INTRODUZIONE.
Abbiamo visto fin qui l’evoluzione e gli aspetti tecnico-giuridici
dell’informatica come nuova scienza e come nuovo aspetto della
creatività. In questo capitolo invece vogliamo mostrare in
che modo il nuovo paradigma rappresentato dal successo del software
libero abbia avuto in un arco di tempo brevissimo molteplici riflessi
su tutto il mondo della comunicazione e dell’espressione.
Preliminarmente analizzeremo quel nuovo contesto di sviluppo che
è la rivoluzione digitale e successivamente esamineremo quali
implicazioni possono derivarne per il diritto della proprietà
intellettuale.
1.
L’INARRESTABILE RIVOLUZIONE. – La narrazione storica
compiuta nel capitolo 2 si è interrotta al 1998 circa (in
corrispondenza con il perfezionamento della Open Source Initiative),
considerando superfluo entrare nel merito degli sviluppi di questi
ultimi anni. Tuttavia è il caso di soffermarsi a riflettere
sui mastodontici cambiamenti tuttora in corso, sia in ambito tecnologico
che in ambito socio-culturale, che si vogliono spesso riassumere
con espressioni tipo ‘rivoluzione digitale’ o ‘era
delle comunicazioni’.
Infatti, proprio nell’ultimo decennio l’innovazione
tecnologica si è infiltrata capillarmente nel tessuto sociale
dei paesi industrializzati tanto da non essere più considerata
come rilevante solo per l’ambito tecnico-informatico, ma anche
più ampiamente per il modo di pensare e per le abitudini
di vita dell’uomo. Tale rivoluzione si esplica in alcuni fenomeni
fondamentali che ora sono entrati nella quotidianità ma che
solo pochi anni addietro sarebbero stati impensabili.
1.1.
IL SISTEMA DIGITALE. – Il primo concetto rivoluzionario introdotto
dall’innovazione informatica è quello di ‘digitale’.
Per capirlo ci dobbiamo rifare a quanto detto nelle premesse tecniche
del capitolo 1 a proposito del linguaggio binario utilizzato da
qualsiasi computer per gestire le informazioni. Appunto, questo
linguaggio formato dalle uniche due cifre 0 e 1 è l’unico
linguaggio compreso dalla macchina; ciò comporta che qualunque
tipo di dato che si voglia archiviare, modificare, duplicare per
via informatica necessiti un precedente processo di digitalizzazione.
Con tale irrinunciabile passaggio, qualsiasi informazione legata
all’umana sfera sensoriale (immagini, suoni, testi, forme)
viene ‘sintetizzata’ e ridotta ad una serie più
o meno complessa di 0 e di 1, chiamata ‘bit’.[136] Per
esempio se vogliamo digitalizzare una fotografia dobbiamo passarla
allo scanner e ‘salvarla’ sull’hard-disk in un
formato come ‘jpg’, ‘tiff’, ‘bmp’
ecc. (oppure potremmo scattare la foto direttamente con una fotocamera
digitale).
Tradizionalmente l’archiviazione di informazioni di tipo digitale
si contrappone a quella di tipo analogico, basata cioè non
su questo processo di trasposizione cifrata per mezzo dell’elaboratore,
bensì sull’incisione di impulsi elettrici su supporti
magnetici. Per capirci, il supporto magnetico più comune
è la cassetta audio che può appunto essere incisa
con un normale registratore, il quale trasforma la nostra voce ricevuta
da un microfono in una serie di impulsi elettrici incisi sul nastro[137]
.
La digitalizzazione invece ovvia a tutti i possibili inconvenienti
del metodo analogico, infatti i suoi effetti principali sono[138]
:
- la precisione: la conversione in bit è incomparabilmente
più precisa di quanto possa essere quella ad impulsi elettro-magnetici;
di conseguenza la duplicazione di informazioni da supporti digitali
genera dei ‘cloni’ perfetti del file originale, i quali
(salvo anomalie del sistema informatico) non sono da esso distinguibili
per qualità;
- la compattezza e la facilità di ‘stoccaggio’:
metaforicamente, se una foto nel classico formato cartolina occupa
uno spazio bidimensionale di 10 x 15 centimetri su supporto cartaceo,
un file digitale di pari qualità occupa una frazione minuscola
(quasi irrilevante) dell’hard-disk (o di altro supporto digitale);
lo stesso valga per i testi digitali, per i quali un CD-ROM potrebbe
equivalere ad un intero locale di una biblioteca;
- la malleabilità delle informazioni: i dati immagazzinati
in forma digitale, essendo sradicati dal loro naturale supporto
materiale (carta, nastro magnetico ecc.), risultano infinitamente
modificabili, aggiornabili, scomponibili, assemblabili da parte
di chiunque disponga della tecnologia minima necessaria per farlo.
1.2.
LA MULTIMEDIALITÀ. – Come conseguenza diretta e spontanea
delle caratteristiche della forma digitale dei dati appena riportate,
si ha che i contenuti possono essere gestiti in un modo estremamente
articolato e versatile. E’ possibile dunque comunicare messaggi
espressivi con grande completezza ed interattività, collegando
in modo funzionale le varie parti dell’opera, siano esse testi,
suoni, immagini. Infatti, agli occhi del computer queste non sono
altro che ‘insiemi di bit’; la loro estrinsecazione
in forma nuovamente intelligibile alla sfera sensoriale umana dipende
dagli strumenti tecnico-informatici di cui l’utente dispone
(e ovviamente della sua particolare abilità nel servirsene).
Se con il termine media si intende ogni tipo di mezzo di comunicazione
(materiale o virtuale), con l’aggettivo ‘multimediale’
s’intende la convergenza e fusione simultanea di media diversi,resa
possibile appunto dalla tecnologia digitale. [139]
L’aspetto della multimedialità riconferma il già
citato sradicamento dal supporto materiale che – come vedremo
– rappresenta forse il risvolto più problematico per
il diritto d’autore moderno.
1.3.
L’INTERCONNESSIONE TELEMATICA. – Ultimo (ma solo in
ordine di apparizione storica) dei tre fenomeni con cui abbiamo
voluto manifestare la cosiddetta rivoluzione digitale, è
la crescente e sempre più capillare interconnessione dei
singoli utenti mediante reti telematiche.
Quella che noi chiamiamo indistintamente e comunemente ‘Internet’
non è altro che un immenso agglomerato di ‘sotto-reti’[140]
con cui dagli ultimi anni ’60 (gli anni di ARPAnet[140] )
prima i grandi centri di ricerca, poi anche i singoli hacker e programmatori
hanno condiviso i loro dati informatici attraverso le linee telefoniche
. Col tempo questa opportunità si è avvicinata anche
ai normali utenti di personal computer, stravolgendo così
nel giro di pochi anni le abitudini di vita dei paesi industrializzati,
assottigliando nello stesso tempo le distanze geografiche nell’intero
pianeta e avvicinando sempre di più gli standard culturali.
Il tutto grazie ad una tecnologia piuttosto semplice e soprattutto
economica, se pensiamo per esempio che una e-mail inviata dall’Italia
al Canada costa come una inviata ad un vicino di casa, ovvero il
prezzo (spesso irrilevante) della connessione al server; a differenza
di una telefonata che comporta invece costi maggiori a seconda della
distanza fra gli utenti.
Questo ha demolito le fondamenta di tutto l’apparato giuridico-economico
legato all’aspetto della distribuzione dei beni immateriali[143]
. Tutto ciò che può essere digitalizzato (quindi in
senso generale, ogni tipo di informazione) non necessita più
alcun meccanismo di trasporto fisico per mezzo di supporti materiali,
dato che grazie alla comunicazione telematica è possibile
trasferire il file corrispondente con un costo tendente a zero e
soprattutto in tempo reale, con estrema precisione e senza rischi
di deterioramento o smarrimento.
Abbiamo già visto le ripercussioni benefiche di questa prassi
in fatto di sviluppo di software con il metodo della condivisione
(vedi il caso emblematico di GNU/Linux[144] ); ora però è
il momento di cercare di capire quali sconvolgimenti ciò
possa apportare (oppure abbia già apportato) a tutto il mercato
della comunicazione e dell’espressione e quindi anche al diritto
della proprietà intellettuale.
2.
NUOVE PROSPETTIVE PER LA COMUNICAZIONE E LA DISTRIBUZIONE IN GENERALE.
– Da queste nuove istanze tecnologiche derivano effetti, prima
ancora che sul mondo del diritto, sul mondo dell’informazione
in generale, inteso come mercato dei contenuti e quindi con implicazioni
sia dal punto di vista della scienza della comunicazione che da
quello della distribuzione.
In fatto di comunicazione, l’aspetto maggiormente rivoluzionario
deriva più che altro dalla ormai stabile interconnessione
telematica e consiste in un estremo assottigliamento, se non totale
annullamento, delle distanze tra emittente e ricevente. [146] Nella
infinita e indefinita comunità globale della rete, grazie
alla filosofia del peer-to-peer [146], ogni utente può essere
considerato allo stesso tempo ricevente o emittente di un messaggio
e quindi, per trasposizione, anche editore ed utente finale di un’opera,
senza che si riesca ad isolare una vera e propria fase di ‘pubblicazione’
intesa come passaggio dell’informazione dalla sfera privata
alla disponibilità per il pubblico. Si pensi anche alla prassi
ormai radicata del file-sharing [147], grazie alla quale l’hard-disk
di ogni singolo utente rappresenta un potenziale archivio di dati
(quindi anche informazioni e opere dell’ingegno) a disposizione
di tutta la comunità della rete. [148]
Da questi fattori deriva un virtuale appiattimento sia dal punto
di vista spaziale che da quello temporale, dato che un’opera,
una volta inserita in questo sistema, può essere considerata
come istantaneamente esistente in ogni parte del mondo pur non essendo
fisicamente presente in nessun luogo [149]. Le normali tempistiche
e formalità della fase di pubblicazione vengono rese in questo
modo evanescenti. [150]
Un aspetto assolutamente non sottovalutabile ed inerente ad entrambe
le sfere della comunicazione e della distribuzione è invece
quello dell’anonimato che gli attori di tale scenario possono
facilmente mantenere. Infatti fa parte delle conoscenze di un utente
che possiamo considerare mediamente esperto, l’applicazione
di alcune cautele tecnico-informatiche atte ad occultare la provenienza
dei file concessi in condivisione. In tal modo, ovviamente, aumenta
il grado di libertà di azione anche di coloro che abusano
maliziosamente delle immense opportunità offerte dalla rivoluzione
telematica, complice da questo lato anche un mancato coordinamento
a livello internazionale delle normative di controllo. Infatti –
e si inizia così ad introdurre un punto dolente per le nuove
esigenze giuridiche – in un panorama così vasto è
sufficiente anche un minimo spiraglio di superficialità nella
disciplina giuridica (o addirittura di ‘anarchia’) per
inquinare d’incertezza tutto l’apparato giuridico globale
che ruota intorno alla rete. [151]
Da tutto questo deriva un’ultima sottile istanza innovativa,
che ci fa notare la De Vivo con sintesi e chiarezza: “Con
l’avvento della multimedialità […] viene a cadere
la differenza stessa tra mezzo e messaggio, ossia tra Rete e Contenuto.
Internet, infatti, non è soltanto Rete di computer ma è
anche Informazione in sé”. [152]
3.
NUOVE PROSPETTIVE PER LA PROPRIETÀ INTELLETTUALE. –
Questo panorama rivoluzionario ed innovativo ci fa automaticamente
sentire l’esigenza che il diritto, in quanto scienza sociale,
si armonizzi spontaneamente al cambiamento [153]; ma purtroppo la
situazione è decisamente più intricata di quanto si
possa immaginare. D’altro canto, come sottolinea Ubertazzi,
la nostra concezione del diritto d’autore è nata in
tempi in cui l’industria culturale era sostanzialmente centrata
sulle opere letterarie, musicali e figurative, calate in un contesto
limitato all’editoria tradizionale cartacea e al teatro di
prosa o di musica; perciò “l’evoluzione tecnologica
in atto nei settori dell’informatica e delle telecomunicazioni
impone di verificare se il diritto d’autore attuale sia ancora
adeguato.” [154] E’ necessario inoltre tenere ben presente
che un’opera dell’ingegno avente i requisiti di creatività
e originalità (necessari per l’applicazione del diritto
d’autore) è protetta “qualunque ne sia il modo
o la forma di espressione” (art. 1 l.a.).
Le ultime scelte, sia quelle di politica legislativa compiute dai
governi, sia quelle di “auto-tutela” attuate a livello
di marketing dalle imprese editrici-produttrici, si sono però
esternate in una direzione opposta rispetto alla scelta di adattarsi
agli inevitabili mutamenti della rivoluzione digitale. Per il primo
aspetto - quello che qui maggiormente ci interessa - bisogna considerare
la marcata tendenza, da parte del legislatore statunitense prima
e di quello comunitario europeo poi, di rafforzare con precise disposizioni
normative la tutela del cosiddetto ‘corpus mechanicum’
delle opere, ovvero il loro aspetto materiale (contrapposto all’opera
in quanto contenuto espressivo, ovvero ‘corpus mysticum’)
[155], autorizzando (e per certi versi incoraggiando) l’applicazione
di meccanismi di crittazione e di controllo del supporto su ogni
tipo di opera (alla stregua di quanto mostrato a proposito di software).
Ci si riferisce ai disposti del Digital Millennium Copyright Act
(U.S.A., 1998) [156] e della sua versione europea ravvisabile nella
direttiva 2001/29/CE meglio nota come EUCD (European Union Copyright
Directive) [157].
Non si vuole in questa sede sindacare sull’opportunità
politico-giuridica di una simile impostazione di tutto il complesso
della proprietà intellettuale; più avanti cercheremo
al massimo di esaminare le eventuali possibilità di sviluppo
di discipline alternative. Si tratta infatti questa di una scelta
estremamente delicata a causa dei consistenti interessi economici
e sociali relativi al business della comunicazione, i quali si fanno
sempre più pregnanti in un mondo informatizzato e interconnesso
come quello attuale. Metaforicamente, si può prospettare
la presenza di due forze opposte che esercitano una costante e progressiva
trazione: da una parte abbiamo l’evoluzione tecnologica che
si fa sempre più intensa e accessibile all’utente medio,
dall’altra abbiamo la rilevanza politica ed economica del
mondo dell’editoria e della distribuzione di opere dell’ingegno
[158]; al centro di queste forze divergenti abbiamo invece il diritto
industriale in generale e più specificamente il diritto d’autore.
Questo negli ultimi anni è inoltre teatro di una irrisolta
disputa dottrinale su alcuni aspetti fondamentali che presentiamo
qui sinteticamente in via esemplificativa.
3.1. DIVERSE IMPOSTAZIONI DOTTRINALI. – La prima discrasia
a porsi è quella fra la dottrina maggioritaria che, per rispondere
alla crescente esigenza di nuovi modelli di disciplina, suggerisce
l’applicazione dei principi tradizionali della proprietà
intellettuale, con una approfondita opera di interpretazione e adattamento
ai vari casi concreti, garantendo così una maggior elasticità
e malleabilità della normativa [159]; e altri autori che
invece preferirebbero una disciplina specifica per ogni nuovo fenomeno
passibile di tutela industrialistica. [160]
Un’altra determinante dicotomia è quella che da un
lato vede i sostenitori di un nuovo diritto d’autore più
vicino al modello anglo-americano del copyright, quindi focalizzato
sulla tutela dell’opera in quanto tutt’uno di corpus
mysticum e corpus mechanicum e non particolarmente sensibile alla
distinzione giuridica di diritti patrimoniali e diritti morali;
dall’altro lato vede invece i promotori di un ritorno ad un
diritto d’autore più classico, più vicino quindi
al modello latino-germanico, che ponga l’accento sull’opera
in quanto tale (corpus mysticum) e che sappia valorizzare l’aspetto
morale indipendentemente da quello patrimoniale [161].
Non mancano poi le posizioni più radicali di coloro che vorrebbero
per esempio sottoporre il mondo della comunicazione ai rigidi controlli
riecheggianti una sorta di stato di polizia telematico, oppure di
coloro che vorrebbero disfarsi totalmente delle restrizioni tipiche
della proprietà intellettuale (precisamente quelle relative
all’aspetto patrimoniale), creando un universo di globale
condivisione delle informazioni. Si tratta, in quest’ultimo
caso, di un movimento politico-culturale che viene comunemente indicato
con l’espressione ‘no-copyright’ [162] o anche
‘cyberpunk’ [163] e su cui avremo modo di soffermarci
più avanti.
3.2.
IL PROBLEMA DELLA SMATERIALIZZAZIONE DELL’OPERA. – Come
abbiamo già accennato, uno degli aspetti più problematici
per il diritto industriale in questo campo è proprio la smaterializzazione
dell’opera, ovvero il suo virtuale scollamento dal supporto
fisico, il quale da indispensabile “mezzo di trasporto”
per i contenuti, diventa solo l’ingombrante, superfluo e costoso
involucro con cui i contenuti ci vengono propinati. Bisogna quindi
prospettarsi “una visione molto allargata […] del concetto
giuridico di ‘bene immateriale’, che nel mondo digitale
di Internet, acquista la peculiarità di ‘bene informatico’,
un bene cioè più che immateriale, dematerializzato
o dematerializzabile.” [164]
Prendiamo come caso esemplare generico la carta, la quale più
di tutti i supporti materiali può raggiungere presto la via
dell’obsolescenza, in un panorama di comunicazione digitalizzata,
multimediale ed interconnessa. Com’è intuibile, è
immensamente più facile disciplinare giuridicamente un libro
piuttosto che un iper-testo (cioè un testo digitale interattivo):
ciò a causa della staticità che il supporto cartaceo
implica ineluttabilmente. Se voglio aggiornare un libro, non posso
far altro che ri-pubblicarlo nella nuova versione; se invece voglio
aggiornare un iper-testo non devo far altro che intervenire con
gli stessi procedimenti informatici usati per realizzarlo (i quali
oltretutto sono a disposizione di tutti gli utenti). E ancora: un
libro nasce come un’opera fatta e finita, di cui quindi posso
conoscere l’autore, il titolo, il numero delle pagine, la
data e il luogo di pubblicazione; nel caso di un iper-testo invece
questi dati diventano sfuggenti e continuamente mutevoli, compresa
la certezza sulla paternità dell’opera, ed abbiamo
a che fare con opera che potenzialmente rimane sempre in fieri.
Infatti, nel caso che poi analizzeremo minuziosamente dell’iper-testo
sviluppato con i metodi del copyleft, non si avrà un autore
ben definito a cui far risalire unicamente responsabilità
e diritti, ma si avrà un autore originario e un numero potenzialmente
sempre indefinito di co-autori che sono intervenuti a totale insaputa
del primo; ciò comporta anche che la stessa essenza dell’opera
sarà indefinita ed essa sarà diffusa in diverse versioni
potenzialmente molto diverse fra loro.
Pensiamo poi alla contraffazione, fattispecie decisamente centrale
per il diritto d’autore moderno rivolto - come abbiamo visto
- sempre di più verso la tutela del corpus mechanicum, la
quale perde così gran parte del suo fondamento fattuale,
costitutivo e probatorio. Consideriamo tale fattispecie come realizzazione
di copie dell’opera senza l’autorizzazione dell’autore
e del titolare di diritti connessi, quindi in violazione del diritto
esclusivo di riproduzione [165] che, ex art. 13 l.a., “ha
per oggetto la moltiplicazione in copie dell’opera con qualsiasi
mezzo, come la copiatura a mano, la stampa, la litografia, la incisione,
la fotografia, la fonografia, la cinematografia ed ogni altro procedimento
di riproduzione”. Per esempio, consideriamo quanto possa risultare
ostico a livello probatorio il caso in cui ad un documento in forma
digitale nato per la distribuzione ‘proprietaria’ venga
allegato (con una banale operazione di ‘copia e incolla’)
il testo di una licenza libera ispirata ai criteri del copyleft.
Sono questi solo alcuni degli aspetti che possono essere ipotizzati
soffermandosi sulla smaterializzazione delle opere e che, già
affrontati dalla dottrina (pur con visuali spesso conservatrici),
attendono ora una concreta trattazione da parte della giurisprudenza.
Per ora – a parere di chi scrive – l’unica certezza
che emerge è che l’approccio giuridico non può
essere solo di tipo sanzionatorio; auspicandosi piuttosto una maggiore
comprensione del problema e una lettura meno diffidente delle possibilità
offerte dal fenomeno della digitalizzazione.
4.
NUOVE TIPOLOGIE DI OPERE. – La dottrina del diritto d’autore
tradizionale ha cercato il più possibile di conservare una
certa attualità e coerenza con gli sviluppi del mondo digitale
e, laddove non era sufficiente l’applicazione in via interpretativa
dei principi generali, si è impegnata nel tentativo di isolare
e definire alcune nuove categorie di opere, alle quali fosse quindi
riservato un trattamento specifico. Secondo una dinamica storica
unanimemente condivisa [166], possiamo suddividere le categorie
di opere contemplate dal diritto d’autore in tre generazioni:
la prima è quella più classica (cui abbiamo già
fatto cenno [167]) delle opere legate al mondo della stampa cartacea,
delle arti figurative e del teatro musicale e di prosa; la seconda
generazione è legata ai nuovi metodi di rappresentazione
della realtà comparsi tra il 1800 e il 1900 e comprende le
opere fotografiche, cinematografiche e fonografiche; la terza generazione
riguarda invece le opere figlie della tecnologia informatica e sono
principalmente il software, le banche dati e le cosiddette opere
multimediali.
Alla tutela del software abbiamo già dedicato gran parte
del capitolo precedente; quindi ci soffermeremo ora brevemente sulle
altre due definizioni appartenenti a questa terza generazione, che
sono poi quelle che maggiormente incontreremo nel prossimo capitolo.
4.1.
LE BANCHE DATI ELETTRONICHE. – Le banche dati hanno causato
minori problemi interpretativi sia grazie ad una loro ontologia
piuttosto chiara e ben delimitata, sia grazie ad un intervento legislativo
dedicato specificamente alla loro disciplina di diritto d’autore.
Il fenomeno della banca dati nel senso generico di ‘raccolta
di informazioni’ possiede una storia decisamente radicata
se pensiamo a tutte le opere che raccolgono altre opere: come primo
fra tutti sostiene Ubertazzi [168], già il museo, inteso
come opera indipendente dalle singole opere che contiene, si avvicina
moltissimo all’idea moderna di banca dati. La stessa contiguità
concettuale è correttamente individuabile nella generalità
delle opere di compilazione, quali le antologie di poesie, racconti,
immagini e quali le opere enciclopediche e le rassegne di massime
giurisprudenziali (o addirittura quali gli elenchi di indirizzi
e numeri telefonici disposti per settori commerciali come per esempio
le Pagine Gialle) [169].
La peculiarità di questa categoria di opere sta nel fatto
che il requisito della creatività (tradizionalmente ‘condicio
sine qua non’ per la tutelabilità con diritto d’autore
[170]) sia da ricercarsi non nelle caratteristiche espressive delle
singoli opere raccolte (le quali restano indipendentemente sottoposte
alla loro specifica tutela) quanto piuttosto nella peculiarità
dei criteri con cui l’autore-compilatore ha operato la raccolta
e ne ha disposto il risultato.
Conferma di questo principio si riscontra nella maggioranza delle
definizioni giuridiche attribuite al fenomeno, fra cui possiamo
riportare quella di Paolo Auteri: “Banca dati è una
raccolta di informazioni o elementi, costituenti o meno opere dell’ingegno,
scelti e/o disposti secondo determinati metodi o sistemi in modo
da consentire all’utilizzatore di accedere alle singole informazioni
e al loro insieme.” [171] Quanto percepito in via dottrinale
viene poi ulteriormente corroborato dal legislatore che nel 1999
[172] ha innestato sul piano normativo del diritto d’autore
italiano un nuovo numero (n. 9) all’art. 2 l.a., il quale
dopo una prima definizione del fenomeno (piuttosto aderente a quella
di Auteri appena citata), aggiunge: “La tutela delle banche
di dati non si estende al loro contenuto e lascia impregiudicati
i diritti esistenti su tale contenuto.”
L’aspetto però più problematico e che qui maggiormente
ci interessa di questa categoria di opere riguarda una sua sottocategoria
che appunto risente di tutte le difficoltà di inquadramento
giuridico esposte nei paragrafi precedenti: le banche dati elettroniche,
ossia le opere compilative realizzate con l’elaboratore ed
usufruibili per mezzo di metodi informatici. Il Prof. Ubertazzi
effettua opportunamente su questa sottocategoria un’ulteriore
dicotomia fra banche dati elettroniche statiche e banche dati elettroniche
dinamiche [173]: come vedremo le peculiarità della staticità
e della dinamicità comportano rilevanti differenze nelle
prospettive di tutela giuridica e riflessi per le cosiddette opere
multimediali tout court.
Si consideri come esempio di opera compilativa elettronica statica
una raccolta di testi legislativi (oppure di fotografie, oppure
di definizioni enciclopediche) edita su CD-ROM: con questo supporto
si mantengono tutte le caratteristiche di malleabilità e
liquidità dei dati, ma l’integrità ontologica
dell’opera è garantita.
Si consideri invece come esempio di opera compilativa elettronica
dinamica un repertorio di massime giurisprudenziali pubblicato su
Internet e aggiornato costantemente: quale sarà il nucleo
dell’opera da cui esigere il requisito della creatività?
Come tutelare ogni singola modifica? Il requisito della creatività
è soddisfatto dalla messa in rete di un primo “stock
di dati” i quali sono già disposti in un determinato
criterio scelto dall’autore-compilatore e costituiscono già
un’opera sufficientemente definita; invece, “ogni memorizzazione
successiva di dati condurrà ad una modificazione (non creativa)
dell’opera iniziale.” [174]
Un ultimo rilievo molto importante a livello di classificazione
giuridica (che ci tornerà utile nell’analisi del prossimo
capitolo) riguarda l’inserimento delle banche dati nel tipo
delle opere collettive [175] ai sensi dell’art. 3 l.a.: queste
opere per la legge sono infatti “costituite dalla riunione
di opere o di parti di opere, che hanno carattere di creazione autonoma,
come risultato della scelta e del coordinamento ad un determinato
fine letterario, scientifico, didattico, religioso, politico od
artistico, quali le enciclopedie, i dizionari, le antologie, le
riviste e i giornali.”
4.2.
LE OPERE MULTIMEDIALI. – Con l’espressione ‘opere
multimediali’ si vogliono ricomprendere svariate tipologie
di opere dell’ingegno accomunate dall’aspetto della
multimedialità, con le sue molteplici sfaccettature che abbiamo
mostrato all’inizio del capitolo. A dire il vero l’uso
di questa espressione spesso è più che altro un comodo
espediente per svolgere una trattazione onnicomprensiva dei riflessi
che la multimedialità trasmette sul diritto d’autore.
Questo per dire che – come molti autorevoli autori fanno notare
[176] – tale espressione è talmente ampia e generica
da non assicurare una sufficiente precisione nella sua configurazione
giuridica; in un gergo colloquiale si direbbe che “significa
tutto e allo stesso tempo non significa niente”. Non si può
infatti classificare un opera per il solo mezzo di comunicazione
con cui è trasmessa al pubblico (il media, appunto), per
il già citato principio dell’indipendenza della tutela
d’autore dalla forma d’espressione ex art. 1 l.a.: ogni
opera può apparire in forma di opera multimediale pur non
essendo stata concepita per stare in tale contesto.
Di conseguenza questo fenomeno che con l’avanzare delle nuove
tecnologie sta assumendo proporzioni enormi, non può essere
ignorato dal sistema di protezione del diritto industriale; bisogna
solo capire in che termini ciò possa compiersi. Anche (anzi,
soprattutto) in questo caso un intervento legislativo in materia
risulta ostico e forse addirittura inopportuno, a causa della suddetta
indeterminatezza della ontologia dell’oggetto dell’eventuale
disciplina; spetta per l’ennesima volta alla dottrina il compito
oneroso di tracciarne almeno le linee guida.
Qualcuno applica anche alle opere multimediali la dicotomia basata
sulla staticità o dinamicità dell’opera, ribadendo
come sia più plausibile l’adattamento della normativa
tradizionale di diritto d’autore alle opere multimediali statiche,
piuttosto che a quelle dinamiche. [177] Guglielmetti, dal canto
suo, definisce l’opera multimediale come “quel prodotto
che combina simultaneamente, in forma digitale, parti di testo,
di grafica, di suoni, di immagini statiche o in movimento, oltre
al relativo software gestionale.” [178]
Se non fosse per il riferimento al software come strumento per l’utilizzo
dell’opera, una simile definizione sarebbe attribuibile anche
alla specie delle opere cinematografiche, nelle quali appunto si
fondono opere visive, musicali, letterarie; non a caso, alcuni autori
si sono soffermati proprio su questa vicinanza [179].
E’ necessario dunque, per cogliere appieno il problema, non
tralasciare la precipua caratteristica dell’opera multimediale,
cioè la sua interattività: non si tratta della mera
malleabilità dei dati, ma di una particolare disposizione
e organizzazione degli stessi in modo da risultare estremamente
organici, funzionali, coordinati, facilmente rappresentabili all’utente
attraverso il software gestionale e soprattutto passibili di diverse
modalità di estrinsecazione a seconda delle scelte dell’utente.
“Attraverso l’interattività, infatti, il fruitore
dell’opera multimediale non è più soggetto passivo,
che in certo qual modo ‘subisce’ l’opera così
come è stata pensata e strutturata dal suo autore, bensì
ne diviene soggetto attivo.” [180]
Un’ultima importante annotazione di matrice dottrinale sta
nella riconducibilità di questo tipo di opera agli schemi
dell’opera collettiva [181], dato che le caratteristiche della
malleabilità, della varietà espressiva, della interattività
rendono l’opera multimediale particolarmente ‘aperta’
al contributo di diversi autori. Anzi, possiamo quasi dire che,
nel caso di opere multimediali sviluppate con i criteri del copyleft,
questa apertura ai diversi contributi creativi diventa una delle
caratteristiche peculiari del fenomeno.
L’analisi di questo nuovo e insolito tipo di opere sarà
l’oggetto del prossimo capitolo.
5.
LA “TRASPARENZA” DEI FORMATI DIGITALI. – E’
il caso infine di spendere qualche parola a proposito di un aspetto
che risulta piuttosto determinante per le implicazioni di diritto
industriale sull’ambito delle opere multimediali. Ci riferiamo
alla fondamentale questione dei rapporti fra formato dei file e
tecnologia a disposizione dell’utente.
Come abbiamo più volte fatto notare, la possibilità
di lettura, uso e modifica di un file digitale dipende indissolubilmente
dall’abilità dell’utente ma soprattutto dall’apparato
hardware-software di cui egli dispone. Un file infatti, a seconda
del suo contenuto e della sua particolare funzione, può essere
“confezionato” in diverse modalità o formati
che in informatica si contraddistinguono per la loro ‘estensione’,
cioè quella sigla (preceduta da un punto) che solitamente
troviamo sul nostro PC dopo il nome dei file. Per esempio le estensioni
‘.doc’, ‘.txt’, ‘.rtf’, indicano
particolari formati di testo, le estensioni ‘.jpg’,
‘.tif’, ‘.gif’ indicano particolari formati
d’immagine, le estensioni ‘.wav’, ‘.mp3’
indicano particolari formati di suoni, le estensioni ‘.mpg’,
‘.vid’, ‘.avi’ indicano particolari formati
video ecc.
La scelta di quale formato attribuire ad un file è determinata
da molti fattori fra cui la qualità del file, la sua compattezza,
la sua compatibilità con alcuni sistemi; e in certi casi
anche dalla comodità e dal gusto dell’autore. L’utente
che riceve un file può usufruirne solo se dispone delle apparecchiature
hardware e dei sistemi software necessari a decodificarlo; altrimenti
il file può essere semplicemente conservato in memoria come
un’inutile e informe sequenza di 0 e di 1.
Questa situazione disomogenea fa appunto emergere, in un sistema
digitale di diffusione dei contenuti, il problema della compatibilità
dei formati con i principali sistemi operativi e con gli specifici
software. Purtroppo, spesso la scelta di un determinato formato
è imposta di riflesso dalla particolare diffusione del rispettivo
software di codifica. Per esempio la diffusione del formato ‘.doc’
fra le decine possibili in ambito di file di testo dipende anche
dalla corrispondente diffusione del programma Microsoft Word [182].
Un’altra particolarità dipende dalle versioni dei programmi
di codifica: a seconda che esse siano più o meno aggiornate,
saranno più o meno in grado di leggere i vari formati disponibili
sul mercato; un file “vecchio” sarà sempre leggibile
con i nuovi programmi, ma chi dispone di un programma “vecchio”
può avere difficoltà ad aprire un file creato (e codificato)
con un programma più recente.
Anche qui si pone un dilemma di tipo etico se non addirittura politico:
come si può essere a favore della libera diffusione delle
conoscenze se poi per poterle acquisire si è costretti ad
usare strumenti non liberi? Ecco dunque che nelle viscere del movimento
Opensource e software libero, soprattutto per quanto riguarda l’aspetto
propagandistico, si tende sempre più a ricercare e a richiedere
una massima compatibilità dei formati con i diversi sistemi
software in circolazione; addirittura, come vedremo, alcune licenze
la richiedono esplicitamente come condizione di applicabilità.
Il concetto di ‘compatibilità’, però,
è piuttosto ampio e generico ed è spesso legato alla
sfera hardware; in questo specifico campo è preferibile parlare
di ‘trasparenza’, così come suggeriscono gli
stessi “guru” della FSF. Una impeccabile definizione
del concetto si estrae proprio dalla Licenza per documentazione
libera del progetto GNU, che alla sezione 1 riporta: “Una
copia trasparente del documento indica una copia leggibile da un
calcolatore, codificata in un formato le cui specifiche sono disponibili
pubblicamente, i cui contenuti possono essere visti e modificati
direttamente, ora e in futuro, con generici editor di testi o con
generici editor d’immagini […].” Per converso,
una copia che non abbia questi requisiti, quindi non trasparente,
è definita (con l’efficacia tipica del gergo hacker)
‘opaca’.
Da qui si evince che, in senso figurato, la trasparenza è
il corrispettivo in ambito di distribuzione di file digitali del
concetto di ‘apertura’ (caratteristico del software
open source) in ambito di distribuzione del software.
Questi rilievi, anche se sembrano limitarsi alla sfera pratica dell’utilizzo
dei dati, hanno enorme rilievo dal punto di vista della tutela industriale,
dato che la maggiore diffusione di un particolare formato sul mercato
globale delle informazioni si rivela spesso come una potentissima
arma di marketing per la distribuzione dei software e dei loro aggiornamenti.
[183] Le grandi imprese d’informatica sanno sfruttare al meglio
questa loro prerogativa, per esempio calibrando perfettamente i
tempi con cui diffondere gli aggiornamenti di un particolare programma
o immettere sul mercato un nuovo formato digitale; tutto ciò
– è ben intuibile – non può non avere
molteplici punti di attrito con il diritto antitrust [184].
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NOTE
AL CAPITOLO IV
[136]- I bit a loro volta sono raggruppati in byte, i quali a loro
volta sono raggruppati in kilobyte (1000 byte).
[137]- Bisogna però tener presente che la natura analogica
di un dato non dipende strettamente dal supporto su cui è
incisa; ci possono essere infatti informazioni digitali memorizzate
su supporti magnetici: esempio lampante è il floppy-disk,
il quale contiene file digitali ma è inciso dal computer
con un meccanismo elettro-magnetico.
[138]- Per una simile schematizzazione v. VALVOLA SCELSI, Privato,
participio passato di privare, (par. Il senso della rivoluzione
digitale) in VALVOLA SCELSI (a cura di), No copyright - nuovi diritti
nel 2000, Shake Underground, Milano, 1994, pp. 13 ss.; il quale
a sua volta riprende SAMUELSON, I media digitali e la legge, in
VALVOLA SCELSI (a cura di), op. cit., pp. 82 ss.
[139]- A tal proposito v. CERUTTI, Aspetti legali dell’opera
multimediale, in CASSANO, Diritto delle nuove tecnologie informatiche
e dell’internet, IPSOA, Milano, 2002, pp. 1010 ss.: “Con
il termine multimediale si intende indicare quel nuovo mezzo di
comunicazione la cui caratteristica principale consiste nell’utilizzare
simultaneamente, fondendole tra di loro in un tutt’uno, le
diverse forme di comunicazione sin ora conosciute.”
[140]- Interessante la definizione giuridica di Internet compiuta
dalla Corte di Cassazione (Cass. 12 ott. 1982, in Foro It., 1984,
p. 2492) e ripresa da CHITI, La disciplina giuridica dell’editoria
elettronica: analisi e prospettive, in Inf. e dir., 2003, p. 26:
“[…] la rete Internet può essere paragonata ad
un organo di stampa in quanto ‘sistema internazionale di interrelazione
tra piccole e grandi reti telematiche’.”
[141]- v. supra cap. 2, par. 1.
[142]- L’apparecchio hardware che permette la trasmissione
dei dati su linea telefonica è chiamato Modem, nome che deriva
da una crasi fra ‘modulatore’ e ‘demodulatore’.
[143]- Le caratteristiche ontologiche dei cosiddetti beni immateriali
sono la necessità di estrinsecazione, la trascendenza, la
circolabilità e riproducibilità, l’indistruttibilità,
la possibilità di un integrale contemporaneo godimento, insuscettibilità
di un immediato sfruttamento economico. A tal proposito v. LEONE,
op. cit., p. 351; v. anche SPADA, Introduzione in AA.VV., Diritto
Industriale - Proprietà intellettuale e concorrenza, Giappichelli,
Torino, 2001, par. 4, pag. 9.
[144]- v. supra cap. 2, par. 6.
[145]- A tal proposito v. in generale VALENTE e LUZI, Contesti di
comunicazione elettronica: considerazioni sulla trasmissione e condivisione
delle conoscenze, in Inf. e dir., 2000, pp. 115 ss.
[146]- Letteralmente ‘da pari a pari’, nel senso di
persona dello stesso status sociale, quindi nel caso della comunità
degli utenti tale espressione significa ‘da singolo utente
a singolo utente’ sottolineando anche le sue implicazioni
per certi versi democratiche: nella comunità della rete,
teoricamente, nessuno può sapere con chi ha a che fare e
quindi nessuno può avanzare alcun privilegio. Per una maggiore
comprensione del concetto di e-democracy (ovvero, ‘democrazia
telematica’) v. COSTANZO, La democrazia elettronica (note
minime sulla c.d. e-democracy), in Dir. Inf., 3/2003, pp. 465 ss.
[147]- Letteralmente ‘condivisione di file’, è
la prassi introdotta dalla diffusione di programmi come Napster,
WinMX, Kazà grazie ai quali chiunque è connesso alla
rete e ha caricato quel determinato programma mette automaticamente
a disposizione degli altri ‘pari’ tutti o solo alcuni
dati del suo hard-disk, potendo a sua volta attingere dagli archivi
altrui.
[148]- Sui risvolti giuridici del peer-to-peer e del file-sharing
(visti nell’ambito della diffusione in rete di opere musicali)
v. TURRINI, La vendita e la circolazione di materiali musicali (par.
3, Circolazione della musica on line), in CASSANO, Diritto delle
nuove tecnologie informatiche e dell’internet, IPSOA, Milano,
2002, pp. 1005 ss.
[149]- La Leone parla di una sorta di “ubiquità”
dei beni immateriali. Cfr. LEONE, op. cit., p. 351, note; si veda
a tal proposito anche il concetto di “luogo della prima pubblicazione”
come delineato dall’art. 196 l.a.
[150]- Parla di “evanescenza del bit” CATARINELLA, Appunti
comparativi sul diritto d’autore in internet, in IDA, 3/2003,
pp. 343 ss.
[151]- Pensiamo, per esempio, al caso del controllo sulla diffusione
della pedo-pornografia, del terrorismo e dell’anti-semitismo
in rete: basta che uno dei cosiddetti ‘stati canaglia’
non voglia per questioni politiche armonizzare la normativa a quella
del resto del mondo, per far sì che sia possibile depositare
sui server di quello stato informazioni pericolose ed offensive.
Spetterà quindi agli altri stati effettuare dei controlli
preventivi sulla possibilità di accesso a tali contenuti.
Per questa problematica della regolamentazione internazionale di
Internet v. VIVIANI SCHLEIN, Internet, in AA.VV., Percorsi di diritto
dell’informazione, Giappichelli, Torino, 2003, pp. 321-338.
[152]- DE VIVO, L’informazione in rete, con che diritto?,
in Inf. e dir., 2000, p. 126.
[153]- In generale v. ZENO-ZENCOVICH, Informatica ed evoluzione
del diritto, in Dir. inf., 2003, pp. 89 ss.
[154]- Cfr. L.C. UBERTAZZI, I diritti d’autore e connessi.
(cit.), p. 31; similmente si esprime anche DE VIVO, op. cit., p.
136: “Il succo del discorso è se sia o no possibile
conservare un diritto d’autore classico da applicare alle
opere e/o all’attività di editoria presenti in Internet.”
[155]- Sulla distinzione tradizionale in corpus mistycum e corpus
mechanicum, v. innanzitutto SPADA, op. cit., par. 4, p. 9,
[156]- Per il testo completo (in lingua originale) dell’atto
legislativo statunitense v. http://www.loc.gov/copyright/legislation/dmca.pdf;
per alcuni commenti (connotati però di alcuni rilievi propagandistici)
v. http://www.linux.it/GNU/opinioni/delleside-dmca.shtml (in Italiano)
oppure http://www.arl.org/info/frn/copy/dmca.html (in Inglese).
[157]- Per un commento schematico ed essenziale sui principi della
direttiva v. per esempio CATARINELLA, op. cit., pp. 343 ss. Oppure
v. il commento che si trova alla pagina web http://www.softwarelibero.it/progetti/eucd/intro.shtml;
per il testo completo in Italiano della direttiva v. http://www.softwarelibero.it/progetti/eucd/eucd-it.shtml.
[158]- Bisogna tener presente che “[…] il sistema del
diritto d’autore tende di fatto a divenire uno strumento di
protezione non solo e non tanto degli autori, quanto specialmente
delle imprese loro aventi causa.” Cfr. L.C. UBERTAZZI, I diritti
d’autore e connessi. (cit.), p. 11.
E ancora: “Sono troppe le esigenze del mercato che subirebbe
un ingente danno dalla libera ed indiscriminata disponibilità
di opere in formato digitale. E non è un caso che non sono
gli autori ad opporsi al no-copyright, bensì le case editrici.”
Cfr. DE VIVO, op. cit., p. 143.
[159]- Così per es. Luigi Carlo Ubertazzi: v. L.C. UBERTAZZI,
I diritti d’autore e connessi. (cit.), p. 32: “Questo
diritto […] deve naturalmente adattarsi a quelle [sfide] che
gli vengono ad esempio dal software, dalla digitalizzazione dell’opera,
dal suo criptaggio […]. Questo adattamento può anzitutto
avvenire in larga misura in via di interpretazione della disciplina
esistente.”
[160]- Così per es. si esprimono alcuni autori come: DE VIVO,
op. cit., p. 134; v. anche SANNINI, L’editoria elettronica
ha bisogno di una regulation, disponibile alla pagina web http://www.diritto.it/articoli/dir_tecnologie/sannini.html.
[161]- A tal proposito v. L.C. UBERTAZZI, I diritti d’autore
e connessi. (cit.), p. 10: “A queste diverse sfide dell’evoluzione
tecnologica il diritto d’autore offre una risposta articolata.
In alcuni casi si limita ad affinare ed ad adattare i principi tradizionali,
per estenderli a nuovi tipi di opere o a nuove tecniche di riproduzione
o diffusione dell’opera. In altri settori deve estendere l’area
dei diritti connessi, e tende ad avvicinare questa figura a quella
del diritto d’autore classico, diminuendo ad un tempo le distanze
tra il sistema del diritto continentale d’autore e quello
anglosassone del copyright.”
[162]- Testo-manifesto di tale movimento (o più precisamente
raccolta di testi-manifesto) può essere considerato il volume
(volutamente privo di alcuna annotazione di copyright) curato da
VALVOLA SCELSI (op. cit.); a tal proposito v. anche DE VIVO, op.
cit., pp. 140 ss.
[163]- Parla di movimento ‘cyberpunk’ anche L.C. UBERTAZZI,
I diritti d’autore e connessi. (cit.), p. 29.
[164]- DE VIVO, op. cit., p. 139.
[165]- A tal proposito v. AUTERI, Diritto d’autore, in AA.VV.,
op. cit., pp. 551 ss.
[166]- Si veda l’analisi storica compiuta da L.C. UBERTAZZI,
I diritti d’autore e connessi. (cit.), cap. II, pp.7 ss.
[167]- v. infra par. 3.
[168]- v. diffusamente L.C. UBERTAZZI, I diritti d’autore
e connessi. (cit.), cap. VI, pp. 67 ss; per un approfondimento generale
sulla categoria delle banche dati v. anche SPADA, Banche dati e
diritto d’autore (il “genere” del diritto d’autore
sulle banche dati), in AIDA, 1997, 5 ss.
[169]- Un’elencazione più densa e un’analisi
specifica delle diverse fattispecie di opere di compilazione si
trova in FRASSI, op. cit., cap. III, pp.167 ss.; l’autrice
non manca di sottolineare l’appartenenza di questo tipo di
opere ad un’altra sopracategoria: quella delle creazioni utili.
[170]- A tal proposito v. DE SANCTIS, Il carattere creativo delle
opere dell’ingegno, Giuffrè, Milano, 1971.
[171]- Cfr. AUTERI, Diritto d’autore, in AA.VV., op. cit.,
p. 508.
[172]- v. D. Lgs. 6 maggio 1999, n. 169 in attuazione della Direttiva
comunitaria 96/9/CE.
[173]- v. L.C. UBERTAZZI, I diritti d’autore e connessi. (cit.),
cap. VI, par. 3 e 4, pp. 70 ss.
[174]- Cfr. L.C. UBERTAZZI, I diritti d’autore e connessi.
(cit.), p. 74.
[175]- Così AUTERI, Diritto d’autore, in AA.VV., op.
cit., p. 509.
[176]- Così AUTERI, Diritto d’autore, in AA.VV., op.
cit., p. 524.
[177]- Così DE VIVO, op. cit., p. 139.
[178]- Cfr. GUGLIELMETTI, Le opere multimediali, in AIDA, 1998,
p. 132; la definizione viene ripresa anche da CERUTTI, Aspetti legali
dell’opera multimediale, in CASSANO, Diritto delle nuove tecnologie
informatiche e dell’internet, IPSOA, Milano, 2002, p. 1010.
[179]- Così BARCAROLI, Problemi di diritto comparato nell’opera
multimediale, in IDA, 1999, pp. 199, 208.
[180]- CERUTTI, op. cit., p. 1017.
[181]- Così AUTERI, Diritto d’autore, in AA.VV., op.
cit., pp. 524.
[182]- Un altro esempio (per certi versi simile e per altri speculare)
è quello già citato del formato ‘.pdf’
legato al programma Adobe Acrobat Reader. A tal proposito v. la
questione delle network externalities contemplata al Cap. III, par.
3 e relative note.
[183]- A tal proposito, v. LEMLEY e MCGOWAN, Legal implications
of Network Economics Effects, in California L. Rev., 1998.
[184]- Per i risvolti d’intersezione fra diritto d’autore
e diritto antitrust, v. SARTI, Antitrust e diritto d’autore,
in AIDA, 1995, pp. 103 ss.; RICOLFI, Diritto d’autore e abuso
di posizione dominante, in Riv. Dir. Ind. 4/5-2001.
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