Un messaggio che si completa
Vi è un legame davvero
impressionante tra le opere del 2007, 2008 e questa del
2011, e poiché è un legame non voluto esplicitamente ma
determinatosi nei fatti, è ancora più impressionante. E’
come se qualcuno avesse guidato la mente e la mano di Piero
per svolgere un discorso che non poteva rimanere inconcluso.
Non vi nascondo che ho avuto
alcune perplessità quando è nata l’idea di collocare
un’altra opera pittorica nella nostra chiesa e soprattutto
di collocarla lì, intorno alla nostra Reliquia della Sacra
Spina, affidata alla parrocchia nel 1920 dall’allora
proprietaria della fattoria di Capezzana, la baronessa
Franchetti-Rotchschild. Cosa dirà la gente? Non facciamo una
forzatura invadendo eccessivamente le pareti di opere
d’arte? E quel ridurre lo spazio di esposizione della
Reliquia? I dubbi sono spariti appena Piero mi ha fatto
vedere alcuni schizzi; il timore ha lasciato poi lo spazio
all’entusiasmo quando ho ammirato il rapido formarsi delle
immagini sulla tavola, appena in poche settimane. Ma c’è
dell’altro. C’è che l’entusiasmo è divenuto quasi commozione
in un pomeriggio di primavera - era venerdì 20 maggio quel
giorno - poco prima della messa feriale che nella nostra
chiesa di celebra alle ore 18. Riflettendo su cosa scrivere
per questo libretto, stavo osservando il quadro de
L’Assunta ed ho avuto come una illuminazione che mi ha
turbato: Piero, non ti sei reso conto di quanto hai fatto,
ma senza volerlo, con le tre grandi pitture che hai
realizzato per Santa Maria a Colle, ci hai comunicato un
messaggio che viene dall’alto.
Il tema della morte è
necessariamente presente ne L’Assunta, ma quella
tomba di pietra gelida, appena ingentilita dai lenzuoli, è
vuota, perché Maria fu condotta in corpo e anima nella
gloria del Figlio, senza conoscere la corruzione del
sepolcro, lei “che aveva generato il Signore della vita”(1).
Sì, la morte, colei che “se non è al mercato è a
Samarcanda” - come recita un antico racconto orientale
riportato da Tiziano Terzani(2) -, pur costantemente
presente e incombente sui singoli e sui popoli, sulle
creature del mondo animale e pure su quelle del mondo
materiale, se è vero che anche le stelle cadranno, che
anch’esse finiranno, così come tutto l’universo, ebbene, la
morte è stata vinta e vinta per tutti dalla risurrezione di
Gesù. E’ l’assunto fondamentale della fede cristiana: la
certezza della vita eterna e della trasfigurazione del
nostro corpo mortale, che in Maria è stata anticipata per
uno “specialissimo privilegio”: “Io lo vedrò, e i miei
occhi lo contempleranno non da straniero” (Giobbe 19,
27).
La morte fisica, quindi,
superata e ridotta da baratro senza fondo a guado di
ruscello era ed è il tema della prima opera. Ma c’è un’altra
morte che deve farci paura, quella di un’anima chiusa in se
stessa, magari perversa e pervertitrice, che rifiuta ogni
confronto e ogni dialogo. Per rimanere vivi non basta dare
ossigeno ai propri polmoni, è necessario mettersi in
discussione ed iniziare un ‘viaggio’ di conoscenza e di
approfondimento, prima di tutto, sulla vera natura di se
stessi e degli altri, perché questo è essenzialmente un
uomo: un essere in relazione che non può sopravvivere se non
sa ricevere, se non sa allargare il proprio orizzonte. E’ il
tema della seconda opera, de Il pellegrino.
Gran parte dell’umanità vive
in una insicurezza inimmaginabile, prostrata da difficoltà
di ogni genere, dove la lotta quotidiana è letteralmente
lotta per la sopravvivenza. Per tanti uomini e donne, la
fuga verso luoghi più sicuri diventa l’unica via d’uscita,
l’unica speranza per emergere dalla fossa di inenarrabili
sofferenze in cui si è ristretti, e nessuna considerazione
può distogliere da questa opportunità, né la lunghezza
estrema del cammino (basti pensare agli africani sub
sahariani o agli abitanti dell’Iran, del Pakistan o
dell’Afganistan, che solo per raggiungere la costa del
Mediterraneo devono percorrere migliaia di chilometri) né la
pericolosità dell’itinerario, e non solo a causa del mare da
attraversare. Se si vuole sconfiggere la morte, la stessa
morte si deve sfidare, magari con l’unica forza che è
rimasta cioè con il coraggio della disperazione. Ecco,
questo è il tema dell’ultima opera pittorica collocata nella
nostra chiesa.
Si può allora riassumere
questa specie di trittico Mazzoniano con queste poche
parole: L’Assunta, ovvero del combattimento per
raggiungere la salvezza eterna; Il pellegrino, ossia
della battaglia per rimanere vivi intellettualmente e
spiritualmente; L’imbarco, cioè della sfida per la
vita e la sopravvivenza in questo mondo. Al centro di questo
‘poema’ artistico di Piero, realizzato in tre momenti e in
tre quadri distinti, vi è dunque l’uomo e la sua vittoria,
sempre possibile ma mai certa, contro tutto ciò che lo
minaccia, con la fede il dialogo il coraggio: tre aspetti
complementari, tre realtà necessarie allo scopo.
L’imbarco
Lasciando la critica più
strettamente artistica e storica al carissimo prof.
Francesco Petri, ammiriamo adesso e insieme la grande tavola
collocata intorno alla cavità in cui è alloggiata la Sacra
Spina(3), dietro e in alto rispetto all’altar maggiore.
Come possiamo vedere, si
tratta di un’opera composita che ha in primo piano la prua
di un barcone in procinto di salpare. La barca è già carica
di una umanità varia di uomini, donne e bambini di razze e
popoli diversi, tutti accomunati dal desiderio di
riscattarsi da una vita di pura sopravvivenza, sfidando un
mare infido e minaccioso, così come le cronache quasi
quotidiane di giornali e tv ci mostrano. Piero ha fissato
l’attimo che precede il distacco dalla costa, quando ormai
tutto è pronto e sui volti - bellissimi come solo lui sa
fare - è scolpita, più che l’ansia per una prova durissima
da affrontare, la consapevolezza che adesso il destino è
davvero segnato: non sarà più possibile tornare indietro.
La scena è vivissima e di
forte impatto, realizzata però in modo da non ricalcare
semplicisticamente la realtà ma di andare oltre, nel senso
che del dramma - percepibile a chiare lettere non solo nel
dato situazionale ma dalla presenza di bambini, giovani e di
una puerpera in primo piano - non si vuole fare una ‘foto’
ma usarlo per un messaggio che vuole e deve imporsi,
soprattutto in questo luogo, soprattutto per i credenti,
soprattutto per chi dice e proclama di avere ‘buona
volontà’, che poi sono le persone che a noi interessano di
più.
Sia chiaro, non si tratta
minimamente di pittura moralistica o, peggio ancora,
moraleggiante - cosa che a Piero non può che ripugnare - ma
di intervenire pittoricamente per mettere al centro della
nostra chiesa e quindi al centro della nostra attenzione un
evento sociale ed umano dalle incalcolabili conseguenze per
i singoli e per le comunità, un evento che non può che
provocare una e una sola reazione: coinvolgimento,
accoglienza, solidarietà.
I passeggeri, di fatto, non
sono mostrati nella loro realtà di clandestini, non sono
vestiti di stracci o ripiegati su se stessi. Gli abiti sono
eleganti come di chi non ha fatto un cammino estenuante da
chissà dove, ma come di chi in barca è salito avendo la casa
appena a due passi; gli sguardi di gran parte dei personaggi
sono rivolti verso la spiaggia, pur non essendoci
sicuramente nessuno da salutare: è quello sguardo il ricordo
malinconico del passato, verso gli affetti le famiglie le
amicizie troncate, o è di più? Sì, è di più: è lo sguardo di
chi interroga coloro che li vedranno arrivare, come
stranieri, come clandestini, e dai quali, lo sanno, dipende
gran parte del loro futuro. E’ dunque la dignità di queste
persone che Piero vuole indicare, proprio attraverso gli
abiti e gli atteggiamenti; ed è la nostra dignità di uomini
e di donne credenti o non credenti che egli vuole provocare,
affinché ogni indifferenza sia vinta, ogni egoismo superato,
perché solo questa è civiltà, solo questo è cristianesimo.
L’imbarco e la Reliquia
La storia stessa della
Reliquia conservata nella chiesa di Colle, proveniente dalla
Palestina, giunta a Costantinopoli e da qui a Parigi e da
Parigi in Italia fino al Montalbano, ci parla di popoli e
culture diverse, nel tempo oltre che nello spazio,
incontrate nell’itinerario e nello stabilirsi da un luogo
all’altro. Ebbene, quei popoli non sono più senza volto ma
sono richiamati da quest’opera d’arte.
La Reliquia evoca in modo
esplicito e diretto la Passione di Cristo che ha fatto,
proprio con la sua morte sulla croce, unitamente al suo
insegnamento e al dono dello Spirito Santo, di molti un solo
popolo. Questa barca, sulla quale vediamo europei, indiani,
africani, arabi … può ben rappresentare, secondo un antico
simbolo cristiano, la barca della Chiesa che in Cristo tutti
comprende e tutti abbraccia(4).
Per motivi di opportunità
pittorica (nel tentativo di raccordare e quindi di
alleggerire il passaggio tra lo spazio vuoto al centro e il
dipinto sulla tavola), Piero ha collocato una donna incinta,
dalle fattezze e dagli abiti indiani, in corrispondenza del
foro circolare, da cui si affaccerà, d’ora innanzi, la Sacra
Spina offrendosi alla venerazione dei fedeli. Quella
collocazione è provvidenziale perché sottolinea, in modo
efficacissimo, che la fede nel Cristo, la cui presenza è
richiamata dalla Reliquia, non può che essere feconda di
valori e di virtù per chi lo cerca con cuore sincero e con
perseveranza: “Chi crede in me, come dice la Scrittura:
fiumi di acqua viva sgorgheranno dal suo seno” (Gv 7,
38).
Non è possibile, infine, non
dire due parole sulla bellissima luna che splende,
luminosissima, al vertice della scena. Essa indica non solo
una guida nella notte, non solo, con una trasposizione
ideale, ciò che può e deve guidare nelle prove della vita
(la coscienza, il coraggio, la solidarietà e su tutto la
consapevolezza della provvidenza divina), ma ancora qualcosa
di specifico intorno alla nostra Reliquia. Così come la luna
riflette la luce del sole, la Sacra Spina rispecchia e quasi
materializza quell’amore per il quale Cristo non si è tirato
indietro da nessuna prova e da nessun tormento pur di
salvarci, così come si salveranno - ne siamo sicuri - quei
passeggeri che altro non sono che fratelli e sorelle fra i
quali … anche noi ci sentiamo imbarcati. |
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“Ritrarre le cose più belle, e di quel più bello o mani o teste o corpi
così scrive il Vasari nelle
sue Vite, riferito a Michelangelo a Raffaello a
Tiziano … Noi lo riferiamo esplicitamente al nostro Piero
Mazzoni, dicendogli grazie a nome mio personale e di tutta
la comunità.
Franco Monticelli |
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(1) Dalla liturgia.
(2) T. Terzani, Un altro
giro di giostra, Longanesi, 2004, pag. 165.
(3) Si tratta di una spina
proveniente dalla corona di rovi che fu posta sul capo di
Gesù poco prima della crocifissione. La corona fu donata da
Baldovino II, imperatore di Costantinopoli, a Luigi IX di
Francia (1214-1270) e da questi portata e conservata nella
Sainte Chapelle di Parigi, dove si trova tutt’oggi. Ogni
Sacra Spina esistente in Italia e in Europa si rifà a quella
corona.
(4) “Oggi la barca della
Chiesa, col vento contrario della storia, naviga attraverso
l’oceano agitato del tempo. Spesso si ha l’impressione che
debba affondare. Ma il Signore è presente e viene nel
momento opportuno. ‘Vado e vengo a voi’: è questa la fiducia
dei cristiani, la ragione della nostra gioia” (Benedetto
XVI, Gesù di Nazaret). |