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Riprendendo la citazione di
Giuseppe De Grassi, possiamo ben dire con lui che Ciao 2001 non è stato solo
una rivista di musica. Chi ne è stato lettore nei primi anni ’70 sa cosa
si intende dire. La musica in quegli anni era un fenomeno più complesso che
addensava attorno a sé una
serie di tensioni individuali e collettive presenti in
quell’universo giovanile. Il rock si manifestava
per quello che è stato così definito un linguaggio totale ma tribale, con una
serie di contenuti e messaggi laterali al semplice fatto musicale.
Ma il rock ha costituito anche
un nuovo canone estetico, una nuova poetica dell’ascolto, un modo
infinitamente più eccitante di porsi di fronte al suono, a volte visto come la manifestazione sensibile di una energia universale. Ma per
capire meglio tutto questo bisognerebbe comprendere che cosa è stato quel
fenomeno fatto più di idee che di fatti, più di anime che di corpi, quale era
il “pop” in Italia.
Devo ricordare a molti che con il termine “pop” si intendeva impropriamente tutta quella produzione musicale che ruotava intorno al rock, che includeva il cosiddetto rock progressivo, ma non si esauriva in quest’ultimo. Diciamo pure che neanche questo è propriamente corretto poiché si includevano in questa categoria – e in parte non a torto – personaggi come Venditti e De Gregori, Richard Cocciante, Guccini, i cantautori insomma, e forse anche la Nuova Compagnia di Canto Popolare, il Canzoniere del Lazio e simili, che abbondavano nelle varie rassegne e festival pop.
E’ più semplice allora
definire il pop per via
negationis. Diciamo cioè quello che il
pop sicuramente non era:
- non era il rock ‘n’ roll degli anni ‘50
- non era il beat degli anni ‘60
- non era la musica leggera
- non era la musica “commerciale”, come si disse per un breve periodo (definizione che entrò subito in crisi non appena dischi come Aqualung o Nursery Crime balzarono nella fascia alta delle classifiche di vendita... )
Dovendo stringere in un periodo il fenomeno pop, possiamo
contenere l’evento in un arco
di tempo che va, con tutte le necessarie approssimazioni, dal 1969 al
1974, incastrando in questi anni tutta quella gioventù che condivideva certi
slanci, sogni e vaghezze, pulsioni frustrate o irrisolte, “crisi non
chiarite” che componevano una costellazione ideologica di riferimento per
coloro che si sentivano a disagio in una società di valori tracciati. Un esercito di “lonely people”, come quello
che piove sopra i tetti (di Liverpool?) nell’animazione di Yellow Submarine,
che si sentiva – o si voleva sentire – “fuori dal sistema”, dentro la
“controcultura”, più per rifiuto, per rigetto, che per contestazione.
Ciao 2001 riuniva allora idealmente questa platea, questa folla silenziosa, che lievitava intorno alla musica pop, che prendeva la parola nelle varie rubriche aperte ai lettori, che cominciava timidamente ad apparire nei teatri dei primi concerti rock, che poi si assembrava, più numerosa, nei raduni e festival pop che si cominciavano ad organizzare un po’ in tutta la penisola.
Per chi è stato lettore occasionale o assiduo di questo settimanale, per chi ha vissuto quegli anni sentendosi partecipe, se non altro, di quel clima, di quegli umori, credo sarà piacevole sfogliare alcune pagine web in cui si possono rivedere le testate delle varie rubriche, o anche solo svistare qualche copertina, dare una scorsa a qualche lista di canzoni o a qualche notizia d’epoca.
Anche per colmare, in estrema parte, l’assenza dalle edicole di questo settimanale, che dopo alcuni tentativi di riedizione, da diverso tempo ha ormai cessato – mi auguro non definitivamente – le pubblicazioni.
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