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I
Valori
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Tutte
la scienze umane
Tutte le
scienze umane (antropologia, economia, scienze politiche,
psicologia e sociologia) utilizzano il termine valore o sistema
di valori. In termini generali, un valore è una fortissima
tendenza a preferire una certa situazione a un'altra.
Lo psicologo
Statunitense M. Rokeach lo definisce così: "dire che una
persona crede in un valore, è dire che crede fermamente che una
linea di condotta specifica (o una finalità dell'esistenza) sia
preferibile ad altre linee di condotta, per ragioni personali e
sociali" (Rokeach, 1972). Egli ritiene che un adulto non
possiede che " qualche dozzina di valori strumentali (linee
di condotta) e che i valori ultimi (finalità dell'esistenza)
possano contarsi sulle dita".
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Un "frame
of reference" è una struttura di pensiero che
contiene le prospettive attraverso cui guardiamo le
situazioni in cui siamo coinvolti e interveniamo su di
esse, o meglio ancora, esso è un modo per organizzare la
propria, esperienza e i desideri intorno a ciò che è o
diviene la realtà per noi. La loro potenza fenomenologica
ed efficacia pragmatica consistono nella capacità di
organizzare in forma sintetica e prontamente utilizzabile
una configurazione di informazioni disparate concernenti
una situazione.
A partire
da frame diversi si possono generare mondi virtuali
diversi, strutturazioni della realtà spesso
inconfrontabili o in conflitto, che portano addirittura a
conclusioni e a interpretazioni contraddite teorie.
L'attivazione di frame non appropriati alla situazione può
condurre a problemi mal posti e a soluzioni magari
rigorose, ma distorte. Gli attori possono inavvertitamente
restare prigionieri di frame che li orientano in maniera
non adeguata alla situazione.
I valori
sono di natura emotiva piuttosto che razionale (anche se,
soggettivamente, pensiamo che siano razionali !). In
effetti, i valori determinano la definizione soggettiva
della razionalità, sono fini e non mezzi; possono
derivare da un'esperienza personale o essere imposti da
un'autorità esterna.
Il
sistema di conoscenze acquisito, nonostante sia spesso
incoerente, contraddittorio, solo parzialmente chiaro,
assume per i membri del gruppo di appartenenza l'apparenza
di una coerenza, di una omogeneità e di una chiarezza
sufficienti per dare a ogni singolo ragionevoli possibilità
di essere compreso.
La
conoscenza relativa al modello culturale porta con sé la
prova della sua veridicità, o meglio, è data per
scontata fino a prova contraria. Ci sottoponiamo a questa
prova ogni volta che si produce uno
"scontro/incontro" tra due culture, tra
individui che vedono il mondo e l'altro attraverso delle
lenti, attraverso il proprio frame mentale.
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Uso
di strategie attributive e di categorizzazione
L'uso di
strategie attributive e di categorizzazione non deve essere
concepito come "un'anomalia" dei pensiero e dei
ragionamento riguardante la realtà sociale, e in quanto tale un
fenomeno dagli esiti negativi, capace di produrre solo
conoscenze ed inferenze indebite. Il pensiero stereotipo è,
meno drammaticamente, un processo di semplificazione di un mondo
estremamente mutevole e complesso, basato sugli schernì di
ruolo e sui frames cuituraii' può essere concepito come una
componente "normale" dell'attività cognitiva
dell'individuo. Gli esseri umani non rispondono direttamente
alla realtà che li circonda, ma ad una sua rappresentazione che
essi stessi, in misura più o meno ampia costruiscono. La realtà
è troppo complessa per essere riprodotta in questa sorta di
pseudo-ambiente internamente rappresentato; diventano allora
indispensabili delle strutture di semplificazione. W. Lippmann
attribuisce alle rappresentazioni stereotipiche il ruolo di
sovrastruttura ideologica con funzione di giustificazione e
razionalizzazione dei sistema sociale. Egli sostiene che:"
Il sistema di stereotipi è al centro della nostra tradizione
personale, la difesa della nostra posizione nella società già
Aristotele nella Politica aveva capito che per giustificare
l'istituto della schiavitù bisognava insegnare ai Greci quel
particolare modo di percepire i loro schiavi che rendesse
plausibile il perdurare della schiavitù." (Lippmann,
1922).
La funzione
razionalizzante degli stereotipi ha ancora due risvolti; da un
lato consente di salvaguardare la propria immagine e il proprio
ruolo sociale, dall'altro giustifica il sistema sociale e i
rapporti di potere entro cui gli individui si trovano ad
interagire.
Con H. Tajfei
viene definitivamente messa in discussione l'idea che gli
stereotipi derivino dai bisogni profondi delle persone affette
dai pregiudizio; la materia comunque è vastissima ed è stata
trattata in vario modo dai cognitivisti agli psicologi di
orientamento psicodinamico ad autori di impostazione
funzionalista a studiosi degli atteggiamenti.
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Persone-stimolo
Siamo qui costretti ad
accennare solo brevemente all'argomento, non senza ricordare che
gli "altri", che nel nostro modello sono stati
considerati come "persone-stimolo", nella vita di ogni
giorno non sono elementi statici dell'ambiente ma manifestano
accordo o disaccordo nei confronti delle nostre idee, ci
contraddicono, ci lodano, cercano la nostra compagnia o la
evitano. Nella realtà quotidiana non c'è un soggetto
percipiente e una persona da percepire, ma due soggetti
"pensanti" in una situazione di interazione, che per
ridurre lo scarto tra loro sono portate, in caso positivo, a
mediare un terzo spazio comune, una "nuova cultura" o,
in caso negativo, allo scontro o alla fuga.
Chi può dire veramente che
cosa di una cultura è proprio di quella cultura e che cosa
invece non lo è? I materiali che una cultura ha a disposizione
non sono mai solo una auto-produzione.
La celebre domanda della donna
etiope ("che fine fa la realtà quando è trasportata
altrove?") vale non soltanto per tutto ciò che da là
viene trasportato qui (Geertz 1990) ma anche per tutto ciò
che "da qui viene trasportato là" e, se vogliamo
completare il quadro, per tutto ciò che da qualunque posto
viene trasportato in un qualsiasi altro.
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Società di
origine e di destinazione
Se non ci poniamo in questa
prospettiva non solo rischiamo di prendere per oggettive le
rappresentazioni e i concetti mediante i quali il nativo descrive
la realtà che lo circonda; rischiamo anche di credere che
l'attività riflessiva dello "straniero" o del nativo
provenga solo e soltanto dalla sua cultura, con l'inevitabile
effetto di trasformare quel complesso di idee, segni, connessioni
e stili di comportamento che chiamiamo cultura in qualcosa di
auto-determinantesi e di assolutamente impenetrabile a ogni
influenza esterna (per cui l'equazione società - etnia - cultura
finisce per essere quasi inevitabile).
Ogni società può
essere vista sotto due aspetti apparentemente opposti ed è
possibile costruire delle immagini diversissime a seconda che se
ne considerino le "invarianti", i fattori di
conservazione e la continuità o, al contrario, le forze di
trasformazione e i mutamenti strutturali.
Analogamente
possiamo considerare il fenomeno migratorio come la circolazione
nello spazio e nel tempo di situazioni di persistenza e di
mutamento, le quali coinvolgono simultaneamente i migranti e le
società di origine e di destinazione
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