John Fante

 

Quella donnaccia
Marcos y Marcos


 

Quella donnaccia

Stavamo cenando quando zio Clito emerse dalla tempesta di neve. Si tolse le soprascarpe, si alitò nelle mani ghiacciate, e fece il suo ingresso in sala da pranzo.
Papà gli chiese se voleva un po' di pasta e fagioli, ma disse di no. A cavalcioni su una sedia, il mento poggiato sullo schienale, i suoi vigili occhi scuri presero a esaminare il tavolo. Presero nota del vino, di quanto papà ne aveva bevuto, di quanto burro avevamo spalmato sul pane, e di tutto il resto. Mamma si aggiustò il vestito e i capelli. Con zio Clito bisognava stare bene attenti: era maestro nello scoprire qualcosa fuori posto. Noi bambini, per dire, nascondemmo subito le mani perché non potesse vederci le unghie poco curate.
Zio Clito faceva il barbiere. Era il fratello più grande di mamma, l'unico a esser nato in Italia. Parlava un inglese approssimativo, e la sua bottega era la migliore della Little Italy di Denver. Era ricco, zio Clito, eppure non si era sposato, con la scusa che non avrebbe potuto permettersi di mantenere una moglie.
Tutti lo temevano. Poteva scoprire che qualcosa era fuori posto anche dagli indizi più insignificanti. Quando andavamo da lui per tagliarci i capelli, mamma ci faceva mettere il vestito della domenica. E questo perché una volta zio Clito aveva notato le mie scarpe rotte e ne aveva dedotto che papà s'era rimesso a giocare. Aveva ragione.[...]

 

 

 

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