardarlo negli occhi quando gli dirò ciò che penso di lui. –
Russell sospirò.
- Che cosa devo fare per convincerti a rimanere? Legarti al letto? O sfinirti d’amore e di sesso finché non avrai più la forza per muoverti? –
- Attento, potresti essere tu quello che alla fine non avrà più la forza per muoversi! –
La risatina allegra e maliziosa di Russ risuonò lieve nella penombra.
- Scommettiamo? – dissi.
- Ok. Se vinco io rimarrai qui. –
- Se invece vinco io… se invece vinco io rimarrò qui! –
Russell mi abbracciò ridendo.
- Allora non c’è bisogno di scommettere! Vedo che cominci a ragionare. –
- Però non sono del tutto convinta. –
Un brivido di piacere mi attraversò la schiena nel vedere lo scintillio sensuale dei suoi occhi poco prima di baciarmi. La sua lingua giocava con le mie labbra nello stesso modo con cui le sue dita mi sfioravano la pelle dell’inguine e si insinuavano oltre il bordo dello slip di pizzo. Mi abbandonai al piacere che lui mi procurava e cominciai a gemere sommessamente.
- Sei convinta adesso? Rimarrai? -
- Sì… - sospirai mentre il mio corpo, sempre più fluido e inconsistente si plasmava tra le sue mani come creta bollente.
- Mmmh! Incorruttibile come il tuo antenato Robespierre! - mormorò con una risatina ironica e soddisfatta.
Ero libera! Libera dai doveri, dalle responsabilità e dai sensi di colpa, libera di amare e di prendermi tutto l'amore ed il piacere di cui avevo bisogno.
Quella volta non era lo stupore selvaggio di un attimo rubato tra gli alberi di un bosco e la polvere di un sentiero come poche ore prima. Era l'unione di due esseri che per anni si erano aspettati, sognati e desiderati, erano gesti consapevoli di avere ore ed ore davanti da vivere nel migliore dei modi, da non sprecare, perché di notti così non ce ne sarebbero state molte nel nostro futuro e questo lo sapevamo bene.
Anche Maurice era un amante esperto e fantasioso, ma in Russ c'era qualcosa di più, un perfetto equilibrio tra passione e dolcezza, una sensibilità che mi faceva sentire finalmente amata ed appagata.
*** *** ***
Un rumore ritmico che si faceva sempre più intenso mi fece uscire dal sonno. Era Paul che bussava alla porta.
Russ, ancora addormentato, mormorò una protesta quando mi sottrassi al suo abbraccio per rispondere a
Paul. Scesi dal letto e mi misi addosso la prima cosa che trovai, cioè la maglietta di
Russell, poi sgusciai fuori dalla stanza chiudendomi la porta alle spalle, sotto lo sguardo esterrefatto del mio capo.
- Claire, ma… Dovresti già essere pronta. Perderemo l’aereo! –
- Paul, ti devo parlare. –
- No, io ti devo parlare. – disse una voce profonda alle mie spalle. Russell era uscito dalla stanza con addosso solo i boxer. Era bellissimo anche così, tutto arruffato e con il viso assonnato.
- Non è necessario, ho capito tutto. Sono affari vostri, non mi dovete nessuna spiegazione. –
- Sì invece. – disse Russ e ci guidò verso il soggiorno dove prendemmo posto sul divano.
- Paul, Claire rimane qui per un’altra settimana. Non è un’idea sua perciò io ti risarcirò per tutti i disguidi che questo può causarti. –
- Non ti preoccupare, per una settimana posso cavarmela anche senza di lei. – disse, poi si rivolse a me.
- E tu che farai con Maurice? –
- Gli manderò un’e-mail per spiegargli tutto. –
Un largo sorriso d’intesa illuminò il viso dell’uomo.
- Saggia decisione! Ragazzi, è ora che io vada, Terry mi sta aspettando in cortile. Vi auguro tutto il bene possibile. –
- Grazie! –
Provavo un profondo senso di gratitudine nei confronti di quell’uomo che, da quando aveva messo piede nella mia vita, mi aveva trattata come una figlia nonostante fossi solo una sua dipendente. In quel momento, sapere che appoggiava la mia scelta mi dava l’assoluta certezza che stavo facendo la cosa migliore per il mio futuro.
Io e Russell seguimmo Paul fuori, dove era radunato il resto della famiglia e
Mark. Con stupore notai che nessuno appariva sorpreso nello scoprire che io non sarei tornata a casa quella mattina, come se tutti quanti immaginassero già da tempo la conclusione della storia.
Dopo aver caricato i bagagli sul furgone di Terry, Paul passò ai saluti. Mi si avvicinò e disse, accennando a Russell
- Mi raccomando, trattamelo bene! –
- Certo! Grazie di tutto, Paul. –
- Di niente ma ricorda, la settimana prossima voglio vederti in studio con i piedi saldamente appoggiati al pavimento ed il cervello collegato! –
- Farò il possibile. – risposi ridendo.
Io e Russell rimanemmo abbracciati ad osservare il pick up che si allontanava sulla strada sterrata e scompariva in una nuvola di polvere.
Provai una stretta al cuore, una specie di dolce malinconia unita ad un po’ di apprensione per la svolta che da quel momento avrebbe preso la mia vita.
Come se riuscisse a leggermi nel pensiero, Russ mi sussurrò in un orecchio:
- Non preoccuparti, hai fatto la cosa giusta, anzi, la cosa più giusta che tu abbia mai fatto in tutta la tua vita! –
- Presuntuoso! Spero solo di non essere finita dalla padella nella brace! –
Lui mi rispose con un bacio appassionato.
- Forza, torniamo a letto. –
- Niente lezione di mungitura stamattina? – chiesi.
- Come no! –
Scossi la testa ridendo.
- Non ti è bastato quello che abbiamo fatto stanotte? –
- Quello valeva per ieri. La giornata è appena iniziata… -
Detto questo mi circondò le spalle con un braccio e mi ricondusse in casa.
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