Luci fotti |
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COMISO E COMISANI
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COMISO E COMISANI
( http://digilander.libero.it/comisoecomisani )
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STORIE
COMISANE
In
questa sezione vengono presentate narrazioni di
fatti accaduti, scritte dai comisani, o loro
discendenti, che ne sono stati protagonisti.
Inoltre quasi tutte le foto che precedono le
storie sono state inviate da comisani.
La sezione ha titolo "STORIE COMISANE",
poiché ci piace pensare che solo a Comiso questi
fatti potevano e possano accadere.
Forse questo non è vero; però sicuramente cumisare
sono le narrazioni per il sentimento o per l'umorismo
che le pervade.
Le prime storie che vengono presentate sono:
- 'A manica
râ giacca di Giuseppe Pace
- 'U sciavuru
rô pruvulazzu di Pinella Lena
- 'A
nannacuna Vistiana di
Pinella Lena
- 'A minigonna di Beatrice Fiorenzo
- 'A squatra
fimminili rô palluni di
Carmela Cappello
E'
stato precisato che le storie hanno come
protagonisti gli autori dei racconti; in realtà
c'è un'altro protagonista: la FAMIGLIA.
La "famiglia" che limita la libertà ma
protegge, che ci fa un po' disperare ma ci fa
sentire importanti....
Rimaniamo
in attesa di altre belle storie e fotografie.
(Attivando
le casse acustiche in sottofondo si può
ascoltare
il brano musicale "Autunnu")
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'A manica râ giacca
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....Mia mamma, per
quella festività dava sfogo alla sua bravura di
pasticcera.
Acquistava almeno venti giorni prima dalla
ricorrenza pasquale il necessario per preparare
diversi tipi di dolciumi: parigini, mustazzola,
viscotta scavurati, pasti fuotti e, solo
negli ultimi giorni che precedevano levento,
la preparazione sindirizzava verso cassateddi,
pasturieddi e 'mpanati, che chiudevano in un
crescendo spasmodico, paragonabile solo alla
parte conclusiva di giochi pirotecnici, ogni
sorta di preparativi.
Lacquisto della materia prima, era
necessariamente fatto a crirenza e sempre
nella medesima putia e, proprio
questo, mi procurava disagi e condizionamenti se
non addirittura struggente tristezza,
riuscendo a percepire, dietro la serenità e il
sorriso apparente di mia madre, tanta
preoccupazione per le spese sostenute.
Labbigliamento poi, era unaltra nota
dolente, malgrado mia sorella Nunziatedda, fresca di scuola di
taglio e cucito, riuscisse a minicuddiari (fare delle cose con
discreta approssimazione) abiti, camicie, giacche,
pantaloni e quantaltro per vestire lintera
famiglia per il giorno di Pasqua.
La fretta di finire il lavoro, a volte, le faceva
dimenticare di togliere limbastitura da
qualche capo.
Accadde una volta addirittura di dovermi
attaccare una manica di giacca proprio quando la
processione era nelle vicinanze di casa e col
suono della banda musicale che intonava allegre
fanfare.
Sentii scendermi a quel punto una lacrima che mi
rigò il viso e sadagiò come medaglia
sulla camicia color paglierino, cucita ed
indossata per loccasione.
Al passaggio dei simulacri mi posi di sbieco
davanti luscio, avendo cura di mostrare solo
la parte completa del vestito mentre laltra
metà lavrebbe nascosta la pesante tendina
di cotone.
Vidi tanti ragazzini e adulti in processione che
infervorati gridavano: Nunziatari! Viva
Maria Nunziata! e
dicendo ciò spingevano con forza il simulacro di
Gesù Risorto, che dallalto della sua vara
sembrava sorridere per tanta bonaria
ingenuità.
Il ritmo della banda riuscì a distrarmi...
(Giuseppe
Pace)
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'U
sciavuru
rô pruvulazzu
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La casa delle vacanze estive si trovava molto
vicino al piccolo paese.
Una luce, abbagliante, colpiva noi bambini
accaldati e sudati.
Il caldo secco bruciava la nostra pelle e 'u
pruvulazzu râ trazzera, bianco e fine come
il talco, si posava ovunque: sui nostri corpi,
sui nostri capelli, sulle arse piante che
circondavano le nostre case.
Attorno alla casa, infiniti filari di viti e
fichidindia, carrubbi e macci ri miènnuli.
Gli odori forti del gelsomino e delle belle
di notte, unica nota di colore nel bianco
lenzuolo che si posava su ogni cosa ( alberi,
fiori e persone) ci inebriavano soprattutto di
notte.
Colazioni interminabili nel bagghiu della
casa, noi bambini in fila con la nonna seduta al
centro con il faulari, che scucciava
i ficurigna cumpanagghiati con il
pane e la racina.
Il pranzo della domenica era a base di cavatieddi
con sugo fresco e milinciana, jaddu
e patate al forno e, per la gioia di noi bambini,
le zampe ro jadduzzo arrustuti per
antipasto.
Prima del pranzo domenicale arrivava 'u zi'
Nunziu e portava 'u muluni raccua,
che veniva poi inserito nel secchio per
essere calato nel profondo del pozzo.
I filuvespri caldi e afosi e assordanti
per il canto incessante delle cicale, il buio
della casa spruzzata di flit contro le mosche, si
riempivano di innumerevoli malafrusculi,
brutti e cattivi, che avevano lincombenza
di rinchiudere in grossi sacchi i bambini che non
dormivano e portarli via, in luoghi sconosciuti.
La frescura della sera ci allietava tutti con la
cena a lume di petrolio, farfalluni impazziti,
cucuzza vudduta a base di tinnirumi
ri cucuzza e voci di noi picciriddi.
E poi passeggiate nello stratuni bianco
di polvere, con tutti i vicini!Ma a fine settimana si
andava da don Biagio e da donna Rosa e si ballava
al suono di un grammofono a manovella portato da
Nuova York.
Era lui ad aprire le danze dei grandi e dei
piccoli. Il massimo della gioia era quando il
simpatico padrone di casa comandava la quadriglia
change le dammes o altri
francesismi intercalati al comisano.
Le serate danzanti e le passeggiate sotto la luna
si svolgevano a fasce detà secondo una
precisa gerarchia.
I nichi stavano insieme cantando e
parlando tra loro. I grandi sventolando chi il
ventaglio, chi le gonne, spettegolando o
scontrandosi per motivi politici.
Poi tutti a letto! Altrimenti arrivava
Vincilaguerra che come i malafrusculi,
prelevati i bambini e sistemati in grandi sacchi,
li portava via.
Di giorno si giocava in tanti modi: giochi
semplici fatti con poco. Con mia cugina vestivamo
le bambole, il gioco più esaltante della nostra
grande fantasia era quello di impersonificare
regine, principesse e principi.
Tatò, mio cugino, in perenne
fase mistica, da buon chierichetto qual era,
vestito di tutto punto da parrinu, battezzava
tutte le bambole mie e di mia cugina, con tanto
di rinfresco e dolcetti vari.
Tutta questa semplicità era contornata da
personaggi particolari, strambi e vivaci, della
mia famiglia patriarcale che si riuniva ogni
estate ô risiettu.
Nonno Raffaele, industriale e cavaliere del
lavoro, con nonna Peppina, donna semplice e buona,
una chioccia che cucinava, pregava e guardava con
sguardo assente il via vai della casa.
La figlia Antonia, un po isterica e zitella,
che minacciava larrivo dei malafrusculi,
affinché potesse fare la siesta in pace, senza
il vocio di noi bambini.
La zia Lucia, zitella anche lei, ma molto più
materna della sorella, vivace, rurusa e
stuzziusa, ironica e sagace.
Era lei a guidare la macchina, a suonare la
fisarmonica, a fumare.
Il giovane zio Armando figghiu ri papà, beddu
e fimminaro, si vedeva poco o niente.
La zia Nunziata, bella e laureata che arrivava
la domenica con il marito per vedere come stavano
i loro figli e poi di corsa in paese.
E noi forestieri.
La zia Vistiana che arrivava da Modica e
passava un periodo estivo con i figli, mentre il
marito ferroviere guidava la littorina e si
divertiva, ogni volta che passava vicino alle
nostre case, a fare emettere un suono strano alla
locomotiva per farsi riconoscere e salutarci.
E noi che arrivavamo dal continente, lingegnere
Vincenzo detto 'Nzulu con la moglie e
noi due figli.
Nel mese di agosto cera il pienone, tutte
le stanze della casa erano occupate.
A noi toccava una delle stanze più grandi ddassupra,
con un grande letto di ferro battuto, gli
angioletti in rilievo che incorniciavano la
testata dal letto.
Accanto al letto matrimoniale cera un
lettino per il bambino di turno
Con mia grande gioia nella grande stanza cera
'u tettu muortu, il sottotetto
grande, dove io ogni tanto mi infiltravo e
cercavo tra mille cose vecchie, abbandonate e
accatastate!
'A maccia i nuci sorgeva nella
sua imponenza tra il confine del signor Giacchi
ed Annina e Cassarino. Lalbero era pieno di
noci, aveva larghe chiome che in quel punto dove
sorgeva era il sollievo di noi picciriddi,
che ci sedevamo supra 'u muru a siccu
e giocavamo! Era il punto di massima del nero
dellombra sul bianco accecante della trazzera.
Questo albero era anche la disperazione del
signor Giacchi.
La zia Lucia con la signora Rosa, moglie di don
Biagio, la sera facevano cadere giù le noci
complici anche noi bambini e la mattina seguente
il signor Giacchi si metteva a fari vuci.
Santiava e carcarazzava e tutti in
silenzio estremo attendevamo quasi ogni
mattina le urla contro i maleducati e
malarigni che avevano buttato giù le noci.
Giornate calde, afose, passate in semplicità,
fatte di poco, di canzoni, di parlate, di gioco
ma piene damore.
Passavano i giorni e più si avvicinava la fine
delle vacanze più ci intristivamo; la casa si
svuotava pian piano, noi ripartivamo per il
continente, la zia Sebastiana tornava a Modica ed
un anno si concludeva aspettando la nuova
estate.
Le case si svuotavano da persone e cose,
recipienti di emozioni e sensazioni.
La pianta di noci rimaneva lì, al suo posto,
bianco fantasma, scheletro di tanti ricordi,
aspettando nel letargo invernale finalmente un
meritato riposo!
Il paese si riprendeva i suoi abitanti, dopo la
vendemmia la bianca polvere che fine come talco
ricopriva case e piante si mescolava alle piogge,
che sarebbero sopraggiunte non per cancellare
ricordi, ma per rinfrescare il futuro!
(Pinella
Lena)
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'A nannacuna Vistiana
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Noi, cugini picciriddi
andavamo a visitare 'a nannacuna
Vistiana nô dammusu râ cantunera,
dove lei viveva con la figlia vedova Vannina.
A Pasqua era un rito andare a trovare la quasi
centenaria bisnonna. Questa visita a noi bambini
incuteva una grande paura che dovevamo vincere,
con crianza.
Era una vecchia sicca sicca, con la vucca
senza rienti, 'a facci rugusa,
con la pelle raggrinzita di una mummia, 'a
testa cummigghiata da uno scialluni
nìvuru e avìa l'uocci vianchi
cumplitamente, infatti era cieca.
Scantati
ci facevamo toccare le facce dalle mani nodose e caddarusi,
che cercavano i lineamenti prima dell'uno e poi
dell'altro.
Parlava a carcarara e soprattutto per me
era difficile capire il dialetto così stretto.
- Catananna
Vistiana, cu è stu picciriddu?
E 'a veccia toccando 'u visuzzu
nuosciu ri picciriddi anzittava i nostri
nomi.
Io andavo per prima, così mi toglievo il
pensiero subito e non ci pensavo più.
- Chista è Pinella, 'a figghia ri Nzulu,
chiddu 'i Rroma.
Poi andava
Concetta, la mia cugina più grande, però cciù
scantusa 'i mia.
- E chista cu eni?
- Eni Cuncè,
'a figghia ri Vistianedda.
Seguiva Tatò, vivace e simpatucu.
- E chistu cu eni?
- Eni Totucciu,
'u figghiu ri Nunzià.
In fine Biaggiu, rurusu e maiaru.
- E chist'avutru?
- Ginuzzu è.
Finito il toccamento con la risposta alle donne
che la circondavano, finalmente noi bambini,
risollevati, potevamo districarci e rilassati
tornavamo a giocare; come premio ci davano la
merenda di pani e capuliatu.
(Pinella
Lena)
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'A minigonna
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Nell'estate del 1967 i
miei genitori mandarono me e la mia sorella
undicenne a trascorrere tre mesi di vacanza dagli
zii a Comiso.
Ricordo che a quel tempo Comiso era un paesino
tranquillo e tradizionale.
Non ci passavano molti stranieri. L'arrivo di due
ragazze 'miricani svegliò -con un urto-
il sonno pacifico di Comiso.
Il primo giorno del nostro arrivo andammo,
insieme alle cugine comisane, a passeggio lungo
la strada della villa, dove di domenica
pomeriggio si andava a passiari.
Ora sono nonna..... ma nel 1967 avevo 16 anni ed
ero bellina. Per di più portavo la "mini-gonna".
E "vestiti estivi senza maniche".
Figuratevi la reazione dei giovani comisani! Una
fila di picciuotti ci veniva dietro ad
ogni momento.... ma noi eravamo ragazze serie e
non davamo retta a nessuno di loro! Rimanevamo a
braccetto con le cugine, serie anche loro.
Alla fine della passeggiata, rientrando a casa
degli zii, il caos! Tutte le vicine di
casa erano andate -di corsa- ad avvertire gli zii
che le nipoti andavano in giro SENZA MÀNICHI!!!
Così l'estate continuò ... e noi continuando,
ad ogni passo, a scandalizzare -involontariamente-
tutta Comiso.
Il coup de grace finale fu quando mi
trovai a litigare con un frate dell'Immacolata.
Andata per la messa una rumìnica matina,
c'era un frate che, vicino alla porta, ascoltava
confessioni. Ma non era nascosto, e così poteva
osservare l'andar e venire dei fedeli dalla porta
centrale.
Quando arrivò l'ora della comunione, il frate
ebbe la sfrontatezza di rifiutarmi l'eucarista.
Io, incredula, aspettai la fine della messa per
poi affrontarlo e chiedere spiegazione. Lo
sfortunato religioso, sicuramente spaventato
dalla mia furia, balbettando mi parlò della
"critica" della gente "pettegola",
che poteva prendersela con la Chiesa perché troppu
cutta era la mia gonna!
Io gli spiegai che il suo "lavoro" era
quello di badare alle confessioni e di salvare le
anime dei bravi cristiani e non di preoccuparsi
della moda femminile.
Forse Comiso tirò un respiro di sollievo quando,
alla fine dell'estate, tornammo a New York.
Almeno fino all'anno successivo...
(Beatrice
Fiorenzo)
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'A squatra fimminili rô
palluni
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Nei primi anni '70
abbiamo scoperto il calcio: Gianni Rivera,
Pierino Prati e altri.
Io ero "milanista sfegatata"...
ancora adesso, ma non sfegatata.
La squadra di Comiso (AS COMISO, colori "verde
arancio") era il nostro sfogo.
La domenica si andava a vedere la partita di
nascosto dai genitori; guai! a quei tempi le
ragazze non andavano allo stadio.
Noi ci mettevamo a fianco della tribuna per non
essere viste da qualche "spione, vicino di
casa o parente".
Una domenica i giocatori ospiti donano un
mazzo di fiori ai giocatori di casa. E uno di
questi che fa? si dirige verso di noi e ci regala
i fiori.
Lo sguardo di tutta la tribuna segue il giocatore e
noi siamo scoperte.
Nessuna voleva portarsi i fiori a casa, troppo
rischioso... "Vergogna! allo stadio da sole...."
*
* *
Non abbiamo mollato, abbiamo convinto i
nostri genitori a venire con noi a vedere la
partita, così era salvata la reputazione. La
mia sfortuna era di non avere un fratello; chi lo
aveva poteva andare in discoteca qualche sabato
sera, o a ballare nelle case degli amici... io e
le mie sorelle NO!
Allora venivano fuori i cugini che garantivano
per la nostra incoluminità e
convincevano i miei genitori, la famiglia, la mia
meravigliosa famiglia, e grazie a loro ho potuto
fare tutto quello che facevano le ragazze che
avevano un fratello.
*
* *
Poi
abbiamo pensato di formare una squadra di calcio;
all'inizio di nascosto dei genitori, in verità
solo dei miei genitori...!!! La zia mi
teneva la borsa con scarpette, pantoloncini e maglietta.
Quando tornavo dagli allenamenti (facevo
il terzino, numero 3) avevo sempre qualcosa
di rotto e a casa trovavo sempre una scusa.
Nel frattempo la nostra portiera si ritira
perchè il papà non vuole; la più alta sono io...
faccio la portiera. La mamma mi scopre e...alla
fine decide che posso giocare solo se...porto
i pantaloni lunghi della tuta e se mi segue il
papà, visto che non avevo un fratello.
E così è stato per un po'; il papà, grande
alleato e felice di venire con noi, ci seguiva
con la sua 500.
Giocavo con i pantaloncini corti e le ginocchiere.
Abbiamo fatto un campionato serio con tanto di
arbitri che venivano da fuori, siamo state messe
sul giornali, un articolo del giornalista
Rimmaudo, e ci siamo classificate al quarto posto
(non dico quante squadre eravamo).
E' uno dei ricordi più belli che ho.
La
squadra era così composta:
Paola Cappello, Maria Cappello, Carmela Cappello,
Lina Chiarandà, Anna Fienga, Anna Dibennardo,
Pina Distefano, Maria Zago, Lella Zago, Cassarino,
Giusi, Nuccia, Lucia, Salvina, Carmela Taranto.
L'allenatore era il grande Turiddu Migliorisi, il
presidente Biagio Fiorile con Carmelo
Distefano, "mio cugino" Placido e mi
scuso con gli altri che al momento non ricordo.
(Carmela
Cappello)
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