CAPITOLO V
OPENSOURCE E COPYLEFT NELLE OPERE NON SOFTWARE

INTRODUZIONE. – Nel capitolo III abbiamo visto come il mondo dell’informatica, inteso come la comunità dei programmatori indipendenti (hacker) e dei singoli utenti, si è impegnato nella direzione di allentare le eccessive restrizioni del copyright attraverso un sistema di trasferimento di diritti e obblighi basato su particolari licenze il quale è definito complessivamente come ‘copyleft’; nel capitolo IV abbiamo invece allargato il campo visivo del fenomeno presentando le implicazioni giuridiche derivanti dal panorama rivoluzionario della tecnologia digitale e telematica. Cerchiamo ora di “chiudere il cerchio” della nostra indagine analizzando le modalità con cui negli ultimi anni alcuni movimenti culturali hanno applicato il sistema delle licenze copyleft negli altri rami della creatività che non sono strettamente software.

1. LO STRETTO LEGAME CON IL SOFTWARE. – Il fatto che l’imput per l’applicazione dei principi di libertà di copia e di modifica alle opere non software provenga dall’ambito informatico non dipende semplicemente dalla particolare disposizione culturale ed etica della comunità hacker, ma anche da un nesso di praticità e convenienza fra sviluppo libero del software e sviluppo libero della relativa documentazione. Cerchiamo di capire le proporzioni del fenomeno compiendo un suo inquadramento storico e una chiara delineazione delle sue manifestazioni concrete.

1.1. LA MANUALISTICA TECNICO-INFORMATICA E LA GPL. – L’idea di diffondere un’opera non software (precipuamente un’opera letteraria) con gli stessi criteri della licenza GPL cominciò a prospettarsi già ai primi sviluppatori e promotori del progetto GNU, i quali erano soliti annotare di volta in volta le modifiche tecniche che apportavano al software libero anche sul relativo file di testo con le istruzioni tecniche.
Fin quando lo sviluppo del software rimaneva in fase sperimentale, la modifica dei manuali d’istruzioni non dava grandi problemi, essendo anch’essi in via di redazione; la situazione si faceva più intricata quando veniva rilasciata una versione definitiva del software in un pacchetto (completo di manuale) pronto per la distribuzione al pubblico. Infatti in questo passaggio, il software era un’opera già completa e definita che però godeva delle libertà derivatele dai termini della licenza GPL, ovvero il ‘permesso di copia’ e la possibilità di modifica; il relativo manuale invece sottostava alla tutela tradizionale per le opere letterarie tecnico-scientifiche, quindi senza le fondamentali libertà della GPL.
Da ciò scaturiva una situazione di fastidiosa incoerenza con l’etica hacker e soprattutto di paradossalità pratica, dato che le varie versioni modificate, che sarebbero derivate dal software libero originario, non avrebbero potuto accompagnarsi ad un manuale altrettanto aggiornato e modificato. Ad esempio, uno sviluppatore che avesse aggiunto una funzionalità al software libero originario (possibilità garantitagli dalla GPL) non avrebbe potuto però aggiungere un’apposita sezione al manuale senza violare i diritti di copyright dell’autore originario del manuale: precisamente, nell’impostazione italiana, il primo diritto violato sarebbe stato il diritto morale d’autore alla paternità ed integrità dell’opera[185] ex art. 20 l.a. avrebbe eventualmente dovuto riscrivere un nuovo manuale.
Alla fine degli anni ’90 con la grande diffusione di Linux e l’affacciarsi del software libero sul mercato globale, la questione della non modificabilità dei manuali d’informatica sarebbe risultata una grave pecca per un fenomeno che doveva fare da modello per un nuovo paradigma di diffusione delle conoscenze qual era il movimento Opensource. Il personaggio più autorevole a notare e a far notare la rilevanza del problema fu proprio Richard Stallman, il quale in un suo saggio ripubblicato recentemente dice: “La documentazione è una parte essenziale di qualunque pacchetto software; quando un pacchetto importante di software libero è fornito senza manuale libero si ha una grossa lacuna.”[186]
Alcuni sviluppatori iniziarono dunque ad applicare la licenza GPL (quindi una licenza nata per il software) anche alla documentazione relativa al software e successivamente anche ai testi divulgativi dei vari progetti Opensource; un esempio tangibile di questa prassi si ritrova già in alcuni dei saggi più volte citati in questo testo (precisamente quelli di Raymond e di Perens) contenuti nel libro “Open Sources”[187] , che infatti riporta un’apposita nota sul copyright e in appendice il testo della licenza come riferimento per la loro particolare tutela.
Bisogna poi rilevare che l’uso della GPL garantisce una piena applicazione del copyleft, inteso cioè non solo come permesso di copia e di modifica ma anche come garanzia di trasferimento ‘ad libitum’ dei diritti a tutti i destinatari dell’opera; citiamo ancora le parole di Stallman per sottolineare questo principio: “I criteri per un manuale libero sono sostanzialmente gli stessi del software libero: è questione di dare a tutti gli utenti certe libertà. La ridistribuzione (compresa quella commerciale) deve essere consentita, così il manuale potrà accompagnare ogni copia del programma sia on line che su carta. Anche il permesso di fare modifiche è cruciale.”[188]
L’applicazione della GPL ad un’opera non software non deve stupire dato che, come abbiamo visto[189] , il diritto d’autore ha virtualmente equiparato il codice sorgente ad una normale opera letteraria di carattere tecnico-scientifico. Ora, agli albori del terzo millennio, ci si trova a ri-mutuare dei criteri di tutela che, estratti un tempo dall’ambito delle opere letterarie, sono - per così dire - fermentati per due decenni nella cultura informatica, per tornare nuovamente nel loro ambito originario: potremmo chiamare questo curioso fenomeno un “feed-back di principi”.

1.2. LA FREE DOCUMENTATION LICENSE. – Questa crescente necessità di malleabilità e libertà di diffusione della manualistica e dell’altro materiale divulgativo relativo al software libero, spinse la FSF a redigere una nuova apposita licenza: venne chiamata ‘GNU Free Documentation License’ (d’ora in poi FDL), ovvero ‘Licenza per documentazione libera del progetto GNU’, e la sua prima versione (la 1.1) comparve nel marzo 2000.
Tale licenza ricopre simbolicamente il ruolo di ‘pioniera’ fra i testi giuridici appositamente concepiti per applicazione dei principi di copyleft in opere di natura non software. Ne esaminiamo ora i contenuti, facendo riferimento alla versione 1.2 risalente al novembre 2002 e attualmente in vigore.
Il testo[190] , già ad un primo sguardo, mostra di ricalcare fedelmente lo stile e la struttura della GPL, in modo preminente per ciò che riguarda alcuni rilievi programmatici; risulta invece (rispetto alla sua capostipite) meno “inquinata” da considerazioni propagandistiche.
Il Preambolo ci chiarisce immediatamente gli scopi della nuova licenza, cioè “rendere un manuale, un testo o altri documenti utili e funzionali, ‘liberi’ nel senso di assicurare a tutti la libertà effettiva di copiarli e ridistribuirli, con o senza modifiche, a fini di lucro o meno.” Tale enunciazione si distingue per efficacia e capacità di sintesi da non necessitare alcun commento. Successivamente, uscendo dalla sfera programmatica e avvicinandosi alle implicazioni pratiche e giuridiche dell’applicazione della licenza, si dice che essa “prevede per autori ed editori il modo per ottenere il giusto riconoscimento del proprio lavoro, preservandoli dall'essere considerati responsabili per modifiche apportate da altri”: quest’ultima precisazione si ricollega all’apparato di garanzie che abbiamo visto nel rapporto fra sviluppatore e utente a proposito del software libero e specificamente nel commento alle Sezioni 11 e 12 della GPL.
Il Preambolo si preoccupa inoltre di collocare dichiaratamente la FDL nella “famiglia” delle licenze copyleft nel senso più puro voluto dalla FSF, ovvero di garanzia di trasferimento delle libertà ‘ad libitum’. E infine aggiunge che, pur essendo nata come “completamento della GPL” (quindi per la distribuzione della documentazione del software libero) essa “può essere utilizzata per ogni testo che tratti un qualsiasi argomento e al di là dell'avvenuta pubblicazione cartacea” e se ne raccomanda l’utilizzo per tutti i manuali tecnici e per i testi che abbiano fini didattici. [191]
La sezione 1 (intitolata ‘Applicabilità e definizioni’) ci dà alcune utili definizioni per la corretta interpretazione della licenza (come ‘documento’, ‘versione modificata’, ‘sezioni non modificabili’, ‘copia trasparente’), ma non senza aver prima definito l’ambito d’applicazione della licenza, ovvero “qualsiasi manuale o altra opera, su qualsiasi supporto, che contenga una nota del detentore del copyright indicante che si può distribuire nei termini di questa licenza”.
La sezione 2 è dedicata alle ‘Copie alla lettera’ ovvero ai casi in cui il copyleft rileva solo dal punto di vista del puro permesso di copia, non contemplandosi invece il diritto alla modifica. Ovviamente la libertà di “copiare e distribuire il documento con l’ausilio di qualsiasi mezzo” dev’essere ulteriormente mantenuta, senza aggiungere alle copie realizzate alcuna restrizione non prevista dalla stessa FDL.
La sezione 3 riguarda invece i casi in cui si voglia realizzare a mezzo stampa ‘Copie in notevoli quantità’, cioè in numero superiore a 100: si chiarisce quale trattamento attribuire ai testi di copertina nel caso in cui in una pubblicazione vengano raccolte diverse opere sotto licenza FDL e si obbliga colui che voglia distribuire (più di 100) copie ‘opache’ del documento a indicarvi chiaramente le modalità (per es. l’indirizzo web) per poter acquisire gratuitamente la corrispondente copia ‘trasparente’. Curiosa anche la raccomandazione (che riecheggia le prerogative tipiche dei diritti morali d’autore) per cui si consiglia di contattare l’autore del documento prima di distribuirne un numero considerevole di copie, per metterlo in grado di fornire una versione aggiornata dello stesso.
La sezione 4, che si occupa delle ‘Modifiche’, è la più dettagliata, dato che specifica in 15 punti (dalla lettera A alla lettera O) le condizioni con cui è ammesso intervenire attivamente sul documento: esse vertono principalmente sul mantenimento delle libertà derivanti dalla FDL (per es. con l’obbligo di allegare all’opera derivata una copia della licenza), sul giusto riconoscimento della paternità delle singole modifiche e sulla costante disponibilità delle versioni trasparenti anche per le parti modificate. Si prevede inoltre la possibilità di inserire nel documento ‘sezioni non modificabili’[192] , a condizione che vengano inequivocabilmente segnalate e riguardino contenuti non tecnici; particolare attenzione viene dedicata ai testi di copertina, i quali nell’ambito della distribuzione soprattutto cartacea ricoprono un fondamentale ruolo di marketing.
La sezione 5 (‘Unione di documenti’) sancisce la possibilità di unire in un’unica nuova opera un documento sotto FDL con altri documenti distribuiti sotto la stessa licenza, a patto che si includa l’insieme di tutte le ‘sezioni non modificabili’.
La sezione 6 (‘Raccolte di documenti’) e la sezione 7 (‘Raccogliere assieme ad opere indipendenti’) disciplinano rispettivamente la raccolta di documenti tutti tutelati da FDL e il raggruppamento di documenti sottostanti a diversi regimi di copyright (di cui almeno uno sotto FDL).
La sezione 8 considera la ‘Traduzione’ come un tipo di modifica e perciò non fa altro che rimandare alla sezione 4. A livello giuridico è invece molto interessante quanto si dice a proposito della traduzione della licenza stessa, che viene permessa a patto però “che si includa anche l’originale versione inglese”, la quale in caso di discordanze a livello interpretativo prevale sempre sulla versione tradotta. Questo risvolto ha una funzione di certezza del diritto e ha grandi riflessi in campo probatorio e di esegesi giuridica del testo.
La sezione 9, intitolata ‘Limiti di applicabilità’, precisa i termini generali entro cui la licenza è da ritenersi valida e gli eventuali casi di automatica decadenza dai diritti in essa previsti; equivale a grandi linee alla ‘Sezione 4’ della GPL.
L’ultima, la sezione 10 (‘Revisioni future di questa licenza’), riserva alla Free Software Foundation (alla stregua della ‘Sezione 9’ della GPL) la possibilità di pubblicare “nuove e rivedute versioni” della FDL.
Prevedibilmente, il testo della licenza si chiude con la tipica sezione esemplificativa per il suo corretto utilizzo.

2. UNA DIVERSA APPLICAZIONE DEL COPYLEFT. – Una prospettiva così innovativa e interessante per tutto il mondo della comunicazione non poteva rimanere relegata alla distribuzione di documentazione relativa al software libero, come d’altronde gli stessi compilatori della FDL avevano intuito (cfr. supra il ‘Preambolo’). Dalla seconda metà degli anni ’90 (ovvero gli anni del successo di Linux e della GPL) nel giro di pochi anni infatti molti autori e pseudo-editori di opere multimediali pensarono di applicare il paradigma delle licenze software anche ad opere del tutto prive di carattere tecnico-funzionale e rivolte piuttosto alla pura sfera della creatività artistico-espressiva.
E’ evidente però che in questo passaggio alle opere di tipo narrativo, poetico, musicale, grafico, cinematografico non poteva attuarsi una semplice trasposizione di paradigmi di tutela come poteva invece avvenire per la manualistica tecnico-informatica. Il trattamento di queste opere doveva tenere conto appunto della loro diversa vocazione di opere destinate a veicolare messaggi di tipo emozionale, a trasmettere sensazioni e ad esprimere spiccatamente la personalità dell’autore, in modo non comparabile ad un’opera funzionale o compilativa[193] .
Non bisogna dimenticare che il diritto d’autore era stato in origine concepito proprio come rivolto a queste opere ed è proprio la dottrina industrialistica ad offrirci un taglio giuridico su quale sia il precipuo oggetto della protezione di diritto d’autore: “la protezione ha ad oggetto l’opera in quanto rappresentazione della realtà o espressione di opinioni, idee e sentimenti […]”.[194] E’ per questo che si può vedere nell’affermarsi del copyleft l’occasione per un ritorno ad una concezione più classica del diritto d’autore. Torneremo più avanti su questo punto; per ora ci interessa sottolineare la diversità delle ripercussioni che l’Opensource può avere sui diversi campi della creatività.
In primo luogo, nell’ambito delle opere artistico-espressive l’aspetto della malleabilità e della loro indiscriminata modificabilità passa decisamente in secondo piano, prevalendo piuttosto quello della libera e gratuita distribuzione. Ad esempio, per le strette implicazioni con la sensibilità individuale dell’autore di cui abbiamo parlato, molti compositori di brani musicali hanno optato per licenze che incoraggiassero la massima libertà di copia, ma che limitassero la possibilità di intervenire sull’opera senza il loro esplicito consenso. Lo stesso può dirsi per le opere poetiche o figurative.
In opere di questo tipo ci si allontana inevitabilmente dai principi di disponibilità e apertura del sorgente (che risultano poco calzanti alla realtà del fenomeno), per concentrarsi piuttosto sulla libertà di copia e sulla trasparenza dei formati; di conseguenza sarebbe forse il caso di non parlare più di ‘open source’, ma semplicemente di ‘copyleft’.
Lo stesso Stallman sottolinea la differenza sostanziale fra manuali tecnico-informatici e testi di libera espressione delle idee: “in generale, non credo sia essenziale permettere alle persone di modificare articoli e libri di qualsiasi tipo. Per esempio, non credo che voi o io dobbiamo sentirci in dovere di autorizzare la modifica di articoli come questo, articoli che descrivono le nostre azioni e il nostro punto di vista.”[195]
Questa posizione trova conferma in gran parte delle disposizioni sul copyright che accompagnano l’immensa mole di articoli e saggi di stampo propagandistico e divulgativo che si trovano sui siti della FSF e del progetto GNU. Tali note “liquidano” la questione dei diritti d’autore su quel materiale con insuperabile sintesi e laconicità, senza nemmeno rimandare ai termini di una qualche licenza (per esempio GPL o FDL); il loro tenore letterale è più o meno questo: “La copia letterale e la distribuzione di questo testo nella sua integrità sono permesse con qualsiasi mezzo, a condizione che sia mantenuta questa nota”.
In questa manciata di parole si condensa appieno l’essenza del copyleft, senza però correre il rischio che qualcuno intervenga in modo arbitrario e distorto sulle idee e sullo stile espressivo dell’autore originario.

3. COPYLEFT E OPERE LETTERARIE. – Prendendo le mosse da queste premesse su tali sfaccettature del copyleft come fenomeno culturale oltre giuridico, entriamo nel merito delle sue implicazioni reali con le principali categorie di opere contemplate dal diritto d’autore; iniziamo dunque dalle opere letterarie in senso ampio, dunque non limitato all’ambito della manualistica tecnico-informatica.[196]

3.1. IL VERO SIGNIFICATO DI OPENPRESS. – Come abbiamo visto a proposito dei vari progetti legati allo sviluppo e alla distribuzione di software open source, l’uso dell’aggettivo ‘open’ è stato spesso usato per indicare la vocazione dei progetti verso la filosofia della condivisione e della libertà. In certi casi però l’uso dell’aggettivo si è trasformato in abuso, essendo esso sfruttato come una scaltra strategia di marketing per promuovere e lanciare i prodotti sull’onda del successo del software ‘aperto’[197] .
Pensiamo al caso del termine OpenPress che viene comunemente e generalmente usato per indicare ogni tipo di pubblicazione gratuita disponibile su Internet. Ad esempio i siti Internet di alcune famose case editrici italiane di libri di cultura informatica riportano delle sezioni dedicate al generico fenomeno dell’OpenPress in cui sono scaricabili gratuitamente articoli, documenti, saggi, passi estratti da libri, libri interi oppure in versione parziale. Tuttavia non tutto questo materiale è in linea con i principi del movimento Opensource, dato che in molti casi la loro disponibilità gratuita non corrisponde alla libertà per l’utente di distribuirne copie liberamente e tanto meno di apportarvi modifiche. Addirittura alcuni libri, chiamati in modo accattivante OpenBooks, sono distribuiti gratuitamente solo in una minima parte o comunque in parti non molto rilevanti, come semplice ‘specchio per allodole’ per invitare all’acquisto del tradizionale volume cartaceo. Tali siti sono quindi da intendersi più come cataloghi promozionali che come veri contenitori di materiale informativo, quali invece sono le sezioni antologiche dei siti delle varie associazioni no-profit che promuovono la documentazione libera. In breve, anche in questo caso la gratuità non deve essere confusa con la libertà.
A scanso di equivoci, quello che qui si vuole stigmatizzare non è tanto la modalità di distribuzione, che si compie nel pieno rispetto della normativa di copyright e delle previsioni contrattuali di edizione e che trova riscontro nella prassi diffusa del mondo della nuova editoria, quanto l’abuso dell’aggettivo ‘open’ che risulta palesemente improprio alla luce dei saldi principi etici posti a fondamento del movimento Opensource. Addirittura alcuni siti chiamano generalmente OpenPress tutto il materiale che tratta in qualche modo temi limitrofi al mondo del software libero, portando l’abuso terminologico all’eccesso.
Esempi autentici di OpenBook sono invece la raccolta di saggi di Richard Stallman intitolata (nella versione italiana) “Software libero, pensiero libero: saggi scelti di Richard Stallman”, distribuita gratuitamente e integralmente su Internet con la nota ‘essenziale’ di copyleft (cfr. infra par. 2), pur essendo disponibile sul mercato anche in versione cartacea a pagamento; oppure la ricostruzione storico-biografica di Sam Williams intitolata “Codice libero”, distribuita sotto i termini della GNU FDL e anch’essa disponibile sia in versione digitale integrale gratuita sia in versione cartacea a pagamento. Ad ogni modo, la bibliografia di questo saggio indicherà di volta in volta il regime di tutela dei principali documenti-fonte.

3.2. IL PROGETTO “GNUTEMBERG!”. – Un progetto davvero utile e molto interessante dal punto di vista della proprietà intellettuale è quello che fa capo al sito Internet www.gnutemberg.org che si propone di raccogliere e incentivare la diffusione a mezzo stampa di tutto il materiale distribuito sotto licenze libere come quelle che abbiamo fin qui conosciuto (e che continueremo a conoscere). Il nome del progetto è una sorta di fusione fra ‘GNU’, in quanto acronimo del progetto che ha originato la filosofia della condivisione, e fra ‘Gutenberg’ inventore della stampa ai tempi del Rinascimento; la ‘m’ che si vede al posto della ‘n’ sottolinea l’origine italiana del progetto e il punto esclamativo indica forse lo stupore creato dal suo carattere innovativo.
GNUtemberg! si articola in tre indipendenti ma complementari iniziative, cioè:
- l’individuazione e la promozione di centri di stampa, copisterie, tipografie “che possano vendere copie stampate o fotocopiate di documentazione libera”[198] : una lista completa e aggiornata (ma limitata all’ambito italiano) dei centri “convenzionati” è accessibile dalla home-page del sito;
- la raccolta delle opere libere di più frequente consultazione su un CD-ROM virtuale consultabile alla pagina web http://cdrom.gnutemberg.org/;
- la creazione di un vero e proprio database (archivio telematico) in cui sia catalogata tutta la documentazione libera esistente al mondo: questa iniziativa è chiamata in acronimo GFDD (GNUtemberg Free Documentation Database) e possiede un proprio URL (www.gfdd.org).
I formati per i documenti diffusi e catalogati da GNUtemberg sono il ‘Postscript’ e il ‘PDF’ che si distinguono per la loro particolare comodità e precisione in fase di stampa.
Il progetto, inaugurato nell’aprile 2000, è ancora agli inizi ma ha già destato molta curiosità nell’ambito dell’editoria “alternativa” per i riflessi rivoluzionari che può avere in ambito di copyright sulle opere letterarie tout court. Grazie ad esso, infatti, si verifica nei fatti quello scollamento dell’opera dal supporto di cui abbiamo diffusamente parlato e si realizza al meglio la libertà di scelta dell’utente: questi ad esempio può commissionare la stampa nel formato cartaceo che preferisce, può scegliere il tipo di rilegatura, può scegliere se stampare l’opera intera o solo alcune parti, può creare un’apposita copertina personalizzata, può accorpare più documenti, oppure può acquistare il prodotto così come confezionato dal centro-stampa e addirittura ordinarlo via e-mail per riceverlo con posta tradizionale.

3.3. LA RIVISTA ITALIANA ‘OPEN SOURCE’. – In fatto di opere letterarie è il caso di toccare anche l’ambito giornalistico con un altro esempio tutto italiano di comunicazione libera: la rivista mensile Open Source edita dalla Systems, apparsa recentemente nelle edicole (il primo numero risale al settembre 2003). In essa si parla di software libero in senso tecnico, di attualità della cultura hacker, di progetti legati al movimento Opensource. Sarebbe un normale periodico di informatica, come ce ne sono tanti attorno al successo di Linux, se non fosse che è distribuito interamente sotto i termini della FDL, il cui testo è riportato nell’ultima pagina ed è richiamato da un’opportuna nota sul copyright dove si indicano anche le ‘sezioni non modificabili’; inoltre il CD-ROM ad esso allegato contiene tutti software e applicazioni tutelati da licenze open source.
Questa scelta pionieristica in ambito giornalistico (e decisamente ammirevole) è motivata nell’editoriale del primo numero (settembre 2003), dove si legge: “Open Source vuole essere una rivista che si occupa non solo di Linux, ma che esplora un perimetro ben più vasto, quello del software libero e liberamente accessibile. Proprio in ossequio a questa scelta ‘liberale’, la rivista viene distribuita con licenza GNU Free Documentation License […].” Ciò, come Stallman ha sempre sostenuto con vigore, non osta al fatto che la rivista sia comunque venduta ad un prezzo in linea con quello di altri prodotti editoriali simili.

4. IL PROGETTO CREATIVE COMMONS. – Nel 2001 ha preso il via un progetto che si rivelerà presto uno dei più ambiziosi in fatto di libera diffusione delle conoscenze e della creatività in generale, addirittura più ambizioso del progetto GNU e delle Open Source Initiative per l’ampiezza del panorama cui si rivolge: si tratta del progetto Creative Commons, il cui sito ufficiale è www.creativecommons.org. Esso nasce dall’iniziativa di alcuni nomi di spicco nell’ambito della scienza della comunicazione e della proprietà intellettuale, fra cui ricordiamo James Boyle, Michael Carroll, Eric Eldred e soprattutto Lawrence Lessig, docente presso la facoltà di legge di Stanford e già grande studioso delle implicazioni giuridiche del software libero.

4.1. GLI SCOPI. – Il sostantivo ‘Commons’, che letteralmente indica il ‘popolo’, cioè l’insieme delle persone comuni, per estensione potrebbe essere qui tradotto con ‘collettività’ o ‘comunione’ nel senso del mettere in comune, del condividere liberamente. Nella disegno dei fondatori infatti c’era l’idea di dar vita ad una collettività di creazioni artistiche e di persone creative, le quali si avvicinano all’arte per il mero gusto della creatività e dell’espressione, al di là delle ottiche di guadagno tipiche del classico paradigma di proprietà intellettuale. Una sorta di “zona franca”, di “riserva naturale” [199] , in cui gli artisti si possano sentire liberi dalla logica spesso poco incoraggiante derivata da uno sviluppo abnorme e distorto del copyright, il quale da mezzo per l’incentivo della creatività si fa sempre più ostacolo legale e burocratico alla possibilità d’espressione.
L’apparato di principi del progetto[200] non si pone in polemica con il mondo dell’imprenditoria culturale (sia essa editoria, produzione discografica, produzione cinematografica) la quale persegue legittimamente dei profitti, tutelando i suoi cospicui investimenti per mezzo del diritto d’autore, ma vuole che questo non si trasformi necessariamente in un’arma a doppio taglio a scapito dei singoli artisti indipendenti. Come è giusto che sia tutelata la struttura imprenditoriale, è però anche giusto che venga tutelata la libertà d’espressione di colui che, magari solo in via estemporanea, vuole esprimere artisticamente la propria personalità, senza voler necessariamente entrare nelle maglie del mercato dell’editoria. Come si legge nel sito ufficiale del progetto “Creative Commons cercherà di realizzare un sistema di tutela di opere dell'intelletto. […] Questa tutela proteggerà opere di particolare valore pubblico dalla proprietà privata esclusiva. Incoraggeremo le persone a devolvere i loro copyrights affinché siano pubblicamente disponibili.”[201]
Anche qui, come nell’impostazione del progetto GNU, non si tratta di ingaggiare una guerra indiscriminata contro il copyright, bensì solo di ridimensionarne alcuni aspetti problematici e adattarne la visuale al nuovo contesto di comunicazione digitale e telematica, con un particolare sguardo per la crescente multimedialità. Il tipo di opere abbracciate dal concetto di ‘libera espressione’ è intuibilmente molto più ampio di quello di ‘libera diffusione delle conoscenze’; difatti il progetto Creative Commons si occupa di incentivare e raccogliere opere di ogni tipo, da quelle letterarie (sia tecnico-scientifiche, sia narrative o poetiche) a quelle musicali, da quelle figurative in generale a quelle cinematografiche.
Inoltre il progetto intende realizzare un immenso database di opere concesse in libera condivisione e s’impegna a “sviluppare un ampio catalogo di lavori di alta qualità su diversi media, e promuovere un'etica basata sulla condivisione, l'educazione del pubblico e l'interazione creativa.”

4.2. LE LICENZE. – Per raggiungere gli obbiettivi prefissati, il gruppo di giuristi del progetto Creative Commons ha redatto un set di undici licenze ispirate ai modelli proposti dalla FSF[202] , chiamate coerentemente “Creative Commons Public Licenses” (CCPL) e rilasciate pubblicamente nel dicembre 2002.
Esse sono il risultato dell’unione di quattro caratteristiche-base (o opzioni), le quali, a seconda delle loro diverse combinazioni, attribuiscono alle varie licenze differenti funzioni giuridiche[203] :
- la caratteristica ‘attribution’ si riferisce all’obbligo di rendere merito all’autore originario dell’opera (quello che in Italia viene definito come ‘diritto morale alla paternità dell’opera);
- la caratteristica ‘no derivs’ indica il divieto di apporre modifiche all’opera e quindi di crearne opere derivate;
- la caratteristica ‘non commercial’ vieta l’utilizzo dell’opera per scopi commerciali;
- la caratteristica ‘share alike’, che letteralmente si traduce ‘condividi allo stesso modo’ (o più elegantemente ‘identico spirito di condivisione’), indica invece l’obbligo di applicare alle opere da essa derivate lo stesso tipo di licenza dell’opera originaria (è lo stesso fenomeno che abbiamo visto in fatto di software a proposito di ‘viralità’ della GPL e di trasferimento ad libitum del copyleft). Vi è inoltre allo studio la possibilità di ‘istituire’ una quinta caratteristica/opzione, ovvero la ‘education’, mirata all’incoraggiamento della diffusione delle opere per fini didattici ed educativi: una sorta di specificazione dell’opzione ‘non commercial’.[204]
Per una questione logica la caratteristica dello “share alike” è incompatibile con quella del divieto di opere derivate: infatti non avrebbe senso vietare le opere derivate e nello stesso tempo rendere obbligatorio un determinato trattamento per le opere derivate. Di conseguenza le combinazioni che si ottengono, che sono anche i nomi delle varie licenze, risultano essere: la ‘Attribution-NoDerivs’, ‘Attribution-NoDerivs-NonCommercial’, ‘Attribution-NonCommercial’, ‘Attribution-NonCommercial-ShareAlike’, ‘Attribution-ShareAlike’, ‘NoDerivs-NonCommercial’, ‘NonCommercial-ShareAlike’; più le quattro versioni per così dire ‘pure’: ‘Attribution’, ‘NoDerivs’, ‘NonCommercial’, ‘ShareAlike’.
Dunque, in base alle proprie esigenze, un autore può scegliere liberamente sotto quale particolare regime di licenza distribuire la propria opera. Tutte le licenze Creative Commons si presentano in una triplice enunciazione: una versione sintetica (‘Common deed’), facilmente comprensibile al grande pubblico degli utenti (“a human-readable summary”) e nella quale vengono semplicemente elencati i diritti e gli obblighi trasmessi dalla licenza; una versione più dettagliata (‘Legal code’), redatta in linguaggio giuridico, che ricalca gli schemi tipici delle licenze fin qui esaminate (principalmente della FDL) e che fa da testo ufficiale di riferimento per qualsiasi controversia legale; e infine una versione elettronica (‘Digital code’) “che permette a motori di ricerca ed altre applicazioni di identificare la tua opera in base alle condizioni di utilizzo specificate dalla licenza.”
Indipendentemente dalla loro categoria funzionale, tutte le CCPL hanno in comune la libertà di copiare, distribuire, mostrare ed eseguire in pubblico l’opera. Sono invece condizionate ai peculiari termini della licenza scelta le altre due libertà fondamentali, cioè “realizzare opere derivate” dall’opera licenziata e “attribuire all’opera un uso commerciale”. Tutte le licenze (riferendoci alle versioni sintetiche) dopo l’elencazione delle libertà e delle relative condizioni, riportano due raccomandazioni: la prima è riferita alla certezza del regime di licenza applicato in ogni fase della distribuzione e il suo testo letterale è: “per qualsiasi riutilizzo o distribuzione, dovete dire chiaramente quali sono i termini di licenza di quest’opera.”; la seconda è riferita alla derogabilità in via contrattuale delle previsioni della licenza e il suo testo letterale è: “ciascuna di queste condizioni può essere tralasciata qualora abbiate ricevuto il permesso dell’autore”. Infine in ogni licenza si ricorda che il diritto di “fair use” e altri diritti non sono in nessun modo influenzati dagli effetti della licenza.
L’apparato di licenze Creative Commons è cristallizzabile in una tabella, ispirata a quella che si trova sul sito del progetto[205] e che riportiamo qui in una versione rivisitata, priva dei simboli grafici[206] con cui tale sito ama efficacemente raffigurare ogni concetto (anche giuridico).

 

Licenze
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NonCommer.-ShareAlike
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ShareAlike
no
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Tabella ispirata al modello presente alla pagina web http://creativecommons.org/licenses/


Inoltre alla stessa pagina del sito si spiega con quali accorgimenti pratici scegliere, scaricare ed utilizzare la licenza: ad esempio, nel caso di opera diffusa via Internet, si consiglia di inserire nel sito anche un “bottone”, che riporti il logo Creative Commons e la dicitura ‘some rights reserved’, ovvero ‘alcuni diritti riservati’ (in richiamo della tradizionale espressione ‘all rights reserved’, ‘tutti i diritti riservati’); questo sarà anche un link che rimanderà alla licenza prescelta nella sua versione sintetica, la quale a sua volta rimanderà alla versione ‘Legal Code’.
Lo stesso sito Creative Commons è ovviamente rilasciato sotto una di queste licenze e precisamente sotto la ‘CCPL Attribution 1.0’, di modo che chiunque può diffondere il materiale esplicativo e propagandistico del progetto, farne opere derivate, usarlo a scopi commerciali, ma con l’obbligo di attribuire di volta in volta la paternità del materiale a Creative Commons.
Oltre alle licenze fin qui presentate, Creative Commons contempla e in un certo senso incoraggia anche la scelta del public domain sulle opere. In questo caso non vi è un particolare testo di licenza anche per il fatto che (come abbiamo già accennato) il regime di public domain non costituisce una vera e propria licenza; piuttosto si cerca di rendere chiara e consapevole la scelta dell’autore, il quale con una dichiarazione unilaterale cede l’opera al pubblico dominio. A tal scopo, sul sito Creative Commons, si trova una procedura telematica piuttosto snella[207] con un sistema di duplice conferma via mail della scelta effettuata; si trova inoltre un apposito bottone-link graficamente identico a quello sopra citato ma che riporta la dicitura ‘no right reserved’ (ovvero, ‘nessun diritto riservato’) e che rimanda ad un disclaimer (avvertenza)[208] in cui si chiariscono le implicazioni del public domain per il diritto U.S.A.[209]

4.3. PARTICOLARI INIZIATIVE. – Al di là della redazione e del costante aggiornamento delle licenze e della raccolta e promozione delle opere diffuse liberamente, Creative Commons ha recentemente attivato alcune iniziative settoriali di cui segnaliamo le più interessanti.
L’iniziativa “icommons” mira all’internazionalizzazione del progetto Creative Commons, promovendo e sostenendo la formazione di organizzazioni simili negli altri paesi del mondo e coordinandone l’attività. Attualmente nella pagina web dedicata all’iniziativa[210] si trovano i link relativi ai paesi attualmente coinvolti (Brasile, Cina, Finlandia, Giappone, Irlanda, Italia, Taiwan) e si specificano le implicazioni di diritto internazionale che hanno le CCPL: “le nostre licenze sono prive di riferimenti alla giurisdizione (‘jurisdiction-agnostic’): non si riferiscono cioè alle leggi o all’ordinamento di un particolare stato e non contengono alcun tipo di indicazione sulla legge da applicare. Tuttavia, il testo delle licenze è basato per molti versi sul Copyright Act statunitense. Questo significa che, benché noi non abbiamo motivo di pensare che le licenze possano non funzionare nei diversi sistemi giuridici del mondo, è almeno concepibile che qualche aspetto delle licenze non vada d’accordo con le leggi di un particolare paese.” Questo tipo di annotazione diventa – come vedremo – di grande significato per l’aspetto processuale del diritto privato internazionale.
Un’altra curiosa iniziativa è quella denominata “Founders’ Copyright”[211] ed è mirata a riportare in qualche modo i limiti temporali del copyright statunitense a quelli originari previsti nella Costituzione dai padri fondatori (i ‘Founders’, appunto) del nuovo stato americano. Infatti la prima legge U.S.A. sul copyright (risalente al 1790) prevedeva un’estensione dei diritti di utilizzazione economica fino ad un massimo di 14 anni dalla pubblicazione dell’opera, eventualmente rinnovabili su richiesta dell’autore per altri 14. Un limite massimo, quindi, di 28 anni che si contrappone all’attuale previsione che vuole i diritti persistenti per tutta la vita dell’autore e fino a 70 anni dalla sua morte (a beneficio quindi dei suoi aventi causa).
Creative Commons ha escogitato uno scaltro espediente che permette di imboccare un percorso alternativo agli autori che non vogliano “imbrigliare” la loro opera nelle maglie del copyright per un periodo di tempo così ampio e che allo stesso tempo ritengano sufficiente la retribuzione derivante da quei 14 o 28 anni di sfruttamento esclusivo; e tutto ciò senza dover entrare in contrasto con la normativa ordinaria sul copyright. In pratica l’autore stipula con Creative Commons un contratto simbolico (ma del tutto valido) con cui, al prezzo altrettanto simbolico di un dollaro, cede definitivamente all’associazione il copyright sull’opera; a questo punto Creative Commons concederà all’autore una ‘licenza esclusiva’ che gli garantirà l’utilizzo dell’opera per 14 anni (o eventualmente per altri 14). In compenso, l’opera durante quel periodo godrà della promozione e della visibilità che solo un grande archivio telematico di contenuti artistici qual è il sito di Creative Commons può assicurare. Allo scadere dei 14 (o 28) anni l’autore non potrà avanzare più alcun copyright né diritto di utilizzo.
Infine, di recente (a metà dicembre 2003), il gruppo di discussione dei progetti Creative Commons ha ufficializzato l’attivazione di un progetto che era sul tavolo dei lavori già dal maggio precedente ed è stato proposto e articolato da Negativland, un’associazione che da tempo si batte per le libere utilizzazioni delle opere musicali[212] . Si tratta di una particolare licenza appositamente ideata per il fenomeno del sampling musicale, ovvero la prassi (piuttosto diffusa dagli anni 90 in poi) di creare brani musicali estrapolando frammenti fonici da altre opere musicali preesistenti. A dire il vero la nuova licenza (che si presenta ancora in una versione provvisoria, cioè ‘draft’) si riferisce esplicitamente a tre distinti fenomeni: il sampling (cioè la campionatura), il collage, il mash-up (identificabile a grandi linee con il remix, ovvero la rivisitazione e “ri-miscelazione” elettronica di un brano). Inoltre si specifica in quali termini si può correttamente appellarsi al diritto di fair use in simili fenomeni: “La tua opera derivata deve fare un uso soltanto parziale dell’opera originaria, o se scegli di utilizzare l’opera originaria integralmente, devi però sia usare l’opera come una porzione non determinante (insubstantial) della tua opera derivata sia trasformarla in un qualcosa di sostanzialmente diverso dall’opera originaria.”[213]

5. COPYLEFT E RICERCA SCIENTIFICA. IL PROGETTO PLOS. – Uno dei terreni più fertili per l’applicazione del copyleft ad opere creative non software è quello dell’informazione scientifica, la quale, per la sua funzione primaria di incentivo del progresso scientifico, sente maggiormente le esigenze di malleabilità e di libera diffusione dei contenuti[214] .
Ancora una volta è Richard Stallman a suggerire la via del ‘permesso di copia’ e della condivisione in tutti i suoi testi sulla libera documentazione tecnica e in particolare in un saggio del 1991 intitolato inequivocabilmente “La scienza deve mettere da parte il copyright”[215] , nel quale l’hacker prende strenuamente posizione a favore di una scelta ‘politica’ da parte di tutto il mondo della comunicazione scientifica. A giudizio di Stallman il copyright, come impostato attualmente, si è allontanato dalla sua precipua funzione di “promozione del progresso scientifico” (come indicato dalla Costituzione Americana) e quindi spetta al mondo della ricerca metterlo da parte.
La soluzione pratica è semplice e non contrasta con la normativa sull’editoria cartacea tradizionale, dato che consisterebbe nel trasferire tutto il materiale d’informazione scientifica in formato elettronico per la costituzione di una immensa biblioteca telematica gestita però su un modello decentrato, come nel caso dei centri-stampa del Progetto GNUtemberg. Si legge nel saggio: “la tecnologia moderna per l’editoria scientifica è il World Wide Web. […] Gli articoli andrebbero distribuiti in formati non-proprietari[216] , garantendone il libero accesso a tutti. E chiunque dovrebbe avere il diritto a crearne dei mirror, ovvero a ripubblicarli altrove in versione integrale con gli adeguati riconoscimenti.” Offrendo dunque a tutti la libertà di fare dei mirror (letteralmente, ‘specchio’, quindi ‘versione facilmente stampabile e osservabile’), saranno le biblioteche di tutto il mondo ad occuparsi della stampa e della distribuzione del materiale secondo la richiesta dell’utenza.
La prospettiva proposta da Stallman nel ’91 ha avuto recentemente modo di realizzarsi in un serio e ben organizzato progetto di condivisione telematica delle conoscenze scientifiche chiamato ‘Public Library of Science’ (PLoS), ovvero ‘Archivio pubblico della scienza’[217] . Il progetto, che vede fra i suoi attivi sostenitori grossi nomi come il premio Nobel Harold Varmus e il biologo Michael Eisen, è riuscito a sensibilizzare gran parte degli ambienti accademici e dei centri di ricerca su questa questione.
Nella home-page del sito ufficiale www.plos.org si legge che “PLoS è un’organizzazione no-profit di scienziati e fisici impegnati affinché il mondo della letteratura scientifica e medica diventi una risorsa pubblicamente disponibile”. Il progetto è ufficialmente attivo dal 2000 e nel recente ottobre 2003 ha inaugurato la prima organica sezione dell’archivio, cioè quella dedicata alla Biologia (www.plosbiology.org); tuttavia, visto il successo ottenuto e l’ammirazione riscossa, si conta di poter disporre a breve di altre sezioni, dedicate ad esempio alla Fisica e alla Chimica.
Inizialmente il materiale diffuso dal PloS era coperto da un’apposita licenza chimata ‘Science Open-Access License’ (cioè, Licenza per il libero accesso alla scienza), ma dall’aprile 2003 viene applicata ufficialmente la CCPL ‘Attribution 1.0’, con gli stessi termini dunque che abbiamo visto a proposito del sito Creative Commons.

6. COPYLEFT E OPERE DI COMPILAZIONE (ENCICLOPEDIE, DIZIONARI, BANCHE DATI). – Un altro ambito decisamente congeniale all’applicazione dei criteri di copyleft è quello delle opere di compilazione, così come le abbiamo definite nel capitolo precedente inquadrandole trasversalmente nelle categorie delle banche dati e delle opere multimediali.
Si sono già avuti molti esempi di opere di questo tipo con permesso di copia e soprattutto permesso di modifica, caratteristica che in questo caso si fa particolarmente pregnante: infatti il successo di questo paradigma di tutela dipende proprio dalla continua necessità di aggiornamento che tali opere presentano e che viene perfettamente soddisfatta dalla filosofia Opensource. Mettere a disposizione del pubblico una banca dati liberamente aggiornabile da chiunque (con tutte le opportune cautele, s’intende) fa sì che la stessa sia incomparabilmente completa, sempre aggiornata e funzionale alle esigenze di ricerca; inoltre non verrebbe intaccato quel già citato “nucleo dell’opera da cui esigere il requisito della creatività”[218] , stando esso non nei contenuti quanto piuttosto nel criterio di strutturazione dell’opera.
Un esempio lampante di opera di compilazione telematica, multimediale, dinamica[219] e ‘open source’ (in questo caso possiamo riprendere questa espressione) è l’enciclopedia ‘libera’ che fa capo al sito Internet www.wikipedia.org. La home-page della versione italiana del sito (http://it.wikipedia.org/) c’è un breve testo di presentazione del progetto che ne delinea le caratteristiche: “Wikipedia è un progetto internazionale per creare con il contributo di tutti un’enciclopedia multilingue completa ed accurata.” Il progetto è nato nel 2001 e attualmente la versione in lingua inglese (http://en.wikipedia.com) è arrivata ad avere più di 170 mila articoli.
Gli articoli, i saggi e le semplici definizioni che derivano dal contributo degli utenti e che vanno così a formare l’immensa e versatile enciclopedia sono catalogati per argomenti o in ordine cronologico e comunque ritrovabili per mezzo di un apposito ‘motore di ricerca’; ci sono anche alcune sezioni monografiche dedicate per esempio alle biografie, all’attualità, agli anniversari storici. Il sito rimanda ovviamente a tutte le versioni in lingue diverse fra cui se ne contano quasi quaranta (curiose le sezioni nei linguaggi convenzionali Esperanto e Interlingua). Si spiega inoltre come poter contribuire alla realizzazione dell’opera con una dettagliata procedura di ‘upload’[220] e come segnalare eventuali articoli diventati obsoleti oppure redatti con un’ottica poco obbiettiva: è infatti norma etica del progetto il cosiddetto ‘Neutral Point of View’ (NPOV)[221] , cioè ‘Punto di vista neutrale’ nella stesura e pubblicazione dei vari articoli.
Per quanto riguarda la nostra analisi giuridica, bisogna rilevare che lo stesso testo di presentazione in home-page chiarisce preventivamente che tutto il materiale compreso in Wikipedia è e dev’essere rilasciato sotto la licenza GNU FDL, la quale, trattandosi prevalentemente di documentazione tecnico-scientifica, risulta la scelta più opportuna.
Un’altra iniziativa simile, ma di minori proporzioni, anche perché rivolta solo all’ambito italiano, è quello del Progetto Dizionario Libero attivato dall’Associazione Software Libero (AsSoLi)[222] . Anche in questo caso il confine fra software e documentazione è molto sottile dato che un buon numero di vocaboli con le rispettive traduzioni e spiegazioni è la base necessaria per realizzare le versioni italiane dei vari software liberi in circolazione (primi fra tutti gli editor di testi come ad esempio ‘OpenOffice’ ed ‘Emacs’); e nello stesso tempo la AsSoLi vuole cogliere l’occasione per poter creare, alla stregua di Wikipedia, una sterminata banca dati di definizioni continuamente aggiornabili.
Nella pagina web dedicata al progetto[223] si legge: “Il cuore del progetto è quello di arrivare prima a definire e poi a realizzare una classificazione completa dei lemmi della lingua italiana, che tenga conto anche delle regole grammaticali e sintattiche, e che sia strutturata in maniera flessibile, modulare ed espandibile. In questo modo sarà possibile da una parte generare automaticamente un vocabolario (per l'uso da parte dei correttori ortografici), e dall'altra avere una struttura che permetta, aggiungendo ulteriori informazioni, di realizzare un dizionario, una raccolta di sinonimi e contrari, o un vocabolario italiano/altra lingua.”
Il dizionario, ideato da circa un anno, è tuttavia ancora in una fase embrionale e non se ne possono ancora cogliere gli sviluppi concreti. Ad ogni modo, le licenze contemplate sono la GPL, la LGPL e la FDL, ovvero il set completo delle licenze del Progetto GNU: non a caso la AsSoLi è il principale referente italiano per la Free Software Foundation.
Ad ogni modo, nella categoria delle opere di compilazione realizzate sotto licenza copyleft potremmo anche inserire il già citato progetto PLoS se lo si considera alla stregua di una raccolta enciclopedica di saggi o di un massimario giurisprudenziale, quindi come una vera e propria banca dati.

7. COPYLEFT E OPERE MUSICALI. – In fatto di opere musicali, l’applicazione del copyleft deve tener conto di alcune peculiarità di fondo: per prima cosa la musica è il fenomeno creativo che più di tutti si qualifica per la sua pura funzione espressiva, emozionale, ludica, senza ravvisare alcun tipo di funzionalità od utilità tecnico-documentale come invece era ancora ravvisabile ad esempio nella saggistica scientifica. Ciò comporta che nelle opere musicali si realizza particolarmente la sensibilità e il gusto dell’autore, più di quanto possa avvenire in opere letterarie, proprio per l’unione che si verifica fra elemento contenutistico (il testo e il messaggio che esso esprime) ed elemento sonoro (l’armonia, la melodia, l’arrangiamento).
Inoltre in fatto di diffusione di un’opera musicale il lato soggettivo dei diritti d’autore si fa molto più complesso, dato che è molto raro che l’autore del brano sia anche l’unico esecutore; mentre in un’opera letteraria multimediale è sicuramente più probabile che l’ideatore del testo sia anche colui che l’ha fisicamente realizzato e messo a disposizione del pubblico. In ambito musicale invece succede molto più facilmente che chi scrive la parte musicale non scriva però la parte testuale e inoltre che per la realizzazione dell’opera (esecuzione in pubblico o registrazione) si serva della collaborazione di più soggetti, come interpreti e tecnici-audio. Dunque, l’autore che voglia distribuire un’opera con i parametri del copyleft dovrà necessariamente richiedere a riguardo l’espresso consenso di tutti questi soggetti.
Un altro aspetto problematico riguarda la possibilità di apporre modifiche: mentre la modifica di un testo (anche nel caso di poesie e testi teatrali dotati quindi di particolare espressività) è a livello tecnico sempre possibile: non bisogna far altro che sostituire, togliere o aggiungere alcune parole e la modifica sussiste effettivamente e l’opera derivata avrà un suo significato indipendentemente dal valore artistico dell’intervento. Nel caso di un’opera musicale la situazione non è così agevole: a meno che si tratti di una sequenza musicale creata con suoni e procedimenti sintetici e disponibile in formato digitale, non si potrà facilmente intervenire sulla parte melodica (quindi la parte più rilevante anche per il diritto d’autore) senza dover risuonare interamente il brano; e questo richiederebbe in situazioni di normalità l’intervento di altri soggetti esecutori e realizzatori dell’opera. Si potrà dunque eventualmente solo realizzare delle rivisitazioni fonografiche dell’opera, per esempio i cosiddetti remix. E’ vero che la tecnologia delle campionature musicali rende ogni suono potenzialmente sintetizzabile e quindi modificabile digitalmente, però è giusto tener conto di queste difficoltà pratiche.
Osservate queste avvertenze, l’autore che voglia distribuire liberamente la sua opera musicale può semplicemente attingere al set di licenze Creative Commons, che abbiamo detto essere rivolto alla generalità delle opere dell’ingegno, scegliendo la combinazione che meglio incontra i suoi intenti.
Tuttavia nel 2001, sempre sull’onda del successo del copyleft applicato alla creatività in generale, in rete si è affermato un progetto di origini tedesche dedicato specificamente al copyleft in ambito musicale: si chiama OpenMusic e fa capo al sito web http://openmusic.linuxtag.org/. Nella pagina del sito dedicata alla presentazione e alle finalità del progetto[224] si fa un chiaro riferimento all’inevitabile e repentino mutamento che il mercato discografico ha subito con l’apparire di Internet e del file-sharing e alla necessità che il mondo della produzione discografica (e precipuamente gli autori) sappia adattarsi al nuovo universo.
Con uno stile che richiama il saggio di Stallman sulla definizione di software libero[225] , alla stessa pagina si schematizza la filosofia OpenMusic in tre libertà fondamentali:
- la libertà di ascoltare musica quanto si vuole;
- la libertà di distribuire musica, a livello sia privato che commerciale (in quest’ultimo caso bisogna far sì che l’autore originale possa beneficiare in qualche modo dei profitti);
- la libertà di modificare la musica.
Per realizzare la sua filosofia il progetto ha a sua volta rilasciato un set di licenze concepite appositamente per le opere musicali e caratterizzate (come le CCPL) per le loro specifiche funzioni. Le tre OpenMusic Licenses (OML) sono emblematicamente contraddistinte dai tre colori del semaforo a seconda della loro più o meno ampia restrittività.
La Green OML (verde) è la meno restrittiva e si pone, quanto a significato giuridico, come la corrispondente della GPL in ambito musicale ed è indicata come la più consigliata per fare dell’autentica Free Music. Essa contiene tutte e dieci le caratteristiche in cui si estrinsecano le tre libertà fondamentali: l’uso privato, la modificazione per uso privato, la possibilità di trarne opere derivate ad uso privato, la distribuzione a livello privato e la diffusione/trasmissione (broadcasting) in ambito privato, l’uso a scopi commerciali, la modificazione per scopi commerciali, la possibilità di trarne opere derivate a scopi commerciali, la distribuzione a livello commerciale, la diffusione in ambito commerciale.
La Yellow OML (gialla) è leggermente più restrittiva e inibisce tutti gli usi in ambito commerciale (quindi gli ultimi cinque dell’elencazione appena riportata) garantendo però le stesse libertà della Green in ambito privato.
La Red OML (rossa) invece è piuttosto restrittiva e si allontana dalla vera essenza del copyleft, vietando, oltre a tutti gli usi in ambito commerciale, anche la possibilità di modificare l’opera e di trarne opere derivate; persistono invece le libertà di uso privato, di distribuzione a livello privato e di diffusione in ambito privato.
Il progetto OpenMusic ha previsto anche la possibilità per il singolo utente di stilare una licenza personalizzata con solo alcune specifiche funzioni; a questo scopo nel sito si presenta una licenza per così dire “intercambiabile” e facilmente adattabile chiamata Rainbow OML (ovvero, arcobaleno) proprio ad indicare questa sua caratteristica. Tuttavia si raccomanda agli utenti di scegliere questa formula solo se strettamente necessario e di servirsi ove possibile di una delle tre licenze ufficiali predefinite.
Il sito presenta anche una tabella sinottica (dedicata alle licenze OML) sul modello di quelle che abbiamo fin qui proposto e che qui riportiamo.

 

caratteristiche
Green OML
Yellow OML
Red OML
Uso privato

Modificazioni
per uso privato

no
Possibilità di
opere derivate
no
Distribuzione
a livello privato
Diffusione in
ambito privato
Uso a scopi
commerciali
no
no
Modificazioni a
scopi commerciali
no
no
Poss. di opere derivate
a scopi commerciali
no
no
Distribuzione
a scopi commerciali
no
no
Diffusione a
scopi commerciali
no
no


Traduzione italiana della tabella riportata alla pagina web
http://openmusic.linuxtag.org/showitem.php?item=209


Un frutto tangibile di questa filosofia è poi riscontrabile in una compilation di brani musicali dal titolo “OpenMusic - Free music for a free world”, che si può acquistare su CD e ricevere per posta tradizionale: i tredici brani sono tutti rilasciati sotto licenza OML (precisamente quattro sotto la Green e nove sotto la Yellow) e sono anche scaricabili gratuitamente da Internet in formato ‘mp3’ dal sito del progetto[226] .
Oltre al Progetto OpenMusic che sicuramente in ambito di applicazione del copyleft ad opere musicali resta il più organico e completo, altre associazioni e gruppi di artisti indipendenti si sono mosse in una direzione simile. Basta accedere al sito web www.free-music.org per ritrovare i vari leitmotiv della filosofia della musica libera e per vedere alcuni link a siti da cui poter ricavare altre licenze copyleft per opere musicali: ad esempio si può citare la ‘Free Music Public License’ (FMPL) che però è stata diffusa solamente in una versione sperimentale valida solo fino alla fine del 2001[227] ; e la ‘Open Audio License’ del progetto EFF (di cui presenteremo più avanti gli scopi) della quale è stata rilasciata nell’aprile del 2001 l’ultima versione (la 1.0.1)[228] . Infine è il caso di citare altri due siti che si occupano in generale della sensibilizzazione in fatto di libera distribuzione di musica: uno è il sito privato www.ram.org (curato da Ram Samudrala) e l’altro è il sito del progetto francese ‘Musique-libre’ (www.musique-libre.com).

8. ALTRI PROGETTI DI LIBERA ESPRESSIONE (E RELATIVE LICENZE). – L’idea ambiziosa dei promotori di Creative Commons di usare il copyleft come soluzione contro l’eccessiva restrittività del copyright in generale, quindi non solo in fatto di software e relativa documentazione, era già stata messa in pratica da altri progetti pionieristici anche se con visibilità ed efficacia minori.
Ad esempio il progetto ‘OpenContent’ (che fa capo al sito www.opencontent.org) è attivo dal 1998 e ha rilasciato due diverse licenze specifiche per opere letterarie: la Open Content License, la cui versione 1.0 risale al luglio del ’98, e la Open Publication License, la cui versione 1.0 risale al giugno del ’99; fra le due è la seconda a ricalcare maggiormente il modello di licenza copyleft. Il progetto OpenContent, che prevede anch’esso la realizzazione di un grande archivio telematico di opere e una lista degli autori che vi partecipano, è stato qualche mese fa per così dire ‘congelato’ per confluire nel più ampio e meglio organizzato progetto Creative Commons.[229]
Vi è poi il progetto (già citato a proposito del copyleft nelle opere musicali) EFF acronimo di ‘Electronic Frontier Foundation’, il quale ha come slogan ‘Defending Freedom in the Digital World’, cioè ‘Per la difesa della libertà nel mondo digitale’. Sul sito ufficiale www.eff.org in una breve frase si condensano gli ideali del progetto: “Essere in grado di condividere idee e informazione è la ragione per cui il Web è stato creato prima di tutto!”; per sostenere tali obbiettivi di salvaguardia della libertà degli utenti della rete, l’associazione, oltre a rilasciare licenze come la ‘OpenAudio license’, raccoglie fondi per la promozione della libera creatività e promuove concrete iniziative di comunicazione.
In Internet (all’indirizzo http://dsl.org/copyleft/dsl.txt) è possibile inoltre trovare una licenza di copyleft piuttosto simile alle CCPL nello spirito e nella struttura, che però è in circolazione dal 1999 ed è pensata per un determinato ambito della creatività. E’ chiamata Design Science License (DSL) e gli scopi della sua creazione sono enunciati come sempre nel preambolo, da cui si estrae: “Mentre la ‘design science’ è una strategia di sviluppo dei manufatti come modo per modificare l’ambiente (non le persone) e di conseguenza per migliorare il generale standard di vita, questa Design Science License è stata scritta e diffusa come strategia per promuovere il progresso della scienza e dell’arte attraverso la modifica dell’ambiente.”
Un centro di studi giuridici dell’Università di Harvard ha voluto (forse con intenti dimostrativi) applicare lo spirito della condivisione anche a tematiche giuridiche. Il progetto chiamato OpenLaw fa capo al sito http://cyber.law.harvard.edu/openlaw nel quale si presentano alcuni casi giurisprudenziali (realmente pendenti) e si invita la comunità degli utenti a commentarli e a proporre soluzioni, in vista della pubblicazione in rete del lavoro collettivo.
Art Libre è un progetto di origine francese impegnato, alla stregua di Creative Commons, nella diffusione dello ‘spirito copyleft’ (‘copyleft attidude’) e alla sua applicazione a tutte le opere creative. Il sito ufficiale www.artlibre.org rimanda al testo di un’apposita licenza chiamata ‘Licence Art Libre’ (oppure nella sua versione inglese ‘Free Art License’). Si tratta di una licenza piuttosto ben fatta, snella, chiara e coerente con tutti i principi del copyleft in senso autentico; presenta alcune peculiarità che non si trovano nelle altre licenze simili fra cui i riferimenti alla durata del rapporto contrattuale derivante dalla licenza, al caso del sub-licensing (ovvero di un ulteriore licenza da parte del licenziatario) e alla legge applicabile al contratto (cioè la legge francese). Dal preambolo della Licence Art Libre si deducono con chiarezza gli scopi del progetto: “Dal momento che l’uso fatto del diritto della proprietà letteraria e artistica conduce a restringere l’accesso del pubblico all’opera, la licenza Art Libre ha per scopo di favorirla. L’intenzione è di rendere accessibili e permettere l’utilizzo dei contenuti di un’opera da parte di più persone.” Questa licenza, essendo l’unica nata in un contesto totalmente europeo, può essere considerata, per i toni e le argomentazioni, il modello di licenza più vicino alla concezione italiana del diritto d’autore e se ne consiglia quindi una lettura dettagliata.[230]
In Belgio si è sviluppato un progetto di sensibilizzazione sulle questioni di libertà di circolazione delle idee che fa capo al sito www.copyleft.be, nel quale è possibile trovare un ricchissimo archivio e una dettagliata bibliografia di documentazione dedicata al copyleft.
Una curiosa iniziativa di editoria telematica è quella che si trova al sito web www.capitancook.com, cioè un “progetto collaborativo per creare una guida turistica di tipo open content”: su questo sito chiunque può aggiungere materiale relativo a viaggi ed itinerari, sotto il modello di tutela della FDL.
Segnaliamo infine l’Associazione statunitense Negativland (www.negativland.com) da tempo impegnata per l’affermazione di un ampio diritto di ‘fair use’ (libere utilizzazioni) in ambito musicale, in particolar modo riguardo alla prassi sempre più diffusa di rivisitare elettronicamente brani musicali (il cosiddetto remix) e soprattutto di estrapolare campioni sonori da brani editi per formare brani inediti (il cosiddetto sampling). In collaborazione con questa associazione (e con il patrocinio del grande musicista brasiliano Gilberto Gil) Creative Commons ha predisposto la pubblicazione di un’apposita licenza concepita per il fenomeno del sampling, come abbiamo già visto a proposito di Creative Commons.

9. ALCUNI CASI SINGOLARI: OPENCOLA, OPENGAME, GETTY IMAGES – La prassi dell’uso di licenze libere negli ultimi anni è stata applicata anche a casi piuttosto atipici di opere dell’ingegno. Il primo caso è il più curioso ed ha probabilmente intenti dimostrativi (e quasi goliardici)[231] più che di reale spirito di condivisione: si tratta del progetto OpenCola, attivo dal gennaio 2001, che ha voluto applicare la licenza GPL alla ricetta di una bibita analcolica. I vari ingredienti con i rispettivi dosaggi sono trattati alla stregua delle parti di codice sorgente nel caso di un software e perciò sono liberamente modificabili. In Internet ci sono alcune tracce del progetto[232] , ma ad oggi esso non ha avuto uno sviluppo concreto e nessuno ha potuto vedere ufficialmente un lattina o una bottiglia di tale bevanda, salvi i casi di realizzazioni (e degustazioni) sperimentali in ambito casalingo.
Di recente, la ‘Wizard of the Coast’, l’azienda titolare dei diritti di esclusiva sulle regole del famoso gioco di ruolo, ‘Dungeons & Dragons’, in collaborazione con associazioni create per unire e mettere in contatto gli appassionati di questo gioco, ha pensato di rilasciare parte del complesso ed articolato regolamento del giochi sotto una licenza simile nella struttura a quelle fin qui viste, ma lontana dai principi fondamentali del copyleft, dato che mantiene una filosofia pienamente proprietaria. La licenza, chiamata Open Game License, è scaricabile, nella sua versione 1.0a, dal sito www.opengamingfoundation.org/ogl.html[233] e rappresenta un’interessante possibilità di sviluppo del modello copyleft.
Un ultimo caso interessante è quello dell’azienda privata Getty Images che si occupa di progetti grafici e di realizzazioni fotografiche per l’editoria in generale. Per esigenze di elasticità di gestione dei contenuti grafici da essa proposti, questa impresa (il cui sito è www.gettyimages.com) ha escogitato un sistema di licenze fra cui se ne distingue una per la vicinanza al modello copyleft: la Getty Images Royalty-Free License Agreement (RFLA) che si applica esplicitamente ad opere come “fotografie, fonts, illustrazioni, clip video, clip audio, software e ogni altro media e contenuto concesso dal licenziante al licenziatario.” Più che per il suo contenuto, questa licenza è significativa perché mostra l’insinuarsi della prassi delle licenze libere anche in ambito privato-aziendale e quindi commerciale.

10. IL COPYLEFT IN ITALIA. – Nel corso della presentazione dei principali progetti di libera espressione ispirati al copyleft abbiamo fatto cenno qua e là al contributo di alcune organizzazioni di origine italiana: vediamo ora di osservare appunto in quali proporzioni il fenomeno del copyleft si è sviluppato nel nostro paese.
La già citata Associazione Software Libero (www.softwarelibero.it) è il punto di riferimento italiano per la Free Software Foundation Europe ed è un’associazione no-profit che ha sede a Firenze e si occupa della diffusione del copyleft principalmente in ambito software, ma che si è attivata con progetti di più ampio respiro come appunto il dizionario libero (si veda il par. ) e un gruppo di studio sulle implicazioni giuridiche della GPL sulla base del diritto italiano. Simili scopi e progetti vengono perseguiti dall’associazione culturale ‘OpenLabs’ (www.openlabs.it) la quale però ha sede a Milano, dove organizza eventi, conferenze e corsi relativi al software libero e alla filosofia Opensource in generale. Su questo modello di attività bisogna infine segnalare tutti i Linux Users Group (LUG) sparsi in varie città italiane: si tratta a volte di gruppi informali e decentrati che raccolgono e mettono in contatto tutti gli utenti di Linux e gli appassionati dell’Opensource.
Per quanto riguarda l’applicazione del copyleft in ambito non software, si segnala il sito web http://copydown.inventati.it/ in cui si raccolgono molti contenuti sotto licenze libere ed è disponibile una traduzione quasi completa del materiale esplicativo che si trova sul sito Creative Commons. Una curiosa iniziativa tutta italiana è quella della realizzazione di una compilation di brani musicali sotto licenza Creative Commons: l’originale progetto è chiamato ‘Clorofolk’ e ha messo a disposizione in rete quattordici file audio in formato ‘mp3’ scaricabili gratuitamente dal sito http://www.inventati.org/inventa/mp3/paginaprincipale.html.
Inoltre la libera associazione culturale ‘CreAttiva - Gruppo di attivismo creativo’ (http://digilander.libero.it/creattivaweb), attiva nel sud Milano dal gennaio del 2001, si occupa, con scopi non commerciali, della promozione di vari progetti di condivisione delle esperienze creative, come ad esempio ‘Collective Style’: una strana iniziativa di narrativa giovanile che ha prodotto un ‘romanzo a staffetta’ realizzato ‘a più mani’ da diversi autori senza che sia possibile risalire alla paternità delle singole parti (un esperimento a metà strada fra un’opera collettiva e un’opera composta). Di recente CreAttiva si è mossa nella direzione della diffusione del copyleft nell’ambito dei contenuti artistici, con la traduzione e la diffusione delle licenze più importanti.
Infine, si deve citare l’importante e recentissimo passo compiuto da alcuni giuristi dell’Università di Torino (fra cui il Prof. Marco Ricolfi) che si sono attivati per la realizzazione di un distaccamento italiano di Creative Commons, nell’ambito del già illustrato progetto ‘iCommons’ e sotto l’egida del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR). Il sito www.creativecommons.it, in rete dallo scorso 20 novembre e presentato dallo stesso Lawrence Lessig in occasione del convegno torinese “La conoscenza come bene pubblico comune: software, dati, saperi”, per ora riporta la traduzione italiana di alcune delle CCPL e la possibilità di iscriversi ad una lista di discussione per utenti italiani. Il risvolto più interessante del progetto resta comunque l’avviato studio da parte di illustri giuristi sull’effettiva applicabilità del copyleft nel sistema di diritto d’autore italiano.

 

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NOTE AL CAPITOLO V

[185]- Per un commento su questi diritti specifici della tutela d’autore, v. AUTERI, Diritto d’autore, in AA.VV., op. cit., p. 581 e p. 583.
[186]- Cfr. il saggio Il software libero ha bisogno di documentazione libera (scritto nel 2000) in STALLMAN, Software libero, pensiero libero (cit.); e similmente il saggio STALLMAN, Il progetto GNU, in AA.VV., Open Sources (cit.), par. Documentazione libera.
[187]- Riportiamo la nota sul copyright che si trova sul frontespizio del volume, per meglio comprendere i risvolti dell’applicazione della GPL ad un’opera letteraria: “Questi saggi sono liberi; è possibile distribuirli e/o modificarli secondo i termini della licenza GNU General Public License come pubblicata dalla Free Software Foundation; si applica la versione 2 o (a propria discrezione) qualsiasi versione successiva della Licenza. Tali saggi sono distribuiti nella speranza che possano risultare utili, ma SENZA ALCUNA GARANZIA; senza la garanzia implicita di COMMERCIABILITÀ e UTILIZZABILITÀ PER UN PARTICOLARE SCOPO.”
[188]- Cfr. Il software libero ha bisogno di documentazione libera (scritto nel 2000) in STALLMAN, Software libero, pensiero libero (cit.).
[189]- v. supra, cap. III, par. 1.2.
[190]- Faremo riferimento alla traduzione italiana a cura di Bernardo Parrella, allegata all’edizione italiana del libro WILLIAMS, Codice libero (cit.).
[191]- Si pensi per esempio ad una sua applicazione – alquanto auspicabile e oggettivamente opportuna – ai manuali d’istruzioni degli elettrodomestici, ai fogli illustrativi dei medicinali, ai cataloghi di vendita o di promozione di prodotti, alle enciclopedie, alle banche dati in generale, ai siti internet di dati e link.
[192]- Riguardo al concetto di ‘sezione non modificabile’ riportiamo un altro passo tratto dal saggio di STALLMAN, Il software libero ha bisogno di documentazione libera: “Mentre una proibizione generale sulle modifiche è inaccettabile, alcuni tipi di limitazione sui metodi delle modifiche non pongono problemi. Ad esempio vanno bene quelle di mantenere la nota di copyright dell'autore originale, i termini di distribuzione, o la lista degli autori. Non c'è problema anche nel richiedere che versioni modificate diano nota del loro essere tali, e anche che abbiano intere sezioni che non possono essere tolte o cambiate, fintanto che hanno a che fare con argomenti non tecnici (alcuni manuali GNU le hanno). Questo tipo di restrizioni non sono un problema perché, dal punto di vista pratico, non impediscono al programmatore coscienzioso di adattare il manuale per corrispondere alle modifiche del programma.”
[193]- Per un’approfondita descrizione di queste tipologie di opere v. il già citato volume FRASSI, op. cit.
[194]- Cfr. AUTERI, Diritto d’autore, in AA.VV., op. cit., p. 496.
[195]- Cfr. STALLMAN, Il progetto GNU, in AA.VV., Open Sources (cit.), par. Documentazione libera.
[196]- Per l’applicazione dei principi di libertà della FSF alle opere letterarie, si veda in generale il saggio Il diritto di leggere in STALLMAN, Software libero, pensiero libero: saggi scelti di Richard Stallman, Stampa Alternativa, 2003.
[197]- Lo scopo della Open Source Initiative è anche quello di vigilare sull’utilizzo distorto di questa terminologia: v. supra Cap. III, par. 8.1.
[198]- Cfr. PAOLONE, Progetto GNUtemberg!, in Open Source (rivista), n.1, settembre 2003, Systems, p. 84.
[199]- L’originale inglese (tratto dal sito ufficiale) riporta “land trust o nature preserve”. Cfr. http://creativecommons.org/learn/aboutus/ .
[200]- La storia e gli obbiettivi del progetto sono contenuti nella pagina web http://creativecommons.org/learn/ e disponibili in traduzione italiana sul sito http://copydown.inventati.org/ .
[201]- Cfr. http://creativecommons.org/learn/aboutus/ .
[202]- Non è un caso che lo stesso sito del progetto GNU raccomandi esplicitamente l’uso delle licenze Creative Commons nel caso di opere diverse da software o documentazione tecnico-informatica: cfr. http://www.gnu.org/ licenses/licenses.html. Allo stesso modo il sito Creative Commons “contraccambia il favore” indicando la FDL come licenza raccomandata per la manualistica software. Cfr. http://creativecommons.org/license/. Ciò può essere considerato come un reciproco riconoscimento da parte delle due autorevoli organizzazioni.
[203]- Cfr. http://creativecommons.org/learn/licenses/ .
[204]- v. a tal proposito la pagina web http://creativecommons.org/discuss.
[205]- Cfr. http://creativecommons.org/licenses/ .
[206]- Per la spiegazione dei simboli grafici che rappresentano le quattro caratteristiche base delle licenze cfr. http://creativecommons.org/learn/licenses/ .
[207]- Cfr. http://creativecommons.org/license/publicdomain-2 .
[208]- Cfr. http://creativecommons.org/licenses/publicdomain/ .
[209]- Dal sito Creative Commons è possibile accedere anche ad alcuni siti dedicati specificamente alla promozione del ‘public domain’: primo fra tutti il sito http://eldred.cc/ in cui è possibile leggere il testo dell’Eric Eldred Act, una sorta di dichiarazione di principi a sostegno del ‘public domain’. Inoltre, vi è un interessante sito, diretto affiliato di Creative Commons (http://www.eldritchpress.org/) che raccoglie molti testi della letteratura statunitense e internazionale che sono appunto in un regime di ‘public domain’.
[210]- v. http://creativecommons.org/projects/international/ .
[211]- v. a tal proposito http://creativecommons.org/projects/founderscopyright/ .
[212]- v. più avanti (par. 9).
[213]- Cfr. la pagina del progetto http://creativecommons.org/projects/cc-sampling .
[214]- Su questo aspetto si veda in generale la presentazione schematica compiuto dalla Free Software Foundation Europe in occasione del WEBBIT 2003: disponibile al sito http://www.webb.it/event/eventview/973/.
[215]- La versione originale (intitolata “Science must push copyright aside”) è comparsa per la prima volta sul sito www.nature.it nel 1991 ed è disponibile alla pagina http://www.nature.com/nature/debates/e-access/Articles/stallman.html. Ci si riferirà qui alla versione italiana pubblicata in STALLMAN, Software libero, pensiero libero (cit.).
[216]- v. a tal proposito quanto precisato riguardo alla “trasparenza” dei formati digitali.
[217]- Per maggiori informazioni sul progetto si veda anche l’articolo di Paul Elias disponibile alla pagina web http://www.fortwayne.com/mld/newssentinel/7031573.htm (pubblicato il 16/10/03); e l’articolo di Danilo Moi disponibile alla pagina web http://www.annozero.org/nuovo/stories.php?story=30 (pubblicato il 15/10/03).
[218]- Cfr. Cap. IV, par. 4.1.
[219]- Sul concetto di “dinamicità delle banche dati” v. L.C. UBERTAZZI, I diritti d’autore e connessi. (cit.), cap. VI, par. 3 e 4, pp. 70 ss.
[220]- Cfr. http://it.wikipedia.org/wiki.cgi?Wikipedia-Guida_Essenziale .
[221]- Cfr. http://it.wikipedia.org/wiki.cgi?NPOV .
[222]- Il sito dell’organizzazione è www.softwarelibero.it .
[223]- Cfr. http://softwarelibero.it/progetti/dizionario/index.shtml .
[224]- Cfr. http://openmusic.linuxtag.org/showitem.php?item=208&lang= .
[225]- v. La definizione di software libero (scritto nel 1996) in STALLMAN, Software libero, pensiero libero (cit.).
[226]- Precisamente alla pagina http://openmusic.linuxtag.org/showitem.php?item=220.
[227]- Si veda specificamente il sito www.fmpl.org.
[228]- Disponibile alla pagina web http://www.eff.org/IP/Open_licenses/eff_oal.php.
[229]- La home del sito dice proprio che il progetto è ufficialmente chiuso e per i suoi scopi si rimanda al progetto Creative Commons, il quale “sta svolgendo un lavoro migliore”; a sua volta la pagina web http://creativecommons.org/learn/legal/ cita OpenContent fra i progetti pionieri della libera creatività che hanno ispirato Creative Commons.
[230]- v. testo integrale sul sito http://artlibre.org/licence.php/lal.html.
[231]- Lo spirito goliardico e provocatorio si comprende ancor più se si conosce l’intricata vicenda del segreto sulla ricetta della Coca Cola.
[232]- Per una presentazione sintetica di veda la voce ‘OpenCola’ su Wikipedia alla pagina web http://en2.wikipedia.org/wiki/Open_Cola; oppure è possibile visualizzare il testo della ricetta e i riferimenti alla licenza GPL alla pagina web http://alfredo.octavio.net/soft_drink_formula.pdf oppure alla pagina web http://www.colawp.com/colas/400/cola467_recipe.html.
[233]- Per il testo completo della licenza si veda anche http://www.seankreynolds.com/rpgfiles/misc/ogl.html; oppure, per informazioni varie su come modificare il regolamento v. www.open-gaming-center.com e www.gdritalia.org.