INTRODUZIONE.
– Nel capitolo III abbiamo visto come il mondo dell’informatica,
inteso come la comunità dei programmatori indipendenti (hacker)
e dei singoli utenti, si è impegnato nella direzione di allentare
le eccessive restrizioni del copyright attraverso un sistema di
trasferimento di diritti e obblighi basato su particolari licenze
il quale è definito complessivamente come ‘copyleft’;
nel capitolo IV abbiamo invece allargato il campo visivo del fenomeno
presentando le implicazioni giuridiche derivanti dal panorama rivoluzionario
della tecnologia digitale e telematica. Cerchiamo ora di “chiudere
il cerchio” della nostra indagine analizzando le modalità
con cui negli ultimi anni alcuni movimenti culturali hanno applicato
il sistema delle licenze copyleft negli altri rami della creatività
che non sono strettamente software.
1.
LO STRETTO LEGAME CON IL SOFTWARE. – Il fatto che l’imput
per l’applicazione dei principi di libertà di copia
e di modifica alle opere non software provenga dall’ambito
informatico non dipende semplicemente dalla particolare disposizione
culturale ed etica della comunità hacker, ma anche da un
nesso di praticità e convenienza fra sviluppo libero del
software e sviluppo libero della relativa documentazione. Cerchiamo
di capire le proporzioni del fenomeno compiendo un suo inquadramento
storico e una chiara delineazione delle sue manifestazioni concrete.
1.1.
LA MANUALISTICA TECNICO-INFORMATICA E LA GPL. – L’idea
di diffondere un’opera non software (precipuamente un’opera
letteraria) con gli stessi criteri della licenza GPL cominciò
a prospettarsi già ai primi sviluppatori e promotori del
progetto GNU, i quali erano soliti annotare di volta in volta le
modifiche tecniche che apportavano al software libero anche sul
relativo file di testo con le istruzioni tecniche.
Fin quando lo sviluppo del software rimaneva in fase sperimentale,
la modifica dei manuali d’istruzioni non dava grandi problemi,
essendo anch’essi in via di redazione; la situazione si faceva
più intricata quando veniva rilasciata una versione definitiva
del software in un pacchetto (completo di manuale) pronto per la
distribuzione al pubblico. Infatti in questo passaggio, il software
era un’opera già completa e definita che però
godeva delle libertà derivatele dai termini della licenza
GPL, ovvero il ‘permesso di copia’ e la possibilità
di modifica; il relativo manuale invece sottostava alla tutela tradizionale
per le opere letterarie tecnico-scientifiche, quindi senza le fondamentali
libertà della GPL.
Da ciò scaturiva una situazione di fastidiosa incoerenza
con l’etica hacker e soprattutto di paradossalità pratica,
dato che le varie versioni modificate, che sarebbero derivate dal
software libero originario, non avrebbero potuto accompagnarsi ad
un manuale altrettanto aggiornato e modificato. Ad esempio, uno
sviluppatore che avesse aggiunto una funzionalità al software
libero originario (possibilità garantitagli dalla GPL) non
avrebbe potuto però aggiungere un’apposita sezione
al manuale senza violare i diritti di copyright dell’autore
originario del manuale: precisamente, nell’impostazione italiana,
il primo diritto violato sarebbe stato il diritto morale d’autore
alla paternità ed integrità dell’opera[185]
ex art. 20 l.a. avrebbe eventualmente dovuto riscrivere un nuovo
manuale.
Alla fine degli anni ’90 con la grande diffusione di Linux
e l’affacciarsi del software libero sul mercato globale, la
questione della non modificabilità dei manuali d’informatica
sarebbe risultata una grave pecca per un fenomeno che doveva fare
da modello per un nuovo paradigma di diffusione delle conoscenze
qual era il movimento Opensource. Il personaggio più autorevole
a notare e a far notare la rilevanza del problema fu proprio Richard
Stallman, il quale in un suo saggio ripubblicato recentemente dice:
“La documentazione è una parte essenziale di qualunque
pacchetto software; quando un pacchetto importante di software libero
è fornito senza manuale libero si ha una grossa lacuna.”[186]
Alcuni sviluppatori iniziarono dunque ad applicare la licenza GPL
(quindi una licenza nata per il software) anche alla documentazione
relativa al software e successivamente anche ai testi divulgativi
dei vari progetti Opensource; un esempio tangibile di questa prassi
si ritrova già in alcuni dei saggi più volte citati
in questo testo (precisamente quelli di Raymond e di Perens) contenuti
nel libro “Open Sources”[187] , che infatti riporta
un’apposita nota sul copyright e in appendice il testo della
licenza come riferimento per la loro particolare tutela.
Bisogna poi rilevare che l’uso della GPL garantisce una piena
applicazione del copyleft, inteso cioè non solo come permesso
di copia e di modifica ma anche come garanzia di trasferimento ‘ad
libitum’ dei diritti a tutti i destinatari dell’opera;
citiamo ancora le parole di Stallman per sottolineare questo principio:
“I criteri per un manuale libero sono sostanzialmente gli
stessi del software libero: è questione di dare a tutti gli
utenti certe libertà. La ridistribuzione (compresa quella
commerciale) deve essere consentita, così il manuale potrà
accompagnare ogni copia del programma sia on line che su carta.
Anche il permesso di fare modifiche è cruciale.”[188]
L’applicazione della GPL ad un’opera non software non
deve stupire dato che, come abbiamo visto[189] , il diritto d’autore
ha virtualmente equiparato il codice sorgente ad una normale opera
letteraria di carattere tecnico-scientifico. Ora, agli albori del
terzo millennio, ci si trova a ri-mutuare dei criteri di tutela
che, estratti un tempo dall’ambito delle opere letterarie,
sono - per così dire - fermentati per due decenni nella cultura
informatica, per tornare nuovamente nel loro ambito originario:
potremmo chiamare questo curioso fenomeno un “feed-back di
principi”.
1.2.
LA FREE DOCUMENTATION LICENSE. – Questa crescente necessità
di malleabilità e libertà di diffusione della manualistica
e dell’altro materiale divulgativo relativo al software libero,
spinse la FSF a redigere una nuova apposita licenza: venne chiamata
‘GNU Free Documentation License’ (d’ora in poi
FDL), ovvero ‘Licenza per documentazione libera del progetto
GNU’, e la sua prima versione (la 1.1) comparve nel marzo
2000.
Tale licenza ricopre simbolicamente il ruolo di ‘pioniera’
fra i testi giuridici appositamente concepiti per applicazione dei
principi di copyleft in opere di natura non software. Ne esaminiamo
ora i contenuti, facendo riferimento alla versione 1.2 risalente
al novembre 2002 e attualmente in vigore.
Il testo[190] , già ad un primo sguardo, mostra di ricalcare
fedelmente lo stile e la struttura della GPL, in modo preminente
per ciò che riguarda alcuni rilievi programmatici; risulta
invece (rispetto alla sua capostipite) meno “inquinata”
da considerazioni propagandistiche.
Il Preambolo ci chiarisce immediatamente gli scopi della nuova licenza,
cioè “rendere un manuale, un testo o altri documenti
utili e funzionali, ‘liberi’ nel senso di assicurare
a tutti la libertà effettiva di copiarli e ridistribuirli,
con o senza modifiche, a fini di lucro o meno.” Tale enunciazione
si distingue per efficacia e capacità di sintesi da non necessitare
alcun commento. Successivamente, uscendo dalla sfera programmatica
e avvicinandosi alle implicazioni pratiche e giuridiche dell’applicazione
della licenza, si dice che essa “prevede per autori ed editori
il modo per ottenere il giusto riconoscimento del proprio lavoro,
preservandoli dall'essere considerati responsabili per modifiche
apportate da altri”: quest’ultima precisazione si ricollega
all’apparato di garanzie che abbiamo visto nel rapporto fra
sviluppatore e utente a proposito del software libero e specificamente
nel commento alle Sezioni 11 e 12 della GPL.
Il Preambolo si preoccupa inoltre di collocare dichiaratamente la
FDL nella “famiglia” delle licenze copyleft nel senso
più puro voluto dalla FSF, ovvero di garanzia di trasferimento
delle libertà ‘ad libitum’. E infine aggiunge
che, pur essendo nata come “completamento della GPL”
(quindi per la distribuzione della documentazione del software libero)
essa “può essere utilizzata per ogni testo che tratti
un qualsiasi argomento e al di là dell'avvenuta pubblicazione
cartacea” e se ne raccomanda l’utilizzo per tutti i
manuali tecnici e per i testi che abbiano fini didattici. [191]
La sezione 1 (intitolata ‘Applicabilità e definizioni’)
ci dà alcune utili definizioni per la corretta interpretazione
della licenza (come ‘documento’, ‘versione modificata’,
‘sezioni non modificabili’, ‘copia trasparente’),
ma non senza aver prima definito l’ambito d’applicazione
della licenza, ovvero “qualsiasi manuale o altra opera, su
qualsiasi supporto, che contenga una nota del detentore del copyright
indicante che si può distribuire nei termini di questa licenza”.
La sezione 2 è dedicata alle ‘Copie alla lettera’
ovvero ai casi in cui il copyleft rileva solo dal punto di vista
del puro permesso di copia, non contemplandosi invece il diritto
alla modifica. Ovviamente la libertà di “copiare e
distribuire il documento con l’ausilio di qualsiasi mezzo”
dev’essere ulteriormente mantenuta, senza aggiungere alle
copie realizzate alcuna restrizione non prevista dalla stessa FDL.
La sezione 3 riguarda invece i casi in cui si voglia realizzare
a mezzo stampa ‘Copie in notevoli quantità’,
cioè in numero superiore a 100: si chiarisce quale trattamento
attribuire ai testi di copertina nel caso in cui in una pubblicazione
vengano raccolte diverse opere sotto licenza FDL e si obbliga colui
che voglia distribuire (più di 100) copie ‘opache’
del documento a indicarvi chiaramente le modalità (per es.
l’indirizzo web) per poter acquisire gratuitamente la corrispondente
copia ‘trasparente’. Curiosa anche la raccomandazione
(che riecheggia le prerogative tipiche dei diritti morali d’autore)
per cui si consiglia di contattare l’autore del documento
prima di distribuirne un numero considerevole di copie, per metterlo
in grado di fornire una versione aggiornata dello stesso.
La sezione 4, che si occupa delle ‘Modifiche’, è
la più dettagliata, dato che specifica in 15 punti (dalla
lettera A alla lettera O) le condizioni con cui è ammesso
intervenire attivamente sul documento: esse vertono principalmente
sul mantenimento delle libertà derivanti dalla FDL (per es.
con l’obbligo di allegare all’opera derivata una copia
della licenza), sul giusto riconoscimento della paternità
delle singole modifiche e sulla costante disponibilità delle
versioni trasparenti anche per le parti modificate. Si prevede inoltre
la possibilità di inserire nel documento ‘sezioni non
modificabili’[192] , a condizione che vengano inequivocabilmente
segnalate e riguardino contenuti non tecnici; particolare attenzione
viene dedicata ai testi di copertina, i quali nell’ambito
della distribuzione soprattutto cartacea ricoprono un fondamentale
ruolo di marketing.
La sezione 5 (‘Unione di documenti’) sancisce la possibilità
di unire in un’unica nuova opera un documento sotto FDL con
altri documenti distribuiti sotto la stessa licenza, a patto che
si includa l’insieme di tutte le ‘sezioni non modificabili’.
La sezione 6 (‘Raccolte di documenti’) e la sezione
7 (‘Raccogliere assieme ad opere indipendenti’) disciplinano
rispettivamente la raccolta di documenti tutti tutelati da FDL e
il raggruppamento di documenti sottostanti a diversi regimi di copyright
(di cui almeno uno sotto FDL).
La sezione 8 considera la ‘Traduzione’ come un tipo
di modifica e perciò non fa altro che rimandare alla sezione
4. A livello giuridico è invece molto interessante quanto
si dice a proposito della traduzione della licenza stessa, che viene
permessa a patto però “che si includa anche l’originale
versione inglese”, la quale in caso di discordanze a livello
interpretativo prevale sempre sulla versione tradotta. Questo risvolto
ha una funzione di certezza del diritto e ha grandi riflessi in
campo probatorio e di esegesi giuridica del testo.
La sezione 9, intitolata ‘Limiti di applicabilità’,
precisa i termini generali entro cui la licenza è da ritenersi
valida e gli eventuali casi di automatica decadenza dai diritti
in essa previsti; equivale a grandi linee alla ‘Sezione 4’
della GPL.
L’ultima, la sezione 10 (‘Revisioni future di questa
licenza’), riserva alla Free Software Foundation (alla stregua
della ‘Sezione 9’ della GPL) la possibilità di
pubblicare “nuove e rivedute versioni” della FDL.
Prevedibilmente, il testo della licenza si chiude con la tipica
sezione esemplificativa per il suo corretto utilizzo.
2.
UNA DIVERSA APPLICAZIONE DEL COPYLEFT. – Una prospettiva così
innovativa e interessante per tutto il mondo della comunicazione
non poteva rimanere relegata alla distribuzione di documentazione
relativa al software libero, come d’altronde gli stessi compilatori
della FDL avevano intuito (cfr. supra il ‘Preambolo’).
Dalla seconda metà degli anni ’90 (ovvero gli anni
del successo di Linux e della GPL) nel giro di pochi anni infatti
molti autori e pseudo-editori di opere multimediali pensarono di
applicare il paradigma delle licenze software anche ad opere del
tutto prive di carattere tecnico-funzionale e rivolte piuttosto
alla pura sfera della creatività artistico-espressiva.
E’ evidente però che in questo passaggio alle opere
di tipo narrativo, poetico, musicale, grafico, cinematografico non
poteva attuarsi una semplice trasposizione di paradigmi di tutela
come poteva invece avvenire per la manualistica tecnico-informatica.
Il trattamento di queste opere doveva tenere conto appunto della
loro diversa vocazione di opere destinate a veicolare messaggi di
tipo emozionale, a trasmettere sensazioni e ad esprimere spiccatamente
la personalità dell’autore, in modo non comparabile
ad un’opera funzionale o compilativa[193] .
Non bisogna dimenticare che il diritto d’autore era stato
in origine concepito proprio come rivolto a queste opere ed è
proprio la dottrina industrialistica ad offrirci un taglio giuridico
su quale sia il precipuo oggetto della protezione di diritto d’autore:
“la protezione ha ad oggetto l’opera in quanto rappresentazione
della realtà o espressione di opinioni, idee e sentimenti
[…]”.[194] E’ per questo che si può vedere
nell’affermarsi del copyleft l’occasione per un ritorno
ad una concezione più classica del diritto d’autore.
Torneremo più avanti su questo punto; per ora ci interessa
sottolineare la diversità delle ripercussioni che l’Opensource
può avere sui diversi campi della creatività.
In primo luogo, nell’ambito delle opere artistico-espressive
l’aspetto della malleabilità e della loro indiscriminata
modificabilità passa decisamente in secondo piano, prevalendo
piuttosto quello della libera e gratuita distribuzione. Ad esempio,
per le strette implicazioni con la sensibilità individuale
dell’autore di cui abbiamo parlato, molti compositori di brani
musicali hanno optato per licenze che incoraggiassero la massima
libertà di copia, ma che limitassero la possibilità
di intervenire sull’opera senza il loro esplicito consenso.
Lo stesso può dirsi per le opere poetiche o figurative.
In opere di questo tipo ci si allontana inevitabilmente dai principi
di disponibilità e apertura del sorgente (che risultano poco
calzanti alla realtà del fenomeno), per concentrarsi piuttosto
sulla libertà di copia e sulla trasparenza dei formati; di
conseguenza sarebbe forse il caso di non parlare più di ‘open
source’, ma semplicemente di ‘copyleft’.
Lo stesso Stallman sottolinea la differenza sostanziale fra manuali
tecnico-informatici e testi di libera espressione delle idee: “in
generale, non credo sia essenziale permettere alle persone di modificare
articoli e libri di qualsiasi tipo. Per esempio, non credo che voi
o io dobbiamo sentirci in dovere di autorizzare la modifica di articoli
come questo, articoli che descrivono le nostre azioni e il nostro
punto di vista.”[195]
Questa posizione trova conferma in gran parte delle disposizioni
sul copyright che accompagnano l’immensa mole di articoli
e saggi di stampo propagandistico e divulgativo che si trovano sui
siti della FSF e del progetto GNU. Tali note “liquidano”
la questione dei diritti d’autore su quel materiale con insuperabile
sintesi e laconicità, senza nemmeno rimandare ai termini
di una qualche licenza (per esempio GPL o FDL); il loro tenore letterale
è più o meno questo: “La copia letterale e la
distribuzione di questo testo nella sua integrità sono permesse
con qualsiasi mezzo, a condizione che sia mantenuta questa nota”.
In questa manciata di parole si condensa appieno l’essenza
del copyleft, senza però correre il rischio che qualcuno
intervenga in modo arbitrario e distorto sulle idee e sullo stile
espressivo dell’autore originario.
3.
COPYLEFT E OPERE LETTERARIE. – Prendendo le mosse da queste
premesse su tali sfaccettature del copyleft come fenomeno culturale
oltre giuridico, entriamo nel merito delle sue implicazioni reali
con le principali categorie di opere contemplate dal diritto d’autore;
iniziamo dunque dalle opere letterarie in senso ampio, dunque non
limitato all’ambito della manualistica tecnico-informatica.[196]
3.1.
IL VERO SIGNIFICATO DI OPENPRESS. – Come abbiamo visto a proposito
dei vari progetti legati allo sviluppo e alla distribuzione di software
open source, l’uso dell’aggettivo ‘open’
è stato spesso usato per indicare la vocazione dei progetti
verso la filosofia della condivisione e della libertà. In
certi casi però l’uso dell’aggettivo si è
trasformato in abuso, essendo esso sfruttato come una scaltra strategia
di marketing per promuovere e lanciare i prodotti sull’onda
del successo del software ‘aperto’[197] .
Pensiamo al caso del termine OpenPress che viene comunemente e generalmente
usato per indicare ogni tipo di pubblicazione gratuita disponibile
su Internet. Ad esempio i siti Internet di alcune famose case editrici
italiane di libri di cultura informatica riportano delle sezioni
dedicate al generico fenomeno dell’OpenPress in cui sono scaricabili
gratuitamente articoli, documenti, saggi, passi estratti da libri,
libri interi oppure in versione parziale. Tuttavia non tutto questo
materiale è in linea con i principi del movimento Opensource,
dato che in molti casi la loro disponibilità gratuita non
corrisponde alla libertà per l’utente di distribuirne
copie liberamente e tanto meno di apportarvi modifiche. Addirittura
alcuni libri, chiamati in modo accattivante OpenBooks, sono distribuiti
gratuitamente solo in una minima parte o comunque in parti non molto
rilevanti, come semplice ‘specchio per allodole’ per
invitare all’acquisto del tradizionale volume cartaceo. Tali
siti sono quindi da intendersi più come cataloghi promozionali
che come veri contenitori di materiale informativo, quali invece
sono le sezioni antologiche dei siti delle varie associazioni no-profit
che promuovono la documentazione libera. In breve, anche in questo
caso la gratuità non deve essere confusa con la libertà.
A scanso di equivoci, quello che qui si vuole stigmatizzare non
è tanto la modalità di distribuzione, che si compie
nel pieno rispetto della normativa di copyright e delle previsioni
contrattuali di edizione e che trova riscontro nella prassi diffusa
del mondo della nuova editoria, quanto l’abuso dell’aggettivo
‘open’ che risulta palesemente improprio alla luce dei
saldi principi etici posti a fondamento del movimento Opensource.
Addirittura alcuni siti chiamano generalmente OpenPress tutto il
materiale che tratta in qualche modo temi limitrofi al mondo del
software libero, portando l’abuso terminologico all’eccesso.
Esempi autentici di OpenBook sono invece la raccolta di saggi di
Richard Stallman intitolata (nella versione italiana) “Software
libero, pensiero libero: saggi scelti di Richard Stallman”,
distribuita gratuitamente e integralmente su Internet con la nota
‘essenziale’ di copyleft (cfr. infra par. 2), pur essendo
disponibile sul mercato anche in versione cartacea a pagamento;
oppure la ricostruzione storico-biografica di Sam Williams intitolata
“Codice libero”, distribuita sotto i termini della GNU
FDL e anch’essa disponibile sia in versione digitale integrale
gratuita sia in versione cartacea a pagamento. Ad ogni modo, la
bibliografia di questo saggio indicherà di volta in volta
il regime di tutela dei principali documenti-fonte.
3.2.
IL PROGETTO “GNUTEMBERG!”. – Un progetto davvero
utile e molto interessante dal punto di vista della proprietà
intellettuale è quello che fa capo al sito Internet www.gnutemberg.org
che si propone di raccogliere e incentivare la diffusione a mezzo
stampa di tutto il materiale distribuito sotto licenze libere come
quelle che abbiamo fin qui conosciuto (e che continueremo a conoscere).
Il nome del progetto è una sorta di fusione fra ‘GNU’,
in quanto acronimo del progetto che ha originato la filosofia della
condivisione, e fra ‘Gutenberg’ inventore della stampa
ai tempi del Rinascimento; la ‘m’ che si vede al posto
della ‘n’ sottolinea l’origine italiana del progetto
e il punto esclamativo indica forse lo stupore creato dal suo carattere
innovativo.
GNUtemberg! si articola in tre indipendenti ma complementari iniziative,
cioè:
- l’individuazione e la promozione di centri di stampa, copisterie,
tipografie “che possano vendere copie stampate o fotocopiate
di documentazione libera”[198] : una lista completa e aggiornata
(ma limitata all’ambito italiano) dei centri “convenzionati”
è accessibile dalla home-page del sito;
- la raccolta delle opere libere di più frequente consultazione
su un CD-ROM virtuale consultabile alla pagina web http://cdrom.gnutemberg.org/;
- la creazione di un vero e proprio database (archivio telematico)
in cui sia catalogata tutta la documentazione libera esistente al
mondo: questa iniziativa è chiamata in acronimo GFDD (GNUtemberg
Free Documentation Database) e possiede un proprio URL (www.gfdd.org).
I formati per i documenti diffusi e catalogati da GNUtemberg sono
il ‘Postscript’ e il ‘PDF’ che si distinguono
per la loro particolare comodità e precisione in fase di
stampa.
Il progetto, inaugurato nell’aprile 2000, è ancora
agli inizi ma ha già destato molta curiosità nell’ambito
dell’editoria “alternativa” per i riflessi rivoluzionari
che può avere in ambito di copyright sulle opere letterarie
tout court. Grazie ad esso, infatti, si verifica nei fatti quello
scollamento dell’opera dal supporto di cui abbiamo diffusamente
parlato e si realizza al meglio la libertà di scelta dell’utente:
questi ad esempio può commissionare la stampa nel formato
cartaceo che preferisce, può scegliere il tipo di rilegatura,
può scegliere se stampare l’opera intera o solo alcune
parti, può creare un’apposita copertina personalizzata,
può accorpare più documenti, oppure può acquistare
il prodotto così come confezionato dal centro-stampa e addirittura
ordinarlo via e-mail per riceverlo con posta tradizionale.
3.3.
LA RIVISTA ITALIANA ‘OPEN SOURCE’. – In fatto
di opere letterarie è il caso di toccare anche l’ambito
giornalistico con un altro esempio tutto italiano di comunicazione
libera: la rivista mensile Open Source edita dalla Systems, apparsa
recentemente nelle edicole (il primo numero risale al settembre
2003). In essa si parla di software libero in senso tecnico, di
attualità della cultura hacker, di progetti legati al movimento
Opensource. Sarebbe un normale periodico di informatica, come ce
ne sono tanti attorno al successo di Linux, se non fosse che è
distribuito interamente sotto i termini della FDL, il cui testo
è riportato nell’ultima pagina ed è richiamato
da un’opportuna nota sul copyright dove si indicano anche
le ‘sezioni non modificabili’; inoltre il CD-ROM ad
esso allegato contiene tutti software e applicazioni tutelati da
licenze open source.
Questa scelta pionieristica in ambito giornalistico (e decisamente
ammirevole) è motivata nell’editoriale del primo numero
(settembre 2003), dove si legge: “Open Source vuole essere
una rivista che si occupa non solo di Linux, ma che esplora un perimetro
ben più vasto, quello del software libero e liberamente accessibile.
Proprio in ossequio a questa scelta ‘liberale’, la rivista
viene distribuita con licenza GNU Free Documentation License […].”
Ciò, come Stallman ha sempre sostenuto con vigore, non osta
al fatto che la rivista sia comunque venduta ad un prezzo in linea
con quello di altri prodotti editoriali simili.
4.
IL PROGETTO CREATIVE COMMONS. – Nel 2001 ha preso il via un
progetto che si rivelerà presto uno dei più ambiziosi
in fatto di libera diffusione delle conoscenze e della creatività
in generale, addirittura più ambizioso del progetto GNU e
delle Open Source Initiative per l’ampiezza del panorama cui
si rivolge: si tratta del progetto Creative Commons, il cui sito
ufficiale è www.creativecommons.org. Esso nasce dall’iniziativa
di alcuni nomi di spicco nell’ambito della scienza della comunicazione
e della proprietà intellettuale, fra cui ricordiamo James
Boyle, Michael Carroll, Eric Eldred e soprattutto Lawrence Lessig,
docente presso la facoltà di legge di Stanford e già
grande studioso delle implicazioni giuridiche del software libero.
4.1.
GLI SCOPI. – Il sostantivo ‘Commons’, che letteralmente
indica il ‘popolo’, cioè l’insieme delle
persone comuni, per estensione potrebbe essere qui tradotto con
‘collettività’ o ‘comunione’ nel
senso del mettere in comune, del condividere liberamente. Nella
disegno dei fondatori infatti c’era l’idea di dar vita
ad una collettività di creazioni artistiche e di persone
creative, le quali si avvicinano all’arte per il mero gusto
della creatività e dell’espressione, al di là
delle ottiche di guadagno tipiche del classico paradigma di proprietà
intellettuale. Una sorta di “zona franca”, di “riserva
naturale” [199] , in cui gli artisti si possano sentire liberi
dalla logica spesso poco incoraggiante derivata da uno sviluppo
abnorme e distorto del copyright, il quale da mezzo per l’incentivo
della creatività si fa sempre più ostacolo legale
e burocratico alla possibilità d’espressione.
L’apparato di principi del progetto[200] non si pone in polemica
con il mondo dell’imprenditoria culturale (sia essa editoria,
produzione discografica, produzione cinematografica) la quale persegue
legittimamente dei profitti, tutelando i suoi cospicui investimenti
per mezzo del diritto d’autore, ma vuole che questo non si
trasformi necessariamente in un’arma a doppio taglio a scapito
dei singoli artisti indipendenti. Come è giusto che sia tutelata
la struttura imprenditoriale, è però anche giusto
che venga tutelata la libertà d’espressione di colui
che, magari solo in via estemporanea, vuole esprimere artisticamente
la propria personalità, senza voler necessariamente entrare
nelle maglie del mercato dell’editoria. Come si legge nel
sito ufficiale del progetto “Creative Commons cercherà
di realizzare un sistema di tutela di opere dell'intelletto. […]
Questa tutela proteggerà opere di particolare valore pubblico
dalla proprietà privata esclusiva. Incoraggeremo le persone
a devolvere i loro copyrights affinché siano pubblicamente
disponibili.”[201]
Anche qui, come nell’impostazione del progetto GNU, non si
tratta di ingaggiare una guerra indiscriminata contro il copyright,
bensì solo di ridimensionarne alcuni aspetti problematici
e adattarne la visuale al nuovo contesto di comunicazione digitale
e telematica, con un particolare sguardo per la crescente multimedialità.
Il tipo di opere abbracciate dal concetto di ‘libera espressione’
è intuibilmente molto più ampio di quello di ‘libera
diffusione delle conoscenze’; difatti il progetto Creative
Commons si occupa di incentivare e raccogliere opere di ogni tipo,
da quelle letterarie (sia tecnico-scientifiche, sia narrative o
poetiche) a quelle musicali, da quelle figurative in generale a
quelle cinematografiche.
Inoltre il progetto intende realizzare un immenso database di opere
concesse in libera condivisione e s’impegna a “sviluppare
un ampio catalogo di lavori di alta qualità su diversi media,
e promuovere un'etica basata sulla condivisione, l'educazione del
pubblico e l'interazione creativa.”
4.2.
LE LICENZE. – Per raggiungere gli obbiettivi prefissati, il
gruppo di giuristi del progetto Creative Commons ha redatto un set
di undici licenze ispirate ai modelli proposti dalla FSF[202] ,
chiamate coerentemente “Creative Commons Public Licenses”
(CCPL) e rilasciate pubblicamente nel dicembre 2002.
Esse sono il risultato dell’unione di quattro caratteristiche-base
(o opzioni), le quali, a seconda delle loro diverse combinazioni,
attribuiscono alle varie licenze differenti funzioni giuridiche[203]
:
- la caratteristica ‘attribution’ si riferisce all’obbligo
di rendere merito all’autore originario dell’opera (quello
che in Italia viene definito come ‘diritto morale alla paternità
dell’opera);
- la caratteristica ‘no derivs’ indica il divieto di
apporre modifiche all’opera e quindi di crearne opere derivate;
- la caratteristica ‘non commercial’ vieta l’utilizzo
dell’opera per scopi commerciali;
- la caratteristica ‘share alike’, che letteralmente
si traduce ‘condividi allo stesso modo’ (o più
elegantemente ‘identico spirito di condivisione’), indica
invece l’obbligo di applicare alle opere da essa derivate
lo stesso tipo di licenza dell’opera originaria (è
lo stesso fenomeno che abbiamo visto in fatto di software a proposito
di ‘viralità’ della GPL e di trasferimento ad
libitum del copyleft). Vi è inoltre allo studio la possibilità
di ‘istituire’ una quinta caratteristica/opzione, ovvero
la ‘education’, mirata all’incoraggiamento della
diffusione delle opere per fini didattici ed educativi: una sorta
di specificazione dell’opzione ‘non commercial’.[204]
Per una questione logica la caratteristica dello “share alike”
è incompatibile con quella del divieto di opere derivate:
infatti non avrebbe senso vietare le opere derivate e nello stesso
tempo rendere obbligatorio un determinato trattamento per le opere
derivate. Di conseguenza le combinazioni che si ottengono, che sono
anche i nomi delle varie licenze, risultano essere: la ‘Attribution-NoDerivs’,
‘Attribution-NoDerivs-NonCommercial’, ‘Attribution-NonCommercial’,
‘Attribution-NonCommercial-ShareAlike’, ‘Attribution-ShareAlike’,
‘NoDerivs-NonCommercial’, ‘NonCommercial-ShareAlike’;
più le quattro versioni per così dire ‘pure’:
‘Attribution’, ‘NoDerivs’, ‘NonCommercial’,
‘ShareAlike’.
Dunque, in base alle proprie esigenze, un autore può scegliere
liberamente sotto quale particolare regime di licenza distribuire
la propria opera. Tutte le licenze Creative Commons si presentano
in una triplice enunciazione: una versione sintetica (‘Common
deed’), facilmente comprensibile al grande pubblico degli
utenti (“a human-readable summary”) e nella quale vengono
semplicemente elencati i diritti e gli obblighi trasmessi dalla
licenza; una versione più dettagliata (‘Legal code’),
redatta in linguaggio giuridico, che ricalca gli schemi tipici delle
licenze fin qui esaminate (principalmente della FDL) e che fa da
testo ufficiale di riferimento per qualsiasi controversia legale;
e infine una versione elettronica (‘Digital code’) “che
permette a motori di ricerca ed altre applicazioni di identificare
la tua opera in base alle condizioni di utilizzo specificate dalla
licenza.”
Indipendentemente dalla loro categoria funzionale, tutte le CCPL
hanno in comune la libertà di copiare, distribuire, mostrare
ed eseguire in pubblico l’opera. Sono invece condizionate
ai peculiari termini della licenza scelta le altre due libertà
fondamentali, cioè “realizzare opere derivate”
dall’opera licenziata e “attribuire all’opera
un uso commerciale”. Tutte le licenze (riferendoci alle versioni
sintetiche) dopo l’elencazione delle libertà e delle
relative condizioni, riportano due raccomandazioni: la prima è
riferita alla certezza del regime di licenza applicato in ogni fase
della distribuzione e il suo testo letterale è: “per
qualsiasi riutilizzo o distribuzione, dovete dire chiaramente quali
sono i termini di licenza di quest’opera.”; la seconda
è riferita alla derogabilità in via contrattuale delle
previsioni della licenza e il suo testo letterale è: “ciascuna
di queste condizioni può essere tralasciata qualora abbiate
ricevuto il permesso dell’autore”. Infine in ogni licenza
si ricorda che il diritto di “fair use” e altri diritti
non sono in nessun modo influenzati dagli effetti della licenza.
L’apparato di licenze Creative Commons è cristallizzabile
in una tabella, ispirata a quella che si trova sul sito del progetto[205]
e che riportiamo qui in una versione rivisitata, priva dei simboli
grafici[206] con cui tale sito ama efficacemente raffigurare ogni
concetto (anche giuridico).
Licenze |
OBBLIGO
DI ATTRIBUZIONE ALL’AUTORE ORIGINARIO |
DIVIETO
DI USO PER SCOPI COMMERCIALI |
DIVIETO
DI OPERE DERIVATE |
OBBLIGO
DI IDENTICO SPIRITO DI CONDIVISIONE |
Attribution |
sì |
no |
no |
no |
Attribution-NoDerivs |
sì |
no |
sì |
no |
Attribution-NoDerivs-NonCommer. |
sì |
sì |
sì |
no |
Attribution-NonCommer. |
sì |
sì |
no |
no |
Attribution-NonCommer.-ShareAlike |
sì |
sì |
no |
sì |
Attribution-ShareAlike |
sì |
no |
no |
sì |
NoDerivs |
no |
no |
sì |
no |
NoDerivs-NonCommer. |
no |
sì |
sì |
no |
NonCommercial |
no |
no |
sì |
no |
NonCommer.-ShareAlike |
no |
sì |
no |
sì |
ShareAlike |
no |
no |
no |
sì |
Tabella
ispirata al modello presente alla pagina web http://creativecommons.org/licenses/
Inoltre alla stessa pagina del sito si spiega con quali accorgimenti
pratici scegliere, scaricare ed utilizzare la licenza: ad esempio,
nel caso di opera diffusa via Internet, si consiglia di inserire
nel sito anche un “bottone”, che riporti il logo Creative
Commons e la dicitura ‘some rights reserved’, ovvero
‘alcuni diritti riservati’ (in richiamo della tradizionale
espressione ‘all rights reserved’, ‘tutti i diritti
riservati’); questo sarà anche un link che rimanderà
alla licenza prescelta nella sua versione sintetica, la quale a
sua volta rimanderà alla versione ‘Legal Code’.
Lo stesso sito Creative Commons è ovviamente rilasciato sotto
una di queste licenze e precisamente sotto la ‘CCPL Attribution
1.0’, di modo che chiunque può diffondere il materiale
esplicativo e propagandistico del progetto, farne opere derivate,
usarlo a scopi commerciali, ma con l’obbligo di attribuire
di volta in volta la paternità del materiale a Creative Commons.
Oltre alle licenze fin qui presentate, Creative Commons contempla
e in un certo senso incoraggia anche la scelta del public domain
sulle opere. In questo caso non vi è un particolare testo
di licenza anche per il fatto che (come abbiamo già accennato)
il regime di public domain non costituisce una vera e propria licenza;
piuttosto si cerca di rendere chiara e consapevole la scelta dell’autore,
il quale con una dichiarazione unilaterale cede l’opera al
pubblico dominio. A tal scopo, sul sito Creative Commons, si trova
una procedura telematica piuttosto snella[207] con un sistema di
duplice conferma via mail della scelta effettuata; si trova inoltre
un apposito bottone-link graficamente identico a quello sopra citato
ma che riporta la dicitura ‘no right reserved’ (ovvero,
‘nessun diritto riservato’) e che rimanda ad un disclaimer
(avvertenza)[208] in cui si chiariscono le implicazioni del public
domain per il diritto U.S.A.[209]
4.3.
PARTICOLARI INIZIATIVE. – Al di là della redazione
e del costante aggiornamento delle licenze e della raccolta e promozione
delle opere diffuse liberamente, Creative Commons ha recentemente
attivato alcune iniziative settoriali di cui segnaliamo le più
interessanti.
L’iniziativa “icommons” mira all’internazionalizzazione
del progetto Creative Commons, promovendo e sostenendo la formazione
di organizzazioni simili negli altri paesi del mondo e coordinandone
l’attività. Attualmente nella pagina web dedicata all’iniziativa[210]
si trovano i link relativi ai paesi attualmente coinvolti (Brasile,
Cina, Finlandia, Giappone, Irlanda, Italia, Taiwan) e si specificano
le implicazioni di diritto internazionale che hanno le CCPL: “le
nostre licenze sono prive di riferimenti alla giurisdizione (‘jurisdiction-agnostic’):
non si riferiscono cioè alle leggi o all’ordinamento
di un particolare stato e non contengono alcun tipo di indicazione
sulla legge da applicare. Tuttavia, il testo delle licenze è
basato per molti versi sul Copyright Act statunitense. Questo significa
che, benché noi non abbiamo motivo di pensare che le licenze
possano non funzionare nei diversi sistemi giuridici del mondo,
è almeno concepibile che qualche aspetto delle licenze non
vada d’accordo con le leggi di un particolare paese.”
Questo tipo di annotazione diventa – come vedremo –
di grande significato per l’aspetto processuale del diritto
privato internazionale.
Un’altra curiosa iniziativa è quella denominata “Founders’
Copyright”[211] ed è mirata a riportare in qualche
modo i limiti temporali del copyright statunitense a quelli originari
previsti nella Costituzione dai padri fondatori (i ‘Founders’,
appunto) del nuovo stato americano. Infatti la prima legge U.S.A.
sul copyright (risalente al 1790) prevedeva un’estensione
dei diritti di utilizzazione economica fino ad un massimo di 14
anni dalla pubblicazione dell’opera, eventualmente rinnovabili
su richiesta dell’autore per altri 14. Un limite massimo,
quindi, di 28 anni che si contrappone all’attuale previsione
che vuole i diritti persistenti per tutta la vita dell’autore
e fino a 70 anni dalla sua morte (a beneficio quindi dei suoi aventi
causa).
Creative Commons ha escogitato uno scaltro espediente che permette
di imboccare un percorso alternativo agli autori che non vogliano
“imbrigliare” la loro opera nelle maglie del copyright
per un periodo di tempo così ampio e che allo stesso tempo
ritengano sufficiente la retribuzione derivante da quei 14 o 28
anni di sfruttamento esclusivo; e tutto ciò senza dover entrare
in contrasto con la normativa ordinaria sul copyright. In pratica
l’autore stipula con Creative Commons un contratto simbolico
(ma del tutto valido) con cui, al prezzo altrettanto simbolico di
un dollaro, cede definitivamente all’associazione il copyright
sull’opera; a questo punto Creative Commons concederà
all’autore una ‘licenza esclusiva’ che gli garantirà
l’utilizzo dell’opera per 14 anni (o eventualmente per
altri 14). In compenso, l’opera durante quel periodo godrà
della promozione e della visibilità che solo un grande archivio
telematico di contenuti artistici qual è il sito di Creative
Commons può assicurare. Allo scadere dei 14 (o 28) anni l’autore
non potrà avanzare più alcun copyright né diritto
di utilizzo.
Infine, di recente (a metà dicembre 2003), il gruppo di discussione
dei progetti Creative Commons ha ufficializzato l’attivazione
di un progetto che era sul tavolo dei lavori già dal maggio
precedente ed è stato proposto e articolato da Negativland,
un’associazione che da tempo si batte per le libere utilizzazioni
delle opere musicali[212] . Si tratta di una particolare licenza
appositamente ideata per il fenomeno del sampling musicale, ovvero
la prassi (piuttosto diffusa dagli anni 90 in poi) di creare brani
musicali estrapolando frammenti fonici da altre opere musicali preesistenti.
A dire il vero la nuova licenza (che si presenta ancora in una versione
provvisoria, cioè ‘draft’) si riferisce esplicitamente
a tre distinti fenomeni: il sampling (cioè la campionatura),
il collage, il mash-up (identificabile a grandi linee con il remix,
ovvero la rivisitazione e “ri-miscelazione” elettronica
di un brano). Inoltre si specifica in quali termini si può
correttamente appellarsi al diritto di fair use in simili fenomeni:
“La tua opera derivata deve fare un uso soltanto parziale
dell’opera originaria, o se scegli di utilizzare l’opera
originaria integralmente, devi però sia usare l’opera
come una porzione non determinante (insubstantial) della tua opera
derivata sia trasformarla in un qualcosa di sostanzialmente diverso
dall’opera originaria.”[213]
5.
COPYLEFT E RICERCA SCIENTIFICA. IL PROGETTO PLOS. – Uno dei
terreni più fertili per l’applicazione del copyleft
ad opere creative non software è quello dell’informazione
scientifica, la quale, per la sua funzione primaria di incentivo
del progresso scientifico, sente maggiormente le esigenze di malleabilità
e di libera diffusione dei contenuti[214] .
Ancora una volta è Richard Stallman a suggerire la via del
‘permesso di copia’ e della condivisione in tutti i
suoi testi sulla libera documentazione tecnica e in particolare
in un saggio del 1991 intitolato inequivocabilmente “La scienza
deve mettere da parte il copyright”[215] , nel quale l’hacker
prende strenuamente posizione a favore di una scelta ‘politica’
da parte di tutto il mondo della comunicazione scientifica. A giudizio
di Stallman il copyright, come impostato attualmente, si è
allontanato dalla sua precipua funzione di “promozione del
progresso scientifico” (come indicato dalla Costituzione Americana)
e quindi spetta al mondo della ricerca metterlo da parte.
La soluzione pratica è semplice e non contrasta con la normativa
sull’editoria cartacea tradizionale, dato che consisterebbe
nel trasferire tutto il materiale d’informazione scientifica
in formato elettronico per la costituzione di una immensa biblioteca
telematica gestita però su un modello decentrato, come nel
caso dei centri-stampa del Progetto GNUtemberg. Si legge nel saggio:
“la tecnologia moderna per l’editoria scientifica è
il World Wide Web. […] Gli articoli andrebbero distribuiti
in formati non-proprietari[216] , garantendone il libero accesso
a tutti. E chiunque dovrebbe avere il diritto a crearne dei mirror,
ovvero a ripubblicarli altrove in versione integrale con gli adeguati
riconoscimenti.” Offrendo dunque a tutti la libertà
di fare dei mirror (letteralmente, ‘specchio’, quindi
‘versione facilmente stampabile e osservabile’), saranno
le biblioteche di tutto il mondo ad occuparsi della stampa e della
distribuzione del materiale secondo la richiesta dell’utenza.
La prospettiva proposta da Stallman nel ’91 ha avuto recentemente
modo di realizzarsi in un serio e ben organizzato progetto di condivisione
telematica delle conoscenze scientifiche chiamato ‘Public
Library of Science’ (PLoS), ovvero ‘Archivio pubblico
della scienza’[217] . Il progetto, che vede fra i suoi attivi
sostenitori grossi nomi come il premio Nobel Harold Varmus e il
biologo Michael Eisen, è riuscito a sensibilizzare gran parte
degli ambienti accademici e dei centri di ricerca su questa questione.
Nella home-page del sito ufficiale www.plos.org si legge che “PLoS
è un’organizzazione no-profit di scienziati e fisici
impegnati affinché il mondo della letteratura scientifica
e medica diventi una risorsa pubblicamente disponibile”. Il
progetto è ufficialmente attivo dal 2000 e nel recente ottobre
2003 ha inaugurato la prima organica sezione dell’archivio,
cioè quella dedicata alla Biologia (www.plosbiology.org);
tuttavia, visto il successo ottenuto e l’ammirazione riscossa,
si conta di poter disporre a breve di altre sezioni, dedicate ad
esempio alla Fisica e alla Chimica.
Inizialmente il materiale diffuso dal PloS era coperto da un’apposita
licenza chimata ‘Science Open-Access License’ (cioè,
Licenza per il libero accesso alla scienza), ma dall’aprile
2003 viene applicata ufficialmente la CCPL ‘Attribution 1.0’,
con gli stessi termini dunque che abbiamo visto a proposito del
sito Creative Commons.
6.
COPYLEFT E OPERE DI COMPILAZIONE (ENCICLOPEDIE, DIZIONARI, BANCHE
DATI). – Un altro ambito decisamente congeniale all’applicazione
dei criteri di copyleft è quello delle opere di compilazione,
così come le abbiamo definite nel capitolo precedente inquadrandole
trasversalmente nelle categorie delle banche dati e delle opere
multimediali.
Si sono già avuti molti esempi di opere di questo tipo con
permesso di copia e soprattutto permesso di modifica, caratteristica
che in questo caso si fa particolarmente pregnante: infatti il successo
di questo paradigma di tutela dipende proprio dalla continua necessità
di aggiornamento che tali opere presentano e che viene perfettamente
soddisfatta dalla filosofia Opensource. Mettere a disposizione del
pubblico una banca dati liberamente aggiornabile da chiunque (con
tutte le opportune cautele, s’intende) fa sì che la
stessa sia incomparabilmente completa, sempre aggiornata e funzionale
alle esigenze di ricerca; inoltre non verrebbe intaccato quel già
citato “nucleo dell’opera da cui esigere il requisito
della creatività”[218] , stando esso non nei contenuti
quanto piuttosto nel criterio di strutturazione dell’opera.
Un esempio lampante di opera di compilazione telematica, multimediale,
dinamica[219] e ‘open source’ (in questo caso possiamo
riprendere questa espressione) è l’enciclopedia ‘libera’
che fa capo al sito Internet www.wikipedia.org. La home-page della
versione italiana del sito (http://it.wikipedia.org/) c’è
un breve testo di presentazione del progetto che ne delinea le caratteristiche:
“Wikipedia è un progetto internazionale per creare
con il contributo di tutti un’enciclopedia multilingue completa
ed accurata.” Il progetto è nato nel 2001 e attualmente
la versione in lingua inglese (http://en.wikipedia.com) è
arrivata ad avere più di 170 mila articoli.
Gli articoli, i saggi e le semplici definizioni che derivano dal
contributo degli utenti e che vanno così a formare l’immensa
e versatile enciclopedia sono catalogati per argomenti o in ordine
cronologico e comunque ritrovabili per mezzo di un apposito ‘motore
di ricerca’; ci sono anche alcune sezioni monografiche dedicate
per esempio alle biografie, all’attualità, agli anniversari
storici. Il sito rimanda ovviamente a tutte le versioni in lingue
diverse fra cui se ne contano quasi quaranta (curiose le sezioni
nei linguaggi convenzionali Esperanto e Interlingua). Si spiega
inoltre come poter contribuire alla realizzazione dell’opera
con una dettagliata procedura di ‘upload’[220] e come
segnalare eventuali articoli diventati obsoleti oppure redatti con
un’ottica poco obbiettiva: è infatti norma etica del
progetto il cosiddetto ‘Neutral Point of View’ (NPOV)[221]
, cioè ‘Punto di vista neutrale’ nella stesura
e pubblicazione dei vari articoli.
Per quanto riguarda la nostra analisi giuridica, bisogna rilevare
che lo stesso testo di presentazione in home-page chiarisce preventivamente
che tutto il materiale compreso in Wikipedia è e dev’essere
rilasciato sotto la licenza GNU FDL, la quale, trattandosi prevalentemente
di documentazione tecnico-scientifica, risulta la scelta più
opportuna.
Un’altra iniziativa simile, ma di minori proporzioni, anche
perché rivolta solo all’ambito italiano, è quello
del Progetto Dizionario Libero attivato dall’Associazione
Software Libero (AsSoLi)[222] . Anche in questo caso il confine
fra software e documentazione è molto sottile dato che un
buon numero di vocaboli con le rispettive traduzioni e spiegazioni
è la base necessaria per realizzare le versioni italiane
dei vari software liberi in circolazione (primi fra tutti gli editor
di testi come ad esempio ‘OpenOffice’ ed ‘Emacs’);
e nello stesso tempo la AsSoLi vuole cogliere l’occasione
per poter creare, alla stregua di Wikipedia, una sterminata banca
dati di definizioni continuamente aggiornabili.
Nella pagina web dedicata al progetto[223] si legge: “Il cuore
del progetto è quello di arrivare prima a definire e poi
a realizzare una classificazione completa dei lemmi della lingua
italiana, che tenga conto anche delle regole grammaticali e sintattiche,
e che sia strutturata in maniera flessibile, modulare ed espandibile.
In questo modo sarà possibile da una parte generare automaticamente
un vocabolario (per l'uso da parte dei correttori ortografici),
e dall'altra avere una struttura che permetta, aggiungendo ulteriori
informazioni, di realizzare un dizionario, una raccolta di sinonimi
e contrari, o un vocabolario italiano/altra lingua.”
Il dizionario, ideato da circa un anno, è tuttavia ancora
in una fase embrionale e non se ne possono ancora cogliere gli sviluppi
concreti. Ad ogni modo, le licenze contemplate sono la GPL, la LGPL
e la FDL, ovvero il set completo delle licenze del Progetto GNU:
non a caso la AsSoLi è il principale referente italiano per
la Free Software Foundation.
Ad ogni modo, nella categoria delle opere di compilazione realizzate
sotto licenza copyleft potremmo anche inserire il già citato
progetto PLoS se lo si considera alla stregua di una raccolta enciclopedica
di saggi o di un massimario giurisprudenziale, quindi come una vera
e propria banca dati.
7.
COPYLEFT E OPERE MUSICALI. – In fatto di opere musicali, l’applicazione
del copyleft deve tener conto di alcune peculiarità di fondo:
per prima cosa la musica è il fenomeno creativo che più
di tutti si qualifica per la sua pura funzione espressiva, emozionale,
ludica, senza ravvisare alcun tipo di funzionalità od utilità
tecnico-documentale come invece era ancora ravvisabile ad esempio
nella saggistica scientifica. Ciò comporta che nelle opere
musicali si realizza particolarmente la sensibilità e il
gusto dell’autore, più di quanto possa avvenire in
opere letterarie, proprio per l’unione che si verifica fra
elemento contenutistico (il testo e il messaggio che esso esprime)
ed elemento sonoro (l’armonia, la melodia, l’arrangiamento).
Inoltre in fatto di diffusione di un’opera musicale il lato
soggettivo dei diritti d’autore si fa molto più complesso,
dato che è molto raro che l’autore del brano sia anche
l’unico esecutore; mentre in un’opera letteraria multimediale
è sicuramente più probabile che l’ideatore del
testo sia anche colui che l’ha fisicamente realizzato e messo
a disposizione del pubblico. In ambito musicale invece succede molto
più facilmente che chi scrive la parte musicale non scriva
però la parte testuale e inoltre che per la realizzazione
dell’opera (esecuzione in pubblico o registrazione) si serva
della collaborazione di più soggetti, come interpreti e tecnici-audio.
Dunque, l’autore che voglia distribuire un’opera con
i parametri del copyleft dovrà necessariamente richiedere
a riguardo l’espresso consenso di tutti questi soggetti.
Un altro aspetto problematico riguarda la possibilità di
apporre modifiche: mentre la modifica di un testo (anche nel caso
di poesie e testi teatrali dotati quindi di particolare espressività)
è a livello tecnico sempre possibile: non bisogna far altro
che sostituire, togliere o aggiungere alcune parole e la modifica
sussiste effettivamente e l’opera derivata avrà un
suo significato indipendentemente dal valore artistico dell’intervento.
Nel caso di un’opera musicale la situazione non è così
agevole: a meno che si tratti di una sequenza musicale creata con
suoni e procedimenti sintetici e disponibile in formato digitale,
non si potrà facilmente intervenire sulla parte melodica
(quindi la parte più rilevante anche per il diritto d’autore)
senza dover risuonare interamente il brano; e questo richiederebbe
in situazioni di normalità l’intervento di altri soggetti
esecutori e realizzatori dell’opera. Si potrà dunque
eventualmente solo realizzare delle rivisitazioni fonografiche dell’opera,
per esempio i cosiddetti remix. E’ vero che la tecnologia
delle campionature musicali rende ogni suono potenzialmente sintetizzabile
e quindi modificabile digitalmente, però è giusto
tener conto di queste difficoltà pratiche.
Osservate queste avvertenze, l’autore che voglia distribuire
liberamente la sua opera musicale può semplicemente attingere
al set di licenze Creative Commons, che abbiamo detto essere rivolto
alla generalità delle opere dell’ingegno, scegliendo
la combinazione che meglio incontra i suoi intenti.
Tuttavia nel 2001, sempre sull’onda del successo del copyleft
applicato alla creatività in generale, in rete si è
affermato un progetto di origini tedesche dedicato specificamente
al copyleft in ambito musicale: si chiama OpenMusic e fa capo al
sito web http://openmusic.linuxtag.org/. Nella pagina del sito dedicata
alla presentazione e alle finalità del progetto[224] si fa
un chiaro riferimento all’inevitabile e repentino mutamento
che il mercato discografico ha subito con l’apparire di Internet
e del file-sharing e alla necessità che il mondo della produzione
discografica (e precipuamente gli autori) sappia adattarsi al nuovo
universo.
Con uno stile che richiama il saggio di Stallman sulla definizione
di software libero[225] , alla stessa pagina si schematizza la filosofia
OpenMusic in tre libertà fondamentali:
- la libertà di ascoltare musica quanto si vuole;
- la libertà di distribuire musica, a livello sia privato
che commerciale (in quest’ultimo caso bisogna far sì
che l’autore originale possa beneficiare in qualche modo dei
profitti);
- la libertà di modificare la musica.
Per realizzare la sua filosofia il progetto ha a sua volta rilasciato
un set di licenze concepite appositamente per le opere musicali
e caratterizzate (come le CCPL) per le loro specifiche funzioni.
Le tre OpenMusic Licenses (OML) sono emblematicamente contraddistinte
dai tre colori del semaforo a seconda della loro più o meno
ampia restrittività.
La Green OML (verde) è la meno restrittiva e si pone, quanto
a significato giuridico, come la corrispondente della GPL in ambito
musicale ed è indicata come la più consigliata per
fare dell’autentica Free Music. Essa contiene tutte e dieci
le caratteristiche in cui si estrinsecano le tre libertà
fondamentali: l’uso privato, la modificazione per uso privato,
la possibilità di trarne opere derivate ad uso privato, la
distribuzione a livello privato e la diffusione/trasmissione (broadcasting)
in ambito privato, l’uso a scopi commerciali, la modificazione
per scopi commerciali, la possibilità di trarne opere derivate
a scopi commerciali, la distribuzione a livello commerciale, la
diffusione in ambito commerciale.
La Yellow OML (gialla) è leggermente più restrittiva
e inibisce tutti gli usi in ambito commerciale (quindi gli ultimi
cinque dell’elencazione appena riportata) garantendo però
le stesse libertà della Green in ambito privato.
La Red OML (rossa) invece è piuttosto restrittiva e si allontana
dalla vera essenza del copyleft, vietando, oltre a tutti gli usi
in ambito commerciale, anche la possibilità di modificare
l’opera e di trarne opere derivate; persistono invece le libertà
di uso privato, di distribuzione a livello privato e di diffusione
in ambito privato.
Il progetto OpenMusic ha previsto anche la possibilità per
il singolo utente di stilare una licenza personalizzata con solo
alcune specifiche funzioni; a questo scopo nel sito si presenta
una licenza per così dire “intercambiabile” e
facilmente adattabile chiamata Rainbow OML (ovvero, arcobaleno)
proprio ad indicare questa sua caratteristica. Tuttavia si raccomanda
agli utenti di scegliere questa formula solo se strettamente necessario
e di servirsi ove possibile di una delle tre licenze ufficiali predefinite.
Il sito presenta anche una tabella sinottica (dedicata alle licenze
OML) sul modello di quelle che abbiamo fin qui proposto e che qui
riportiamo.
caratteristiche |
Green
OML |
Yellow
OML |
Red
OML |
Uso
privato |
sì |
sì |
sì |
Modificazioni
per uso privato |
sì |
sì |
no |
Possibilità
di
opere derivate |
sì |
sì |
no |
Distribuzione
a livello privato |
sì |
sì |
sì |
Diffusione
in
ambito privato |
sì |
sì |
sì |
Uso
a scopi
commerciali |
sì |
no |
no |
Modificazioni
a
scopi commerciali |
sì |
no |
no |
Poss.
di opere derivate
a scopi commerciali |
sì |
no |
no |
Distribuzione
a scopi commerciali |
sì |
no |
no |
Diffusione
a
scopi commerciali |
sì |
no |
no |
Traduzione italiana della tabella riportata alla
pagina web
http://openmusic.linuxtag.org/showitem.php?item=209
Un frutto tangibile di questa filosofia è poi riscontrabile
in una compilation di brani musicali dal titolo “OpenMusic
- Free music for a free world”, che si può acquistare
su CD e ricevere per posta tradizionale: i tredici brani sono tutti
rilasciati sotto licenza OML (precisamente quattro sotto la Green
e nove sotto la Yellow) e sono anche scaricabili gratuitamente da
Internet in formato ‘mp3’ dal sito del progetto[226]
.
Oltre al Progetto OpenMusic che sicuramente in ambito di applicazione
del copyleft ad opere musicali resta il più organico e completo,
altre associazioni e gruppi di artisti indipendenti si sono mosse
in una direzione simile. Basta accedere al sito web www.free-music.org
per ritrovare i vari leitmotiv della filosofia della musica libera
e per vedere alcuni link a siti da cui poter ricavare altre licenze
copyleft per opere musicali: ad esempio si può citare la
‘Free Music Public License’ (FMPL) che però è
stata diffusa solamente in una versione sperimentale valida solo
fino alla fine del 2001[227] ; e la ‘Open Audio License’
del progetto EFF (di cui presenteremo più avanti gli scopi)
della quale è stata rilasciata nell’aprile del 2001
l’ultima versione (la 1.0.1)[228] . Infine è il caso
di citare altri due siti che si occupano in generale della sensibilizzazione
in fatto di libera distribuzione di musica: uno è il sito
privato www.ram.org (curato da Ram Samudrala) e l’altro è
il sito del progetto francese ‘Musique-libre’ (www.musique-libre.com).
8.
ALTRI PROGETTI DI LIBERA ESPRESSIONE (E RELATIVE LICENZE). –
L’idea ambiziosa dei promotori di Creative Commons di usare
il copyleft come soluzione contro l’eccessiva restrittività
del copyright in generale, quindi non solo in fatto di software
e relativa documentazione, era già stata messa in pratica
da altri progetti pionieristici anche se con visibilità ed
efficacia minori.
Ad esempio il progetto ‘OpenContent’ (che fa capo al
sito www.opencontent.org) è attivo dal 1998 e ha rilasciato
due diverse licenze specifiche per opere letterarie: la Open Content
License, la cui versione 1.0 risale al luglio del ’98, e la
Open Publication License, la cui versione 1.0 risale al giugno del
’99; fra le due è la seconda a ricalcare maggiormente
il modello di licenza copyleft. Il progetto OpenContent, che prevede
anch’esso la realizzazione di un grande archivio telematico
di opere e una lista degli autori che vi partecipano, è stato
qualche mese fa per così dire ‘congelato’ per
confluire nel più ampio e meglio organizzato progetto Creative
Commons.[229]
Vi è poi il progetto (già citato a proposito del copyleft
nelle opere musicali) EFF acronimo di ‘Electronic Frontier
Foundation’, il quale ha come slogan ‘Defending Freedom
in the Digital World’, cioè ‘Per la difesa della
libertà nel mondo digitale’. Sul sito ufficiale www.eff.org
in una breve frase si condensano gli ideali del progetto: “Essere
in grado di condividere idee e informazione è la ragione
per cui il Web è stato creato prima di tutto!”; per
sostenere tali obbiettivi di salvaguardia della libertà degli
utenti della rete, l’associazione, oltre a rilasciare licenze
come la ‘OpenAudio license’, raccoglie fondi per la
promozione della libera creatività e promuove concrete iniziative
di comunicazione.
In Internet (all’indirizzo http://dsl.org/copyleft/dsl.txt)
è possibile inoltre trovare una licenza di copyleft piuttosto
simile alle CCPL nello spirito e nella struttura, che però
è in circolazione dal 1999 ed è pensata per un determinato
ambito della creatività. E’ chiamata Design Science
License (DSL) e gli scopi della sua creazione sono enunciati come
sempre nel preambolo, da cui si estrae: “Mentre la ‘design
science’ è una strategia di sviluppo dei manufatti
come modo per modificare l’ambiente (non le persone) e di
conseguenza per migliorare il generale standard di vita, questa
Design Science License è stata scritta e diffusa come strategia
per promuovere il progresso della scienza e dell’arte attraverso
la modifica dell’ambiente.”
Un centro di studi giuridici dell’Università di Harvard
ha voluto (forse con intenti dimostrativi) applicare lo spirito
della condivisione anche a tematiche giuridiche. Il progetto chiamato
OpenLaw fa capo al sito http://cyber.law.harvard.edu/openlaw nel
quale si presentano alcuni casi giurisprudenziali (realmente pendenti)
e si invita la comunità degli utenti a commentarli e a proporre
soluzioni, in vista della pubblicazione in rete del lavoro collettivo.
Art Libre è un progetto di origine francese impegnato, alla
stregua di Creative Commons, nella diffusione dello ‘spirito
copyleft’ (‘copyleft attidude’) e alla sua applicazione
a tutte le opere creative. Il sito ufficiale www.artlibre.org rimanda
al testo di un’apposita licenza chiamata ‘Licence Art
Libre’ (oppure nella sua versione inglese ‘Free Art
License’). Si tratta di una licenza piuttosto ben fatta, snella,
chiara e coerente con tutti i principi del copyleft in senso autentico;
presenta alcune peculiarità che non si trovano nelle altre
licenze simili fra cui i riferimenti alla durata del rapporto contrattuale
derivante dalla licenza, al caso del sub-licensing (ovvero di un
ulteriore licenza da parte del licenziatario) e alla legge applicabile
al contratto (cioè la legge francese). Dal preambolo della
Licence Art Libre si deducono con chiarezza gli scopi del progetto:
“Dal momento che l’uso fatto del diritto della proprietà
letteraria e artistica conduce a restringere l’accesso del
pubblico all’opera, la licenza Art Libre ha per scopo di favorirla.
L’intenzione è di rendere accessibili e permettere
l’utilizzo dei contenuti di un’opera da parte di più
persone.” Questa licenza, essendo l’unica nata in un
contesto totalmente europeo, può essere considerata, per
i toni e le argomentazioni, il modello di licenza più vicino
alla concezione italiana del diritto d’autore e se ne consiglia
quindi una lettura dettagliata.[230]
In Belgio si è sviluppato un progetto di sensibilizzazione
sulle questioni di libertà di circolazione delle idee che
fa capo al sito www.copyleft.be, nel quale è possibile trovare
un ricchissimo archivio e una dettagliata bibliografia di documentazione
dedicata al copyleft.
Una curiosa iniziativa di editoria telematica è quella che
si trova al sito web www.capitancook.com, cioè un “progetto
collaborativo per creare una guida turistica di tipo open content”:
su questo sito chiunque può aggiungere materiale relativo
a viaggi ed itinerari, sotto il modello di tutela della FDL.
Segnaliamo infine l’Associazione statunitense Negativland
(www.negativland.com) da tempo impegnata per l’affermazione
di un ampio diritto di ‘fair use’ (libere utilizzazioni)
in ambito musicale, in particolar modo riguardo alla prassi sempre
più diffusa di rivisitare elettronicamente brani musicali
(il cosiddetto remix) e soprattutto di estrapolare campioni sonori
da brani editi per formare brani inediti (il cosiddetto sampling).
In collaborazione con questa associazione (e con il patrocinio del
grande musicista brasiliano Gilberto Gil) Creative Commons ha predisposto
la pubblicazione di un’apposita licenza concepita per il fenomeno
del sampling, come abbiamo già visto a proposito di Creative
Commons.
9.
ALCUNI CASI SINGOLARI: OPENCOLA, OPENGAME, GETTY IMAGES –
La prassi dell’uso di licenze libere negli ultimi anni è
stata applicata anche a casi piuttosto atipici di opere dell’ingegno.
Il primo caso è il più curioso ed ha probabilmente
intenti dimostrativi (e quasi goliardici)[231] più che di
reale spirito di condivisione: si tratta del progetto OpenCola,
attivo dal gennaio 2001, che ha voluto applicare la licenza GPL
alla ricetta di una bibita analcolica. I vari ingredienti con i
rispettivi dosaggi sono trattati alla stregua delle parti di codice
sorgente nel caso di un software e perciò sono liberamente
modificabili. In Internet ci sono alcune tracce del progetto[232]
, ma ad oggi esso non ha avuto uno sviluppo concreto e nessuno ha
potuto vedere ufficialmente un lattina o una bottiglia di tale bevanda,
salvi i casi di realizzazioni (e degustazioni) sperimentali in ambito
casalingo.
Di recente, la ‘Wizard of the Coast’, l’azienda
titolare dei diritti di esclusiva sulle regole del famoso gioco
di ruolo, ‘Dungeons & Dragons’, in collaborazione
con associazioni create per unire e mettere in contatto gli appassionati
di questo gioco, ha pensato di rilasciare parte del complesso ed
articolato regolamento del giochi sotto una licenza simile nella
struttura a quelle fin qui viste, ma lontana dai principi fondamentali
del copyleft, dato che mantiene una filosofia pienamente proprietaria.
La licenza, chiamata Open Game License, è scaricabile, nella
sua versione 1.0a, dal sito www.opengamingfoundation.org/ogl.html[233]
e rappresenta un’interessante possibilità di sviluppo
del modello copyleft.
Un ultimo caso interessante è quello dell’azienda privata
Getty Images che si occupa di progetti grafici e di realizzazioni
fotografiche per l’editoria in generale. Per esigenze di elasticità
di gestione dei contenuti grafici da essa proposti, questa impresa
(il cui sito è www.gettyimages.com) ha escogitato un sistema
di licenze fra cui se ne distingue una per la vicinanza al modello
copyleft: la Getty Images Royalty-Free License Agreement (RFLA)
che si applica esplicitamente ad opere come “fotografie, fonts,
illustrazioni, clip video, clip audio, software e ogni altro media
e contenuto concesso dal licenziante al licenziatario.” Più
che per il suo contenuto, questa licenza è significativa
perché mostra l’insinuarsi della prassi delle licenze
libere anche in ambito privato-aziendale e quindi commerciale.
10.
IL COPYLEFT IN ITALIA. – Nel corso della presentazione dei
principali progetti di libera espressione ispirati al copyleft abbiamo
fatto cenno qua e là al contributo di alcune organizzazioni
di origine italiana: vediamo ora di osservare appunto in quali proporzioni
il fenomeno del copyleft si è sviluppato nel nostro paese.
La già citata Associazione Software Libero (www.softwarelibero.it)
è il punto di riferimento italiano per la Free Software Foundation
Europe ed è un’associazione no-profit che ha sede a
Firenze e si occupa della diffusione del copyleft principalmente
in ambito software, ma che si è attivata con progetti di
più ampio respiro come appunto il dizionario libero (si veda
il par. ) e un gruppo di studio sulle implicazioni giuridiche della
GPL sulla base del diritto italiano. Simili scopi e progetti vengono
perseguiti dall’associazione culturale ‘OpenLabs’
(www.openlabs.it) la quale però ha sede a Milano, dove organizza
eventi, conferenze e corsi relativi al software libero e alla filosofia
Opensource in generale. Su questo modello di attività bisogna
infine segnalare tutti i Linux Users Group (LUG) sparsi in varie
città italiane: si tratta a volte di gruppi informali e decentrati
che raccolgono e mettono in contatto tutti gli utenti di Linux e
gli appassionati dell’Opensource.
Per quanto riguarda l’applicazione del copyleft in ambito
non software, si segnala il sito web http://copydown.inventati.it/
in cui si raccolgono molti contenuti sotto licenze libere ed è
disponibile una traduzione quasi completa del materiale esplicativo
che si trova sul sito Creative Commons. Una curiosa iniziativa tutta
italiana è quella della realizzazione di una compilation
di brani musicali sotto licenza Creative Commons: l’originale
progetto è chiamato ‘Clorofolk’ e ha messo a
disposizione in rete quattordici file audio in formato ‘mp3’
scaricabili gratuitamente dal sito http://www.inventati.org/inventa/mp3/paginaprincipale.html.
Inoltre la libera associazione culturale ‘CreAttiva - Gruppo
di attivismo creativo’ (http://digilander.libero.it/creattivaweb),
attiva nel sud Milano dal gennaio del 2001, si occupa, con scopi
non commerciali, della promozione di vari progetti di condivisione
delle esperienze creative, come ad esempio ‘Collective Style’:
una strana iniziativa di narrativa giovanile che ha prodotto un
‘romanzo a staffetta’ realizzato ‘a più
mani’ da diversi autori senza che sia possibile risalire alla
paternità delle singole parti (un esperimento a metà
strada fra un’opera collettiva e un’opera composta).
Di recente CreAttiva si è mossa nella direzione della diffusione
del copyleft nell’ambito dei contenuti artistici, con la traduzione
e la diffusione delle licenze più importanti.
Infine, si deve citare l’importante e recentissimo passo compiuto
da alcuni giuristi dell’Università di Torino (fra cui
il Prof. Marco Ricolfi) che si sono attivati per la realizzazione
di un distaccamento italiano di Creative Commons, nell’ambito
del già illustrato progetto ‘iCommons’ e sotto
l’egida del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR). Il sito
www.creativecommons.it, in rete dallo scorso 20 novembre e presentato
dallo stesso Lawrence Lessig in occasione del convegno torinese
“La conoscenza come bene pubblico comune: software, dati,
saperi”, per ora riporta la traduzione italiana di alcune
delle CCPL e la possibilità di iscriversi ad una lista di
discussione per utenti italiani. Il risvolto più interessante
del progetto resta comunque l’avviato studio da parte di illustri
giuristi sull’effettiva applicabilità del copyleft
nel sistema di diritto d’autore italiano.
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NOTE
AL CAPITOLO V
[185]- Per un commento su questi diritti specifici della tutela
d’autore, v. AUTERI, Diritto d’autore, in AA.VV., op.
cit., p. 581 e p. 583.
[186]- Cfr. il saggio Il software libero ha bisogno di documentazione
libera (scritto nel 2000) in STALLMAN, Software libero, pensiero
libero (cit.); e similmente il saggio STALLMAN, Il progetto GNU,
in AA.VV., Open Sources (cit.), par. Documentazione libera.
[187]- Riportiamo la nota sul copyright che si trova sul frontespizio
del volume, per meglio comprendere i risvolti dell’applicazione
della GPL ad un’opera letteraria: “Questi saggi sono
liberi; è possibile distribuirli e/o modificarli secondo
i termini della licenza GNU General Public License come pubblicata
dalla Free Software Foundation; si applica la versione 2 o (a propria
discrezione) qualsiasi versione successiva della Licenza. Tali saggi
sono distribuiti nella speranza che possano risultare utili, ma
SENZA ALCUNA GARANZIA; senza la garanzia implicita di COMMERCIABILITÀ
e UTILIZZABILITÀ PER UN PARTICOLARE SCOPO.”
[188]- Cfr. Il software libero ha bisogno di documentazione libera
(scritto nel 2000) in STALLMAN, Software libero, pensiero libero
(cit.).
[189]- v. supra, cap. III, par. 1.2.
[190]- Faremo riferimento alla traduzione italiana a cura di Bernardo
Parrella, allegata all’edizione italiana del libro WILLIAMS,
Codice libero (cit.).
[191]- Si pensi per esempio ad una sua applicazione – alquanto
auspicabile e oggettivamente opportuna – ai manuali d’istruzioni
degli elettrodomestici, ai fogli illustrativi dei medicinali, ai
cataloghi di vendita o di promozione di prodotti, alle enciclopedie,
alle banche dati in generale, ai siti internet di dati e link.
[192]- Riguardo al concetto di ‘sezione non modificabile’
riportiamo un altro passo tratto dal saggio di STALLMAN, Il software
libero ha bisogno di documentazione libera: “Mentre una proibizione
generale sulle modifiche è inaccettabile, alcuni tipi di
limitazione sui metodi delle modifiche non pongono problemi. Ad
esempio vanno bene quelle di mantenere la nota di copyright dell'autore
originale, i termini di distribuzione, o la lista degli autori.
Non c'è problema anche nel richiedere che versioni modificate
diano nota del loro essere tali, e anche che abbiano intere sezioni
che non possono essere tolte o cambiate, fintanto che hanno a che
fare con argomenti non tecnici (alcuni manuali GNU le hanno). Questo
tipo di restrizioni non sono un problema perché, dal punto
di vista pratico, non impediscono al programmatore coscienzioso
di adattare il manuale per corrispondere alle modifiche del programma.”
[193]- Per un’approfondita descrizione di queste tipologie
di opere v. il già citato volume FRASSI, op. cit.
[194]- Cfr. AUTERI, Diritto d’autore, in AA.VV., op. cit.,
p. 496.
[195]- Cfr. STALLMAN, Il progetto GNU, in AA.VV., Open Sources (cit.),
par. Documentazione libera.
[196]- Per l’applicazione dei principi di libertà della
FSF alle opere letterarie, si veda in generale il saggio Il diritto
di leggere in STALLMAN, Software libero, pensiero libero: saggi
scelti di Richard Stallman, Stampa Alternativa, 2003.
[197]- Lo scopo della Open Source Initiative è anche quello
di vigilare sull’utilizzo distorto di questa terminologia:
v. supra Cap. III, par. 8.1.
[198]- Cfr. PAOLONE, Progetto GNUtemberg!, in Open Source (rivista),
n.1, settembre 2003, Systems, p. 84.
[199]- L’originale inglese (tratto dal sito ufficiale) riporta
“land trust o nature preserve”. Cfr. http://creativecommons.org/learn/aboutus/
.
[200]- La storia e gli obbiettivi del progetto sono contenuti nella
pagina web http://creativecommons.org/learn/ e disponibili in traduzione
italiana sul sito http://copydown.inventati.org/ .
[201]- Cfr. http://creativecommons.org/learn/aboutus/ .
[202]- Non è un caso che lo stesso sito del progetto GNU
raccomandi esplicitamente l’uso delle licenze Creative Commons
nel caso di opere diverse da software o documentazione tecnico-informatica:
cfr. http://www.gnu.org/ licenses/licenses.html. Allo stesso modo
il sito Creative Commons “contraccambia il favore” indicando
la FDL come licenza raccomandata per la manualistica software. Cfr.
http://creativecommons.org/license/. Ciò può essere
considerato come un reciproco riconoscimento da parte delle due
autorevoli organizzazioni.
[203]- Cfr. http://creativecommons.org/learn/licenses/ .
[204]- v. a tal proposito la pagina web http://creativecommons.org/discuss.
[205]- Cfr. http://creativecommons.org/licenses/ .
[206]- Per la spiegazione dei simboli grafici che rappresentano
le quattro caratteristiche base delle licenze cfr. http://creativecommons.org/learn/licenses/
.
[207]- Cfr. http://creativecommons.org/license/publicdomain-2 .
[208]- Cfr. http://creativecommons.org/licenses/publicdomain/ .
[209]- Dal sito Creative Commons è possibile accedere anche
ad alcuni siti dedicati specificamente alla promozione del ‘public
domain’: primo fra tutti il sito http://eldred.cc/ in cui
è possibile leggere il testo dell’Eric Eldred Act,
una sorta di dichiarazione di principi a sostegno del ‘public
domain’. Inoltre, vi è un interessante sito, diretto
affiliato di Creative Commons (http://www.eldritchpress.org/) che
raccoglie molti testi della letteratura statunitense e internazionale
che sono appunto in un regime di ‘public domain’.
[210]- v. http://creativecommons.org/projects/international/ .
[211]- v. a tal proposito http://creativecommons.org/projects/founderscopyright/
.
[212]- v. più avanti (par. 9).
[213]- Cfr. la pagina del progetto http://creativecommons.org/projects/cc-sampling
.
[214]- Su questo aspetto si veda in generale la presentazione schematica
compiuto dalla Free Software Foundation Europe in occasione del
WEBBIT 2003: disponibile al sito http://www.webb.it/event/eventview/973/.
[215]- La versione originale (intitolata “Science must push
copyright aside”) è comparsa per la prima volta sul
sito www.nature.it nel 1991 ed è disponibile alla pagina
http://www.nature.com/nature/debates/e-access/Articles/stallman.html.
Ci si riferirà qui alla versione italiana pubblicata in STALLMAN,
Software libero, pensiero libero (cit.).
[216]- v. a tal proposito quanto precisato riguardo alla “trasparenza”
dei formati digitali.
[217]- Per maggiori informazioni sul progetto si veda anche l’articolo
di Paul Elias disponibile alla pagina web http://www.fortwayne.com/mld/newssentinel/7031573.htm
(pubblicato il 16/10/03); e l’articolo di Danilo Moi disponibile
alla pagina web http://www.annozero.org/nuovo/stories.php?story=30
(pubblicato il 15/10/03).
[218]- Cfr. Cap. IV, par. 4.1.
[219]- Sul concetto di “dinamicità delle banche dati”
v. L.C. UBERTAZZI, I diritti d’autore e connessi. (cit.),
cap. VI, par. 3 e 4, pp. 70 ss.
[220]- Cfr. http://it.wikipedia.org/wiki.cgi?Wikipedia-Guida_Essenziale
.
[221]- Cfr. http://it.wikipedia.org/wiki.cgi?NPOV .
[222]- Il sito dell’organizzazione è www.softwarelibero.it
.
[223]- Cfr. http://softwarelibero.it/progetti/dizionario/index.shtml
.
[224]- Cfr. http://openmusic.linuxtag.org/showitem.php?item=208&lang=
.
[225]- v. La definizione di software libero (scritto nel 1996) in
STALLMAN, Software libero, pensiero libero (cit.).
[226]- Precisamente alla pagina http://openmusic.linuxtag.org/showitem.php?item=220.
[227]- Si veda specificamente il sito www.fmpl.org.
[228]- Disponibile alla pagina web http://www.eff.org/IP/Open_licenses/eff_oal.php.
[229]- La home del sito dice proprio che il progetto è ufficialmente
chiuso e per i suoi scopi si rimanda al progetto Creative Commons,
il quale “sta svolgendo un lavoro migliore”; a sua volta
la pagina web http://creativecommons.org/learn/legal/ cita OpenContent
fra i progetti pionieri della libera creatività che hanno
ispirato Creative Commons.
[230]- v. testo integrale sul sito http://artlibre.org/licence.php/lal.html.
[231]- Lo spirito goliardico e provocatorio si comprende ancor più
se si conosce l’intricata vicenda del segreto sulla ricetta
della Coca Cola.
[232]- Per una presentazione sintetica di veda la voce ‘OpenCola’
su Wikipedia alla pagina web http://en2.wikipedia.org/wiki/Open_Cola;
oppure è possibile visualizzare il testo della ricetta e
i riferimenti alla licenza GPL alla pagina web http://alfredo.octavio.net/soft_drink_formula.pdf
oppure alla pagina web http://www.colawp.com/colas/400/cola467_recipe.html.
[233]- Per il testo completo della licenza si veda anche http://www.seankreynolds.com/rpgfiles/misc/ogl.html;
oppure, per informazioni varie su come modificare il regolamento
v. www.open-gaming-center.com e www.gdritalia.org.
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