Bedda Matri
Annunziata, |
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COMISO E COMISANI
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l'alma mia non è
appagata
se nun' avi tutti l'uri,
o Maria, lu to' Amuri.
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FESTA DI PASQUA
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FESTA DI
PASQUA
Mentre in molti paesi sono
importanti i riti della Settimana Santa, sono
pochi quelli in cui è importante la festa della
Domenica di Pasqua;
e tra questi pochi paesi, da diversi secoli, un
posto di riguardo si è conquistato Comiso.
In questa pagina vengono riportate
le descrizioni che nel libro VICENDE
STORICHE DI COMISO Fulvio
Stanganelli (can. Raffaele Flaccavento) fa della
festa esterna della Pasqua comisana negli anni
1635 e 1926.
Successivamente si riporta un brano tratto dal
libro FESTE PATRONALI NELLA SICILIA
ORIENTALE, nel quale Giuseppe
Pitrè descrive a suo modo - cioè con sarcasmo
ed esagerazione - le scampaniate che
verso la fine del 19° secolo accompagnavano
tutta la festa.
(Se
si accendono le casse acustiche
in sottofondo si può ascoltare
il brano musicale "Pasqua comisana")
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da VICENDE
STORICHE DI COMISO
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La festa
di Pasqua nel 1635
Le
memorie di tal festa si connettono quasi alle
origini di detta chiesa (della SS. Annunziata). Da un documento del 1635 apprendiamo che essa
festa aveva luogo di buon mattino.
Il Cristo risorto, con ai piedi un ragazzetto
vestito da angiolo, recante in mano una bella
corona d'argento, usciva dal tempio tra un
delirio d'evviva, e, col clero della Madrice, si
avviava per una strada, mentre poco dopo,
accompagnata dall'altro clero (della SS. Annunziata), veniva fuori l'immagine
dell'Annunziata che, avvolta in un manto nero,
seguiva la direzione opposta.
Dopo
avere errato un poco di qua e di là, davanti la
chiesa di S. Biagio i due simulacri s'incontravano.
E allora - era il momento più interessante della
festa - l'angiolo del Cristo salutava
festosamente la Madonna col canto rituale del Regina
coeli laetare, finito il quale,
avvicinandosi questa come per riconoscere e fare
la prima pace col divin Figlio suo,
porgeva la corona all'angioletto, che le sedeva
ai piedi. Il quale a sua volta, alzandosi, tra un
subisso d'applausi, incoronava graziosamente la S.
Vergine, mentre le faceva scivolare dalle spalle
la gramaglia, che copriva un magnifico manto di
broccato.
Indi tra suoni, canti chiesastici e paci
(o incontri) non pochi tra i due simulacri, la
processione percorreva le altre vie della città,
finché verso mezzodì non si riduceva in chiesa.
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La festa
di Pasqua nel 1926
La
festa ha inizio con la sciugghiuta delle
campane nel Sabato santo, e più propriamente
nelle ore vespertine, quando, tra lo scoppio d'infiniti
petardi e al cospetto d'un popolo immenso che
gremisce la chiesa dell'Annunziata, vien discesa
dalla sua edicola la statua della titolare, che
cento mani di ferventi nunziatari, montati poco
reverentemente su l'altar maggiore, si
palleggiano come un fuscello.
La
domenica, subito dopo la messa solenne,
al grido frenetico di Viva Maria
ripetuto da mille e mille bocche, la S. Vergine
col divino Risorto, son portati festosamente
fuori, in processione.
Dico processione, ma impropriamente, poiché il
disordine vi regna sovrano, e in mezzo a quel
disordine, centuplicato dal suono incessante
delle varie musiche e delle campane, i due
simulacri si dispongono l'uno di fronte all'altro
nella piazzetta della chiesa, per compiere la
prima "pace" o incontro.
Si sgombrano i forse cento metri che li separano,
e tra un silenzio relativamente religioso, l'angioletto
posto ai piedi del Cristo, si alza per cantare
con la sua bella voce argentina tutta l'antifona
pasquale: Regina coeli laetare...
Finito questi con un "Viva Maria",
ripiglia a cantare la stessa antifona il suo
piccolo compagno che sta sul fercolo della
Madonna, mentre le musiche invitate per allietare
la festa, si preparano ad attaccare l'inno reale.
Che infatti scoppia potente, fra i battimani e
gli "evviva Maria" di tutta la
folla, alle ultime note di quel canto.
Allora i due simulacri concitatamente si muovono
l'uno verso l'altro, come per riconoscersi. E
siccome non par vero quel che vedono, si
allontanano di nuovo per appressarsi una seconda
volta; per indi tornare a allontanarsi e
avvicinarsi di corsa una terza e ultima volta,
tra le lacrime di contentezza degli autentici
nunziatari e le risate sardoniche dei madriciari,
facenti eco ai forestieri, i quali mettono in
burletta e si divertono a questa, che essi
chiamano la truzzata dell'Annunziata, e
che è poi la gréat attraction, sempre
vecchia e sempre nuova, di tutta la festa
originalissima.
Dopo
una serie, più o men lunga, di queste paci,
fatte lungo tutto il percorso della processione,
questa su l'imbrunire si riduce in piazza. Dove,
tra un mare di gente, lì convenuta per lo
spettacolo finale, ha luogo, prima la pace dei
gonfaloni delle confraternite del Rosario e dell'Addolorata,
poi quella dell'Annunziata e del Cristo, e infine
l'inno reale suonato contemporaneamente dalle
musiche, a cui s'innesta lo sparo dell'interminabile
maschittaria, che è l'ultimo mezzo per
far stordire il prossimo, intontito da una festa
così allegra e rumorosa.
A render più completa la quale, dopo tornate le
due statue cariche di doni e biglietti di banca
nella loro chiesa, seguono spesso le corse de'
barberi e un lancio di palloni umoristici, cui
sul tardi tien dietro qualche pubblico spettacolo,
chiuso dal consueto sparo dei fuochi artificiali.
Nelle
ore pomeridiane del lunedì assegnato al fierone,
si ripetono in chiesa le scene del sabato
precedente, per il trasporto della Madonna nella
sua nicchia, e con questo ultimo numero, non
tenendo conto dei soliti complementi delle feste,
il programma della solennità pasquale è
esaurito.
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da Feste
patronali nella Sicilia Orientale
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... E stranezza, che
basterebbe sola a far fuggire da Comiso, è lo
scampanio della sera del Sabato Santo, della
Domenica e del Lunedì di Pasqua nella chiesa
dell'Annunziata.
Le campane sono state prese d'assalto ed
impegnate da una trentina di villici ragusani,
partiti a posta dal loro paese per godere del
privilegio consacrato dall'uso; i quali senza
tanti complimenti si domiciliano nel campanile,
quasi luogo per loro di culto religioso.
Nessuno osa mettere le mani su quelle funi, che
già indicano ed affermano un diritto acquisito,
o quesito, come dicono sovente certi nostri
legali.
Chi vi mette le mani però lo fa con una forza,
con una violenza, che giunge al parossismo e lo
supera: suona, picchia, martella senza posa, di
null'altro preoccupato che del fatto suo.
Tutta
la sera, aiutati da compagni ed alternatisi con
essi, attendono a quest'opera, che essi, in piena
coscienza, credon buona, e che se per un momento
può prendersi come sacro richiamo, a poco a poco
mette a pericolo il senno dei devoti anche più
rassegnati; chi la subisce tra gongolante e
fremente è il nunziataro, ben lieto se potrà
con essa turbar la pace dei madriciari.
Il
suono fu sempre a mortorio: cosa stranissima dopo
la Resurrezione della mattina; ed anche questo
deve accrescere la disperazione del pubblico; ma
di recente un delegato di Sicurezza pubblica, o
per iniziativa propria, o per suggerimento dei
cittadini, certo per salvare sé ed altri da
quell'attentato, proibì sotto pena di carcere il
mortorio permettendo tutte le sonate possibili ed
immaginabili.
E le campane sonarono a festa.
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