Caro Piero, ricordo di aver visto, nel 1993, una tua mostra alla galleria della Palazzina dei Macelli in via dell'Arcovata, dove esponevi dei dipinti insoliti, con oggetti isolati su grandi superfici e studiati fin nei minimi dettagli di colore e di luce, inframezzati da scritte, di cui non ricordo il tenore, se esplicativo o evocativo, o forse un pò ironico? (Che ho poi saputo tracciate dalla tua moglie Chiara) che davano ad essi l'aspetto e il fascino di tavole anatomiche. "Anatomie della vita domestica" mi pareva si potessero definire il ferro da stiro, l'interruttore della luce, il battipanni, un gancio, un manubrio, una cornicetta, uno specchio, un pennello, un guanto, un lume...
Quella serie s'alternò con i ritratti degli amici: occhi che scrutano, finestre che si aprono sull'intimo, con una prevalenza, che non sfugge, per i caratteri forti e volitivi. Poi vedo che il tuo sentimento s'è disteso, nell'intenzione di trovare soggetti che, sviluppati in grandi pannelli, si adattino a rallegrare interni.
E allora ecco la natura morta che si sostanzia degli studi del '93 nel fissare oggetti isolati o avvicinati in gruppi ossessivi, brani di paesaggio dove le nuvole si sfanno, giardini dove occhieggiano statue, interni che immettono su distanze variabili d'orizzonte, di trompe l'oeil che non vogliono ingannare ma piuttosto conciliare l'occhio con la simpatia che ispirano gli ambienti in cui si vive e la cui consuetudine si rinnova col semplice spostare l'angolazione da cui vederli, o cambiare, da sereno a temporalesco, il cielo che li sovrasta.
Bravo Piero, hai trovato un campo abbastanza vasto in cui maturare il significato stesso della tua umanità. Il tuo
Alessandro Parronchi
Presentazione
dell’opera pittorica (su tavola) di Piero Mazzoni
«L’Assunzione della Vergine
Maria»
collocata nella chiesa il 20 maggio 2007
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La chiesa
è il luogo
privilegiato dell'incontro dell'anima con Dio, dal momento che
Cristo ha posto al centro della fede in lui il sacramento
dell'Eucaristia, cioè della sua perenne presenza «fisica» in mezzo
ai suoi. La chiesa è detta quindi «casa di Dio» in senso proprio, e
nella storia secolare del Cristianesimo ogni comunità, anche la più
piccola, ne ha voluta una propria, realizzando spesso veri e propri
capolavori, a costo di sacrifici talvolta eroici, per sottolineare
di aver compreso e di voler vivere la buona novella del Nazareno:
«Vado a prepararvi un posto, per voi operatori di pace e di
giustizia, di amore e di misericordia, ma sarò con voi fino alla
fine del mondo».
Non sempre i
cristiani sono riusciti a stare vicini a Cristo e al prossimo in
modo degno, ma resta il fatto che ogni chiesa ha una sua storia,
espressione certo di un determinato contesto storico-artistico
legato al momento della propria edificazione, ma anche e soprattutto
del lento scorrere del tempo e delle generazioni, ognuna delle quali
ha saputo e ha voluto lasciare - grazie a Dio - qualcosa che
rendesse idealmente testimonianza del proprio credere e del proprio
esistere.
Con questo spirito di chiesa, vista come spazio vivo e dinamico e non semplicemente e riduttivamente luogo della memoria - come vorrebbe far credere qualcuno, stravolgendone il vero significato - abbiamo accettato la donazione di questa splendida opera, realizzata da un artista semplice e genuino della nostra terra.
Grazie, Piero.
L’opera |
Guardare la scena creata dalla
fantasia di Piero meraviglia e commuove - ecco perchè ho
voluto riportare all’inizio la citazione di Chesterton - ma
soprattutto aiuta il credente ad entrare nel mistero che la
Chiesa ha definito come verità di fede (1950). E’ questa la
differenza tra quadro a soggetto religioso e quadro degno di
un luogo sacro. |
Ero stato invitato
(del prof. Francesco Petri)
a vedere in anteprima l' "Assunta" che Piero aveva
pitturato per la chiesa di S. Maria a Colle in quanto dovevo
preparare la "presentazione" che state leggendo. Devo dire
che ero piuttosto curioso di vedere come l'amico pittore
fosse riuscito a dare forma ad un tema così difficile.
Sapevo (forse da reminiscenze giovanili?), che il dogma
dell'Assunta era tema quanto mai complesso per non dire
ostico agli stessi teologi e che questa difficoltà la si
ritrova anche nel modo in cui si è maturata nei secoli la
storia della sua rappresentazione. La "Dormitio Virginis" di
tradizione bizantina nasce nel X° secolo con una trattazione
iconografica piuttosto scarna con la Madonna sospesa in
cielo, portata dagli angeli, mentre in terra rimangono gli
apostoli stupiti con lo sguardo rivolto verso l'alto. Il
tema era stato poi completamente rinnovato nei primi anni
del cinquecento da Tiziano e si era poi ulteriormente
complicato con Rubens e Tiepolo che lo avevano rappresentato
con effetti artistici mirabolanti.
Con queste essenziali conoscenze teologico-artistiche, una
mattina di maggio mi sono lasciato alle spalle la città e
sono salito sulle colline di Capezzagna (che non conoscevo).
Guidato da Piero sono giunto alla piccola chiesa
dell'Assunta dove mi sono trovato davanti alla prima
sorpresa: un'architettura di Michelacci, e poi entrando al
suo interno, mi sono affacciato, come in un quadro
incorniciato dalla loggia, sulla veduta meravigliosa e
immensa che si apre sulla piana sottostante di Prato e
Pistoia.
Era necessario fare questa premessa perché è in questo
mondo di ordine e semplicità Michelucciana, di reminiscenze
carolingie, di spine della divina corona che nasce
quest'opera. Anzi, come capita spesso per le opere d'arte di
valore, queste costituiscono il distillato, la sintesi, il
punto culminante di tutto il contesto storico e naturale che
le circonda. Così è stato per me e il dipinto è stato la
conclusione necessaria di questo percorso di avvicinamento.
Di fronte all'opera (che ho voluto vedere da solo per
rinnovarmi la domanda iniziale su come Piero fosse riuscito
a risolvere il problema della sua rappresentazione) ho
capito che la sua risposta si poteva così riassumere: con
grande semplicità. Parola oggi spiacevole e scarsamente
apprezzata dai critici e dai cultori d'arte di professione,
ma necessaria per avvicinarci al dipinto. Parola quanto mai
necessaria su cui riflettere perché con questo termine si
vuol dire riduzione all'essenziale, disposizione alla
profondità, alla ricchezza contemplativa, all'integrità
interiore, all'accettazione della complessità, all'ascolto
del mistero e forse molte altre cose ancora che la
riservatezza e il pudore che ineriscono anch'essi con il
senso di questa parola trattengono dal dire completamente.
Mi sono subito reso conto che il mio compito sarebbe stato
facile. Per fortuna per quest'opera non c'è bisogno
dell'esperto, del critico d'arte, al massimo questo, come
nel mio caso, può rendere evidente con qualche parola in più
quello che è già tutto presente nell'opera, che è già lì
sotto gli occhi di tutti. Per questo nella mia presentazione
mi limiterò a cogliere solo l'aspetto essenziale del dipinto
che rimane sospeso fra l'artistico e il teologico.
Nel dipinto la natura è tutto (rappresentata sul fondo da
un grande cielo e dalle colline di Capezzana) ognuno la
conosce per quella piccola parte di mondo in cui si è svolta
la sua vita. Dal mondo della natura quasi come una sua
personificazione nasce la donna che è madre, matrice e
materia (la figura centrale del dipinto è la donna con un
bambino in primo piano). Come portatrice di vita, Lei è
Madonna, la più alta delle creature, tramite Lei passa tutta
la nostra conoscenza, a Lei guardano gli uomini semplici e
pellegrini in cerca di risposte di senso esistenziale (le
figure del contadino e del ciclista), in Lei si addensa il
mistero di Vita, Lei è la portatrice di Grazia
"Vergine madre, figlia del tuo figlio,
umile e alta più che creatura,
Termine fisso d'etterno consiglio…"
Caro Piero, potevo farti una presentazione più da critico
d'arte, più estetica e dattagliata, ma contagiato dalla
semplicità dei luoghi e dell'opera mi sono perso nella
riflessione sul mistero che unisce la madre terrena a quella
celeste. Per questa volta parole estetiche e difficili le ho lasciate da parte, ai critici e agli intenditori di professione. |
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