Epilogo
Princeton - Giugno 2001
Il sole caldo batteva implacabile sulle facciate dei vecchi edifici dell’università e io gironzolavo ai margini del set aspettando di veder comparire Russell al termine delle riprese in interni […]
Fu così che, tra urti e spinte, mi trovai proprio dietro di lui.
Non so come facesse a sopportare le decine di mani protese verso di lui per porgergli qualcosa da firmare o per toccarlo e ad infischiarsene degli obiettivi delle macchine fotografiche a pochi centimetri dal suo viso.
Improvvisamente una spinta mi catapultò addosso a lui rovinando l’autografo che stava scrivendo.
- Ehi!!! – gridai agli scalmanati che mi avevano spinta
Russ si voltò verso di me imprecando, gli occhi che mandavano lampi, ma fu solo un attimo perché, dopo il primo istante di sorpresa, il viso gli si rischiarò in un impercettibile sorriso, qualcosa che solo io fui in grado di notare.
La ragazza a cui stava scrivendo la dedica mi rivolse una serie di parolacce da far impallidire uno scaricatore di porto.
Russ, con un tono che non ammetteva repliche, le intimò di tacere poi si volse di nuovo verso di me e prese gentilmente la copertina di BLOC che gli stavo porgendo.
- Come ti chiami? –
- Claire. –
- Di dove sei? –
- Cap Fréhel, Francia. –
- Bel posto. Ci sono stato poco tempo fa a trovare un’amica. –
- Ragazza fortunata! –
Ci scambiammo un sorriso d’intesa senza badare che qualcuno potesse accorgersene, poi mi allontanai con l’immagine del viso radioso di Russell ancora davanti agli occhi.
Gli avevo fatto una bella sorpresa, di questo ne ero certa. Erano giorni che insisteva perché lo raggiungessi ma i miei impegni di lavoro erano stati tali da non consentirmi di muovermi. Un susseguirsi interminabile di riunioni, seguite da nuovi progetti da elaborare. Avevo lavorato quasi 24 ore su 24 per finire il lavoro qualche giorno prima e riuscire a ritagliarmi un po' di ferie.
Senza dire niente a Russell avevo prenotato una camera nello stesso hotel in cui lui alloggiava, in questo modo sarei riuscita a muovermi senza dare nell'occhio, quindi mi ero infilata sul primo aereo per New York.
Ora non mi restava altro che tornare in hotel, farmi un bell'idromassaggio per eliminare le tracce di stanchezza ed aspettare. Avevo mandato a Russ un sms per comunicargli il numero della mia camera e qualche ora dopo sentii bussare alla porta.
Russell, nascosto dalla visiera del berretto da baseball, si guardava intorno con aria furtiva. Senza dire nulla sgattaiolò all’interno e in un attimo io mi trovai stretta tra le sue braccia.
Non ci vedevamo dalla metà di marzo, cioè da quando era tornato da me al termine del suo tour in Europa ed aveva cercato in tutti i modi di convincermi ad accompagnarlo alla Notte degli Oscar, ma a causa dei soliti problemi legati a Maurice ed al processo, non avevo potuto lasciare Parigi.
In un certo senso questo era stato un bene perché non ero ancora pronta a sentire su di me la curiosità di mezzo mondo, ma così facendo avevo dovuto sopportare il tormento di vivere da lontano la sua stessa emozione, mentre la cosa che desideravo di più era stargli vicino in quel momento così importante, stringergli la mano e fargli sentire quanto ero fiera di lui.
Al suo fianco, seduta in platea, c’era Danielle e per quanto io mi sforzassi di essere razionale, non riuscivo ad evitare quel morso di gelosia che mi stringeva lo stomaco ogni volta che le telecamere li inquadravano insieme.
Non avevo voluto nessuno accanto a me in quella interminabile notte, nemmeno Carla. Niente e nessuno doveva distrarmi, quello era l’unico modo per sentirmi veramente vicina a
Russ. Così era stato fino alla fine, quando le lacrime di gioia avevano dissolto lentamente la mia tensione.
Stavo ancora piangendo quando mi telefonò. Nelle poche parole che riuscì a pronunciare prima di essere trascinato via la voce gli vibrava di felicità ed entusiasmo.
- Claire, vieni a Princeton, ho un assoluto bisogno di vederti! – mi disse il giorno dopo, poco prima di salire sull’aereo che lo avrebbe portato sul set.
Povero Russ, senza un attimo di respiro… e povera Claire! Da quel momento infatti iniziò uno dei periodi più intensi della mia vita, ma ne valeva la pena. Presto sarei stata pronta a seguirlo anche in capo al mondo: ero riuscita ad organizzarmi in modo da poter lavorare lontano dallo studio, chiusa in una suite d’albergo e circondata dai miei disegni, dalle matite e dall’inseparabile notebook, nell’attesa di veder tornare il mio uomo dopo una giornata di lavoro come una qualsiasi, trepidante, giovane moglie. L’amore era ciò che mi rendeva sopportabile qualunque sacrificio, ed ora ero lì, tra le sue braccia, la giusta ricompensa per i miei sforzi.
Il berretto volò sul pavimento rivelando i capelli corti che lasciavo scoperto il viso morbido di cui l’assenza della barba esaltava i tratti fanciulleschi.
Mi ci volle un po’ prima di riconoscere, nel suo aspetto così insolito, l’uomo che amavo. Avevo visto centinaia di sue foto in cui aveva i capelli corti ed era senza barba, eppure il "mio" Russ aveva sempre avuto l’aspetto incolto e un po’ trasandato.
- Quando sei arrivata? –
- Ieri sera. –
- Si può sapere perché non mi hai chiamato? Avremmo potuto passare la notte insieme! –
- Non ti arrabbiare. Ci avevo pensato ma ero troppo stanca e preferivo che tu mi vedessi un po’ più in forma. –
Le sue mani corsero lungo la mia schiena e mi si strinsero sulle natiche.
- Sì, non c’è male… - disse ridendo.
Lo abbracciai senza parlare, troppo felice perché i miei sentimenti potessero essere espressi a parole.
Mentre gli occhi del mondo erano puntati sulla sua vita sentimentale e illazioni e fantasie sui giornali si sprecavano, la realtà era nella penombra di una stanza d’albergo, in cui una sconosciuta amava il proprio uomo, al centro di tutto ma al riparo da occhi indiscreti.
Non sarebbe stato sempre così, ne ero certa, ma questo non aveva alcuna importanza…
FINE